“Per
qualcuno con la pancia vuota
non esistono né obbedienza né timore”
CAPITOLO 5
IL FURTO
Fin da piccolissimo avevo sognato di
essere qualcuno di importante.
Un
eroe valoroso.
Un
potente mago.
Un
magistrato influente.
Ma
ero solo il figlio del mugnaio di una piccola cittadina di frontiera, e in
quanto tale mi ero reso conto molto presto di quante poche possibilità il
destino avesse deciso di concedermi.
Non
ero nato con il Segno, quindi non potevo essere un mago.
Non
sarei mai riuscito a permettermi l’iscrizione all’Accademia Imperiale, quindi
non potevo diventare un giudice o un funzionario.
Restava
solo la via dell’eroe, ma anche così sarei dovuto partire dalla base della
scala.
Quando
ancora scolaretto avevo detto ai miei genitori che da grande mi sarei arruolato
nelle legioni, per poco non mi avevano buttato fuori di casa.
Sì,
perché come se non bastasse nel posto in cui sono cresciuto essere un servitore
dell’Impero non era una professione di cui andare fiero.
Ma
io, testardo, non mi ero perso d’animo, e i fatti mi avevano rapidamente dato
ragione; dopo solo un anno da che avevo lasciato la mia casa alla volta della
capitale ero già decurione della Quindicesima Legione Invicta.
Avevo
chiesto io stesso di essere assegnato a quell’incarico, così da poter fare
ritorno nei luoghi in cui ero cresciuto e avere l’occasione di dimostrare a
tutti che si poteva essere dei soldati dell’Impero senza per questo rinnegare o
dimenticare le proprie origini.
Come
decurione mi avevano assegnato proprio a presidio del piccolo fortilizio che
dall’alto di un colle dominava il mio villaggio natale; ufficialmente ero il
comandante in seconda, ma visto che al nostro centurione piaceva di più
ubriacarsi alla taverna che fare il proprio dovere in pratica ne facevo le
veci.
Eravamo
solo uno sparuto gruppo di soldati, visto che gli accordi di pace con l’Unione
di Patria vietavano la presenza di grossi presidi in tutte le regioni
affacciate sulle sponde del fiume Jesi, ma provenendo quasi tutti dai territori
della vecchia Eirinn ci trovavamo bene e ci conoscevamo tutti.
Ovviamente
non avevo alcuna intenzione di marcire in quel presidio di periferia, e contavo
di mettermi in luce alla prima occasione utile per ottenere al più presto una
nuova promozione.
Purtroppo
il destino è beffardo, e si diverte a metterti davanti le prove più dure quando
meno te l’aspetti.
L’Eirinn Occidentale non era mai
stato il posto più ospitale del mondo, e accumulare delle scorte al termine del
raccolto per far fronte all’inverno era una cosa normale per noi.
Daemon,
le cui ipotesi quasi mai si erano rivelate inesatte, aveva suggerito di mettere
da parte una quantità di cibo ancora maggiore del solito, dato che secondo un
qualche strumento che si era costruito l’inverno in arrivo sarebbe stato assai
peggiore dei precedenti. Ovviamente ci aveva visto giusto, e per nostra fortuna
il sindaco gli aveva dato ascolto dando ordine di ammassare una montagna di
cibo.
Quello
stesso cibo che ora stava bruciando sotto i nostri occhi.
Il
boato era stato così forte da scaraventarci tutti quanti giù dal letto nel
cuore della notte, e al nostro arrivo avevamo potuto solo osservare impotenti
il frutto di tanti mesi di fatiche andare letteralmente in cenere.
L’unica
consolazione fu che riuscimmo a contenere il fuoco evitando il propagarsi
dell’incendio e a portare in salvo qualcosa, ma al sorgere del sole del granaio
e quasi tutto il suo contenuto non rimaneva più nulla.
Tra
miliziani e legionari passammo quasi un’ora ad accusarci gli uni con gli altri
per quanto accaduto, sotto gli occhi increduli, preoccupati e giustamente
ostili degli abitanti. Fu Daemon a richiamarci tutti all’ordine.
«Smettetela!
Sembrate un branco di scolaretti che si azzuffano! Invece di litigare su chi
sia più colpevole cerchiamo di capire cos’è successo e come rimediare a questo
disastro.»
«Hai
ragione.» ringhiai in faccia a quell’idiota di Beek.
«Non ne vale la pena.»
«Attento
a come parli ragazzino. Portavo l’uniforme quando tu ancora bagnavi il letto.»
Senza
che io e il Comandante smettessimo un attimo di beccarci facemmo un sopralluogo
all’interno.
«Io
non mi spiego quell’esplosione che abbiamo sentito. Qui dentro non c’è niente
che potesse produrre una simile deflagrazione.»
«Ti
sbagli, qualcosa c’era.» rispose Daemon sollevando da terra un sacco di farina
carbonizzato. «La farina è infiammabile quasi quanto la polvere da sparo. Basta
un niente per innescarla. Mettici una stanza chiusa e satura di polveri, più un
vecchio edificio quasi interamente in legno…»
«Quindi…»
disse il sindaco «Sarebbe stato un incidente?»
«Probabilmente.
Forse qualche cassa è caduta e ha provocato una scintilla.»
Il
mio attendente Jorn, un mio coetaneo proveniente dal nord che non aveva mai
visto la frontiera e i suoi problemi in vita sua, aveva il morale a terra.
Avevo cercato di spiegare al centurione Costanzio che
non era ancora pronto ad assumere un ruolo delicato come il comando della ronda
notturna, e ora cercava in tutti i modi di rimediare a quello che considerava
un suo errore personale sfruttando il suo proverbiale acume.
«Decurione,
venite a vedere! Ho trovato qualcosa!»
Seguendo
la sua voce arrivammo nei pressi del muro, dove sul pavimento di pietra era ben
visibile una sorta di lunga linea nera che sbucando da una fessura continuava
dritta fino al punto in cui era stata stoccata la maggior parte della farina.
«Ora
sappiamo cos’è successo.» disse Daemon
«Che
intendi dire?»
«Questo
è il segno lasciato da un innesco. Qualcuno ha fatto passare una miccia sotto
il muro per incendiare i cumuli di farina. L’ambiente chiuso, il legno secco e
gli altri materiali infiammabili hanno fatto il resto.»
«Quindi
sarebbe stato un…»
«Un
attentato.»
Beek
non aspettava altro per scatenarsi.
«Io
lo sapevo! Sono stati sicuramente quei bastardi reunionisti!
Gli stessi che Voi sindaco vi ostinate a non voler reprimere!»
«Adesso
non ricominciare. Questo non è certo il modo di agire dei reunonisti.»
«Tu
sta zitto moccioso in armatura. Che cosa vuoi saperne? Ho dato la caccia a
quella feccia ribelle per anni, non sono altro che un branco di animali!»
«Septimus
ha ragione, Comandante. I reunionisti si considerano
patrioti che lottano per il popolo e per la riunificazione di Eirinn. Non
affamerebbero un’intera regione che brulica di loro simpatizzanti.»
«Hai
detto bene sceriffo! Questo posto è un covo di serpi! E sono pronto a
scommettere che tra di loro c’è chi ha avuto questa brillante idea! Chi credete
che saranno i primi a patire la carenza di cibo? Miliziani e soldati
ovviamente! Ma se sperano che questo basterà a piegarci hanno sbagliato i
conti! Vig!»
«Signore?»
«Chiama
l’adunata generale! Voglio tutti in caserma in dieci minuti e una lista
completa di soggetti ostili entro stasera! Elimineremo quella feccia ribelle
una volta per tutte!»
Il
sindaco ed io invece avevamo tutt’altri pensieri per la testa.
«E
adesso cosa facciamo sceriffo? Senza questo cibo sarà quasi impossibile
superare l’inverno.»
«Il
sindaco ha ragione. Quello che siamo riusciti a salvare non riuscirà mai a
sfamare tutti.»
«Andrò
a parlare con il Governatore, anche se non sono sicuro che mi ascolterà.»
«E
tu credi davvero che quel porco accetterà di dividere il suo cibo con noi?
Piuttosto ci lascerà morire di fame.»
«Sindaco,
vi suggerisco di fare più attenzione a quello che dite. Con il Comandante in
quello stato non è questo il momento di fare simili discorsi.»
«Che
vada all’inferno Beek, ragazzo. Non è altro che un
macellaio. L’unica ragione per cui non posso liberarmene è solo perché i
fanatici come lui sono sempre benaccetti in posti come questo.»
Purtroppo Beek
non aveva scherzato dicendo di voler stroncare definitivamente il reunionismo nella regione.
Quella
notte stessa iniziarono i rastrellamenti. Casa per casa, porta per porta.
Chiunque fosse anche solo minimamente sospettato di aver fatto parte o fare
ancora parte di qualche cellula reunionista venne
sorpreso nel sonno, bastonato fin quasi ad ucciderlo e portato via.
I
pochi abbastanza fortunati da avere un cognome rispettabile o le giuste
conoscenze vennero rinchiusi in prigione in attesa di fantomatici processi;
tutti gli altri direttamente alla forca, non prima ovviamente di essere stati
torturati a dovere nel tentativo di scovare altri presunti terroristi o svelare
i nomi dei veri responsabili dell’attacco al granaio.
La
breve strada tra il palazzo di giustizia e il patibolo era percorsa senza sosta
da carretti carichi di disperati, e per il boia non c’era un attimo di respiro.
In
pochi giorni si instaurò un clima di terrore tale da riportare alla mente il
periodo più buio delle dispute di confine con l’Unione; chiunque poteva essere
arrestato, e dal momento che ogni nome riferito alla milizia, vero o falso che
fosse, valeva due goldie i delatori non mancavano: era l’occasione perfetta per
sistemare vecchi conti in sospeso.
E
intanto l’inverno peggiorava sempre di più. Non passava giorno senza che
nevicasse, e le temperature erano scese al punto che perfino lo Jesi in alcuni
punti aveva iniziato a congelarsi.
Daemon
dal canto suo aveva fatto tutto quello che era in suo potere per convincere il
Governatore ad aprire i granai, ma tutto quello che aveva ottenuto erano stati
due carri destinati esclusivamente alla milizia e alla guarnigione. Qualcuno
aveva avuto la brillante idea di consigliare a quel grassone di fare qualcosa
per aumentare la sua popolarità tra la piccola nobiltà locale, e lui si era
fatto venire in mente di trasformare un evento di poco conto come il ballo
d’inverno in un ricevimento degno dell’Imperatore in persona.
E
intanto i nostri concittadini morivano di fame.
Io
e quasi tutti i miei compagni ovviamente facevamo il possibile per dividere le
nostre già esigue razioni con la gente, ma tra la fame, il freddo e le
esecuzioni che non si fermavano un attimo la rabbia montava sempre di più.
Alcuni di noi avevano perfino paura ad avventurarsi da soli per strada, tale
era il terrore di essere linciati da una folla che stava raggiungendo il limite
dell’esasperazione.
E
in tutto questo io avevo le mani legate.
Il
mio superiore, il Centurione Costanzio era un fallito
buono a nulla che non vedeva l’ora di concludere i tre anni di servizio
obbligatorio che tutti i nobili dell’Impero dovevano onorare per scapparsene
nuovamente a Maligrad a godersi l’eredità paterna, e
non avrebbe mosso un dito per fermare Beek e i
fanatici della milizia che lo seguivano. Anzi, in un paio di casi ci ordinò di
collaborare attivamente nei rastrellamenti, forse pensando che scoprire
l’identità dei sabotatori potesse essere un buon modo per accorciarsi il
servizio militare.
Se
la situazione a Dundee e tra gli umani in generale era grave, nel ghetto era
anche peggio.
Quei
poveracci non mangiavano quasi nulla, ma nonostante ciò da
loro ci si aspettava che dessero sempre più di quanto erano effettivamente
capaci.
Io
e alcuni altri avremmo voluto fare qualcosa anche per loro, ma più che far
visita alle miniere e ai cantieri per tenere a freno il sadismo dei miliziani
non potevamo fare, e vederli così, magri da far paura e sottoposti a continue
vessazioni ammetto che ci faceva stare molto male.
Nessuno
merita un’esistenza così misera, non importa quale sia il suo crimine.
Ovviamente
gli arresti, le torture e le esecuzioni non portarono a nulla, e ad un mese
dall’incendio nessuno aveva ancora idea di chi fosse il responsabile di aver
innescato quella situazione esplosiva.
Per
tutto quel tempo io e gli altri legionari avevamo osservato senza reagire, ma
si arrivò al punto in cui tutti insieme decidemmo che dovevamo fare qualcosa
prima che la situazione esplodesse definitivamente; non tanto perché il nostro
dovere di legionari ce lo imponeva, quanto piuttosto perché quella era la
nostra gente. E anche se Beek e i suoi sembravano
essersene dimenticati, eravamo tutti figli dell’Eirinn, pronti a dare la vita
gli uni per gli altri.
Dapprima
iniziammo a mettere i bastoni tra le ruote alla milizia millantando ordini
dall’alto di limitare le loro attività di rastrellamento. E visto che
teoricamente non erano altro che legionari senza insegna, civili prestati
all’esercito e formalmente sottoposti all’autorità della legione, i nostri
ordini travalicavano sempre i loro.
Quindi
ci mettemmo a distribuire medagliette al merito; bastava portarne una appuntata
sul vestito per essere riconosciuti come fedeli servitori dell’Impero, e far
risultare assurda qualsiasi pretesa di cooperazione coi reunionisti.
Ma
si trattava solo di espedienti che servivano a poco, anche perché come temevo
furono in molti a rifiutare il nostro aiuto o di portare le medagliette, con il
risultato di dare ai miliziani ulteriori pretesti per giustificare gli arresti.
Dovevamo
trovare il modo di risolvere quella situazione il più in fretta possibile, o per
come la vedevo io c’era il rischio concreto che l’intera regione saltasse per
aria.
Per
nostra fortuna il cervello di Jorn non aveva mai smesso di lavorare. Fu così
che riuscì per primo ad intuire ciò che nessuno di noi era riuscito a capire.
«Decurione,
stavo pensando. E se quello che può sembrare un sabotaggio non fosse altro che
il tentativo di coprire qualcos’altro? Ad esempio, un furto?»
«Impossibile.
Abbiamo perlustrato con attenzione il granaio e i dintorni. Anche ammesso che
siano riusciti ad eludere le guardie non c’era niente che indicasse che fosse
stato portato via qualcosa quella notte.»
«Hai
ragione. Però c’è un’altra eventualità che non abbiamo considerato.»
«E
quale sarebbe?»
«Chiunque
abbia commesso questo furto intendeva trarne un grosso guadagno, portando via
quello che bastava per giustificare il rischio di essere scoperti. Muovere una
simile quantità di cibo tutta insieme senza lasciare tracce sarebbe difficile
per chiunque, specie ora che la neve e il fango rendono le strade impraticabili.
Se però il furto viene commesso poco per volta, la cosa diventa molto più
fattibile.»
«Stai
dicendo che avrebbero rapinato continuativamente il granaio per giorni?»
«Forse
anche di più. Come suggerito dallo sceriffo il granaio è rimasto chiuso e sorvegliato
già a partire dalla fine dell’autunno. Entrare e uscire nonostante la
sorveglianza non sarebbe stato difficile per dei professionisti, a condizione
di saccheggiare le provviste poco per volta.»
«Se
è come dici tu allora temo sarà inutile cercarli. A quest’ora saranno già
chissà dove.»
«No,
io non credo. Ovvio che non possono sperare di rivendere il cibo qui, ma noi
non siamo sicuramente gli unici che l’inverno ha messo a dura prova. Spostare
un simile carico in pieno inverno e con la milizia che batte ogni sentiero
giorno e notte in cerca di ribelli però non dev’essere per niente facile.»
«Mi
stai dicendo che potrebbero essere ancora qui!?»
«Probabile.
Deve essere per questo che hanno inscenato il sabotaggio, così da non far
scoprire il furto e potersi allontanare indisturbati alla prima occasione.»
Se
l’ipotesi di Jorn era giusta dovevamo comunque agire in fretta, prima che i
ladri avessero il tempo di disfarsi anche solo di una parte della refurtiva.
Ma
come fare a trovarli se erano stati così attenti a passare inosservati? Ancora
una volta il mio amico ebbe l’intuizione giusta.
«Anche
se probabilmente contano di rivendere la merce rubata per conto proprio
potrebbero essersi rivolti a un trafficante. E da queste parti sappiamo bene
che ce n’è uno molto potente.»
Non ero mai stato alla presenza di
Borg, ma trovarmelo di fronte mi ricordava perché a distanza di cinquecento
anni c’era ancora qualcuno che reputava giusto e doveroso il modo in cui
l’Impero trattava quelli della sua specie.
Quel
maiale era talmente sicuro della propria intoccabilità da essersi costruito un
magazzino traboccante di merci preziose a due passi dalla Via Magna, e aveva al
suo servizio come guardaspalle persino degli umani.
Il
suo ufficio di contro era abbastanza umile; uno avrebbe pensato che non volesse
palesare la propria oscena ricchezza, se non fosse stato per le vesti broccate
e i gioielli di cui amava ricoprirsi.
«Dunque?
Che cosa posso fare per i rispettabili delegati della Quindicesima Legione?»
«Ci
servono delle informazioni.»
«Merce
costosa. Immagino abbiate di che pagarla.»
Sapevamo
che per Borg tutto aveva un prezzo, incluse le informazioni; e visto che come
prevedibile la legione ci aveva negato l’accesso ai fondi eravamo stati
costretti a fare una colletta tra di noi per mettere insieme un po’ di soldi.
Il
coboldo e la lucertola che stavano alle nostre spalle ridacchiarono alla vista
di quel sacchetto mezzo vuoto che ci era costato così tanti sacrifici. Invece
Borg non disse niente, facendo scorrere le monete sulla scrivania e lasciandosi
sfuggire uno strano sorriso.
«Sono
a vostra disposizione.»
Jorn
prese la parola.
«Vorremmo
sapere se negli ultimi mesi siete stato contattato da qualcuno che vi ha
proposto di acquistare o ricettare merce rubata. Soprattutto cibo, ma anche
attrezzi da lavoro, grasso animale e pellicce.»
«Ragazzo
mio, se mi conoscessi dovresti sapere che il mio commercio è perfettamente
legale. I miei clienti sono tutte persone rispettabili, e da onesto mercante io
stesso obbedisco devotamente alle leggi dell’Impero che regolamentano il
commercio. Non farei mai una cosa tanto disonesta come vendere e comprare il
frutto di una rapina.»
«Voi
non siete un mercante, siete un trafficante.»
Jorn
aveva negli occhi una luce che non gli avevo mai visto, fissando quel maiale
come se avesse voluto saltargli addosso riducendolo ad una pancetta.
«Sembri
sapere molte cose sul mio conto ragazzo.»
«Io
vengo dalla provincia di Tingas, dove anche voi
vivevate prima di trasferirvi qui. Mio padre è uno degli uomini che avete
truffato con quel vostro affare delle pellicce.»
Colpito
dal suo coraggio, anche io decisi di mettere da parte ogni timore.
«Ora
ascoltami bene maledetto maiale. Lo sappiamo tutti e due che non possiamo
torcerti un capello. Quello che possiamo fare però è rendere il tuo lavoro
estremamente difficile. Darò ordine di ispezionare a fondo ogni filo d’erba che
esce da questo posto, farò cambiare le guardie e i doganieri sul ponte almeno
cinque volte al giorno. Dovrai pagare tante di quelle tangenti per far girare
la tua merce che non ti rimarrà abbastanza nemmeno per pagare i tuoi uomini.
Quindi ora dacci un taglio con la storia dell’onesto mercante e dicci quello
che sai.»
I
suoi due guardiani erano pronti a saltarci addosso, ed entrambi avevamo già la
mano sull’impugnatura della spada. Invece, Borg fece loro segno di calmarsi,
accendendosi uno dei suoi famosi sigari toriani.
«Non
mi sorprende che vi abbia messo gli occhi addosso.»
«Di
che parli?»
«Non
importa. Ad ogni modo sì, sono venuti da me. Circa un mese fa.»
«Chi
erano?»
«Stranieri.
Banditi. Probabilmente del Torian. Mi hanno chiesto
se ero interessato a ricettare derrate alimentari rubate, ma li ho messi alla
porta invitandoli a non tornare. Come ho detto, io non tratto con gente di
quella risma.»
«Hai
idea di dove si potrebbero nascondere?»
«Se
dovessi scommettere, e non sono uno che scommette, punterei sulla terra di
nessuno, da qualche parte lungo le sponde del fiume.»
«Proprio
dove gli accordi con l’Unione ci impediscono di entrare in forze.»
«A
questo punto, l’accordo tra noi è concluso. E se non vi dispiace avrei
parecchie cose da fare. Vi saluto signori.»
Una
volta fuori io e Jorn discutemmo della situazione.
«Pensi
che possano essere ancora lì?»
«Il
ponte è sotto sorveglianza continua da quando Beek si
è scatenato. E anche se il fiume è parzialmente congelato non mi arrischierei
mai a tentare di attraversarlo portandomi appresso svariati quintali di
refurtiva. Secondo me si trovano ancora nei paraggi.»
«Il
problema è che in base ai trattati solo le guardie assegnate al controllo del
ponte possono entrare nella terra di nessuno. Come facciamo a battere una zona
tanto vasta senza poter contare sui nostri compagni?»
E
il peggio doveva ancora arrivare. Mentre rientravamo al villaggio ci venne
incontro il nostro compagno Finn, al galoppo e
pallido come se avesse visto la morte in faccia.
«Decurione,
abbiamo un problema serio!»
«Che
altro c’è?»
«Al
ghetto! Dovete venire subito!»
Twami
era una gattina che il vecchio Edmund si era preso in casa come animaletto da
compagnia per alleviare la sua solitudine, trattandola sempre molto bene.
L’avevo
vista alcune volte al mercato intenta a fare la spesa, e quando qualche
settimana prima il suo padrone era morto era stata portata al ghetto in attesa
di capire cosa ne sarebbe stato di lei.
Quando
io e Jorn arrivammo nel piazzale la situazione era a dir poco esplosiva; Daemon
e una decina di miei compagni erano tutto quello che si frapponeva tra gli
uomini di Beek e Twami, che
se ne stava avvinghiata a quella muccona superdotata
di Lori tremante di paura.
«Che
sta succedendo qui?»
«Meno
male che sei arrivato.» disse Daemon come se fossi stato il suo salvatore.
«Vogliono entrare nel ghetto e portare via Twami.»
«Cosa!?
Per quale motivo?»
«È
presto detto!» sbottò il Comandante. «Quel vecchio fossile di Edmund era un
noto reunionista, e abbiamo le prove che poco prima
della sua morte in casa sua si è svolta una riunione segreta per pianificare un
attacco. Lo stesso attacco in cui sono stati uccisi due dei miei uomini! Quell’animale
avrà sicuramente sentito o visto qualcosa, quindi voglio interrogarla per
sapere cosa sa.»
«Qui
si sta scendendo nel ridicolo.» disse Daemon. «Twami
capisce a malapena la nostra lingua. Cosa mai potrebbe dirti?»
«Inoltre
nessun tribunale accetterebbe la parola di uno schiavo contro quella di un
libero cittadino. Qualsiasi cosa lei ti dicesse sarebbe inutile.»
«Mi
sono stancato di voi mocciosi! Ho detto che l’arresterò e intendo farlo!
Soldati, prendete quella bestia!»
Così,
istintivamente, feci qualcosa che mai avrei pensato di fare; estrassi la spada
e la puntai contro di lui.
«Fermo!
Ora basta!»
Con
mio stesso stupore anche i miei uomini fecero altrettanto, e nello spazio di un
attimo un muro di scudi si parò tra quella gattina e gli uomini di Beek, che divenne rosso di rabbia.
«Come
osate alzare le armi contro di noi! Siamo i delegati del popolo di Eirinn e di
Sua Maestà l’Imperaotre! I rappresentanti della
legge!»
«Ho
già inviato una lettera al Governatore, e lui ha autorizzato la dichiarazione
dello stato di emergenza. E come dovresti sapere, durante uno stato d’emergenza
la gestione dei ghetti passa interamente sotto il controllo delle legioni. Voi
non avete più alcun titolo per restare qui.»
Nel
mentre tutto attorno a noi si era formato un piccolo pubblico di schiavi, che
osservavano con evidente stupore me e i miei compagni proteggere uno di loro.
«Ho
sentito dire che anche tuo nonno era un noto simpatizzante reunionista,
ragazzo. E anche tuo padre. E tua madre. Forse dovrei fare due chiacchiere
anche con lei. E magari perquisirla anche un po’.»
Non
so cosa mi trattenne dal piantargli la spada nel collo.
«Vattene
da qui, maledetto pazzoide. E porta questa banda di macellai via con te.»
Quell’animale
ringhiava come un cane rabbioso incatenato, ma sapeva di avere le mani legate.
«Non
illudetevi che sia finita qui, luride bestie! Qui dentro sarete anche al
sicuro, ma là fuori siete ancora in mio potere! Aspettate e vedrete!»
Quasi
che non ci sentissimo sicuri, io e i miei compagni tenemmo alti gli scudi fino
a quando non vedemmo Beek e i suoi uomini scomparire
oltre il cancello, che una volta usciti provvedemmo a richiudere con una nuova
serie di lucchetti.
«È
come ha detto lui. Possiamo proteggerli finché sono qui dentro, ma le miniere e
le segherie restano sotto il controllo della milizia.»
«Puoi
fare in modo che Twami sia esentata dal lavoro?»
«Posso
fare di meglio. Ho un amico a Basterwick. Lui e la
sua famiglia cercano una nuova domestica. Lo convincerò a comprarla.»
«Grazie.»
«Di
niente, Daemon. In realtà non mi è mai piaciuto il modo in cui trattiamo questi
poveretti. Dopotutto ad Eirinn non esisteva la schiavitù prima che venisse
assimilata dall’Impero.»
Nel
mentre gli uomini di Beek erano arrivati in cima alla
collina ad est che dominava la vallata in cui sorgeva il ghetto, restando lì
immobili a guardarci come se ci stessero sfidando.
«Non
riuscirò a tenere le cose sotto controllo ancora a lungo Septimus. Che siano
schiavi o liberi cittadini, non si può far ragionare a lungo chi muore di fame.»
«Sì,
lo so. In realtà stiamo indagando su una certa cosa. Non posso prometterti
niente, ma forse c’è un’esile possibilità di riuscire a recuperare una parte
delle provviste.»
«Di
che stai parlando? Pensavo fosse andato tutto distrutto nell’incendio.»
«Ora
non sono in grado di dirti di più, ma ti prometto che se arriveremo a qualcosa
ti informerò subito.»
«Io
devo restare qui a mantenere l’ordine e non posso aiutarvi. Ma se davvero avete
un’idea di qualunque tipo che ci tiri fuori da questa polveriera, in nome del
cielo fate qualcosa.»
Restammo
ad osservare Daemon mentre visibilmente preoccupato e con lo sguardo basso
rimontava a cavallo per fare ritorno a Dundee. Non che noi fossimo di umore
migliore.
«Meno
male che c’è lui. A chiunque altro la situazione sarebbe già scappata di mano.»
«E
noi dobbiamo fare la nostra parte, Jorn. Troviamo quei ladri.»
Anche se l’Impero amava definire in
modo altisonante “guerre di confine” quelle che in realtà per cento anni non
erano state altro che scaramucce occasionali con l’Unione, nessuno voleva
tornare a rivivere quei giorni.
Per
questo era stata creata la Terra di Nessuno che istituiva due miglia di zona
franca lungo tutto il confine tra Saedonia e Patria,
che nell’Eirinn Occidentale corrispondeva al corso dello Jesi.
Io
e Jorn ci muovevamo tra gli alberi come ladri in una casa da svaligiare. Sapevamo
di stare correndo un grosso rischio. Anche se eravamo solo in due e senza
armatura, se ci avessero scoperti ne sarebbe venuto fuori un grave incidente
diplomatico.
«Sicuro
che sia questa la direzione?»
«Assolutamente,
Decurione. Le tracce sono evidenti. Cinque persone, di cui almeno un mostro.
Probabilmente un felino.»
«Sei
bravo a leggere le tracce. Potresti fare concorrenza a Daemon.»
«Mio
padre era direttore di una prigione, prima di finirci dentro per i debiti che
aveva accumulato. Come sapeva seguire lui i fuggitivi nelle paludi non lo
sapeva fare nessuno. Ecco, ci siamo. Dovrebbe essere proprio davanti a noi.»
Non
sarebbe stato facile avere ragione di cinque banditi che probabilmente sapevano
anche menare le mani, ma potevamo contare sull’effetto sorpresa e coglierli nel
sonno.
Prima
che potessimo arrivare in vista del loro nascondiglio però un odore
pestilenziale ci passò sotto il naso, uno che entrambi conoscevamo molto bene.
«Decomposizione.»
dissi «Più avanti c’è qualcosa che marcisce.»
Senza
più timore avanzammo a passo svelto seguendo quel fetore, e quando arrivammo
finalmente a destinazione fummo entrambi presi dallo sconforto.
Il
campo era in uno stato pietoso, e sembrava che un tarkana
infuriato vi si fosse scagliato contro facendo una strage.
Come
aveva detto Borg si trattava sicuramente di Toriani,
e tra loro c’era anche una tigre con abiti di foggia Mahardiana.
Il fatto che avessero tutti le armi vicino testimoniava che avevano provato a
difendersi, ma chiunque li avesse affrontati non aveva avuto alcuna pietà,
martoriando i loro corpi in modo a dir poco barbaro.
«Per
tutti gli dei.» si lasciò sfuggire Jorn «Chi può aver fatto una cosa del
genere?»
«Di
sicuro saranno stati almeno una decina, per fare un tale disastro.»
Come
se non bastasse nello scontro la farina era caduta dal suo bancale coprendosi
di acqua e fango, e il poco cibo rimasto aveva fatto la felicità degli animali
selvatici.
Non
potevamo permettere che finisse così. Non dopo aver faticato e rischiato tanto
per arrivare fino a quel punto.
«Cerchiamo
in giro. Forse scopriremo qualcosa.»
Frugammo
dappertutto, nelle sacche da viaggio, all’interno delle tende e perfino nelle
tasche dai cadaveri, fino a che non Jorn non recuperò dai resti di un bivacco un
foglio di pergamena mezzo bruciacchiato, coperto di scarabocchi per me
incomprensibili.
«È
scritto in lingua toriana. Si direbbe un elenco.»
«Puoi
tradurlo?»
«Credo
di sì, dammi solo un secondo.»
Lo
stupore che gli apparve sul volto man mano che riusciva a decifrare il testo
non si può descrivere, ma niente in confronto a ciò che provai io quando me ne
rivelò il contenuto.
Era
una lista: una lista di nomi.
Nomi
che io conoscevo molto bene. Con accanto la descrizione dettagliata di quanta
merce rubata avessero comprato, di quale tipo, e la somma sborsata per averla.
«Sono
alcune tra le famiglie più importanti della provincia.»
«Forse
gli assassini sono stati disturbati e sono dovuti scappare prima di avere la
certezza che fosse stata distrutta.»
«Chi
se ne importa. Presto, portiamola a Daemon. Forse possiamo ancora sperare di
recuperare qualcosa.»
Era difficile che un qualunque
ufficiale giudiziario accettasse come prova una lista recuperata in un covo di
ladri, ma Daemon era lo sceriffo, e fintanto che si assumeva la responsabilità
delle proprie decisioni poteva fare quello che voleva.
E
a lui il coraggio non mancava di certo.
Nei
giorni che seguirono rivoltammo come un calzino non solo la regione di Dundee
ma l’intera Eirinn Occidentale, da Basterwick al
Castello, effettuando decine di arresti.
Mercanti,
piccoli borghesi, capi villaggio, e persino alcuni nobili.
Ovviamente
quasi tutti negarono ogni responsabilità, ma le prove che trovammo in loro
possesso erano più che sufficienti a farli finire in schiavitù per il resto dei
loro giorni, nella migliore delle ipotesi.
La
cosa davvero ironica fu che la maggior parte di loro erano forestieri, oppure
gente del posto che aveva fatto fortuna cooperando a vari livelli con le
autorità imperiali.
Persino
il Sindaco Rutte venne coinvolto marginalmente nell’indagine. Ma il fatto che
avesse accettato di comprare provviste per vie traverse sul mercato nero, tra
l’altro indebitandosi pesantemente, solo per sfamare i suoi concittadini
convinse sia noi che Daemon a chiudere un occhio, in un momento in cui gli
abitanti di Dundee avevano più che mai bisogno di qualcuno che mantenesse unita
la comunità.
Riuscimmo
a recuperare anche della refurtiva; non moltissima, ma quello che bastava per
tirare avanti fino a primavera.
C’era
un nome però che aveva lasciato me e Daemon letteralmente senza parole. Un nome
che avevamo voluto tenere per ultimo, ordinando ai nostri uomini di non alzare
un dito prima del tempo; non perché tenessimo a lui, ma perché volevamo goderci
appieno il momento in cui avremmo potuto finalmente toglierlo di mezzo.
Quando
insieme ad un manipolo di soldati entrammo nell’emporio Wallace era in corso
l’ennesimo litigio tra Mary e suo padre per questioni di soldi, con annessa
inevitabile alzata di mani. Con noi c’era anche Giselle, nelle vesti di
testimone la cui parola era risultata decisiva nel darci il via libera a
mettere in atto ciò che stavamo per fare.
«Non
lo perdi mai il vizio, vero bastardo?» disse Daemon scrocchiandosi le dita con
evidente piacere.
«Che
volete voi? Non sono per niente allegro stamattina.»
«A
te l’onore, Septimus. E fai in fretta, altrimenti potrei fare qualcosa di
stupido.»
«Doug
Mornay! Ti dichiaro in arresto per furto e
ricettazione!»
I
miei uomini dovettero saltargli addosso tutti insieme per riuscire ad
immobilizzarlo.
«Maledetti,
lasciatemi! Di cosa state parlando? Io sono innocente!»
«Lo
dicevano anche tutti gli altri. Peccato che qui ci sia una lista di compratori
trovata nel campo dei ladri che hanno saccheggiato e distrutto il granaio, in
cui appare anche il tuo nome.»
«Che
storia è questa? Io non ho comprato niente!»
«Non
ne dubito, visto che da fallito quale sei non ti saresti mai potuto permettere
un esborso simile. Quello che hai fatto è stato spennare uno di quei ladri al
gioco, e accettare come pagamento per la vincita una fornitura di provviste.»
«E
se stai pensando di provare a negare lascia perdere.» intervenne Giselle «Ti ho
visto coi miei occhi giocare a carte con quel tipo strano e firmare la
cambiale. Te ne sei vantato per giorni. Davvero, quale idiota va in giro a
raccontare ai quattro venti di aver accettato come pagamento merce rubata?»
«Vi
ripeto che non so di cosa voi stiate parlando! È vero, ho giocato a carte con
un toriano qualche settimana fa, ma la carta che ho
firmato era solo una promessa di pagamento in moneta sonante.»
Ovviamente
perquisimmo a fondo il negozio, trovando la cambiale in questione in un doppiofondo
segreto nel forziere del negozio e constatando una volta per tutte che quella
sera quell’ubriacone doveva aver bevuto anche più del solito. Oppure
semplicemente mentiva sapendo di mentire.
«E
di questa che mi dici? Qui c’è scritto chiaramente che accetti in pagamento una
fornitura di generi alimentari. Con l’incendio che era avvenuto solo la sera
prima, vuoi farci credere davvero che non sapevi che si trattava dei
rifornimenti rubati dal magazzino distrutto?»
«No
aspettate, io non ho mai visto quella carta in vita mia, lo giuro!»
«Continui
a negare l’evidenza? Lo vedi o no che qui c’è la tua firma? E se speri di farla
franca dicendo che eri ubriaco sappi che sarà inutile. Visto quello che abbiamo
passato dubito che il magistrato la accetterà come giustificazione.»
«Questa
è tutta una montatura! Un complotto! Dite la verità, siete stati voi! Mi volete
incastrare! Mary tesoro, diglielo anche tu! Digli che si sbagliano!»
Invece
la faccia di Mary diceva tutt’altro. Anzi, non nascondo che quel ghigno che mai
una volta l’avevo vista sfoggiare mi fece quasi paura.
«Questa
volta la forca non te la toglie nessuno maledetto! Portatelo via!»
«Con
piacere, Signore!»
La
scena di quel violento ubriacone scaraventato piangente sul carro per essere
portato al Castello ci mise tutti di buonumore; finalmente io, Daemon e Giselle
eravamo riusciti nell’impresa di far uscire quell’orco dalla vita di Mary una
volta per sempre.
«Non
devi preoccuparti per il negozio.» disse Daemon prima che la nostra amica
potesse sollevare la questione. «Ho chiesto un favore personale al Governatore.
A partire da questo momento l’emporio passa immediatamente sotto la tua
proprietà. Niente supervisori o amministratori fiduciari.»
«Grazie
Daemon. Grazie a tutti voi.»
«Figurati,
aspettavo da un pezzo di togliermi questa soddisfazione. Ma ora che ci penso,
adesso chi lo pagherà il suo conto arretrato alla locanda?»
Quella sera, il Sindaco ci invitò
alla taverna e offrì da bere a tutti noi, ringraziandoci a nome di tutti i
cittadini per quello che avevamo fatto.
Per
quanto mi riguardava però, sentivo di avere ben poche ragioni per festeggiare.
Di
sicuro ritrovando almeno una parte del cibo rubato avevamo salvato molte vite e
scongiurato una carestia nel bel mezzo dell’inverno, ma nonostante i nostri sforzi
era evidente che l’immagine dell’Impero e dei suoi governanti non era uscita
per niente bene da tutta quella storia.
Prima
l’atteggiamento del Governatore, più interessato al suo maledetto ballo che al
destino dei suoi sudditi, poi la caccia indiscriminata di Beek
e della milizia, e infine tutti quei nomi illustri che avevamo sbattuto al
fresco.
In
tutto ciò, il fatto che fossero stati proprio due legionari testardi e uno
sceriffo determinato a risolvere la situazione non bastava certo a migliorare l’idea
che la gente di Dundee, per non dire di tutta la provincia, si era fatta di chi
li governava.
E
ammetto che anche molte delle mie certezze si erano di colpo affievolite.
Mi
ero arruolato nella legione perché credevo così facendo di poter proteggere i
miei amici e la mia terra, ma quando il mio intervento si era reso necessario
avevo fatto tutto meno che seguire gli ordini, proprio perché quell’Impero in
cui riponevo fiducia non aveva potuto o voluto fare qualcosa.
Per
che cosa stavo lottando?
Potevo
davvero considerarmi un legionario al servizio di Saedonia?
Oppure inconsciamente pensavo e agivo ancora come un abitante di Eirinn?
Inevitabilmente
finii per affogare i miei dubbi nel sidro, tracannando un boccale dietro
l’altro mentre attorno a me tutto si metteva a girare sempre di più.
Se
avessi saputo cosa stava per succedere, mi sarei fermato in tempo.
C’era un motivo se prima come
generale e poi anche come governante avevo fatto di tutto per limitare
l’accesso dei giovani soldati agli alcolici. Metti troppo liquore in mano ad
una recluta e berrà fino a stare male.
Per
me bere non era un problema; forse era merito del fisico allenato, o forse
avevo ereditato dalla mia vecchia vita quel mio famoso stomaco d’acciaio,
capace di reggere persino una dose da cavallo di arsenico.
Altrettanto
purtroppo non si poteva dire per i miei compagni di bevute: Septimus era
collassato al terzo bicchiere e avrebbe smaltito la sbornia nella stanza di
cortesia della locanda, mentre Jorn al termine della serata era così sbronzo
che dovetti portarlo fuori a spalla.
La
domanda sorge spontanea: quella lista era vera?
Per
buona parte sì.
Era
bastato che Borg facesse girare la voce, che subito un branco di squali
affamati ci si era buttato a capofitto sperando di speculare il più possibile
sulla penuria di cibo per riempirsi le tasche.
Naturalmente
quegli stupidi e sprovveduti razziatori non erano capitati per caso da quelle
parti. Di rifiuti organici che bazzicavano continuamente la Terra di Nessuno ce
n’era sempre grande abbondanza, mi era bastato scegliere quelli abbastanza
abili da mettere in atto il piano che io gli avevo suggerito.
Un
po’ mi era dispiaciuto ingannare Scalia dicendole che si trattava di schiavisti
venuti da Torian in cerca di manodopera, ma non
potevo rischiare che una persona accorta come Jorn si accorgesse della presenza
di un solo assalitore analizzando le ferite sui cadaveri.
Naturalmente
mi ero preso la libertà di omettere qualche nome e aggiungerne altri; così, per
togliermi dai piedi quelle persone che ero sicuro avrebbero avuto qualcosa da
ridire in merito a ciò che stavo per provocare.
Per
convincere Borg a rinunciare ad un simile guadagno ero stato costretto a
scoprire in parte le mie carte, promettendogli di coinvolgerlo quanto prima in
un affare i cui margini di guadagno non poteva neanche sognarseli.
Quanto
a Doug l’idea di aggiungere il suo nome alla lista mi era venuta all’ultimo
momento, ma per mia fortuna non era stato difficile incastrarlo a dovere.
Quell’idiota quella sera era così ubriaco che mi era bastato mettermi addosso
qualche straccio esotico e pitturarmi un po’ la faccia alla maniera toriana perché non mi riconoscesse. Più difficile era stato
imitare la sua firma e sostituire le cambiali nel forziere dell’emporio.
Con
quell’ubriacone fuori dai giochi Mary avrebbe avuto mano libera nella gestione
del negozio per i prossimi due o tre mesi, ed osservandola avrei potuto avere
la conferma definitiva del suo talento per le questioni economiche. Per non
parlare della considerazione che ora sicuramente aveva di me.
Anche
Septimus e Jorn avevano interpretato bene il proprio ruolo. Benché potesse
essere un rischio mettersi accanto soldati capaci di anteporre la propria
coscienza agli ordini ricevuti sapevo di non poter fare a meno di loro, quindi
per il momento era un azzardo che non potevo evitare di compiere.
Qualcuno
potrebbe dire che avevo forzato le cose, ma dal mio punto di vista non era
così.
Da
decenni l’Impero aveva ormai perso il controllo di molte delle sue regioni
inclusa l’Eirinn, messe in mano ad ufficiali e governatori incapaci in nome di
un sistema che favoriva il lignaggio a discapito del talento.
Io
avevo solo aperto gli occhi anche ai più scettici.
Probabilmente
una cosa del genere era comunque destinata a succedere prima o poi, poiché io
per primo sapevo che a lungo andare il malcontento generato da un tale livello
di malgoverno prima o poi conduce sempre ad una rivoluzione. Purtroppo il tempo
non giocava a nostro favore, quindi mi ero visto costretto a velocizzare
artificialmente un processo comunque inevitabile.
Ora
si trattava solo di aspettare un altro po’. Gli animi erano tesi, la rabbia
andava diffondendosi: la fame avrebbe fatto il resto.
Per
il momento mi accontentavo di riportare al forte Jorn e scaraventarlo nel suo
letto, prima che i suoi mugugni da ubriaco mi facessero saltare i nervi.
«Grazie
dell’aiuto, sceriffo.» biascicò mangiandosi le parole «Non so proprio come
avremmo fatto senza il tuo aiuto.»
«Non
c’è di che. E comunque, chiamami pure Daemon. Ad ogni modo sono io che devo
ringraziare te. È merito delle tue intuizioni se siamo riusciti a risolvere
questa situazione.»
Alla
fine quel poveretto non riuscì più a trattenersi, e raggomitolatosi in un
angolo buttò fuori tutto quello che aveva nella pancia.
«Avanti,
vieni. Ti porto alla fontana. Una buona sorsata d’acqua è quello che ti ci
vuole.»
«Lo
sai? Stavo pensando ad una cosa.»
«Che
dovresti limitarti nel bere? Sono d’accordo.»
«E
se avessimo sbagliato?»
«Riguardo
a cosa?»
«A
tutto. All’inizio non avevamo idea di cosa fare, poi la soluzione a tutti i
problemi ci è letteralmente capitata davanti. Così, senza che facessimo davvero
qualcosa.»
«Non
direi. Se ho capito bene sei stato tu a scoprire come avevano fatto quei ladri
a saccheggiare il granaio, e sempre tua è stata anche l’idea di andarli a cercare nella Terra di Nessuno.»
«È
a questo che non riesco a smettere di pensare. Perché chi ha assalito il campo
non si è preoccupato di cancellare le tracce? Perché non portare via quella lista
di nomi, invece che lasciarla lì con il rischio che fosse trovata? Inoltre,
trovare le prove della corruzione di quegli uomini è stato fin troppo
semplice.»
«Si
dice che gli uomini stolti si ritengano sempre più furbi degli altri. Direi che
questa ne è la conferma.»
«Però
alcuni di loro sembravano sinceramente sorpresi dalle nostre accuse e dalle
prove compromettenti che gli abbiamo trovato addosso o in casa. Mio padre
diceva sempre che per quanto un criminale possa negare le proprie colpe, se lo
guardi negli occhi potrai sempre scorgervi la menzogna. Ed è ciò che io sono
sicuro di non aver visto.»
«Un
conto è fissare negli occhi un ladro o un assassino, un altro è cercare di
vedere nell’anima di un mercante, un trafficante, o un qualsiasi altro
individuo di quella risma che ha fatto della menzogna la propria religione.
Dammi retta, certa gente sarebbe capace di venderti anche il sole.»
«Forse.
Forse hai ragione.»
Intanto
avevamo raggiunto la fontana della piazza, ancora funzionante malgrado il gelo
della notte, in cui Jorn infilò immediatamente la testa per scacciare la
sbronza.
«Niente
di meglio che un getto di acqua ghiacciata per tornare sobri. Ora una bella
bevuta, una sana dormita, e domattina sarò pronto a ricominciare.»
«Comunque
devo ammettere che mi hai sorpreso. Onestamente non credevo che nelle legioni
ci fosse posto per chi sa usare il cervello. Con la mente raffinata che ti
ritrovi potresti essere molto di più che l’attendente di un Decurione in un
posto sperduto come questo. Con tutto il rispetto per Septimus, ovviamente.»
«In
realtà non mi dispiace essere qui. Sento che questo è il posto giusto per fare
la mia parte di servitore dell’Impero.»
«Forse
non te ne sei accorto, ma da queste parti l’Impero non è particolarmente amato.
E dopo tutta questa storia temo che la situazione potrà soltanto peggiorare.»
«È
proprio questo il punto. Lo so che l’Impero non è perfetto. Anzi, non direi
nemmeno che è giusto. Ma le cose possono cambiare. Il nuovo Imperatore è
diverso rispetto ai suoi predecessori. Con lui l’Impero potrebbe tornare ad
essere quella luce di speranza e di rinascita che fu al tempo delle Guerre
Sacre.»
«Scusa
se ti sembrerò brutale, ma non mi pare stia facendo un buon lavoro. A est la
rivolta dei baroni si espande ogni giorno di più, a ovest la pace con Connelly
gli è costata cento milioni di goldie e diecimila miglia quadrate di territorio
ceduto al Principato, provincie che appartenevano a Saedonia
da duecento anni. E anche se ha concluso l’armistizio con l’Unione, ti assicuro
che qui sono in pochi a pensare che le cose siano davvero migliorate.»
«Però
qualcosa sta facendo. In fin dei conti è solo un uomo, e la pace non si crea di
certo dall’oggi al domani. Ma io ho fiducia in lui, e ho deciso di fare la mia
parte per aiutarlo a cambiare le cose. È questo lo scopo della mia vita.»
Ecco
perché ho sempre detestato gli ideologi: basta dargli un po’ di corda che
subito si mettono ad avere pensieri inopportuni. E quelli che abbinano
all’ideologia l’idealismo sono i peggiori di tutti, perché sarebbero disposti a
farsi cavare gli occhi piuttosto che vedere la realtà per quello che è.
«La
sai una cosa? Hai proprio ragione. Hai bisogno di una bella bevuta.»
Un
vero peccato. Un tipo così mi avrebbe fatto comodo. Ma purtroppo per lui aveva
scelto la causa sbagliata a cui votarsi.