Storie originali > Fantasy
Segui la storia  |       
Autore: Cj Spencer    09/07/2023    1 recensioni
Cosa succede se Napoleone Bonaparte viene fatto rinascere in un mondo fantasy per salvare un intero continente dall'avvento di un Re dei Demoni?
Un attimo dopo essere morto, l'ormai ex dominatore d'Europa riceve la visita del misterioso Faucheur, che gli offre la possibilità di rinascere in un altro mondo nel continente di Erthea, a condizione che lo protegga dall'imminente arrivo dell'esercito del Re dei Demoni.
La sfida non è per niente facile, poiché Napoleone si ritrova a rinascere nel corpo di Daemon, un bambino orfano adottato dagli schiavi semiumani che abitano nel sudicio ghetto di Ende, con null'altro per compiere la sua missione che i ricordi della sua precedente vita.
Questa è la storia di come l'Imperatore dei Francesi dovrà riunire sotto il suo comando un continente diviso e in guerra con sé stesso e prepararlo ad affrontare la minaccia che lo aspetta.
Genere: Avventura, Drammatico, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

“Per qualcuno con la pancia vuota

non esistono né obbedienza né timore”

CAPITOLO 5

IL FURTO

 

 

Fin da piccolissimo avevo sognato di essere qualcuno di importante.

Un eroe valoroso.

Un potente mago.

Un magistrato influente.

Ma ero solo il figlio del mugnaio di una piccola cittadina di frontiera, e in quanto tale mi ero reso conto molto presto di quante poche possibilità il destino avesse deciso di concedermi.

Non ero nato con il Segno, quindi non potevo essere un mago.

Non sarei mai riuscito a permettermi l’iscrizione all’Accademia Imperiale, quindi non potevo diventare un giudice o un funzionario.

Restava solo la via dell’eroe, ma anche così sarei dovuto partire dalla base della scala.

Quando ancora scolaretto avevo detto ai miei genitori che da grande mi sarei arruolato nelle legioni, per poco non mi avevano buttato fuori di casa.

Sì, perché come se non bastasse nel posto in cui sono cresciuto essere un servitore dell’Impero non era una professione di cui andare fiero.

Ma io, testardo, non mi ero perso d’animo, e i fatti mi avevano rapidamente dato ragione; dopo solo un anno da che avevo lasciato la mia casa alla volta della capitale ero già decurione della Quindicesima Legione Invicta.

Avevo chiesto io stesso di essere assegnato a quell’incarico, così da poter fare ritorno nei luoghi in cui ero cresciuto e avere l’occasione di dimostrare a tutti che si poteva essere dei soldati dell’Impero senza per questo rinnegare o dimenticare le proprie origini.

Come decurione mi avevano assegnato proprio a presidio del piccolo fortilizio che dall’alto di un colle dominava il mio villaggio natale; ufficialmente ero il comandante in seconda, ma visto che al nostro centurione piaceva di più ubriacarsi alla taverna che fare il proprio dovere in pratica ne facevo le veci.

Eravamo solo uno sparuto gruppo di soldati, visto che gli accordi di pace con l’Unione di Patria vietavano la presenza di grossi presidi in tutte le regioni affacciate sulle sponde del fiume Jesi, ma provenendo quasi tutti dai territori della vecchia Eirinn ci trovavamo bene e ci conoscevamo tutti.

Ovviamente non avevo alcuna intenzione di marcire in quel presidio di periferia, e contavo di mettermi in luce alla prima occasione utile per ottenere al più presto una nuova promozione.

Purtroppo il destino è beffardo, e si diverte a metterti davanti le prove più dure quando meno te l’aspetti.

 

L’Eirinn Occidentale non era mai stato il posto più ospitale del mondo, e accumulare delle scorte al termine del raccolto per far fronte all’inverno era una cosa normale per noi.

Daemon, le cui ipotesi quasi mai si erano rivelate inesatte, aveva suggerito di mettere da parte una quantità di cibo ancora maggiore del solito, dato che secondo un qualche strumento che si era costruito l’inverno in arrivo sarebbe stato assai peggiore dei precedenti. Ovviamente ci aveva visto giusto, e per nostra fortuna il sindaco gli aveva dato ascolto dando ordine di ammassare una montagna di cibo.

Quello stesso cibo che ora stava bruciando sotto i nostri occhi.

Il boato era stato così forte da scaraventarci tutti quanti giù dal letto nel cuore della notte, e al nostro arrivo avevamo potuto solo osservare impotenti il frutto di tanti mesi di fatiche andare letteralmente in cenere.

L’unica consolazione fu che riuscimmo a contenere il fuoco evitando il propagarsi dell’incendio e a portare in salvo qualcosa, ma al sorgere del sole del granaio e quasi tutto il suo contenuto non rimaneva più nulla.

Tra miliziani e legionari passammo quasi un’ora ad accusarci gli uni con gli altri per quanto accaduto, sotto gli occhi increduli, preoccupati e giustamente ostili degli abitanti. Fu Daemon a richiamarci tutti all’ordine.

«Smettetela! Sembrate un branco di scolaretti che si azzuffano! Invece di litigare su chi sia più colpevole cerchiamo di capire cos’è successo e come rimediare a questo disastro.»

«Hai ragione.» ringhiai in faccia a quell’idiota di Beek. «Non ne vale la pena.»

«Attento a come parli ragazzino. Portavo l’uniforme quando tu ancora bagnavi il letto.»

Senza che io e il Comandante smettessimo un attimo di beccarci facemmo un sopralluogo all’interno.

«Io non mi spiego quell’esplosione che abbiamo sentito. Qui dentro non c’è niente che potesse produrre una simile deflagrazione.»

«Ti sbagli, qualcosa c’era.» rispose Daemon sollevando da terra un sacco di farina carbonizzato. «La farina è infiammabile quasi quanto la polvere da sparo. Basta un niente per innescarla. Mettici una stanza chiusa e satura di polveri, più un vecchio edificio quasi interamente in legno…»

«Quindi…» disse il sindaco «Sarebbe stato un incidente?»

«Probabilmente. Forse qualche cassa è caduta e ha provocato una scintilla.»

Il mio attendente Jorn, un mio coetaneo proveniente dal nord che non aveva mai visto la frontiera e i suoi problemi in vita sua, aveva il morale a terra. Avevo cercato di spiegare al centurione Costanzio che non era ancora pronto ad assumere un ruolo delicato come il comando della ronda notturna, e ora cercava in tutti i modi di rimediare a quello che considerava un suo errore personale sfruttando il suo proverbiale acume.

«Decurione, venite a vedere! Ho trovato qualcosa!»

Seguendo la sua voce arrivammo nei pressi del muro, dove sul pavimento di pietra era ben visibile una sorta di lunga linea nera che sbucando da una fessura continuava dritta fino al punto in cui era stata stoccata la maggior parte della farina.

«Ora sappiamo cos’è successo.» disse Daemon

«Che intendi dire?»

«Questo è il segno lasciato da un innesco. Qualcuno ha fatto passare una miccia sotto il muro per incendiare i cumuli di farina. L’ambiente chiuso, il legno secco e gli altri materiali infiammabili hanno fatto il resto.»

«Quindi sarebbe stato un…»

«Un attentato.»

Beek non aspettava altro per scatenarsi.

«Io lo sapevo! Sono stati sicuramente quei bastardi reunionisti! Gli stessi che Voi sindaco vi ostinate a non voler reprimere!»

«Adesso non ricominciare. Questo non è certo il modo di agire dei reunonisti

«Tu sta zitto moccioso in armatura. Che cosa vuoi saperne? Ho dato la caccia a quella feccia ribelle per anni, non sono altro che un branco di animali!»

«Septimus ha ragione, Comandante. I reunionisti si considerano patrioti che lottano per il popolo e per la riunificazione di Eirinn. Non affamerebbero un’intera regione che brulica di loro simpatizzanti.»

«Hai detto bene sceriffo! Questo posto è un covo di serpi! E sono pronto a scommettere che tra di loro c’è chi ha avuto questa brillante idea! Chi credete che saranno i primi a patire la carenza di cibo? Miliziani e soldati ovviamente! Ma se sperano che questo basterà a piegarci hanno sbagliato i conti! Vig

«Signore?»

«Chiama l’adunata generale! Voglio tutti in caserma in dieci minuti e una lista completa di soggetti ostili entro stasera! Elimineremo quella feccia ribelle una volta per tutte!»

Il sindaco ed io invece avevamo tutt’altri pensieri per la testa.

«E adesso cosa facciamo sceriffo? Senza questo cibo sarà quasi impossibile superare l’inverno.»

«Il sindaco ha ragione. Quello che siamo riusciti a salvare non riuscirà mai a sfamare tutti.»

«Andrò a parlare con il Governatore, anche se non sono sicuro che mi ascolterà.»

«E tu credi davvero che quel porco accetterà di dividere il suo cibo con noi? Piuttosto ci lascerà morire di fame.»

«Sindaco, vi suggerisco di fare più attenzione a quello che dite. Con il Comandante in quello stato non è questo il momento di fare simili discorsi.»

«Che vada all’inferno Beek, ragazzo. Non è altro che un macellaio. L’unica ragione per cui non posso liberarmene è solo perché i fanatici come lui sono sempre benaccetti in posti come questo.»

 

Purtroppo Beek non aveva scherzato dicendo di voler stroncare definitivamente il reunionismo nella regione.

Quella notte stessa iniziarono i rastrellamenti. Casa per casa, porta per porta. Chiunque fosse anche solo minimamente sospettato di aver fatto parte o fare ancora parte di qualche cellula reunionista venne sorpreso nel sonno, bastonato fin quasi ad ucciderlo e portato via.

I pochi abbastanza fortunati da avere un cognome rispettabile o le giuste conoscenze vennero rinchiusi in prigione in attesa di fantomatici processi; tutti gli altri direttamente alla forca, non prima ovviamente di essere stati torturati a dovere nel tentativo di scovare altri presunti terroristi o svelare i nomi dei veri responsabili dell’attacco al granaio.

La breve strada tra il palazzo di giustizia e il patibolo era percorsa senza sosta da carretti carichi di disperati, e per il boia non c’era un attimo di respiro.

In pochi giorni si instaurò un clima di terrore tale da riportare alla mente il periodo più buio delle dispute di confine con l’Unione; chiunque poteva essere arrestato, e dal momento che ogni nome riferito alla milizia, vero o falso che fosse, valeva due goldie i delatori non mancavano: era l’occasione perfetta per sistemare vecchi conti in sospeso.

E intanto l’inverno peggiorava sempre di più. Non passava giorno senza che nevicasse, e le temperature erano scese al punto che perfino lo Jesi in alcuni punti aveva iniziato a congelarsi.

Daemon dal canto suo aveva fatto tutto quello che era in suo potere per convincere il Governatore ad aprire i granai, ma tutto quello che aveva ottenuto erano stati due carri destinati esclusivamente alla milizia e alla guarnigione. Qualcuno aveva avuto la brillante idea di consigliare a quel grassone di fare qualcosa per aumentare la sua popolarità tra la piccola nobiltà locale, e lui si era fatto venire in mente di trasformare un evento di poco conto come il ballo d’inverno in un ricevimento degno dell’Imperatore in persona.

E intanto i nostri concittadini morivano di fame.

Io e quasi tutti i miei compagni ovviamente facevamo il possibile per dividere le nostre già esigue razioni con la gente, ma tra la fame, il freddo e le esecuzioni che non si fermavano un attimo la rabbia montava sempre di più. Alcuni di noi avevano perfino paura ad avventurarsi da soli per strada, tale era il terrore di essere linciati da una folla che stava raggiungendo il limite dell’esasperazione.

E in tutto questo io avevo le mani legate.

Il mio superiore, il Centurione Costanzio era un fallito buono a nulla che non vedeva l’ora di concludere i tre anni di servizio obbligatorio che tutti i nobili dell’Impero dovevano onorare per scapparsene nuovamente a Maligrad a godersi l’eredità paterna, e non avrebbe mosso un dito per fermare Beek e i fanatici della milizia che lo seguivano. Anzi, in un paio di casi ci ordinò di collaborare attivamente nei rastrellamenti, forse pensando che scoprire l’identità dei sabotatori potesse essere un buon modo per accorciarsi il servizio militare.

Se la situazione a Dundee e tra gli umani in generale era grave, nel ghetto era anche peggio.

Quei poveracci non mangiavano quasi nulla, ma nonostante ciò da loro ci si aspettava che dessero sempre più di quanto erano effettivamente capaci.

Io e alcuni altri avremmo voluto fare qualcosa anche per loro, ma più che far visita alle miniere e ai cantieri per tenere a freno il sadismo dei miliziani non potevamo fare, e vederli così, magri da far paura e sottoposti a continue vessazioni ammetto che ci faceva stare molto male.

Nessuno merita un’esistenza così misera, non importa quale sia il suo crimine.

Ovviamente gli arresti, le torture e le esecuzioni non portarono a nulla, e ad un mese dall’incendio nessuno aveva ancora idea di chi fosse il responsabile di aver innescato quella situazione esplosiva.

Per tutto quel tempo io e gli altri legionari avevamo osservato senza reagire, ma si arrivò al punto in cui tutti insieme decidemmo che dovevamo fare qualcosa prima che la situazione esplodesse definitivamente; non tanto perché il nostro dovere di legionari ce lo imponeva, quanto piuttosto perché quella era la nostra gente. E anche se Beek e i suoi sembravano essersene dimenticati, eravamo tutti figli dell’Eirinn, pronti a dare la vita gli uni per gli altri.

Dapprima iniziammo a mettere i bastoni tra le ruote alla milizia millantando ordini dall’alto di limitare le loro attività di rastrellamento. E visto che teoricamente non erano altro che legionari senza insegna, civili prestati all’esercito e formalmente sottoposti all’autorità della legione, i nostri ordini travalicavano sempre i loro.

Quindi ci mettemmo a distribuire medagliette al merito; bastava portarne una appuntata sul vestito per essere riconosciuti come fedeli servitori dell’Impero, e far risultare assurda qualsiasi pretesa di cooperazione coi reunionisti.

Ma si trattava solo di espedienti che servivano a poco, anche perché come temevo furono in molti a rifiutare il nostro aiuto o di portare le medagliette, con il risultato di dare ai miliziani ulteriori pretesti per giustificare gli arresti.

Dovevamo trovare il modo di risolvere quella situazione il più in fretta possibile, o per come la vedevo io c’era il rischio concreto che l’intera regione saltasse per aria.

Per nostra fortuna il cervello di Jorn non aveva mai smesso di lavorare. Fu così che riuscì per primo ad intuire ciò che nessuno di noi era riuscito a capire.

«Decurione, stavo pensando. E se quello che può sembrare un sabotaggio non fosse altro che il tentativo di coprire qualcos’altro? Ad esempio, un furto?»

«Impossibile. Abbiamo perlustrato con attenzione il granaio e i dintorni. Anche ammesso che siano riusciti ad eludere le guardie non c’era niente che indicasse che fosse stato portato via qualcosa quella notte.»

«Hai ragione. Però c’è un’altra eventualità che non abbiamo considerato.»

«E quale sarebbe?»

«Chiunque abbia commesso questo furto intendeva trarne un grosso guadagno, portando via quello che bastava per giustificare il rischio di essere scoperti. Muovere una simile quantità di cibo tutta insieme senza lasciare tracce sarebbe difficile per chiunque, specie ora che la neve e il fango rendono le strade impraticabili. Se però il furto viene commesso poco per volta, la cosa diventa molto più fattibile.»

«Stai dicendo che avrebbero rapinato continuativamente il granaio per giorni?»

«Forse anche di più. Come suggerito dallo sceriffo il granaio è rimasto chiuso e sorvegliato già a partire dalla fine dell’autunno. Entrare e uscire nonostante la sorveglianza non sarebbe stato difficile per dei professionisti, a condizione di saccheggiare le provviste poco per volta.»

«Se è come dici tu allora temo sarà inutile cercarli. A quest’ora saranno già chissà dove.»

«No, io non credo. Ovvio che non possono sperare di rivendere il cibo qui, ma noi non siamo sicuramente gli unici che l’inverno ha messo a dura prova. Spostare un simile carico in pieno inverno e con la milizia che batte ogni sentiero giorno e notte in cerca di ribelli però non dev’essere per niente facile.»

«Mi stai dicendo che potrebbero essere ancora qui!?»

«Probabile. Deve essere per questo che hanno inscenato il sabotaggio, così da non far scoprire il furto e potersi allontanare indisturbati alla prima occasione.»

Se l’ipotesi di Jorn era giusta dovevamo comunque agire in fretta, prima che i ladri avessero il tempo di disfarsi anche solo di una parte della refurtiva.

Ma come fare a trovarli se erano stati così attenti a passare inosservati? Ancora una volta il mio amico ebbe l’intuizione giusta.

«Anche se probabilmente contano di rivendere la merce rubata per conto proprio potrebbero essersi rivolti a un trafficante. E da queste parti sappiamo bene che ce n’è uno molto potente.»

 

Non ero mai stato alla presenza di Borg, ma trovarmelo di fronte mi ricordava perché a distanza di cinquecento anni c’era ancora qualcuno che reputava giusto e doveroso il modo in cui l’Impero trattava quelli della sua specie.

Quel maiale era talmente sicuro della propria intoccabilità da essersi costruito un magazzino traboccante di merci preziose a due passi dalla Via Magna, e aveva al suo servizio come guardaspalle persino degli umani.

Il suo ufficio di contro era abbastanza umile; uno avrebbe pensato che non volesse palesare la propria oscena ricchezza, se non fosse stato per le vesti broccate e i gioielli di cui amava ricoprirsi.

«Dunque? Che cosa posso fare per i rispettabili delegati della Quindicesima Legione?»

«Ci servono delle informazioni.»

«Merce costosa. Immagino abbiate di che pagarla.»

Sapevamo che per Borg tutto aveva un prezzo, incluse le informazioni; e visto che come prevedibile la legione ci aveva negato l’accesso ai fondi eravamo stati costretti a fare una colletta tra di noi per mettere insieme un po’ di soldi.

Il coboldo e la lucertola che stavano alle nostre spalle ridacchiarono alla vista di quel sacchetto mezzo vuoto che ci era costato così tanti sacrifici. Invece Borg non disse niente, facendo scorrere le monete sulla scrivania e lasciandosi sfuggire uno strano sorriso.

«Sono a vostra disposizione.»

Jorn prese la parola.

«Vorremmo sapere se negli ultimi mesi siete stato contattato da qualcuno che vi ha proposto di acquistare o ricettare merce rubata. Soprattutto cibo, ma anche attrezzi da lavoro, grasso animale e pellicce.»

«Ragazzo mio, se mi conoscessi dovresti sapere che il mio commercio è perfettamente legale. I miei clienti sono tutte persone rispettabili, e da onesto mercante io stesso obbedisco devotamente alle leggi dell’Impero che regolamentano il commercio. Non farei mai una cosa tanto disonesta come vendere e comprare il frutto di una rapina.»

«Voi non siete un mercante, siete un trafficante.»

Jorn aveva negli occhi una luce che non gli avevo mai visto, fissando quel maiale come se avesse voluto saltargli addosso riducendolo ad una pancetta.

«Sembri sapere molte cose sul mio conto ragazzo.»

«Io vengo dalla provincia di Tingas, dove anche voi vivevate prima di trasferirvi qui. Mio padre è uno degli uomini che avete truffato con quel vostro affare delle pellicce.»

Colpito dal suo coraggio, anche io decisi di mettere da parte ogni timore.

«Ora ascoltami bene maledetto maiale. Lo sappiamo tutti e due che non possiamo torcerti un capello. Quello che possiamo fare però è rendere il tuo lavoro estremamente difficile. Darò ordine di ispezionare a fondo ogni filo d’erba che esce da questo posto, farò cambiare le guardie e i doganieri sul ponte almeno cinque volte al giorno. Dovrai pagare tante di quelle tangenti per far girare la tua merce che non ti rimarrà abbastanza nemmeno per pagare i tuoi uomini. Quindi ora dacci un taglio con la storia dell’onesto mercante e dicci quello che sai.»

I suoi due guardiani erano pronti a saltarci addosso, ed entrambi avevamo già la mano sull’impugnatura della spada. Invece, Borg fece loro segno di calmarsi, accendendosi uno dei suoi famosi sigari toriani.

«Non mi sorprende che vi abbia messo gli occhi addosso.»

«Di che parli?»

«Non importa. Ad ogni modo sì, sono venuti da me. Circa un mese fa.»

«Chi erano?»

«Stranieri. Banditi. Probabilmente del Torian. Mi hanno chiesto se ero interessato a ricettare derrate alimentari rubate, ma li ho messi alla porta invitandoli a non tornare. Come ho detto, io non tratto con gente di quella risma.»

«Hai idea di dove si potrebbero nascondere?»

«Se dovessi scommettere, e non sono uno che scommette, punterei sulla terra di nessuno, da qualche parte lungo le sponde del fiume.»

«Proprio dove gli accordi con l’Unione ci impediscono di entrare in forze.»

«A questo punto, l’accordo tra noi è concluso. E se non vi dispiace avrei parecchie cose da fare. Vi saluto signori.»

Una volta fuori io e Jorn discutemmo della situazione.

«Pensi che possano essere ancora lì?»

«Il ponte è sotto sorveglianza continua da quando Beek si è scatenato. E anche se il fiume è parzialmente congelato non mi arrischierei mai a tentare di attraversarlo portandomi appresso svariati quintali di refurtiva. Secondo me si trovano ancora nei paraggi.»

«Il problema è che in base ai trattati solo le guardie assegnate al controllo del ponte possono entrare nella terra di nessuno. Come facciamo a battere una zona tanto vasta senza poter contare sui nostri compagni?»

E il peggio doveva ancora arrivare. Mentre rientravamo al villaggio ci venne incontro il nostro compagno Finn, al galoppo e pallido come se avesse visto la morte in faccia.

«Decurione, abbiamo un problema serio!»

«Che altro c’è?»

«Al ghetto! Dovete venire subito!»

 

Twami era una gattina che il vecchio Edmund si era preso in casa come animaletto da compagnia per alleviare la sua solitudine, trattandola sempre molto bene.

L’avevo vista alcune volte al mercato intenta a fare la spesa, e quando qualche settimana prima il suo padrone era morto era stata portata al ghetto in attesa di capire cosa ne sarebbe stato di lei.

Quando io e Jorn arrivammo nel piazzale la situazione era a dir poco esplosiva; Daemon e una decina di miei compagni erano tutto quello che si frapponeva tra gli uomini di Beek e Twami, che se ne stava avvinghiata a quella muccona superdotata di Lori tremante di paura.

«Che sta succedendo qui?»

«Meno male che sei arrivato.» disse Daemon come se fossi stato il suo salvatore. «Vogliono entrare nel ghetto e portare via Twami

«Cosa!? Per quale motivo?»

«È presto detto!» sbottò il Comandante. «Quel vecchio fossile di Edmund era un noto reunionista, e abbiamo le prove che poco prima della sua morte in casa sua si è svolta una riunione segreta per pianificare un attacco. Lo stesso attacco in cui sono stati uccisi due dei miei uomini! Quell’animale avrà sicuramente sentito o visto qualcosa, quindi voglio interrogarla per sapere cosa sa.»

«Qui si sta scendendo nel ridicolo.» disse Daemon. «Twami capisce a malapena la nostra lingua. Cosa mai potrebbe dirti?»

«Inoltre nessun tribunale accetterebbe la parola di uno schiavo contro quella di un libero cittadino. Qualsiasi cosa lei ti dicesse sarebbe inutile.»

«Mi sono stancato di voi mocciosi! Ho detto che l’arresterò e intendo farlo! Soldati, prendete quella bestia!»

Così, istintivamente, feci qualcosa che mai avrei pensato di fare; estrassi la spada e la puntai contro di lui.

«Fermo! Ora basta!»

Con mio stesso stupore anche i miei uomini fecero altrettanto, e nello spazio di un attimo un muro di scudi si parò tra quella gattina e gli uomini di Beek, che divenne rosso di rabbia.

«Come osate alzare le armi contro di noi! Siamo i delegati del popolo di Eirinn e di Sua Maestà l’Imperaotre! I rappresentanti della legge!»

«Ho già inviato una lettera al Governatore, e lui ha autorizzato la dichiarazione dello stato di emergenza. E come dovresti sapere, durante uno stato d’emergenza la gestione dei ghetti passa interamente sotto il controllo delle legioni. Voi non avete più alcun titolo per restare qui.»

Nel mentre tutto attorno a noi si era formato un piccolo pubblico di schiavi, che osservavano con evidente stupore me e i miei compagni proteggere uno di loro.

«Ho sentito dire che anche tuo nonno era un noto simpatizzante reunionista, ragazzo. E anche tuo padre. E tua madre. Forse dovrei fare due chiacchiere anche con lei. E magari perquisirla anche un po’.»

Non so cosa mi trattenne dal piantargli la spada nel collo.

«Vattene da qui, maledetto pazzoide. E porta questa banda di macellai via con te.»

Quell’animale ringhiava come un cane rabbioso incatenato, ma sapeva di avere le mani legate.

«Non illudetevi che sia finita qui, luride bestie! Qui dentro sarete anche al sicuro, ma là fuori siete ancora in mio potere! Aspettate e vedrete!»

Quasi che non ci sentissimo sicuri, io e i miei compagni tenemmo alti gli scudi fino a quando non vedemmo Beek e i suoi uomini scomparire oltre il cancello, che una volta usciti provvedemmo a richiudere con una nuova serie di lucchetti.

«È come ha detto lui. Possiamo proteggerli finché sono qui dentro, ma le miniere e le segherie restano sotto il controllo della milizia.»

«Puoi fare in modo che Twami sia esentata dal lavoro?»

«Posso fare di meglio. Ho un amico a Basterwick. Lui e la sua famiglia cercano una nuova domestica. Lo convincerò a comprarla.»

«Grazie.»

«Di niente, Daemon. In realtà non mi è mai piaciuto il modo in cui trattiamo questi poveretti. Dopotutto ad Eirinn non esisteva la schiavitù prima che venisse assimilata dall’Impero.»

Nel mentre gli uomini di Beek erano arrivati in cima alla collina ad est che dominava la vallata in cui sorgeva il ghetto, restando lì immobili a guardarci come se ci stessero sfidando.

«Non riuscirò a tenere le cose sotto controllo ancora a lungo Septimus. Che siano schiavi o liberi cittadini, non si può far ragionare a lungo chi muore di fame.»

«Sì, lo so. In realtà stiamo indagando su una certa cosa. Non posso prometterti niente, ma forse c’è un’esile possibilità di riuscire a recuperare una parte delle provviste.»

«Di che stai parlando? Pensavo fosse andato tutto distrutto nell’incendio.»

«Ora non sono in grado di dirti di più, ma ti prometto che se arriveremo a qualcosa ti informerò subito.»

«Io devo restare qui a mantenere l’ordine e non posso aiutarvi. Ma se davvero avete un’idea di qualunque tipo che ci tiri fuori da questa polveriera, in nome del cielo fate qualcosa.»

Restammo ad osservare Daemon mentre visibilmente preoccupato e con lo sguardo basso rimontava a cavallo per fare ritorno a Dundee. Non che noi fossimo di umore migliore.

«Meno male che c’è lui. A chiunque altro la situazione sarebbe già scappata di mano.»

«E noi dobbiamo fare la nostra parte, Jorn. Troviamo quei ladri.»

 

Anche se l’Impero amava definire in modo altisonante “guerre di confine” quelle che in realtà per cento anni non erano state altro che scaramucce occasionali con l’Unione, nessuno voleva tornare a rivivere quei giorni.

Per questo era stata creata la Terra di Nessuno che istituiva due miglia di zona franca lungo tutto il confine tra Saedonia e Patria, che nell’Eirinn Occidentale corrispondeva al corso dello Jesi.

Io e Jorn ci muovevamo tra gli alberi come ladri in una casa da svaligiare. Sapevamo di stare correndo un grosso rischio. Anche se eravamo solo in due e senza armatura, se ci avessero scoperti ne sarebbe venuto fuori un grave incidente diplomatico.

«Sicuro che sia questa la direzione?»

«Assolutamente, Decurione. Le tracce sono evidenti. Cinque persone, di cui almeno un mostro. Probabilmente un felino.»

«Sei bravo a leggere le tracce. Potresti fare concorrenza a Daemon.»

«Mio padre era direttore di una prigione, prima di finirci dentro per i debiti che aveva accumulato. Come sapeva seguire lui i fuggitivi nelle paludi non lo sapeva fare nessuno. Ecco, ci siamo. Dovrebbe essere proprio davanti a noi.»

Non sarebbe stato facile avere ragione di cinque banditi che probabilmente sapevano anche menare le mani, ma potevamo contare sull’effetto sorpresa e coglierli nel sonno.

Prima che potessimo arrivare in vista del loro nascondiglio però un odore pestilenziale ci passò sotto il naso, uno che entrambi conoscevamo molto bene.

«Decomposizione.» dissi «Più avanti c’è qualcosa che marcisce.»

Senza più timore avanzammo a passo svelto seguendo quel fetore, e quando arrivammo finalmente a destinazione fummo entrambi presi dallo sconforto.

Il campo era in uno stato pietoso, e sembrava che un tarkana infuriato vi si fosse scagliato contro facendo una strage.

Come aveva detto Borg si trattava sicuramente di Toriani, e tra loro c’era anche una tigre con abiti di foggia Mahardiana. Il fatto che avessero tutti le armi vicino testimoniava che avevano provato a difendersi, ma chiunque li avesse affrontati non aveva avuto alcuna pietà, martoriando i loro corpi in modo a dir poco barbaro.

«Per tutti gli dei.» si lasciò sfuggire Jorn «Chi può aver fatto una cosa del genere?»

«Di sicuro saranno stati almeno una decina, per fare un tale disastro.»

Come se non bastasse nello scontro la farina era caduta dal suo bancale coprendosi di acqua e fango, e il poco cibo rimasto aveva fatto la felicità degli animali selvatici.

Non potevamo permettere che finisse così. Non dopo aver faticato e rischiato tanto per arrivare fino a quel punto.

«Cerchiamo in giro. Forse scopriremo qualcosa.»

Frugammo dappertutto, nelle sacche da viaggio, all’interno delle tende e perfino nelle tasche dai cadaveri, fino a che non Jorn non recuperò dai resti di un bivacco un foglio di pergamena mezzo bruciacchiato, coperto di scarabocchi per me incomprensibili.

«È scritto in lingua toriana. Si direbbe un elenco.»

«Puoi tradurlo?»

«Credo di sì, dammi solo un secondo.»

Lo stupore che gli apparve sul volto man mano che riusciva a decifrare il testo non si può descrivere, ma niente in confronto a ciò che provai io quando me ne rivelò il contenuto.

Era una lista: una lista di nomi.

Nomi che io conoscevo molto bene. Con accanto la descrizione dettagliata di quanta merce rubata avessero comprato, di quale tipo, e la somma sborsata per averla.

«Sono alcune tra le famiglie più importanti della provincia.»

«Forse gli assassini sono stati disturbati e sono dovuti scappare prima di avere la certezza che fosse stata distrutta.»

«Chi se ne importa. Presto, portiamola a Daemon. Forse possiamo ancora sperare di recuperare qualcosa.»

 

Era difficile che un qualunque ufficiale giudiziario accettasse come prova una lista recuperata in un covo di ladri, ma Daemon era lo sceriffo, e fintanto che si assumeva la responsabilità delle proprie decisioni poteva fare quello che voleva.

E a lui il coraggio non mancava di certo.

Nei giorni che seguirono rivoltammo come un calzino non solo la regione di Dundee ma l’intera Eirinn Occidentale, da Basterwick al Castello, effettuando decine di arresti.

Mercanti, piccoli borghesi, capi villaggio, e persino alcuni nobili.

Ovviamente quasi tutti negarono ogni responsabilità, ma le prove che trovammo in loro possesso erano più che sufficienti a farli finire in schiavitù per il resto dei loro giorni, nella migliore delle ipotesi.

La cosa davvero ironica fu che la maggior parte di loro erano forestieri, oppure gente del posto che aveva fatto fortuna cooperando a vari livelli con le autorità imperiali.

Persino il Sindaco Rutte venne coinvolto marginalmente nell’indagine. Ma il fatto che avesse accettato di comprare provviste per vie traverse sul mercato nero, tra l’altro indebitandosi pesantemente, solo per sfamare i suoi concittadini convinse sia noi che Daemon a chiudere un occhio, in un momento in cui gli abitanti di Dundee avevano più che mai bisogno di qualcuno che mantenesse unita la comunità.

Riuscimmo a recuperare anche della refurtiva; non moltissima, ma quello che bastava per tirare avanti fino a primavera.

C’era un nome però che aveva lasciato me e Daemon letteralmente senza parole. Un nome che avevamo voluto tenere per ultimo, ordinando ai nostri uomini di non alzare un dito prima del tempo; non perché tenessimo a lui, ma perché volevamo goderci appieno il momento in cui avremmo potuto finalmente toglierlo di mezzo.

Quando insieme ad un manipolo di soldati entrammo nell’emporio Wallace era in corso l’ennesimo litigio tra Mary e suo padre per questioni di soldi, con annessa inevitabile alzata di mani. Con noi c’era anche Giselle, nelle vesti di testimone la cui parola era risultata decisiva nel darci il via libera a mettere in atto ciò che stavamo per fare.

«Non lo perdi mai il vizio, vero bastardo?» disse Daemon scrocchiandosi le dita con evidente piacere.

«Che volete voi? Non sono per niente allegro stamattina.»

«A te l’onore, Septimus. E fai in fretta, altrimenti potrei fare qualcosa di stupido.»

«Doug Mornay! Ti dichiaro in arresto per furto e ricettazione!»

I miei uomini dovettero saltargli addosso tutti insieme per riuscire ad immobilizzarlo.

«Maledetti, lasciatemi! Di cosa state parlando? Io sono innocente!»

«Lo dicevano anche tutti gli altri. Peccato che qui ci sia una lista di compratori trovata nel campo dei ladri che hanno saccheggiato e distrutto il granaio, in cui appare anche il tuo nome.»

«Che storia è questa? Io non ho comprato niente!»

«Non ne dubito, visto che da fallito quale sei non ti saresti mai potuto permettere un esborso simile. Quello che hai fatto è stato spennare uno di quei ladri al gioco, e accettare come pagamento per la vincita una fornitura di provviste.»

«E se stai pensando di provare a negare lascia perdere.» intervenne Giselle «Ti ho visto coi miei occhi giocare a carte con quel tipo strano e firmare la cambiale. Te ne sei vantato per giorni. Davvero, quale idiota va in giro a raccontare ai quattro venti di aver accettato come pagamento merce rubata?»

«Vi ripeto che non so di cosa voi stiate parlando! È vero, ho giocato a carte con un toriano qualche settimana fa, ma la carta che ho firmato era solo una promessa di pagamento in moneta sonante.»

Ovviamente perquisimmo a fondo il negozio, trovando la cambiale in questione in un doppiofondo segreto nel forziere del negozio e constatando una volta per tutte che quella sera quell’ubriacone doveva aver bevuto anche più del solito. Oppure semplicemente mentiva sapendo di mentire.

«E di questa che mi dici? Qui c’è scritto chiaramente che accetti in pagamento una fornitura di generi alimentari. Con l’incendio che era avvenuto solo la sera prima, vuoi farci credere davvero che non sapevi che si trattava dei rifornimenti rubati dal magazzino distrutto?»

«No aspettate, io non ho mai visto quella carta in vita mia, lo giuro!»

«Continui a negare l’evidenza? Lo vedi o no che qui c’è la tua firma? E se speri di farla franca dicendo che eri ubriaco sappi che sarà inutile. Visto quello che abbiamo passato dubito che il magistrato la accetterà come giustificazione.»

«Questa è tutta una montatura! Un complotto! Dite la verità, siete stati voi! Mi volete incastrare! Mary tesoro, diglielo anche tu! Digli che si sbagliano!»

Invece la faccia di Mary diceva tutt’altro. Anzi, non nascondo che quel ghigno che mai una volta l’avevo vista sfoggiare mi fece quasi paura.

«Questa volta la forca non te la toglie nessuno maledetto! Portatelo via!»

«Con piacere, Signore!»

La scena di quel violento ubriacone scaraventato piangente sul carro per essere portato al Castello ci mise tutti di buonumore; finalmente io, Daemon e Giselle eravamo riusciti nell’impresa di far uscire quell’orco dalla vita di Mary una volta per sempre.

«Non devi preoccuparti per il negozio.» disse Daemon prima che la nostra amica potesse sollevare la questione. «Ho chiesto un favore personale al Governatore. A partire da questo momento l’emporio passa immediatamente sotto la tua proprietà. Niente supervisori o amministratori fiduciari.»

«Grazie Daemon. Grazie a tutti voi.»

«Figurati, aspettavo da un pezzo di togliermi questa soddisfazione. Ma ora che ci penso, adesso chi lo pagherà il suo conto arretrato alla locanda?»

 

Quella sera, il Sindaco ci invitò alla taverna e offrì da bere a tutti noi, ringraziandoci a nome di tutti i cittadini per quello che avevamo fatto.

Per quanto mi riguardava però, sentivo di avere ben poche ragioni per festeggiare.

Di sicuro ritrovando almeno una parte del cibo rubato avevamo salvato molte vite e scongiurato una carestia nel bel mezzo dell’inverno, ma nonostante i nostri sforzi era evidente che l’immagine dell’Impero e dei suoi governanti non era uscita per niente bene da tutta quella storia.

Prima l’atteggiamento del Governatore, più interessato al suo maledetto ballo che al destino dei suoi sudditi, poi la caccia indiscriminata di Beek e della milizia, e infine tutti quei nomi illustri che avevamo sbattuto al fresco.

In tutto ciò, il fatto che fossero stati proprio due legionari testardi e uno sceriffo determinato a risolvere la situazione non bastava certo a migliorare l’idea che la gente di Dundee, per non dire di tutta la provincia, si era fatta di chi li governava.

E ammetto che anche molte delle mie certezze si erano di colpo affievolite.

Mi ero arruolato nella legione perché credevo così facendo di poter proteggere i miei amici e la mia terra, ma quando il mio intervento si era reso necessario avevo fatto tutto meno che seguire gli ordini, proprio perché quell’Impero in cui riponevo fiducia non aveva potuto o voluto fare qualcosa.

Per che cosa stavo lottando?

Potevo davvero considerarmi un legionario al servizio di Saedonia? Oppure inconsciamente pensavo e agivo ancora come un abitante di Eirinn?

Inevitabilmente finii per affogare i miei dubbi nel sidro, tracannando un boccale dietro l’altro mentre attorno a me tutto si metteva a girare sempre di più.

Se avessi saputo cosa stava per succedere, mi sarei fermato in tempo.

 

C’era un motivo se prima come generale e poi anche come governante avevo fatto di tutto per limitare l’accesso dei giovani soldati agli alcolici. Metti troppo liquore in mano ad una recluta e berrà fino a stare male.

Per me bere non era un problema; forse era merito del fisico allenato, o forse avevo ereditato dalla mia vecchia vita quel mio famoso stomaco d’acciaio, capace di reggere persino una dose da cavallo di arsenico.

Altrettanto purtroppo non si poteva dire per i miei compagni di bevute: Septimus era collassato al terzo bicchiere e avrebbe smaltito la sbornia nella stanza di cortesia della locanda, mentre Jorn al termine della serata era così sbronzo che dovetti portarlo fuori a spalla.

La domanda sorge spontanea: quella lista era vera?

Per buona parte sì.

Era bastato che Borg facesse girare la voce, che subito un branco di squali affamati ci si era buttato a capofitto sperando di speculare il più possibile sulla penuria di cibo per riempirsi le tasche.

Naturalmente quegli stupidi e sprovveduti razziatori non erano capitati per caso da quelle parti. Di rifiuti organici che bazzicavano continuamente la Terra di Nessuno ce n’era sempre grande abbondanza, mi era bastato scegliere quelli abbastanza abili da mettere in atto il piano che io gli avevo suggerito.

Un po’ mi era dispiaciuto ingannare Scalia dicendole che si trattava di schiavisti venuti da Torian in cerca di manodopera, ma non potevo rischiare che una persona accorta come Jorn si accorgesse della presenza di un solo assalitore analizzando le ferite sui cadaveri.

Naturalmente mi ero preso la libertà di omettere qualche nome e aggiungerne altri; così, per togliermi dai piedi quelle persone che ero sicuro avrebbero avuto qualcosa da ridire in merito a ciò che stavo per provocare.

Per convincere Borg a rinunciare ad un simile guadagno ero stato costretto a scoprire in parte le mie carte, promettendogli di coinvolgerlo quanto prima in un affare i cui margini di guadagno non poteva neanche sognarseli.

Quanto a Doug l’idea di aggiungere il suo nome alla lista mi era venuta all’ultimo momento, ma per mia fortuna non era stato difficile incastrarlo a dovere. Quell’idiota quella sera era così ubriaco che mi era bastato mettermi addosso qualche straccio esotico e pitturarmi un po’ la faccia alla maniera toriana perché non mi riconoscesse. Più difficile era stato imitare la sua firma e sostituire le cambiali nel forziere dell’emporio.

Con quell’ubriacone fuori dai giochi Mary avrebbe avuto mano libera nella gestione del negozio per i prossimi due o tre mesi, ed osservandola avrei potuto avere la conferma definitiva del suo talento per le questioni economiche. Per non parlare della considerazione che ora sicuramente aveva di me.

Anche Septimus e Jorn avevano interpretato bene il proprio ruolo. Benché potesse essere un rischio mettersi accanto soldati capaci di anteporre la propria coscienza agli ordini ricevuti sapevo di non poter fare a meno di loro, quindi per il momento era un azzardo che non potevo evitare di compiere.

Qualcuno potrebbe dire che avevo forzato le cose, ma dal mio punto di vista non era così.

Da decenni l’Impero aveva ormai perso il controllo di molte delle sue regioni inclusa l’Eirinn, messe in mano ad ufficiali e governatori incapaci in nome di un sistema che favoriva il lignaggio a discapito del talento.

Io avevo solo aperto gli occhi anche ai più scettici.

Probabilmente una cosa del genere era comunque destinata a succedere prima o poi, poiché io per primo sapevo che a lungo andare il malcontento generato da un tale livello di malgoverno prima o poi conduce sempre ad una rivoluzione. Purtroppo il tempo non giocava a nostro favore, quindi mi ero visto costretto a velocizzare artificialmente un processo comunque inevitabile.

Ora si trattava solo di aspettare un altro po’. Gli animi erano tesi, la rabbia andava diffondendosi: la fame avrebbe fatto il resto.

Per il momento mi accontentavo di riportare al forte Jorn e scaraventarlo nel suo letto, prima che i suoi mugugni da ubriaco mi facessero saltare i nervi.

«Grazie dell’aiuto, sceriffo.» biascicò mangiandosi le parole «Non so proprio come avremmo fatto senza il tuo aiuto.»

«Non c’è di che. E comunque, chiamami pure Daemon. Ad ogni modo sono io che devo ringraziare te. È merito delle tue intuizioni se siamo riusciti a risolvere questa situazione.»

Alla fine quel poveretto non riuscì più a trattenersi, e raggomitolatosi in un angolo buttò fuori tutto quello che aveva nella pancia.

«Avanti, vieni. Ti porto alla fontana. Una buona sorsata d’acqua è quello che ti ci vuole.»

«Lo sai? Stavo pensando ad una cosa.»

«Che dovresti limitarti nel bere? Sono d’accordo.»

«E se avessimo sbagliato?»

«Riguardo a cosa?»

«A tutto. All’inizio non avevamo idea di cosa fare, poi la soluzione a tutti i problemi ci è letteralmente capitata davanti. Così, senza che facessimo davvero qualcosa.»

«Non direi. Se ho capito bene sei stato tu a scoprire come avevano fatto quei ladri a saccheggiare il granaio, e sempre tua è stata anche l’idea di andarli a cercare nella Terra di Nessuno.»

«È a questo che non riesco a smettere di pensare. Perché chi ha assalito il campo non si è preoccupato di cancellare le tracce? Perché non portare via quella lista di nomi, invece che lasciarla lì con il rischio che fosse trovata? Inoltre, trovare le prove della corruzione di quegli uomini è stato fin troppo semplice.»

«Si dice che gli uomini stolti si ritengano sempre più furbi degli altri. Direi che questa ne è la conferma.»

«Però alcuni di loro sembravano sinceramente sorpresi dalle nostre accuse e dalle prove compromettenti che gli abbiamo trovato addosso o in casa. Mio padre diceva sempre che per quanto un criminale possa negare le proprie colpe, se lo guardi negli occhi potrai sempre scorgervi la menzogna. Ed è ciò che io sono sicuro di non aver visto.»

«Un conto è fissare negli occhi un ladro o un assassino, un altro è cercare di vedere nell’anima di un mercante, un trafficante, o un qualsiasi altro individuo di quella risma che ha fatto della menzogna la propria religione. Dammi retta, certa gente sarebbe capace di venderti anche il sole.»

«Forse. Forse hai ragione.»

Intanto avevamo raggiunto la fontana della piazza, ancora funzionante malgrado il gelo della notte, in cui Jorn infilò immediatamente la testa per scacciare la sbronza.

«Niente di meglio che un getto di acqua ghiacciata per tornare sobri. Ora una bella bevuta, una sana dormita, e domattina sarò pronto a ricominciare.»

«Comunque devo ammettere che mi hai sorpreso. Onestamente non credevo che nelle legioni ci fosse posto per chi sa usare il cervello. Con la mente raffinata che ti ritrovi potresti essere molto di più che l’attendente di un Decurione in un posto sperduto come questo. Con tutto il rispetto per Septimus, ovviamente.»

«In realtà non mi dispiace essere qui. Sento che questo è il posto giusto per fare la mia parte di servitore dell’Impero.»

«Forse non te ne sei accorto, ma da queste parti l’Impero non è particolarmente amato. E dopo tutta questa storia temo che la situazione potrà soltanto peggiorare.»

«È proprio questo il punto. Lo so che l’Impero non è perfetto. Anzi, non direi nemmeno che è giusto. Ma le cose possono cambiare. Il nuovo Imperatore è diverso rispetto ai suoi predecessori. Con lui l’Impero potrebbe tornare ad essere quella luce di speranza e di rinascita che fu al tempo delle Guerre Sacre.»

«Scusa se ti sembrerò brutale, ma non mi pare stia facendo un buon lavoro. A est la rivolta dei baroni si espande ogni giorno di più, a ovest la pace con Connelly gli è costata cento milioni di goldie e diecimila miglia quadrate di territorio ceduto al Principato, provincie che appartenevano a Saedonia da duecento anni. E anche se ha concluso l’armistizio con l’Unione, ti assicuro che qui sono in pochi a pensare che le cose siano davvero migliorate.»

«Però qualcosa sta facendo. In fin dei conti è solo un uomo, e la pace non si crea di certo dall’oggi al domani. Ma io ho fiducia in lui, e ho deciso di fare la mia parte per aiutarlo a cambiare le cose. È questo lo scopo della mia vita.»

Ecco perché ho sempre detestato gli ideologi: basta dargli un po’ di corda che subito si mettono ad avere pensieri inopportuni. E quelli che abbinano all’ideologia l’idealismo sono i peggiori di tutti, perché sarebbero disposti a farsi cavare gli occhi piuttosto che vedere la realtà per quello che è.

«La sai una cosa? Hai proprio ragione. Hai bisogno di una bella bevuta.»

Un vero peccato. Un tipo così mi avrebbe fatto comodo. Ma purtroppo per lui aveva scelto la causa sbagliata a cui votarsi.

 

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: Cj Spencer