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Autore: Redferne    10/07/2023    3 recensioni
Tra Nick e Judy sta accadendo qualcosa di totalmente nuovo ed inaspettato.
E mentre Nick cerca di comprendere i suoi veri sentimenti nei confronti della sua collega ed amica, fa una promessa a lei e a sé stesso: proteggerla, a qualunque costo.
Ma fare il poliziotto a Zootropolis sta diventando sempre piu' pericoloso...
Genere: Azione, Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Capitan Bogo, Judy Hopps, Nick Wilde, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CAPITOLO 89

 

 

 

 

 

LAST MAMMAL STANDING – L’ULTIMO, A RIMANERE IN PIEDI

 

 

 

 

 

(SECONDA PARTE)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Attoniti, in un sol termine.

Di tutto avrebbero atteso e si sarebbero aspettati, tranne che una simile scena.

Erano rimasti senza parole.

Non sapevano che dire.

Nessuno tra loro avrebbe saputo proprio che o cosa dire, in un simile frangente.

Anche perché quel che stava accadendo sotto e davanti ai loro occhi sgranati e spalancati dallo stupore e dalla sorpresa non aveva alcun senso.

No, quel che stava facendo quella volpe non aveva, non poteva avere alcun diavolo o accidente di senso possibili.

Erano venuti lì, fino a lì per sistemarlo a dovere. Per liquidarlo una volta per tutte.

Per ucciderlo. E per annientarlo fino a cancellarne persino il ricordo.

Per eliminarlo e spazzarlo via da quest’emisfero. Dalla faccia della Terra. E per non lasciare in giro nemmeno l’odore e la puzza. E quello lo sapeva.

Ne era pienamente conscio.

Quel lurido e maledetto ladrone pezzente e morto di fame lo sapeva benissimo perché stavano arrivando.

Dopo la batosta che si era preso la volta scorsa, ormai doveva ben sapere cosa lo aspettava, e qual’era il destino che lo attendeva dietro l’angolo.

Infausto quanto inevitabile.

Morte. Nient’altro che morte. E del peggior tipo. La più umiliante e dolorosa di sempre.

Ancora peggio del pestaggio precedente.

Avrebbe dovuto essere terrorizzato, come minimo. Al punto da fuggire, o da gettarsi in ginocchio per supplicarli e implorarli di risparmiarlo, sperando in una grazia che non poteva in alcun modo arrivare, e che purtroppo per lui non sarebbe mai arrivata.

Si sarebbe buttato ai loro piedi, anche a costo di offrire in cambio e in sacrificio la vita dei suoi colleghi e di tutti i suoi almeno momentanei concittadini, che tanto si sa che le volpi sanno pensare e sono sposate solo a sé stesse. E che nel momento del pericolo sono le prime a mollare e ad abbandonare la nave. E in certi casi ancor prima che essa cominci ad affondare.

Lo si sa praticamente da sempre.

Quel tizio avrebbe dovuto avere paura, come minimo. Provare una paura cieca quanto folle, a voler dir poco. E invece…

E invece quello non stava facendo una sola piega. Si comportava come se niente fosse.

Anzi, si stava divertendo a loro spese e alle loro spalle, addirittura.

Inaudito. Semplicemente inaudito. Eppure era così.

Eppure era vero.

Quel tizio...si stava prendendo gioco di loro?

Davvero osava prenderli per il naso e per i fondelli, insieme al loro capo?

Ma com’era possibile?

No, non aveva senso.

Era una scena che aveva del paradossale e del surreale. Così come del ridicolo e del demenziale insieme.

Al punto che tra non molto avrebbero potuto mettersi a fare una roba altrettanto pazzesca, come contraltare.

Sì. Da lì a poco avrebbero potuto tranquillamente aspettarsi che dalla punta di quelle due dita tenute così ben estese da quella volpe sarebbe uscito per davvero del fumo. Come se davvero dalle loro estremità fossero veramente usciti dei dardi, o dei proiettili.

A coppia, rigorosamente uno per falange. Con tanto di fumo denso, bianco e grigiastro dopo lo sparo e la detonazione. Immancabilmente accompagnato da un leggero fiotto di liquido scuro lubrificante che fuoriesce dalle canne.

Giusto due gocce. Insieme al tipico, vago odore e sentore di cordite.

E quel che si aspettavano, giunti a quel punto. A un simile punto.

Non si attendevano di meno, come minimo. E anche se tutto ciò non fosse accaduto e di fatto non lo era, accaduto...se l’erano immaginata di certo così bene e così perfettamente dentro e all’interno dei loro bei cervelli tarlati e bacati che avrebbero potuto arrivare a pensare e a ritenere che era successo ugualmente. Per davvero.

Gli era venuta in mente a tutti quanti. All’unisono. Tanto che avrebbero potuto, se messi eventualmente sotto giuramento da un tribunale fittizio, confermarlo tenendo la propria mano destra messa poggiata su di una pila e un mucchio di bibbie o di vangeli accatastati l’uno sull’altro e nuovi di zecca e di trinca. E non in ultimo su tutti i santi che conoscevano e di cui erano al corrente, già che c’erano.

I quali, a onor del vero, dovevano comporre una cerchia assai ristretta a giudicare dall’infame tipo di individui che componevano quel gruppetto di peccatori.

Molto più probabile che fossero maggiormente sui diavoli dell’inferno e sulle schiere degli angeli neri devoti al buon vecchio Satanasso e Lucifero in persona, in fatto di nomi da tirare in ballo a scopo di garanzia per la proprie animacce luride quanto lerce.

C’era proprio da doverlo ammettere, comunque.

Erano un genere di discorsi davvero assurdi a cui dover per forza pensare, in un simile frangente.

Come mettersi a controllare le pieghe del proprio abito e vestito o se esso é in qualche modo é sgualcito. E proprio un attimo prima dello scoppio di un’imminente battaglia, o che cominci o inizi a infuriare la buriana e la tempesta.

Non ci si può proprio occupare di simili inezie, in momenti come quelli. Eppure…

Eppure non riuscivano a farne proprio a meno, per quanto volessero o potessero sforzarsi.

Perché ormai poteva accadere davvero di tutto. E a volerci scommettere sopra qualcosina...più che dardi o proiettili di sorta vi era da star più che certi che da lì sarebbe venuta fuori una bella stanghetta di legno sottile da cui si sarebbe subito dopo srotolata e dispiegata verso il basso una bandierina rossa scarlatta raffigurante l’apposita onomatopea.

Quella che in genere si usa per i botti degli esplosivi e per gli spari di arma da fuoco. Opportunamente rafforzata da un punto esclamativo. Magari pure doppio.

Due punti esclamativi, tanti quanto lo erano le dita coinvolte in quell’operazione tanto astrusa e assurda. Entrambi neri come la scritta che accompagnavano e a cui facevano da supporto sonoro, almeno nell’immaginazione di chi li stava leggendo o di chiunque si sarebbe ritrovato a leggerli e a osservarli, fosse anche per puro e semplice caso o fatalità.

Il tutto opportunamente contornato da una doppia deflagrazione stilizzata, questa volta di un bel color bianco di quelli accecanti.

Né più meno di quel che sarebbe successo o accaduto se ci si fosse trovati alle prese con una di quelle armi finte e farlocche, da scena. O meglio da burla, visto che di solito vengono impiegate dai clown, dai pagliacci e dai buffoni quando si esibiscono nei loro stacchetti comici che saltuariamente intervallano e spezzettano le esibizioni e gli spettacoli da circo.

Del resto, come più volte gli aveva rimarcato e osservato un vecchio bufalo muschiato di sua conoscenza, che un altrettanto vecchio quanto rugoso rinoceronte gestore e gerente di una polverosa, sudicia e vetusta quanto scalcinata palestra si ostinava a chiamare e denominare impunemente e affettuosamente BISTECCONE, in barba a ogni avvertimento di sorta da parte del diretto interessato e proporzionalmente alla quota e misura di affetto di cui era capace in tizio rude e grezzo come lui...Nick, se piazzato sotto a un tendone o in mezzo a una pista o a un palco e comunque sempre davanti a un pubblico ghignante, avrebbe avuto una avvenire assicurato e garantito. Almeno finché si trattava di sparare scemenze, corbellerie e di intrattenerli con ogni genere e sorta di frizzi, lazzi, freddure e battute.

Questo almeno a detta di quel corpulento ruminante che non vedeva da un pezzo. Da tanto di quel tempo che gli sembrava una vita, a ben pensarci. Anche se in fin dei conti, di tempo non é che ne fosse trascorso poi molto.

E in effetti la scena che aveva imbastito e a cui aveva dato vita, almeno inserita in un altro contesto, sarebbe stata tutta ridere.

Da schiattarsi e spanciarsi dalle risate, proprio. Eppure…

Eppure nessuno lo fece. E non certo perché in fin dei conti si trattava di una gag ormai risaputa e vecchia, trita e ritrita come e peggio del mondo e del cucco. Ma per il semplice fatto che la cosa che stava avvenendo in quel dato e preciso momento appariva talmente grottesca e priva di qualunque senso e significato che era praticamente impossibile riuscirci, pur volendosi anche applicare con tutta quanta la buona volontà possibile e di cui si poteva disporre.

Era completamente fuori da ogni logica. E fuori di testa.

Lì si stava per cominciare a combattere per la vita. O meglio per la morte, visto che il destino e la sorte di uno tra i due contendenti in campo e da considerarsi praticamente segnato.

E quello, che avrebbe dovuto costituire la vittima prescelta e sacrificale di turno...si metteva pure a fare il cretino?

Osava pure concedersi un simile lusso?

Da non credere.

Proprio vero. Quando uno sta sul punto di morire, messo di fronte alla propria dipartita fatta e finita, anche se non ancora realizzata e concretizzata sul lato prettamente e meramente pratico...pur di tergiversare, temporeggiare e guadagnare ancora qualche istante forse prezioso almeno per il suo modesto punto di vista ma che risulta ormai perfettamente inutile dal lato reale...eccolo che é già lì che si inventa le peggio idiozie, pur ritardare anche solo di un attimo il suo inevitabile soccombere.

Un giorno, fino a che qualcuno non si degnerà di mostrare una prova concreta e contraria a questo stato di cose...si é tutti destinati ad andare per finire in un certo posto. Pur non sapendo con certezza cosa ci aspetta laggiù. E in virtù di questo ognuno, per quanto e per quel che può e in base alle proprie possibilità nonché al proprio quantitativo e dose di fortuna implicita, cerca di prendere la via più lunga e larga.

Quando capita di assistere a tutto ciò si rimane interdetti. Perché non ci si può proprio fare a meno di identificarsi col malcapitato e disgraziato di turno.

Il tipico meccanismo che scatena empatia facile e gratuita, dato che non si può proprio fare a meno di identificarsi e riconoscersi in quel derelitto.

Nel povero e patetico tapino che ci sta davanti e di fronte. Così come non si può proprio evitare di ragionare al volo su di un paio di cosucce.

Da una parte si ringrazia il cielo o chi per esso e ne fa le apposite veci di non essere al suo posto.

Veci, si é detto. Veci. Il volgarame lo si lasci altrove, per favore. Grazie.

Da una parte si tira un grosso sospiro di sollievo per lo scampato pericolo. Ma dall’altra, intanto si comincia a riflettere su cosa si farà quando la tanto vituperata chiamata finirà col giungere pure per noi.

Che cosa ci inventeremo, quando arriverà il nostro turno?

Oggi a te, domani a me. E viceversa. Così funziona la legge della strada.

E la dignità di ogni individuo la si scopre proprio per come decide di porsi davanti a quella sfida e a quel momento così tanto tragici.

E infatti i teppisti rimasero senza parole né fiato, a tal riguardo. Compreso il loro capo e comandante, almeno all’apparenza.

La pantera si arrestò di colpo. Ma giusto quell’attimo necessario a ritrovare le parole che potessero adeguatamente commentare quella situazione tanto assurda.

“Mph” fece, sprezzante come sempre e al solito. “Spari smargiassate assurde nel disperato e vano tentativo di auto – rincuorarti e farti forza da solo. E poi ti lanci in queste scenate da baraccone, come se non bastasse. Tipico di voi. Tipico di quelli come TE. Per quel che mi riguarda, concetti come l’onore e la dignità li ho superati e sorpassati da tempo immemore. Li trovo totalmente privi di qualunque senso o significato. Quei concetti sono solo idiozie. Nient’altro che idiozie belle e buone. Ma...mi pare di capire che almeno dl tuo punto di vista quelle idiozie possano contare ancora qualcosa. Perciò ti voglio offrire un consiglio disinteressato, prima di ammazzarti. Per me questo non é un combattimento, ma solo un’esecuzione. Puro lavoro, per cui vengo profumatamente pagato, tra l’altro. E che quindi devo portare a termine, anche se con immenso piacere perché io AMO il mio lavoro. Ma se tu ti ostini stupidamente a considerarlo come tale, come un combattimento, ebbene...allora ti conviene smetterla di gettare la tua dignità e il tuo orgoglio nel fango, se te ne sono rimasti ancora un po'. Piantala di continuare a sporcare la nobiltà di questo duello con le tue fesserie, una buona volta!!”

“Ecco” aggiunse, freddamente. “E’ la sola e unica cosa che mi sento ancora di dirti, a riguardo. E credo che farai meglio ad ascoltare e a prendere in parola quel che ti ho appena detto. E ad applicarlo al volo. Se non altro, finirai sul fondo dell’inferno con la coscienza tranquilla e a posto.”

Lo sceriffo non rispose.

“Non dici nulla?” Lo incalzò prontamente l’altro. “Quindi suppongo che tu abbia finito. Mi chiedevo quand’é che ti saresti deciso a darci un taglio netto e deciso, con questo deplorevole spettacolino.”

“Deplorevole spettacolino, dici?” Gli rispose tutto ad un tratto Nick, che teneva ancora le due dita della mano sinistra nonché unica sana ancora ben puntate verso di lui e nella sua direzione. “Ora che mi ci fai pensare, amico...manca ancora un pezzo, tra quelli provenienti dritto dritto dal mio premiato repertorio. Sai com’é...il boccone più gustoso, il pezzo di cioccolato più grosso di norma lo si tiene per la fine. Per la degna conclusione dello spettacolo, in modo da saziare anche il palato oltre che l’udito e la vista. Un tempo, durante gli spettacoli, una si portava sempre l’immancabile fiaschetta di vino o di liquore d’annata. E lo trangugiava e sorseggiava durante lo svolgimento. Piano, poco per volta. Così, anche se la recita faceva schifo, ti garantisco che se ne usciva dal teatro d’un contento che non ti dico, guarda. Era una sorta di tutela. Di precauzione. In modo da non rimpiangere mai i soldi del biglietto, nel caso si rendeva conto di averli buttati via.”

“Non mi serva una lezione sulla storia della comicità, adesso. Non me ne faccio nulla. Quel che voglio sentire sono solo le tue grida di dolore. E le tue suppliche dove mi chiedi pietà, e di risparmiarti. O di ucciderti subito. Vedremo cosa ne verrà fuori, dalla tua bocca, quando inizierò a maciullarti le carni e a frantumarti le ossa. Molto lentamente, in entrambi i casi.”

“Hai ragione. Quando tocca ammetterlo, va ammesso. Di natura ho la tendenza a divagare, quando mi mettono sotto pressione. Ma alle volte esagero senza rendermene conto. Ti chiedo scusa. Ma ti giuro sin da ora che saprò farmi perdonare. Come ti dicevo...ho ancora un pezzo, da proporti. Vedrai che non ne rimarrai deluso. Ma facciamo che le spiegazioni terminano qui. Su tutto quanto il resto...vorrà dire che ti lascio e ti riservo il piacere e l’onore di scoprirlo di persona.”

“Bene, allora” sentenziò Zed. “Vediamo, dunque. Stiamo un po' a vedere quale altra razza di assurda scempiaggine ti sei inventato stavolta, pur di guadagnare un po' di tempo. Ormai l’ho capito da un pezzo che la consideri la tua specialità. Peccato che su di me non attacca, volpe. Sul sottoscritto le chiacchiere non funzionano. Non é con le ciarle, che te ne uscirai da questa situazione. Ma se credi e sei convinto che possa servire a qualcosa mostrami pure cos’hai in riserbo, forza. Mostra pure l’ennesima messinscena che servirà solo a far allungare la tua insulsa e inutile vita giusto di qualche attimo. Dopotutto...il boia non nega mai l’ultimo desiderio di un condannato a morte.”

“Stà tranquillo, bello” gli rispose Nick, mostrandogli i denti. “Manca poco. Davvero pochissimo. E...ti assicuro che non ne vedo l’ora.”

“Puoi credermi sulla parola” aggiunse subito dopo. “Non ne vedo proprio la dannatissima ora.”

Nessuno dei due rideva, in quel momento. Nonostante il dialogo che avevano imbastito fosse da considerarsi dello stesso e medesimo livello della situazione che si era venuta a creare. O meglio, che uno dei due aveva creato ad hoc.

A suo preciso uso e consumo, detto in altra parole. Nonché a vantaggio, in teoria, anche se quest’ultima cosa era ancora tutta da dimostrare.

E proprio come in occasione del suo incontro/scontro con una certa giovane daina...i prossimi minuti sarebbero stati oltremodo determinanti, in tal senso.

Il loro discorso era privo di significato e di logica, esattamente come quanto stava avvenendo a loro e tutt’intorno a loro. Eppure, in merito non ci stavano trovando nulla da ridere o su cui scherzare.

Nemmeno Nick e Zed. Nemmeno loro due ci stavano trovando nulla di divertente. Esattamente come tutto il resto dei presenti.

Però vi era differenza. Estremamente piccola, ma sostanziale. E fondamentale.

Tutti gli altri non ridevano per un semplice motivo. E cioé perché non riuscivano ad interpretare quel che stava accadendo sotto ai loro occhi.

Non gli riusciva di valutarlo, in alcun modo. Men che meno di dargli un giudizio, fosse anche del tutto ironico.

Ma per i due diretti contendenti era diverso. Entrambi non ridevano perché NON VOLEVANO FARLO.

Perché sapevano, erano consci che non c’era proprio un tubo, su cui poter o dover ironizzare o su cui mettersi a ridere sopra.

Non c’era da scherzare. La questione era della massima serietà.

E lì, comunque, c’era anche un’altra persona che non stava ridendo e che la pensava uguale.

Un terzo incomodo. Una terza persona che non ci trovava nulla da ridere. Anche se non era lì presente.

Anche se si trovava a neanche mezzo miglio di distanza, appollaiata sul nodoso ramo che si protendeva dall’altrettanto robusto tronco di un albero secolare. E col fucile di precisione puntato sulla vittima. Sulla preda da lei scelta e dal suo capo indicata dopo averlo messo e assicurato in posizione solida e stabile, come il più provetto e navigato tra i cecchini.

Era inamovibile, come un blocco di roccia o di pietra. O di marmo. Ma pronta a seminare le sue schegge micidiali per ogni dove e in ogni direzione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

L’aveva sott’occhio. E sotto tiro. Non poteva sbagliarsi. E non poteva fallire, in alcun modo.

L’aveva messo a fuoco sin dal primo istante. Sin dal primo momento in cui era sceso dal suo veicolo.

Anzi, sin dall’attimo in cui il pick – up si era fermato, finendo quasi col ribaltarsi sottosopra. E da lì non l’aveva praticamente perso più di vista un solo momento.

C’era da dire che aveva fatto tesoro, della precedente quanto terribile e traumatica esperienza.

Aveva imparato che quando hai a che fare con tizi del genere, con simili belve scatenate, non ti puoi mai distrarre. Perché da uno come quello c’era da potersi aspettare di tutto.

E in virtù di questo...se con quel tizio abbassavi anche di un poco la guardia, erano guai.

Te la faceva. Ed eri già bello che fregato. E pronto per raccomandare il tuo spirito a chi di dovere.

Maggie non si riteneva perfetta. E tutt’altro che infallibile.

Anche lei sbagliava. Anche lei commetteva spesso e volentieri degli errori.

Ma la selezione naturale da sempre premia una certa tipologia di individui.

Non quelli perfetti o infallibili. Che la volta in cui commettono se pur accidentalmente uno sbaglio o un errore, anche minimi...da lì non si riprendono e non si risollevano più.

No. La natura preferisce premiare chi sbaglia ma sa riconoscere di sbagliare. Ma che soprattutto sa imparare dai propri sbagli e dai propri errori.

Premia la gente che magari arriva a un passo dal morire, o dal finire eliminata o uccisa. A un niente dall’estinguersi e dallo scomparire per sempre.

Però non succede. E dato che non é successo, si può passare oltre.

E ci si evolve, fino allo stadio successivo.

Maggie era sicura di una cosa.

Anche lei aveva sbagliato e commesso errori, in passato. E molto probabilmente, con tutta quanta la probabilità di questo mondo, continuava a sbagliare e a commettere errori tuttora. Ancora adesso.

Ma non era certo contrita o pentita, di questi sbagli. Né aveva mai provato rimpianto o rimorso per ciò che poteva essere e che non era stato.

A parte...a parte una volta. A parte quella volta.

Ma tolta quella sola quanto unica eccezione, non se ne dispiaceva affatto.

Sbagliava e commetteva errori, certo. Come tutti. Come chiunque. Però non erano mai gli stessi.

Non si trattava mai dei medesimi.

Anche lei sbagliava e commetteva errori, si diceva. Ma per lo meno non insisteva mai sugli stessi errori e sugli stessi sbagli, come in genere fa chi da essi non impara e non apprendeva mai nulla e niente.

Lei imparava. E apprendeva. Perché aveva scoperto di poterlo fare. Di esserne in grado.

Lei ci riusciva. Poteva imparare e apprendere dalle proprie lacune e mancanze, in modo da non dover essere costretta a ripeterle mai più. Non un’altra volta.

Non quella di troppo, che sarebbe potuta risultare e risultarle fatale.

Anche questo é crescere.

Anche Maggie sbagliava, e commetteva errori.

Certamente. Sicuro. Però non commetteva mai lo stesso sbaglio o errore per due volte di fila.

Nossignore. E soprattutto...la qui presente si faceva fregare una volta sola.

Eh, sì.

Quanto le sarebbe piaciuto, comunque.

Quanto avrebbe voluto sparargli già adesso, a quel maledetto. Sin dal primo minuto.

Per ripagarlo adeguatamente del pestaggio e delle violenze subite la scorsa volta. E di tutto il dolore e il terrore gratuiti che le aveva elargito e riversato addosso a piene zampe.

Per averla costretta a subire tutto quanto, con lei che non poteva in alcun modo replicare o reagire a tutto quell’orrore senza fine, nelle condizioni miserevoli in cui si era ritrovata e in cui versava.

L’aveva fatta sentire così piccola. Patetica, inutile, miserabile. E impotente…

Incapace di risolvere qualunque cosa, contando solo e unicamente sulle sue misere forze.

Tutto il contrario di quello a cui era da sempre abituata a credere e a pensare.

Adesso era giunto il suo turno. Toccava a lui venire sconfitto, deriso e umiliato davanti a tutti. E in primis a suoi sgherri e lacché.

Per lo meno se tutto quanto andava come pianificato e stabilito.

E doveva andare così. Per forza. Non vi erano altre alternative o ipotesi, a tal riguardo.

Lì, laggiù e in quel dato e preciso momento ci stava in ballo la vita e l’incolumità stessa di chi contava più di ogni e qualunque altra cosa al mondo, secondo il suo personale parere e punto di vista.

La vita e l’incolumità della persona che riteneva e giudicava più importante.

E come se non bastasse, la persona in questione gliele aveva affidate entrambe. Senza esitare e senza il benché minimo dubbio sul da farsi.

Quindi...perché indugiare o tentennare a propria volta, dunque?

Per quale motivo avrebbe dovuto indugiare ulteriormente, col solo e possibile per non dire probabile risultato di aumentare i rischi per lui, dunque?

Era tentatissima, di sparargli. Ed era così facile, da dove si trovava desso.

Facile. Facilissimo. Semplicissimo. Un autentico gioco da ragazzi. Come bere un bicchier d’acqua al volo e al gotto.

Però non poteva. Doveva rispettare gli ordini.

Aveva delle direttive, e una consegna a cui obbedire ciecamente. Perché la prima regola di ogni buon sottoposto e vice é di rispettare le decisioni del proprio capo.

Gli ordini non si discutono. Si eseguono. E senza fiatare.

Se mai si ha tutto il tempo di litigare e di attaccar briga dopo, a missione conclusa. E sempre che sia andato tutto bene e che sia filato tutto quanto liscio come e più dell’olio. E a patto che siano tutti quanti usciti fuori sani, salvi e illesi.

Non poteva far altro che rispettare e attenersi a quanto gli aveva precisamente ed esplicitamente detto e raccomandato il suo comandante.

Non gli rimaneva altro da fare che aspettare. E pazientare. E sopportare.

Una cosa intanto poteva farla, però.

Accarezzò con la punta del polpastrello il grilletto del fucile, senza però premerlo fino in fondo che non era ancora giunta l’ora di fare ciò. E subito dopo un raggio rosso partì dalla sua arma fino a raggiungere Zed.

Un filo scarlatto invisibile agli occhi. Persino a quelli di un predatore. E ce n’erano tanti, radunati in quel piccolo quanto breve spiazzo in mezzo al bosco.

Lo si poteva scorgere chiaramente solo una volta che avesse cominciato a riflettersi e a rifrangersi sulla superficie della zona da colpire.

Ed eccolo lì, infatti. Lo vide perfettamente, dal doppio specchietto formato dalla coppia di lenti che componevano il mirino telescopico.

Ripensò alle parole del rivenditore, e su quanto risultassero veritiere.

Aveva avuto ragione sacrosanta, in proposito. Da vendere e da piazzarci su un’intera concessionaria, se non fosse che avesse prediletto e preferito le armi.

Con quel sistema di mira, non poteva assolutamente mancarlo né sbagliarsi.

D’accordo che conta sempre l’abilità, e in fondo é sempre quella che fa la differenza. Ma per fallire pur avendo a disposizione simili mezzi e tecnologie, su cui poter tranquillamente contare oggigiorno...bisogna davvero essere degli impediti, degli imbranati e degli incapaci pressoché totali.

Finalmente un mercante che manteneva le promesse. Niente pubblicità o slogan ingannevoli, per una volta tanto.

Che tra l’altro anche quelle costituiscono un crimine e un reato, entro certi limiti. E considerando che esistono sicuramente infrazioni di tipo e di stampo ben peggiore.

Comunque stava andando tutto alla grande. Alla grandissima e senza intoppi.

Il bestione non se n’era accorto. Nick senz’altro sì, invece.

Di sicuro. Non poteva non averlo visto, visto che gli stava praticamente di fronte. Ma si stava limitando a fare opportunamente finta di niente.

La daina riprese con lo stillicidio dell’attesa, confidando in ulteriori sviluppi.

Nei giusti sviluppi. E andava detto che la strada intrapresa fino ad ora era quella buona.

Quella giusta. Non rimaneva che proseguire, speranzosi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Non c’era nulla da ridere. E anche se vi fosse stato per davvero qualcosa per cui farlo, non avrebbe riso lo stesso.

Perché la prima regola per essere un buon comico é quella di essere seri. E anche un po' tristi.

Triste, infelice e sconsolato lo era stato e lo era tuttora, a sprazzi. E anche parecchio, quando talvolta gli capitava di sentirsi ancora così.

Pienamente comprensibile, visto tutto quel che gli era capitato. E considerata la notevole dose di sberle e manrovesci che la vita gli aveva riservato, e che il destino aveva deciso di propinargli specialmente nell’ultimo periodo.

Ma non ora. Non in quel momento.

Adesso come adesso Nick Era totalmente assorto, preso e concentrato su quel che era accaduto finora, su quanto stava accadendo e su quanto sarebbe accaduto da lì a poco. Tra pochissimo.

Eppure, volle ugualmente concedersi una risata di gusto. Anche se non gli venne fuori altro che un semplice sorriso.

Lo fece e lo sfoderò nell’istante e nel momento stesso in cui notò il piccolo bagliore color del vino appena di fianco al collo del grosso e voluminoso felino, in corrispondenza di uno dei deltoidi.

Un minuscolo e beffardo risolino. Che attirò l’attenzione di Zed. E che si accentuò non appena si rese conto che il suo avversario non si era accorto che di quello e basta.

Non aveva notato nient’altro. Per sua somma grazia e fortuna.

“Mph. Che c’é da ridere?” Gli domandò la pantera. “Cos’é mai quel sorriso sciocco? Dì un po'...lo trovi divertente, hm? Ti diverte l’idea che io ti ammazzi tra atroci sofferenze, per caso? O pensi che io non faccia sul serio e che si tratti tutta di una burla?”

“Affatto” replicò la volpe. “Sto solo ridendo in omaggio a un piano ben riuscito e realizzato. Hai perso, amico.”

“Anzi...hai GIA’ perso” ci tenne a precisargli. “Ti ho sconfitto, e nemmeno lo sai. E vuoi che ti dica il perché? Ti ho battuto grazie al fatto che sei solo un fortissimo lottatore e basta.”

“Purtroppo per te le tue capacità si fermano qui, e basta” gli spiegò prontamente. “Hai mica presente la teoria dell’oceano, amico?”

“Piantala.”

“Me l’ha raccontata una volta un mio carissimo collega, socio e amico” proseguì imperterrito il rosso canide, senza neanche badare a quell’invito così esplicito a darci decisamente un netto taglio. “Nel corso di una fredda e gelida sera d’inverno. Sotto alle arcate di un ponte, e intabarrati in coperte e abiti pesanti mentre eravamo intenti a tendere le mani verso un fuocherello languido, e sorseggiavamo un goccetto alla volta e per uno di roba forte, per riscaldarci. La teoria in questione sostiene che l’oceano é TAAANTO grande, e c’é senz’altro posto per tutti. E se ti capita di incappare in uno che per almeno al momento per te é troppo forte...piuttosto che affrontarlo direttamente a muso duro giraci al largo e attorno. E attaccalo dove non é pronto. Colpiscilo dove non é preparato. Questo insegna la legge della strada.”

“E posso dire, anzi affermare che quest’esempio ti calza pressoché a pennello” puntualizzò sicuro. “Sei senz’altro abilissimo a combattere, questo é vero” rimarcò. “Di certo sei il migliore se si tratta di fare a botte e a pugni, ma ti informo che uno scontro lo si può affrontare in tanti modi. Che non ti sei mai neanche sognato di contemplare.”

“Ah, sì? E quali sarebbero, di grazia? Io ne conosco solo uno. E cioé massacrare. Non ne rammento o ricordo altri. E anche se ne esistessero...non ha alcuna importanza. A me piace quello che uso io.”

“Oh, beh...tra poco te ne sparò mostrare un altro. E sono convinto che potrà costituire una valida alternativa. Ma ho sorriso anche per un altro motivo, se proprio ci tieni a saperlo. L’ho fatto perché ti sto per mettere nelle mie stesse condizioni. Nelle condizioni in cui tu stesso mi hai messo la volta scorsa. Cos’é che mi dicevi? Ah, sì. Se non sbaglio mi hai paragonato a un insetto di fronte al mare, o qualcosa del genere. Stupefatto e inerme di fronte alla vastità di un potere che nemmeno arrivavo a poter comprendere o capire, e che perciò facevo pena.”

“Mph. Non ricordo di aver mai detto una cosa simile. Ma anche se così fosse...che differenza fa?Credi forse che io tenga a mente i discorsi che faccio prima di uccidere? Non rammento una sola parola di quel che dico a chi sta per venire ammazzato, in genere.”

“Non conta assolutamente nulla” specificò. “Quindi...quale differenza vuoi che faccia, per me?”

“Oh, la fa, la fa” obiettò lo sceriffo. “Ti posso assicurare che la fa, la differenza. Anche perché ti voglio e ci tengo ad informarti che é arrivato il tuo turno, di sentirti così. E che sarò proprio io a farti provare una simile sensazione, e in prima persona.”

“Capisco. Anzi, no. Non capisco affatto. E nemmeno m’interessa. Dimmi solo se hai finito e terminato col tuo squallido repertorio a base di insulse scemenze. Era questa la tua ultima trovata o ne hai altre? In ogni caso...vedi di sbrigarti. Mi auguro solo che tu non ne abbia ancora per molto, perché sono impaziente di continuare e di proseguire con quanto ho fatto al tuo corpo in occasione del nostro precedente duello. Vedi...io ho un lavoro da finire. E non lascio mai i miei lavori incompiuti o a metà. E’ una pura questione di etica. Concludo sempre quello per cui vengo pagato. E’ la regola.”

Nick, pur rimanendo e mantenendosi pressoché impassibile, a quell’affermazione deglutì leggermente, emettendo un lieve singulto.

Gli era scappato. Forse perché non aveva potuto fare a meno di immaginare quel che l’attendeva se qualcosa fosse andato storto, anche solo di poco.

Per quanto ci si fossa sforzare la mente sfugge sempre al nostro controllo, anche se di poco, mostrando il suo lato più male augurante e pessimista e facendoci così immaginare sempre il peggio. Senza contare che quel bravaccio aveva tutta quanta l’aria di chi manteneva sino in fondo quanto diceva e prometteva, e già la volta passata di ciò gliene aveva dato e fornito più che ampia prova.

Ma volendo declinarla e buttarla sul ridere, proprio come suggeriva il suo lato comico e ironico sempre pronto a trovare fonte di subitanea ilarità praticamente in qualunque cosa...il vantaggio dell’essere pessimisti é di non tralasciare né trascurare mai nulla considerando e confidando sul fatto che qualcosa potrà anzi, che senz’altro andrà per il verso sbagliato anziché giusto e corretto, no?

Decise perciò di sorvolare su quell’attimo di debolezza, almeno per quel che poteva, e di proseguire col resto.

Lo show previsto non doveva correre il rischio di subire ulteriori ritardi o inopportune interruzioni.

Com’é che gli aveva detto Carotina, quella volta? Ah, sì.

 

Grazie davvero, Nick. Mi raccomando. E’ una corsa contro il tempo, e ogni minuto é prezioso.

 

Già. Infatti.

Poteva dirlo forte. E dire che lui, per tutta risposta e pure per ripicca si era pure messo ad ostacolarla e a metterle i bastoni di traverso e tra le ruote in tutti modi.

Che stupido, che era stato. Un vero idiota. Anche se lì c’era solo in ballo la prosecuzione e il proseguimento della sua carriera in polizia, non certo della sua vita e della sua capacità di poter continuare a deambulare in maniera autonoma.

“Ancora un attimo” disse.

Piegò il braccio sinistro, che per tutto il tempo di quella chiacchierata delirante aveva continuato a tenere steso in posizione perfettamente orizzontale e puntato contro Zed.

Stava cominciando a dargli e a fargli provare giusto un leggerissimo quanto pungente senso di fastidio.

Non certo i crampi, però. Quelli mai.

Non dopo aver sopportato e tollerato per settimane, addirittura mesi i massacranti allenamenti alla mira da parte e sotto la stretta quanto implacabile supervisione della sua mai contenta e soddisfatta collega ovvero il miglior agente di polizia di tutta quanta Zootropolis in persona. Svolti dentro e all’interno di qualunque tipo, sorta e risma di improvvisato poligono e sotto ogni tipo di condizione atmosferica e meteorologica. Che si fosse trattato di vento, pioggia, canicola, solleone, gelo, nevischio, grandine, neve vera e propria, siccità, tormenta o tempesta.

Ormai avrebbe potuto tenerlo fermo e fisso così per ore, e senza muovere una sola fibra dei muscoli che lo componevano e gli scorrevano sotto al derma e alla pelliccia.

Tutt’al più e al massimo avrebbe avuto in cambio solamente una sorta di pizzicore e di prurito, talmente infinitesimali da non meritare o concedersi nemmeno il favore e il sollievo una stiracchiata o una provvidenziale grattatina.

Portò quindi le due dita che aveva appena impegnato ed impiegato nell’esecuzione magistrale di un finto colpo di pistola spara – dardi all’altezza della bocca, e una volta giunte in prossimità delle sue nere labbra vi soffiò sopra.

“Fffhhh.” Fece, formando con esse una ridotta quanto minuscola riproduzione e versione della quarta tra le vocali disponibile.

Pazzesco. Davvero pazzesco.

Gli altri si erano limitati a immaginarlo per assurdo o per scherzo, che dalla coppia di falangi potesse uscire veramente del fumo dopo la fuoriuscita del proiettile, e per subitaneo effetto dello sparo. Ma quello…

Quello ci credeva per davvero. Ci aveva creduto veramente.

Persino Zed per una volta, almeno e soltanto per questa volta, non riuscì a nascondere il proprio stupore.

Inclinò la testa di lato, mentre assumeva un’espressione dubbiosa.

“Ma che stai facendo?” Gli domandò, perplesso. “Si può sapere che diavolo stai facendo?”

“Niente” gli rispose la volpe. “Nulla di particolare. Non ho un motivo specifico che mi ha spinto a farlo. A parte...a parte quello di aver fornito un’ulteriore dimostrazione, mio caro. A tutti quelli che si trovano qui ma soprattutto al sottoscritto. Ma non a te però, sappilo. Per il semplice fatto che tanto non capiresti lo stesso. D’altra parte...visto e considerato il fatto che non hai capito nulla fino ad adesso, non vedo proprio per quale motivo tu debba cominciare a farlo ora. Ho voluto dare l’ennesima dimostrazione del tuo grado di imbecillità congenita, e ce l’ho fatta di nuovo.”

“Ci sono riuscito perfettamente” continuò. “E’ da prima che ti sto dando bellamente del cretino. Dall’inizio della sera. Sn dal principio di questa bella serata. E pr la precisione da prima ancora che tu arrivassi qui. E tu non solo ci sei cascato in pieno, ma stai continuando a cascarci una volta dopo l’altra. E senza neppure accorgertene, é questo il bello. Perché te lo sto dando da intendere con le azioni, non tanto con le parole. Prima ho acceso il falò per distrarti, in modo che tu non potessi notare i chiodi con cui ho disseminato l’intero tratto stradale, e per quasi un quarto di miglio di lunghezza. E adesso, intortandoti a suon di chiacchiere inutili...é andata a finire che te l’ho appena fatta sotto al naso, di nuovo. Ti ho fregato un’altra volta, rassegnati.”

“Ah, sì? E spiegami solo come avresti fatto, a fregarmi.”

“Allora non sei stato attento. Te l’ho detta qualche istante fa, la ragione. Ma tu non ascolti, così come non vedi e nemmeno ragioni. Sei un combattente formidabile, ma a parte riempire di botte e di sganassoni la gente dubito fortemente che tu sia capace o in grado di fare molto altro oltre a quello, se mi permetti e concedi un parere. E se sai accettare una critica. Inoltre...sei troppo egocentrico e centrato su te stesso per osservare tutto ciò che ti circonda. Sotto la tua apparente indifferenza nascondi una superbia a dir poco abnorme. Sei vanesio e presuntuoso oltremisura e oltre ogni limite, ecco come stanno le cose. Se tu non fossi rimasto per tutto il tempo a pavoneggiarti e ad auto – compiacerti senza sosta, rimirandoti davanti a uno specchio inesistente buono solo a far rimbalzare indietro la tua voce e l’immagine di guerriero invincibile che ti sei creato da solo e per tuo conto, forse avresti potuto scoprire cosa ti stava per capitare. E magari farla franca. Ma ormai...é troppo tardi. Ed é peggio per te. Tanto peggio per te.”

“Bene” sentenziò Zed. “Ora spero che tu abbia finito con questa insulsa manfrina. Me lo auguro, sul serio- Perché ne ho davvero abbastanz…”

“Alt!!” Lo stoppò improvvisamente Nick. “GIMMEABREAK, come direbbe in questi casi il mio socio. Dammi ancora un secondo, bello. Concedimi soltanto un dannatissimo secondo ancora, non ti chiedo altro. E che vuoi che sarà mai un secondo in meno o in più nella vita? Molto probabilmente per te deve valere poco e niente, mentre per me...forse molto. Più di quanto tu possa immaginare.”

“Che c’é, ancora?”

“Scommetto quanto vuoi e quel che ti pare che ora mi dirai che mi sto rendendo ridicolo continuando a fare il gradasso senza alcun motivo solo perché, sotto sotto, ho una paura atroce e provo un terrore a dir poco folle per te.”

“Ti stai rendendo ridicolo continuando a fare il gradasso senza alcun motivo solo perché, sotto sotto, hai...COSA?!”

La pantera si bloccò di colpo, subito dopo quell’esclamazione.

“Bingo!!” Urlò Nick. “Visto che ho indovinato, eh? E scommetto che adesso mi dirai a cosa mai potrà servirmi averlo scoperto.”

“ A che diavolo ti serve averlo scop...AH!!”

Si era zittito, o meglio l’aveva costretto a zittirsi un’altra volta.

“Preso in pieno anche stavolta!!” Esultò Nick, ostentando un’evidente euforia. “Non te la devi mica prendere, eh. Devi sapere che non é proprio colpa di nessuno, tanto meno mia, se azzeccare e prevedere le mosse e i pensieri di un imbecille grande e grosso come te equivale più o meno a leggere un libro aperto, o giù di lì.”

“Ora basta!!” Sbraitò il grosso felino, ormai giunto al limite della pazienza. “E’ troppo. Adesso ne ho davvero piene le scatole. La misura é colma. Ne ho piene le scatole, di te e delle tue patetiche considerazioni. Tu...con chi credi di parlare, eh? Con chi credi di avere a che fare?!”

“Con chi, dici?” Gli replicò la volpe, intanto che abbassava il proprio arto rimasto ancora integro, sano e funzionante. “Oh, é semplice. Molto, molto semplice, in realtà. Con un BERSAGLIO.”

L’ultima parola la disse e pronunciò a voce alta. Forse per farsi sentire da qualcuno.

Lo aveva chiaramente fatto per voler farsi udire da qualcuno.

O da qualcuna, molto più probabilmente. E Nick sapeva bene, da chi.

Lo sapeva, di chi si trattava. Lo sapeva molto, molto bene.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Eccolo.

L’aveva visto. Era arrivato, finalmente.

Il segnale. Il segnale che tanto aspettava e che attendeva così spasmodicamente, e già da un po'.

Un bel po'.

Non quello definitivo, però. Per quello avrebbe dovuto attendere e pazientare ancora un poco.

Pazienza. Tanto minuto più minuto meno, ormai…

Aveva la situazione completamente e per intero sotto tiro e sotto il suo controllo. E quando ce l’hai...il tempo diventa irrilevante almeno tanto quanto lo diventano tutte le questioni, ogni questione che lo riguarda o che potrebbe riguardarlo da vicino. Perché perdono improvvisamente ogni priorità.

L’importante é il controllo. Poi, per neutralizzare, si ha tutto il tempo del mondo. Poiché ciò che conta davvero é impedire la fuga del nemico.

Togliergli qualunque e possibile via di scampo o di uscita.

Il segnale a cui aveva appena assistito era solo uno dei tanti. Non era che uno tra i tanti che lei e Nick avevano ideato e concordato di comune intesa poco prima di mettersi all’opera. E in azione.

E a tal proposito...com’é che le aveva detto, giusto poco prima che se ne andasse?

Giusto poco prima che lo abbandonasse e lo lasciasse da solo, per raggiungere la sua postazione anticipatamente designata, e col cuore che le saliva in gola e le rimbalzava nel petto per l’ansia e l’apprensione?

Ah, sì.

 

Maggie...al mio segnale, SCATENA L’INFERNO.

 

Appunto. Ecco cosa. Peccato soltanto che non fosse quello, il segnale apposito.

L’inferno vero doveva ancora arrivare e sopraggiungere, era ancora al di là di venire.

Con quello che aveva appena ricevuto in via rapida e per direttissima doveva scatenarne giusto un piccolo assaggio, un minuscolo anticipo.

Non era che un’anteprima .Ma che si sarebbe rivelata un’ottima introduzione ed un’eccellente apripista, se eseguita a dovere e a regola d’arte.

Ripensò a un’altra delle imbeccate ottenute per bocca del suo comandante. Una dritta sicura ed efficace che, per voce stessa di Nick, arrivava per direttissima dall’esperienza navigata di un vecchio e rugoso rinoceronte gestore e proprietario di un palestra situata nella parte e nel quartiere antico di Zootropolis.

Un’accademia di boxe vecchia e scalcinata allo stesso modo di chi la occupava e ci viveva per gran parte delle sue lente giornate di anziano mammifero.

 

Ricorda, Rosso...quando sei accerchiato e al momento non scorgi alcuna via di uscita, mi raccomando di trovare e beccare IL PIU’ FORTE.

Colpisci il più forte. Il più forte di tutti.

Devi beccare lui, per forza.

Trova e becca lui. Per primo e prima di tutti.

Se stendi lui...gli altri si smontano e si sgonfiano come tanti canotti.

Se lo togli di mezzo, quelli che rimangono perdono fiducia. E da quel momento in avanti ce li avrai in pugno.

 

Eh, già.

In pugno. Era proprio il caso di dirlo.

Forse ciò che stava per accingersi ad usare era un po' meno nobile delle nude mani e delle rudi e virili zampe, anche se comunque pure quelle femminili e appartenenti alle gentili esponenti del presunto ma soltanto di nome sesso debole menavano e legnavano che era un piacere.

Meno nobile e galante delle armi gentilmente fornite in dotazione e in usufrutto da Madre Natura in persona. Ma sotto a un certo aspetto lasciavano un segno ben più netto e nitido.

Di quelli che non si dimenticano, proprio.

Del resto qui non si era più in un duello, ma in guerra.

E in guerra come in amore ogni colpo é permesso. Soprattutto quelli bassi.

Tutto e concesso. Ogni genere e tipo di mossa. Quel che conta é raggiungere lo scopo prefissato con ogni mezzo e il più rapidamente che sia possibile.

Il codice etico, la lealtà, il rispetto e la cavalleria le si lascia ai puri di cuore e ai candidi di animo, nonché ai sofisti. Che i soldati hanno ben altro, a cui dove badare e pensare.

Altro tipo uccidere. E restare vivi.

Oppure vincere, e non perdere.

Mai.

Il segnale era arrivato. Ma lasciò che Nick finisse di parlare. Dopotutto, agli eroi va sempre fatto concludere il loro bel discorso edificante con tanto di frase maschia gratuita messa ad apposito supporto e corollario, no?

Fa tanto fico.

Fu solo quando vide sul mirino telescopico l’inconfondibile labiale che decise di muoversi. Solo quando vide il suo comandante pronunciare la parola con cui in genere si indicano quegli attrezzi tutti bucherellati su cui gli agenti di polizia svuotano interi caricatori, durante le esercitazioni al poligono di tiro. Che siano mobili o meno.

L’aveva detto. Nick l’aveva detto. Ora toccava a lei.

Si comincia, dunque. Era ora di cominciare.

Su tutto il resto doveva attendere e sopportare pazientemente la propria attesa ancora per un po'.

Ma su quello, almeno su quello...poteva partire.

Almeno su quel tanghero corpulento, mezzo sfregiato e strapieno di rivoltanti quanto repellenti cicatrici poteva cominciare. E infatti non vedeva l’ora di iniziare proprio da lui.

Non ne vedeva la stra – dannatissima ora, davvero.

Spostò la croce stampata, incisa e cesellata a suon di tacche consecutive ed equidistanti l’una dall’altra sul secondo e più grosso e voluminoso tra i due vetri circolari e concentrici che chiudevano il tubo metallico e cilindrico del puntatore, sistemandola all’altezza della spalla sinistra del bestione.

Da lì il contenuto del proiettile avrebbe raggiunto il cuore in un attimo. Perché é pur vero che la vecchia pompa auto – alimentata che costituisce il fulcro del motore che anima qualsiasi mammifero si trova di norma al centro del petto, ma la parte più bassa in genere é leggermente inclinata e tendente a sinistra. Senza contare che il suo fondoschiena tra un battito e un’extra – sistole tende a sculettare e a scodinzolare proprio in quella direzione.

Perciò, se si deve scegliere tra destra e sinistra...permettendosi e confidando sul fatto di poter decidere di propria volontà, meglio ma molto meglio la seconda.

E non si tratta affatto di un discorso o di un questione politica.

Mise quindi mano alla levetta dell’otturatore e la tirò all’indietro. Per poi spingerla in avanti subito dopo.

CLICK – CLACK.

CLACK – CLICK.

Il suono della storia, come aveva detto lei. E come le diceva sempre suo padre.

Che per la cronaca...si chiamava Harry.

Fece quindi per premere in modo da far partire il colpo appena armato e messo in canna, ma sul più bello ebbe un’intuizione.

Visto che tanto era quella zona, che doveva andare a beccare e centrare...perché non partire direttamente da lì, invece di tirare in ballo piccola e grande circolazione, con il possibile quanto spiacevole e disdicevole effetto e conseguenza di ritardare e dilungare oltremodo il tutto?

Aveva già detto e promesso a sé stessa, oltre cha al suo superiore stesso, che non gli avrebbe fatto correre rischi inutili e superflui.

Giammai.

Puntò di colpo qualche decina di centimetri più in basso, quasi una spanna. Nel punto dove finivano sia lo sterno che il petto e cominciava l’addome.

Ma sempre a sinistra. Perché l’organo scelto come nuovo designato e destinatario, beh...quello, a differenza del cuore, si trovava decisamente a sinistra. Senza alcuna possibilità di errore.

Schiacciò il grilletto. E sparò, emettendo un suono ovattato e sordo.

STUMPF.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

“Mph. Hai detto bersaglio? Sicché io sarei un bersaglio? E’ semplicemente ridicolo.”

“No, invece. Non lo é affatto. Per niente. Sempre quel mio amico, che in genere frequenta ed é pappa e ciccia coi nativi delle Canyon Lands, laggiù a Zootropolis, mi diceva che passano e trascorrono gran parte del tempo a torso nudo. Ci passano intere giornate, notti comprese. E non lo fanno solo perché é una tradizione che risale ai tempi dei loro antenati. Fanno così per sensibilizzare parti del corpo che in genere rimangono sempre coperte. In tal modo imparano a sentire le diverse temperature e correnti d’aria. Riescono persino ad accorgersi quando uno punta loro addosso una piccolissima e minuscola luce laser. E dimmi...anche tu ci riesci, per caso? No che non ci riesci, é fin troppo ovvio. Perché come ti ho detto poco fa...tu non ti rendi conto di nulla.”

“Ora ti ammazz…”

“Se non mi credi, guardati la spalla sinistra.”

Zed, istintivamente, guardò la zona che gli aveva appena indicato.

“Whoops!!” Gli fece Nick, correggendosi al volo. “Intendevo un po' più in basso, anche se pur sempre a sinistra. Ma poco importa, perché tanto ti ho fregato ancora. Ti ho semplicemente giocato e fatto fesso una volta in più. Un’altra volta di più.”

Zed aveva ben guardato la sua spalla sinistra. E non vi aveva visto nulla, dato che il rosso mirino laser nel frattempo si era bello che spostato.

Portò quindi i propri occhi in giù. Ed ebbe e trovò quel che cercava.

Il perché di quello strano ribattere a base di malriusciti indovinelli da parte di quella stramaledetta volpe.

La risposta gli arrivò per mezzo di un minuscolo ma vivido e intenso quanto luminoso bollino rosso che gli era comparso all’altezza dell’addome.

Del ventre, per la precisione. E dello stomaco, per voler fare ad ogni costo gli ancora più precisi.

Due dita sopra lo stomaco, a voler proprio spaccare per forza il pelo in quattro.

L’aveva visto anche lui, finalmente, quel dannato bollino. Ma non poté fare altro.

Giusto il tempo esatto di un battito di ciglia o giù di lì, e il puntino venne immediatamente sostituito e rimpiazzato da un dardo.

Il dardo di un fucile di precisione, per l’esattezza.

“...Ma che diavolo?!” Esclamò la pantera.

Lo ghermì e lo afferrò al volo estraendolo in un istante, tra un’imprecazione sommessa e l’altra a mezze fauci.

Nick stava osservando pacifico la scena.

“Good” commentò ridacchiando. “E adesso ti starai chiedendo che succede.”

“Ma che succ…” disse il felino, che però si bloccò subito non appena si rese conto di essere cascato nell’ennesimo tranello.

“Che succede, dici?” Gli replicò la volpe. “Beh, se vuoi te lo posso dire io. Succede che adesso stiamo a vedere un po' quel che succede. E ti assicuro che ne vedremo delle belle. Ti consiglio di allacciarti le cinture, perché ti toccherà reggerti forte.”

“Ah, sì?” disse Zed. “Beh, mi spiace tanto di deluderti. Anzi...a dirla tutta non mi spiace proprio per niente. Credi che i dardi soporiferi in dotazione a voi sbirri possano funzionare? Pensi davvero che l’anestetico misto a sonnifero dentro ai vostri proiettili possa avere qualche effetto su di me? E allora sappi che non mi duole affatto dirti che non é così. Pare che mia madre ingurgitasse e ingoiasse buste su buste di stricnina, mentre aspettava di darmi alla luce. Quindi sono geneticamente portato a resistere agli oppiacei, per natura. E inoltre...l’adrenalina scorre incontrollata nel mio corpo. Da sempre. Sono in uno stato di sovra – eccitazione perenne, volpe. Perciò i sedativi sono acqua fresca, per il sottoscritto.”

“Capisco” osservò Nick. “Un’analisi davvero ineccepibile, la tua. I miei più sentiti complimenti.”

Batté una mano sull’avambraccio di quella infortunata, cercando di imitare maldestramente un applauso.

“Peccato che trascuri un piccolo particolare” continuò.

“E sarebbe?”

“Sarebbe che il dardo che ti ha appena colpito NON CONTENEVA AFFATTO UN SEDATIVO.”

“C – CHE COSA?!”

“Ricordi?” gli fece. “Te lo ricordi quel che ti ho detto poco fa, sull’allacciarti le cinture? Ecco, forse ti converrebbe fissarle alle estremità di una bella asse del water.”

“Sì, sì” affermò. “Mi sa tanto che ti conviene.”

Zed l’aveva tirato fuori praticamente al volo, ma era già troppo tardi. Perché quel genere di munizioni, così come le munizioni per spara – dardi in generale, sono praticamente a rilascio immediato, con uno stantuffo interno che espelle il liquido in essi contenuto pressoché all’istante.

La sostanza presente dentro a quel dardo si stava già facendo strada nel suo corpo, e stava già cominciando a fare il suo inesorabile effetto.

Solo che, come largamente anticipato dalla rivelazione di Nick, non fu affatto quello che ci si sarebbe aspettato da un proiettile di norma utilizzato e impiegato dalle forze di polizia e dell’ordine.

“AAHRRHH...RRRAAAARRRGGGHHH!!”

La pantera cacciò un urlo terribile seguito da un ruggito altrettanto tremendo, irrigidendosi di botto come se una scossa elettrica ad alto ed elevato voltaggio e con un amperaggio smisurato avesse attraversato il suo enorme corpo squassandolo da capo a piedi.

Poi, a seguito immediato di ciò, crollo e si accasciò al suolo tenendosi la pancia con entrambe le zampe anteriori.

I suoi sottoposti tentarono di muoversi nella sua direzione.

“Capo!!” Gridò uno.

“Capo!!” Gli fece subito eco un altro.

“Capo! Ma che ti succede?” Urlarono alcuni tra essi.

Ben presto la domanda passo di bocca in bocca, a uno dietro e dopo all’altro, in rapidissima successione, mentre gli andavano incontro.

“Fermi dove siete” intimò loro Nick. E quelli, incredibile a dirsi quanto a vedersi, gli obbedirono e gli diedero retta bloccandosi praticamente all’istante.

Forse dovevano aver capito, dentro a quelle loro zuccacce marce e vuote, che sia la faccenda che la situazione non erano più così tanto da prendere sottogamba e alla leggera.

“C – che...cosa...cosa accidenti gli hai fatto, dannato?” Gli inveì contro una delle tigri.

“Parla, schifoso!!” aggiunse il suo vicino, rincarando così al dose degli insulti. Che però allo sceriffo non dovettero fare né caldo né freddo.

“Gli ho fatto lo stesso che potrebbe succedere pure a voi, se non state indietro” rispose quest’ultimo. “E non é detto che fare i bravi possa aiutarvi a uscirne indenni, a differenza dell’armadio a quattro ante che vi ritrovate come capo” avvisò loro. “Ma visto che ormai siete al corrente che potreste fare la stessa e medesima fine...significa che non avete di fatto più nulla da perdere. Quindi, se fossi in voi e nei vostri panni, proverei a giocarmi la carta del rimanervene tutti quanti zitti e buoni. E forse potrete avere un’opportunità di tornarvene a casa ritti sui vostri piedi, anziché strisciando. Male che vada...potrete rimanere incolumi e illesi per un ulteriore minuto o poco più, e in tal modo godervi ancora qualche attimo di pace e tranquillità.”

“Andiamo…” ammiccò. “Non ditemi che non siete curiosi anche voi di vedere cosa gli é preso, e come andrà a finire?”

La gang decise di seguire quel consiglio. Che in realtà era una minaccia talmente velata e sottintesa da apparire tale.

Pareva un invito, certo. A un’esecuzione, però.

La verità é che si sentivano tutti quanti in trappola. Perché LO ERANO, di fatto.

Li aveva ridotti in sua completa balia, e sotto il suo assoluto controllo. E lo sapevano.

E pure lui lo sapeva.

“Io e il gentil signore qui presente abbiamo due paroline da scambiarci” disse loro. “E sappiate che la cosa non vi riguarda minimamente. Perciò...statevene fuori, e non rompetemi le scatole.”

“E’ chiaro?” Gli ribadì. “Vedete di non disturbarmi. Lo dico per voi, e nel vostro interesse. Quando avrò finito con questo bestione, arriverà anche il vostro turno E mi occuperò di voialtri. E’ una promessa.

Silenzio, per tutta risposta. Neppure un fiato.

Tutti d’accordo, a quanto pare. E nessuna obiezione di sorta.

Approvato e deciso all’unanimità, dunque.

Perfetto. Davvero perfetto.

Meglio così. E non soltanto per lui.

“Right” commentò. “Ottimo. Molto, molto, molto bene, direi.”

“E adesso” continuò, mentre si rivolgeva verso il grosso felino, “A noi due. Vedi, é da tanto che aspetto questo preciso momento.”

Gli mostrò e piazzò davanti le tre falangi della mano sinistra, naturalmente ad eccezione di quella opponibile.

“Tre giorni” specificò. “Da ben tre giorni, per l’esattezza. E avevo una voglia e un’impazienza che tu no ne hai davvero un’idea, guarda. Non ne hai proprio la dannata idea, amico. Pertanto non ci troverai nulla di strano se ti confesso che prima di chiudere i conti me la voglio proprio godere un po', con te. Voglio proprio godermela, davvero.”

“Nnngghhh...m – ma c – che…” bofonchiò sofferente Zed. “C – che mi hai fatto, maledetto?!”

“Vedi…” gli fece Nick, che non prese minimamente in considerazione la sua richiesta e che pertanto ignorò bellamente e completamente una qualunque possibile risposta. “L’ultima volta che ci siamo affrontati mi hai consigliato di fuggire. O di rassegnarmi e di prepararmi a morire. O addirittura di pensare unicamente a divertirmi, nel corso delle poche ore di vita che ancora mi restavano e rimanevano. Ma io, da gran bastian contrario quale sono...ho preferito impiegarle in modo differente da quelli che mi hai suggerito tu. E le ho usate soprattutto per PENSARE.”

“C – cosa? T – tu...tu sei pazzo! Sei matto da legare! I – io...io n – non ricordo di aver mai detto nulla del g...UUUURRRGGGHHHH!!”

Una nuova, atroce fitta lo raggiunse e colpì. E Zed si rannicchiò e raggomitolò su sé stesso, interrompendo la frase e stringendosi l’addome come se volesse staccarselo e strapparselo di dosso di propria e sua stessa mano.

“Ehi” gli fece lo sceriffo. “Piano. Vacci piano e vedi di non sforzarti troppo, per il tuo bene. E più che altro se ci tieni a evitare una figuraccia di palta davanti a tutti i tuoi degni compari. Come ti stavo dicendo poc’anzi...sin dal primo istante in cui mi hai sconfitto, la scorsa volta, non ho fatto altro che pensare a come avrei potuto sconfiggerti la volta dopo. E a come avrei potuto ripagarti con la stessa e medesima moneta e medicina. E ho cominciato sin da subito, se ci tieni tanto a saperlo. Fin da prima che tu te ne andassi e annunciasti l’ultimatum di tre giorni dopo i quali avresti fatto ritorno per distruggerci tutti. Sai com’é...funziona un po' come le partite sportiva a eliminazione diretta, con formula di andata e di ritorno. Una persona intelligente lo sa ed é perfettamente in grado di capire quando una sera é storta, e soprattutto quando la partita é persa. E allora sai cosa fa? Lo sai, hm? Beh, é molto semplice. Visto e constatato che non può fare molto altro, cerca di ridurre e di limitare i danni fin dove gli é possibile, almeno. E intanto pensa già alla partita successiva, incurante dell’avversario che festeggia e che lo sbeffeggia. Pensa soltanto alla partita di ritorno. E a quando gli rifilerà il doppio dei punti che ha subito e che si é ritrovato costretto a incassare. And last but not least...in ultimo, alla soddisfazione che ne ricaverà, vedendo lo smacco di chi credeva e si illudeva di aver già vinto prima del tempo. Ed é esattamente ciò che ho fatto io.”

“Mi vedo obbligato ad ammetterlo” disse, indicandolo. “Anche se in fin dei conti non mi costa poi questo gran che, farlo. Non mi costa proprio nulla, tutto sommato. Devo riconoscere che sei dotato di una forza a dir poco impressionante. Davvero spaventosa. Ma…”

Nick si portò l’indice a lato della tempia.

“Ma io ho QUESTA, però” gli rivelò. “E ti assicuro che quando si mette in moto fa PAURA. E sa essere molto più insidiosa, pericolosa e micidiale di tutti i tuoi bravi muscoloni pompati messi assieme.”

“Ovviamente sto parlando della mia testa” gli specificò. “ E del cervellino che gli sta dentro, bello comodo comodo. Devi sapere che il ragazzo é una vera scheggia almeno quanto lo é la padrona di casa, se non di più. Al punto che certe volte persino io fatico a starci dietro, quando il buon vecchio spinterogeno che lo fa funzionare si mette a carburare a pieno regime. E macina macina...ha finito per suggerirmi la dritta che aspettavo, e che gli chiedevo. E me ne ha suggerita pure una davvero bella. Talmente bella che ero impaziente persino di realizzarla. E allora ho finito col chiedermi una cosuccia. Tu, col fisicaccio che ti ritrovi, devi essere come minimo invulnerabile a qualunque tipo di attacco proveniente dall’esterno. Però...però chissà se il discorso vale anche per L’INTERNO DEL TUO CORPO. E così...ho voluto provare una certa cosuccia, per vedere se funzionava. E a giudicare da ciò che vedo, sta funzionando davvero alla grande.”

“Oh, sì” confermò prontamente a sé stesso. “Ha funzionato davvero alla grandissima. Al cento per cento, proprio. D’altronde il vecchio adagio non sbaglia mai. Ovvero...puoi fermare i solidi, ma non i liquidi. Puoi essere abbastanza forte e potente da poter abbattere persino un muro, ma per quanto tu possa impegnarti non potrai mai fermare l’acqua che scorre. Inoltre...devi sapere che un fiume in piena non può rompere un’asse di legno. Tutta la furia della sua corrente impetuosa non può riuscire a spezzarla. Ma una goccia d’acqua per quanto piccola e minuscola che sia, goccia dopo goccia insieme e in compagnia di tutte quante le sue care sorelle gocce...può arrivare persino a bucarla.

La pazienza infinita di una serie di singole, placide ma insistenti e caparbie stille messe insieme e una dietro e dopo all’altra riescono a perforarla fino a trapassarla da parte a parte.”

“Questo é ciò che mi ha trasmesso e tramandato la saggezza del delinquente e del mariuolo che campano alla giornata, tra mille espedienti” dichiarò. “E questo é quel che mi ha insegnato la legge della giungla e della strada. E ora ne ho appena avuto la prova. Ciò che sta accadendo e succedendo mi ha fornito l’ennesima e sacrosanta riprova che é vero. Che E’ TUTTO VERO, perdiana.”

Zed, in tutto questo, era ancora lì a terra che se la rantolava alla grande. Ma tra un lamento rabbioso e l’altro riuscì di nuovo a trovare la forza di articolare alcune frasi da potersi considerare di senso compiuto, nonostante sia i propositi che i contenuti in esse fossero da considerarsi come al solito a dir poco nefasti.

Tanto per cambiare. E sai che novità.

“Nnrrrgghhh...M – maledetto…” mugghiò, tra una scarica di intenso dolore e l’altra. “...C – che...che tu sia maledetto...giuro che ti ammazzerò...ti ammazzerò, dovesse essere l’ultima cosa che faccio in vita mia…”

“Ma finiscila, sottospecie di impiastro” minimizzò la volpe. “Sul serio, vedi di finirla. Ma guardati. Sei lì che non ti reggi nemmeno in piedi e ancora osi avere il coraggio di sputare e sbavare minacce? Sei a dir poco ridicolo.”

“Se proprio ci tieni a saperlo mi farai morire sì, di questo passo” asserì. “Ma dal ridere, però.”

“M – maledetto” continuò Zed, incurante della fresca e recente battuta. “I – io...io giuro che ti strappo il cuore...a – adesso vengo lì e ti apro il torace in due c – con le mie stesse zampe, e p – poi ti strappo il cuore dal petto...t – ti faccio a pezzi…”

“PIANTALA!!” Lo zittì Nick, con la voce seccata e alterata dall’ira.

Era davvero spazientito, stavolta. E a dirla tutta doveva cominciare ad averne abbastanza di quella solfa.

“Falla finita” gli intimò. “Inizio ad averne veramente piene le tasche, dei tuoi sproloqui a senso unico. Ti strappo il cuore, ti faccio a pezzi...ma non sai dire proprio altro? Non ne posso più, di te e delle tue scemenze. Quando parli mi pare di stare ad ascoltare un nastro magnetico che si é inceppato. Sei peggio di un disco rotto, amico. Quello, mi sembri.”

“La sai una cosa? Dovresti cominciare a migliorare e a rinverdire un poco il tuo repertorio, campione” gli consigliò. “Tutti i comici lo fanno, sai? Arriva per tutti il momento in cui bisogna innovare. E sapersi rinnovare, pure. E comunque...ricordati e tieni a bene mente quel che sto per dirti. E cioé che la legge della strada di cui ti ho parlato poco fa mi ha insegnato anche un’altra bella cosuccia. Ovvero che tra l’asfalto e i marciapiedi contano soprattutto i FATTI, non le parole. Perciò quando vuoi fare per davvero la pelle e il contropelo a qualcuno che non sopporti o con cui ce l’hai...non ti stai tanto a perdere dietro alle ciacole e alle chiacchiere inutili e senza costrutto. Sulla strada...prima AMMAZZI, e poi parli. Solo dopo che hai fatto andare e menato le mani o qualunque cosa stiano stringendo per fare del male...solo dopo puoi permetterti di aprire bocca.”

“Soltanto dopo” gli ribadì, “e non un secondo di meno. E a tal proposito…”

Nick interruppe di colpo il suo edificante discorso e cominciò a guardarsi in giro. Ma per sua fortuna non dovette cercare a lungo per scovare ciò di cui aveva bisogno, e che aveva deciso di impiegare e di usare.

“Ecco qua” disse, raggiante. “Proprio quel che mi serviva.”

Fece qualche passo puntando deciso verso destra, raggiungendo così il ciglio e il bordo della strada.

Sul finire e sul confine della carreggiata, proprio dove partiva la banchina esterna, d’improvviso si abbassò piegando e mettendo in orizzontale la schiena mentre rovistava con la mano in mezzo all’erba folta e fitta.

Poco dopo si rialzò, mostrando a tutti quel che aveva appena rimediato e trovato.

Era il ramo di un albero. Piuttosto secco ma ancora bello robusto. Nonché nodoso.

Un superstite scampato miracolosamente ai due falò, veniva da aggiungere.

“E’ perfetto!” Esclamò, esibendolo con aria trionfante mentre lo stringeva forte nel proprio palmo. “Semplicemente perfetto.”

Lo soppesò e e lo rivoltò più e più volte. Un’impresa non di certo facile, se si consideravano le dimensioni e la stazza dell’arbusto in questione.

Era piuttosto voluminoso, e di conseguenza doveva anche essere parecchio pesante. Soprattutto per il fisico slanciato e asciutto ma non certo possente di una volpe. Indipendentemente dal fatto dei muscoli di cui poteva disporre e da quanto li avesse potuti allenare.

Si riavvicinò a Zed, ancora a terra dolorante.

“Sai” gli raccontò, “tempo fa, quando il wrestling era una sport autentico dove ci si picchiava per davvero e non la baracconata da fiera che conosciamo oggi dove si urlano, sbavano e sputano minacce unicamente da un microfono...quelle che i combattevano tra el corde del ring erano battaglie, all’ultimo sangue, non messinscene coreografate a studiate a puntino con tanto di copione. E mi ricordo che c’era un lottatore, un certo Dowalski o qualcosa del genere, che al termine di ogni match tagliava i lobi delle orecchie agli avversari sconfitti, e poi se li portava dietro con sé. In un sacchetto o attaccati a una collana, ora non ricordo. Beh...voglio e ci tengo a informarti di stare tranquillo e sereno, e di non avere paura. Io a certi livelli non ho minimamente intenzione di arrivarci. Sono e resto pur sempre un tutore della legge, dopotutto. Perciò...credo che mi accontenterò di molto meno. Per questa volta, s’intende.”

E poi, senza più dire una sola parola in aggiunta, gli tirò una decisa legnata in piena faccia.

Fu una manovra ampia, che partì dal basso come lo swing eseguito con un ferro o una mazza da golf.

Eseguito a metà, dato che con un solo arto superiore non poteva di certo fare altrimenti o più di quello. Ma che però risultò ugualmente potente e preciso. Ma soprattutto efficace.

Di quelli che buttano la palla in buca con un solo colpo e al primo colpo.

HOLE IN ONE.

La parte più grossa gli atterrò tra la mascella e la guancia, e l’impatto fu micidiale quanto devastante.

La botta sbalzò letteralmente Zed di lato facendolo atterrare su di un fianco. Sopra il quale si accasciò mollemente qualche istante più tardi, completamente svenuto e privo di conoscenza.

Una coppia di pre – molari se ne volarono per aria, scalzati fuori dalla loro sede naturale incastonata nelle gengive.

Via. A conoscere il mondo o almeno una sua porzione. Quella consentita dall’intensità della mazzata appena ricevuta di fresco.

“Yippie ka – yeah, gran pezzo di carognone” annunciò Nick, con una serietà da metter spavento. “E ringrazia pure che quello che ho usato era il mio braccio più debole, altrimenti non te la saresti cavata così con poco. Considerati fortunato.”

Già. Fortunato. Ma anche lui lo era.

In condizioni normali quello non sarebbe stato che un misero bastoncino, per uno così.

Uno stecchetto da gelato. O da ghiacciolo, giusto per rimembrargli e ricordargli i vecchi affari e la sua vecchia attività. Con cui non gli avrebbe fatto praticamente nulla.

Ma adesso quel bestione aveva i suoi dolori addominali a cui badare e di cui doversi occupare.

Dolori che a quanto pare dovevano averlo infiacchito e indebolito abbastanza e a sufficienza.

Per come stava messo, ora lo si sarebbe potuto buttar giù con un soffio.

Un soffio. Oppure quello che gli uscì subito dopo.

E non dalla bocca o dalle labbra, che si sappia. Ma da tutt’altro genere di foro intimo.

Nel momento stesso in cui gli enormi bicipiti del felino si rilassarono insieme a tutto quanto il resto del suo gigantesco e spropositato corpo, per via della perdita di conoscenza dovuta al trauma, si udì una sorta si sfiato, come se qualcuno si fosse messo a tentare e a pretendere di eseguire un assolo con un sassofono o un oboe.

Entrambi rotti e sfondati, a giudicare dal suono emesso.

Alla nota visibilmente stonata di trombetta ne fece eco un’altra ancora più rumorosa. Seguita a ruota da un puzzo e da un olezzo a dir poco nauseabondi, mentre nello stesso e medesimo istante una sorta di inequivocabile rigonfiamento apparve all’interno dei pantaloni di Zed.

All’altezza del suo posteriore e appena sotto alla coda.

Si era lasciato letteralmente andare, e non certo in senso metaforico.

Nick arretrò di qualche metro, giusto quanto occorreva per uscire dal raggio d’azione di quel fetore tremendo quanto micidiale.

Fece giusto a tempo. Anche perché il suo era da considerarsi un gesto pienamente calcolato, in quanto era l’unico a sapere cosa sarebbe successo appena dopo lo sparo.

Era l’unico lì a sapere cosa attendeva quelli. E com’é che sarebbe andata a finire.

Gli altri, presi alla sprovvista, non poterono fare altro che prenderselo in pieno.

Non appena l’insopportabile tanfo giunse alla portata delle loro narici e del loro olfatto ipersensibile di predatori, si ritrassero disgustati cercando di tapparsi il tartufo chiudendoselo e serrandoselo tra pollice e indice.

Ma era troppo tardi, ormai. Si erano mossi con quell’attimo in più. E di troppo.

L’odore aveva fatto a tempo a penetrargli nelle mucose e nelle parti molli, e a venire assorbito da esse.

“Uuuurrrggh!!”

“Aaagghh!!”

“Urgh! M – ma...ma é terribile!!”

“M – mi…mi vien da vomitare! Che schifo! C – che schifo immondo!!”

Non ci misero che un secondo a comprendere di cosa si trattasse.

La stessa sostanza in cui capirono di esser finiti tutti quanti, al gran completo. Con la sola e unica differenza che il loro capo sembrava esserci finito dentro per davvero.

Qualcuno finì scosso dai conati. Ma non ributtò fuori nulla, anche perché aveva già dato quando Zed aveva fatto polpette e poltiglia del loro compagno. Che aveva avuto la sola colpa di essersene uscito con la farse sbagliata al momento sbagliatissimo come risposta.

Avevano più o meno realizzato cosa stava accadendo. Ma nonostante ciò, non si trattennero né si astennero dallo sparare una sequela di domande.

La solita e trita sfilza di quesiti elementari quanto inutili, perché la risposta era palese. E ce l’avevano sotto agli occhi.

In più l’interrogato, messo com’era, non poteva certo rispondere.

“C – capo! Capo!!” Fece uno. “M – ma...ma che ti é preso?!”

“C – che...ma che ti sta succedendo?!”

Fu Nick a rispondere per lui, dato che non poteva di certo.

“Oh, anche questo é molto semplice, in realtà” disse. “Talmente facile da non necessitare di una spiegazione. E infatti vi lascerò il brivido di scoprirlo da soli, e per vostro conto.”

“C – che...ma che significa?!” Domandò una donnola, con tono allibito.

L’unica superstite di quella specie all’interno dell’allegra combriccola, dopo che quel pazzo furioso del loro capo aveva gettato l’altra sotto ai pneumatici del suo stesso veicolo. Per i motivi che sono stati già ben esplicati qualche riga più sopra.

“Che diavolo significa?!” Gli ridisse, aumentando il tono sia di volume che di allarme. “Parla, dannato!!”

“Significa che intanto che mi stavo godendo lo spettacolo, ho preso la mia decisione” rispose la volpe. “E ho stabilito che tra poco vi accadrà la stessa cosa.”

“No!!” Reagì uno della combriccola. Un orso, nella fattispecie.

“Non se possiamo impedirtelo, capito?” gli fece eco un altro, pur con parole diverse.

“Vendicheremo il nostro capo!!” Aggiunse un altro ancora.

“Preparati a morire, bastardo!!”

Quello fu l’ultimo commento. Dopodiché, gli si scagliarono addosso.

Nick, pur vedendoseli arrivare e piombare addosso di così gran carriera e pieni di rancore misto ai più bellicosi quanto minacciosi propositi, non si scompose minimamente.

Con tutta la calma del mondo e di cui disponeva portò la mano verso la propria schiena e pressa ad armeggiare con la parte posteriore della cintura.

Da lì estrasse e tirò fuori un walkie – talkie, lo portò all’orecchio e premette il pulsante di trasmissione, dando il via alle comunicazioni.

“Maggie?”

“Sì, capitano?” rispose una voce dall’altra parte della minuscola cassa e proveniente dal ricevitore opposto e ad esso direttamente collegato.

“Spara” le ordinò.

“Spara a tutti, Maggie” ripeté, soltanto. “Spara a tutti quanti.”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Salve a tutti, rieccomi qua!!

Chiedo scusa per la lunga attesa, ma finalmente il nuovo capitolo é pronto.

Diciamo che ho avuto un periodo un po' incasinato, ragazzi.

Tanto per cambiare.

Un motivo ve l’ho anticipato la volta scorsa, quindi ben capirete di che si tratta.

Sto spedendo il manoscritto del mio romanzo un po' dappertutto, nella speranza che possa interessare a qualcuno.

E intanto, già che ci sono, l’ho iscritto anche a qualche concorso letterario.

Bisogna tentarle un po' tutte, come dico io.

Incrociamo le dita…

Ma ci sono novità anche nella vita quotidiana.

Sul lavoro mi hanno trasferito di reparto dopo ben 22 ANNI.

Al momento non faccio più il turno di notte.

Forse ci smenerò un pochetto dal punto di vista pecuniario, ammettiamolo pure.

Ma finalmente la sera riesco a tornare a casa dalla mia dolce metà e dalla mia piccola.

E questo, come diceva una vecchia pubblicità...NON HA PREZZO.

Dopotutto mia moglie ha ripreso a lavorare, quindi...dovremmo cavarcela ugualmente.

Stando a quel che dicono i miei capi, si tratta di una soluzione temporanea e non durerà per sempre.

Vedremo. Intanto, a me va benissimo così.

Qualche novità anche dal punto di vista puramente letterario.

Per quanto riguarda le mie fanfiction, s’intende.

Ho cambiato il programma di scrittura, e questo mi pare un po' più affidabile.

Il che si dovrebbe tradurre in meno errori (una cosa che da sempre mi fa venire il cimurro, se mi consentite l’espressione), e quindi un po' meno lavoro per il mio stimatissimo collega Joseph, che mi fa da editor.

Si spera, almeno. Ma non garantisco niente.

Ma veniamo al capitolo.

Allora...che ne pensate?

Io mi sto ancora ribaltando per terra dal gran ridere. L’ho trovato esilarante, nella sua cattiveria.

Sono stato contento di riuscire a far riemergere il lato più canagliesco e “carogna” di Nick, chiara eredità di quando era un criminale incallito.

Ma per le considerazioni finali preferisco attendere la prossima e ultima parte.

Sì, se non erro e se non ricordo male vi avevo annunciato che questa sarebbe stata l’ultima, ma...se avessi scritto tutto sarebbe venuto fuori il doppio delle pagine, e alla fine sarebbe risultato un polpettone indigeribile.

Ritengo che sarebbe stato comunque piacevole da leggere, ma sono anche convinto che il troppo stroppia.

Ci sono ancora un paio di colpi di scena mica male (uno riguarda da vicino sempre il collega Joseph. Diciamo che si tratta di un favore da amico. O per lo meno é così che é partito, ma si sta rivelando una sfida appassionante), e preferisco tenermeli per la prossima volta.

Porta pazienza, Joseph. Ti tocca attendere ancora un’altra puntata.

Ma ci siamo quasi.

E poi...Zed e i suoi stanno ricevendo finalmente la lezione che meritano. E che si meritavano da un bel pezzo. Senza contare che Nick si sta prendendo una rivincita coi fiocchi.

Che soddisfazione, gente. E le soddisfazioni vanno centellinate. In tal modo le si assapora meglio, e di più.

La nostra volpe se lo sta davvero godendo, il suo attimo di gloria. E noi con lui.

Almeno me lo auguro. Io, senza alcun dubbio.

In quanto a voi, ragazzi...spero vi piaccia altrettanto.

Tirando le debite somme, ho ancora un mesetto prima della consueta pausa estiva.

Conto di pubblicare il prossimo prima della partenza, in modo da non lasciare la faccenda in sospeso.

Passiamo all’angolo della colonna sonora.

Ho selezionato tre pezzi, uno più bello dell’altro. Ma questa volta voglio tentare un esperimento diverso.

Inizialmente i brani in questione erano stati pensati per un capitolo unico, e quindi ascoltati per tutta la sua durata. Ma visto che ne ho aggiunto uno ulteriore...facciamo così: teneteveli buoni anche per il prossimo, via.

Poco male, direi: almeno con il successivo, se vi va, saprete già cosa ascoltare sin dall’inizio. E sarete già pronti con il pezzo scelto in canna.

E ora veniamo alle musiche:

 

- I LOVE IT degli Iconapop;

- THE ROCK SHOW dei Blink 182;

- KICK ASS (WE ARE YOUNG) di Mika.

 

Quest’ultima, poi, rispecchia alla perfezione la situazione che si é venuta a creare.

Nick li sta letteralmente prendendo A CALCI IN CULO, proprio come indica il titolo. E lo si noterà ancora di più nella successiva (e ultima per davvero, stavolta) parte.

Tre canzoni dal gran ritmo, e soprattutto allegre.

Perché la vendetta da parte del nostro sceriffo ha quasi un retrogusto demenziale, paragonato al tono epico e drammatico dello scontro precedente.

Diciamo che per la stesura mi sono fatto un adeguato ripassino ripescando dalle pietre miliari della commedia farsesca, come SCUOLA DI POLIZIA e LA RIVINCITA DEI NERDS.

Bene. E ora, prima di chiudere, veniamo al consueto angolo dei ringraziamenti.

Un grazie di cuore a Sir Joseph Conrard e a Devilangel476 per le recensioni all’ultimo capitolo.

E come sempre, un grazie anche a chiunque leggerà la mia storia e se la sentirà di lasciare un parere.

Grazie ancora a tutti e alla prossima!

 

See ya!!

 

 

 

 

Roberto

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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