L'ombra del giorno
Ripercorrendo il lungo corridoio di entrata, i suoi pensieri erano stati invasi dai ricordi strazianti del giorno in cui scoppiò la Grande Guerra: nella sua mente poteva sentire le urla atroci e visualizzare i volti terrorizzati e addolorati dei suoi vicini, sconvolti dall'esplosione vissuta pochi istanti prima dell'arrivo in quello che doveva essere un rifugio sicuro, la loro nuova casa.
La voce di Nate riecheggiava nella sua testa. "Andrà tutto bene, vedrai", diceva.
Forse in un'altra vita.
Gli scheletri degli addetti della Vault Tec giacevano immobili a terra, immutati, così come li aveva ritrovati al suo risveglio. Non poteva non provare un odio viscerale nei confronti di quegli spregevoli uomini: avevano recitato meticolosamente il ruolo di salvatori, tanto da farle credere davvero che, con o senza guerra, non avrebbe mai perso la sua famiglia. Invece, la Vault Tec era riuscita a sacrificare, senza ritegno e per mera ambizione scientifica, le vite di cittadini ignari e innocenti che avrebbero dovuto essere rispettati, protetti, difesi.
I passi della donna si fecero macigni a mano a mano che si faceva strada verso la sala criogenica. Il suo sguardo era vuoto, come se fosse in trance, sembrava quasi che il suo corpo si muovesse per automatismo e aveva sparato passivamente agli scarafaggi radioattivi che incontrava sul suo cammino, senza nemmeno metterli a fuoco.
Senza accorgersene, aveva raggiunto la sua destinazione. Dopo un iniziale blocco, Nora prese coraggio e osservò coloro che, duecento anni prima, erano i suoi vicini: sembravano delle statue, le cui espressioni accigliate e sconvolte parevano maschere di teatro da impiegare per rappresentazioni drammatiche.
Anche Nate era ancora lì, esattamente come l'ultima volta che l'aveva visto. Avrebbe voluto percepire il calore di suo marito che le infondeva sicurezza nei momenti di difficoltà, che la faceva sentire a casa; invece, l'unica cosa che riusciva ad avvertire era un dolore lacerante, come se fosse provocato da un coltello affilato che le trafiggeva il cuore e le mozzava il respiro.
Percepì il proprio corpo inibito, come se si fosse tramutata in pietra. La testa le girava, la vista era annebbiata e un viscido brivido le risalì la schiena sino ad arrivarle al capo. Le sembrò di rivivere quel momento infernale: i due malviventi che aprivano la capsula criogenica di Nate, il fatale colpo sparato a sangue freddo, come se fosse tutto un mero gioco, il rapimento di Shaun, la sua dannata impotenza. Si sentiva come se le avessero strappato via le budella e l'avessero, poi, gettata in un abisso oscuro di cui non riusciva a raggiungere il fondo.
L'Unica Sopravvissuta, per la prima volta da quando aveva lasciato il Vault, cadde a terra come se un peso insostenibile l'avesse schiacciata tutto d'un tratto, lasciandosi andare allo sconforto. Un dolore straziante le aveva invaso il petto, lacrime amare sgorgavano dai suoi occhi, le guance arrossate ardevano come se stesse bruciando all'inferno.
Morire.
Avrebbe voluto morire piuttosto che dover rinunciare a suo marito, a suo figlio, alla sua famiglia.
Avrebbe voluto morire piuttosto che imbracciare pistole e fucili e lasciare dietro di sé masse di cadaveri massacrati e sanguinanti.
Avrebbe voluto morire piuttosto che diventare una donna senza tempo in un mondo in rovina, a tratti primitivo, dove la cultura e le virtù in cui credeva persistevano a stento, soppiantate da uomini grezzi, incivili e crudeli.
Eppure, l'Unica Sopravvissuta si era armata di coraggio e si era adattata a quella realtà grottesca di cui non faceva parte e nella quale mai avrebbe voluto vivere. Del resto, il suo sogno era quello di contribuire a portare giustizia nel mondo attraverso la sua carriera nell'ambito legislativo e, paradossalmente, si era ritrovata a dover fronteggiare l'anarchia più assoluta che regnava in quelle terre desolate e devastate.
Ma che cosa avrebbe potuto fare, altrimenti? Aveva il diritto di ritrovare il proprio bambino portatole via ingiustamente, aveva il dovere di uccidere quei bastardi che avevano strappato via la vita a Nate.
Si era appellata a tutta la forza che non credeva di avere, aveva scelto di lottare con i denti e con le unghie per i suoi ideali e per la sua famiglia, anche a costo di sprecare e spendere il resto della sua vita nella ricerca, vivendo della sola speranza di poter riabbracciare almeno il suo tanto desiderato bambino.
A che cosa le era servito rischiare così tanto, però?
Si rese conto di essere stata una marionetta in mano a uno spietato burattinaio soltanto quando la sua ricerca era giunta al capolinea: quella speranza di cui si nutriva la sua anima era stata brutalmente spazzata via dopo aver trovato il suo Shaun a capo dell'organizzazione più temuta del Commonwealth, invecchiato e con un cancro allo stadio terminale. Dovette sacrificare la vita di suo figlio per il bene di tutta la specie umana, per evitare che questa venisse soppiantata senza pietà dai crudeli sintetici dell'Istituto, solo per dare una speranza ai pochi cittadini di buon cuore che abitavano in quel luogo e che le avevano infuso coraggio nei momenti in cui avrebbe voluto rinunciare.
Ma aveva perso tutto, inevitabilmente: non aveva più una casa, non aveva più l'amore di suo marito e di suo figlio. La sua vita era stata calpestata dai governi del mondo di duecento anni prima che preferivano portare morte e distruzione sui propri cittadini per arricchirsi e per soddisfare le proprie manie di potere, controllo e conquiste, piuttosto che tutelarli, migliorarne le condizioni di vita e garantire loro un futuro di benessere e prosperità.
Fu proprio arrivata all'epilogo della sua disperata ricerca che Nora capì: non poteva correggere la sua sorte e plasmarla secondo i suoi desideri, non poteva riportare indietro la sua famiglia in quel mondo che non le apparteneva più. Aveva tentato di ingannare se stessa. Quella dimensione distorta che si era creata non era destinata a durare a lungo: non sarebbe bastato cercare di ricostruirsi una nuova vita o provare a legarsi ad altre persone per dimenticare il dolore delle perdite subite, poiché quei demoni l'avrebbero tormentata fino alla fine dei suoi giorni.
L'unica soluzione che le sembrava plausibile era quella di abbandonare il palcoscenico che l'aveva vista come eroina del Commonwealth e accettare definitivamente il proprio fato.
Nora si rialzò, entrò nella stessa capsula criogenica dalla quale era partita la sua ricerca di vendetta e la chiuse: la sua temperatura corporea iniziava a scendere vertiginosamente e i suoi muscoli si irrigidivano istante dopo istante.
Esalò l'ultimo respiro, mentre la sua vista si annebbiava, e chiuse gli occhi, con in mente l'immagine di un mondo in cui la guerra non era mai avvenuta e la sua famiglia viveva felice e spensierata.
NdA:
Questa è una vecchia fanfiction del 2017 che ho deciso di rispolverare quest'anno, con lo scopo di riprendere la mano con la scrittura, in modo da potermi dedicare alla stesura di storie originali, con personaggi e ambientazioni creati da me, e non più alle fanfiction.
Ricordo di aver preso l'ispirazione per questa storia dalla canzone Shadow of the day dei Linkin Park, da cui deriva anche il titolo. Ho cercato di dare una certa profondità a tematiche spesso ignorate da noi giocatori, di umanizzare la protagonista, cercando, tuttavia, di non appesantire troppo l'introspezione (già di per sé l'argomento è gravoso, me ne rendo conto).
Non scrivo da una vita e ho terminato stesura+revisione alle 2:30 di notte, pertanto potrebbero esserci delle imprecisioni o degli errori che provvederò a ricontrollare successivamente o previa segnalazione da parte di voi lettori.
Grazie di aver letto, se vi va lasciate anche solo una riga per farmi sapere che cosa ne pensate, mi farebbe molto piacere sentire i vostri pareri!
Aresshya
Pies: giuro che non tutti i miei scritti sono drammatici.