“Un
vero carattere riesce sempre
a emergere nei grandi momenti”
CAPITOLO 6
L’INGANNO
Su Erthea esisteva un gioco, il madara, molto popolare soprattutto tra l’aristocrazia, affine
per alcuni aspetti agli scacchi del mio vecchio mondo.
Si
giocava su una scacchiera undici per dodici, con due dadi a dieci facce e un
set da nove pezzi, e impararne l’arte era ritenuta una parte fondamentale della
formazione di ogni nobile rampollo.
La
cosa interessante di questo gioco era che non esistevano pezzi predeterminati,
e a condizione di farlo rientrare in una delle sei categorie che suddividevano
le varie pedine –ognuna contraddistinta da punti d’attacco, punti difesa e
punti vita– ogni giocatore poteva crearsi il pezzo che voleva, dargli un nome e
schierarlo in qualunque momento sulla scacchiera in una casella a sua scelta
tra quelle che componevano le prime due file, chiamate Castello, che
rappresentavano la base da cui il giocatore, nei panni di sovrano, guidava la
sua armata.
A
differenza degli scacchi lo scopo finale del gioco non era tanto quello di
infliggere lo scacco matto, ma la sconfitta di ogni singola pedina
dell’avversario; oppure, si poteva portare una pedina ad occupare la casella dorata
che stava al centro dei due Castelli, la Sala del Trono, alla quale per
consuetudine si lasciava a difesa il proprio pezzo più potente.
Impararne
le regole era stata per me una passeggiata, e negli anni avevo impartito sonore
lezioni a tutti i giocatori che avevano osato sfidarmi, guadagnandone in denaro
e prestigio.
Ora
era giunto finalmente il momento di dare inizio alla più grande e memorabile
partita di madara che Erthea avesse mai visto.
Ogni
cosa era stata predisposta nel modo corretto.
Avevo
scelto la scacchiera, analizzato il mio avversario e creato le mie pedine.
C’erano
tutti i pezzi di cui avevo bisogno: il Mercante, i Mostri, i Plebei, il Capitano,
la Saggia e il Dragone.
Ora
non restava che far scendere in campo l’ultimo pezzo, il Generale, e dare
inizio al gioco.
Erano
passati quasi sei anni da quando mi ero risvegliato in quel mondo; sei anni
passati a tessere trame, creare alleanze e pianificare con attenzione ogni mia
singola mossa, sia quelle già fatte che quelle che mi apprestavo a compiere.
Conoscevo
il mio avversario meglio di quanto lui conoscesse sé stesso, e potevo leggere
nella sua anima come un libro aperto.
Mancava
solo l’ultimo tassello, la prima tessera del domino, quella che una volta
ribaltata avrebbe dato inizio all’inarrestabile effetto a catena destinato a
cambiare per sempre il destino non solo di Erthea, ma di quell’intero mondo.
E
quella tessera ce l’avevo proprio lì, chiusa nel pugno.
Un
semplice pezzo di carta.
Mai
prima d’ora avevo provato così nitidamente la sensazione di stringere
letteralmente tra le mani lo strumento in grado di cambiare il corso della
storia.
Sarei
un bugiardo se dicessi di non aver mai considerato in tutti quegli anni almeno
un paio di volte di lasciar perdere tutto.
Chi
me lo faceva fare, del resto?
Rivivere
daccapo eventi come quelli che avevano attraversato la mia precedente vita,
seppur con rinnovata consapevolezza?
Ma
anche i dubbi ormai erano alle spalle.
La
verità era che l’ultima cosa che mi era passata per la mente un attimo prima di
esalare l’ultimo respiro era stato il pensiero di cosa sarei stato capace di
realizzare se avessi conosciuto anzitempo le conseguenze delle azioni che mi
avevano condotto alla rovina.
Ora
potevo rispondere a quella domanda.
«Il
dado è tratto.»
Da quando mi ero trasferita a vivere
a casa di Daemon mi ero accorta che qualcosa nel modo in cui mi rapportavo con
lui era cambiato.
Quando
era bambino dormivamo spesso nello stesso letto, e un paio di volte ci eravamo
perfino fatti il bagno insieme. Ora invece il solo fatto di stare nella stessa
stanza insieme a lui era sufficiente a farmi agitare, e se provavo a guardarlo
negli occhi mi ritrovavo ad arrossire e balbettare come una stupida.
Non
capivo cosa mi stesse succedendo, e rifiutavo a priori l’idea che potessi stare
iniziando a provare qualcosa per lui che andasse oltre il naturale affetto tra
fratelli.
In
fin dei conti ai miei occhi lui restava pur sempre un bambino, anche se ormai
guardandoci chiunque avrebbe potuto pensare che avessimo quasi la stessa età.
Una
notte avevo sognato di vederlo in piedi accanto al mio letto che mi fissava con
il suo occhio severo, tenendomi nel mentre il dito indice poggiato al centro
della fronte, e al risveglio ero così imbarazzata da avere la sensazione che la
mia pietra del servo vibrasse al ritmo dei battiti del mio cuore.
Così,
per evitare il ripetersi di certe situazioni imbarazzanti, avevo deciso di
andarmene, stabilendomi nel mio vecchio nascondiglio segreto in mezzo alla
foresta, reso abitabile con qualche accorgimento e molto lavoro.
Qui
passavo il mio tempo andando a caccia, esercitandomi con la spada e,
incredibile a dirsi, studiando.
Daemon
in questo era stato categorico, dandomi libri e libri da leggere ed imparare, e
se solo provavo a lamentarmi della cosa venivo puntualmente rimproverata come
una bambina.
All’inizio
avevo protestato reputandola una perdita di tempo, ma più cose imparavo e più
mi convincevo di quanta conoscenza ci fosse nel mondo, cose fantastiche che
finalmente da ragazza libera avevo la possibilità di apprendere come e quanto
volevo.
Grazie
a Daemon e ai suoi insegnamenti stavo imparando tantissime cose di matematica,
alchimia, letteratura, geografia e molto altro.
Ma
più di tutto era stata la filosofia a spalancarmi un mondo davanti agli occhi.
Daemon
diceva che quando era piccolo aveva potuto leggere molti libri di famosi autori
dai nomi impronunciabili –qualcosa come Voltaire, Rousseau, Kant– che l’Impero
qualche tempo prima aveva confiscato e nascosto reputandoli pericolosi, ma che
lui aveva memorizzato e pazientemente ricopiato.
Leggendoli,
mi ero resa conto perché gli umani non volessero che qualcuno li leggesse. Al
loro interno si parlava di cose come la libertà universale, l’uguaglianza di
tutti gli esseri senzienti, ma soprattutto una critica alla schiavitù a cui noi
mostri eravamo costretti da secoli.
Quindi,
mi ero detta, Daemon non era l’unico, e come lui c’erano altri umani che
pensavano che quello che ci veniva fatto fosse sbagliato. Forse dopotutto c’era
qualcosa in loro che valeva la pena di salvare; perché, mi ero detta, se tra
loro c’erano persone capaci di simili pensieri, o di dare vita a meraviglie
come quelle di cui avevo letto in quei mesi nei campi più diversi, voleva dire
che la loro non era poi una specie così cattiva.
Nel
mentre l’inverno aveva ceduto il passo alla primavera, e con essa era giunto
infine il giorno che mai avrei voluto vedere.
Il
giorno dell’addio.
In
fin dei conti sapevo che prima o poi doveva finire.
Anche
se ormai erano anni che Daemon aveva smesso di vivere al ghetto il patto che
avevamo stabilito il giorno in cui l’avevo portato a Ende
rimaneva immutato, e con l’arrivo del suo sedicesimo compleanno si era infine
giunti anche al giorno in cui avrebbe dovuto abbandonare la provincia per non
tornare mai più.
Il
solo pensiero di vederlo andar via per sempre mi faceva morire, rendendomi
scontrosa e irritabile.
Quasi
che avesse intuito il mio pensiero, lui si era affrettato a dirmi che non gli
importava di dovere andare via, e che non era saggio che andassi con lui.
«Drufo verrà via con me.» aveva detto, facendomi salire un
moto d’invidia verso quel maledetto caprone annoiato dalla vita «Ormai è troppo
abituato a vivere libero per fare ritorno al ghetto. Ma tu puoi restare qui se
vuoi. Ti lascio in eredità la baita e tutto quello che possiedo. Usali come
meglio credi.»
Parlava
come se dovesse morire, ma dal mio punto di vista era praticamente così: perché
sapevo che non ci saremmo rivisti mai più.
Che
cosa me ne dovevo fare della casa, dei libri o dei suoi archi senza di lui?
Ma
se da una parte avrei voluto seguirlo, dall’altra ero troppo legata ai miei
compagni e alla loro miseria per andarmene così, libera e felice, lasciando
loro a patire la schiavitù.
Decisi
di prendermi un po’ di tempo per riflettere. Per il momento sarei rimasta a Ende, magari cercando di aiutare i miei compagni come
Daemon per tanto tempo aveva aiutato noi, poi forse un giorno avrei preso a mia
volta la mia strada, magari per partire alla sua ricerca.
Ma
se era destino che ci dovessimo separare per chissà quanto tempo, lo avremmo
fatto nel miglior modo possibile.
Non
era stato per niente un inverno facile; oltre al freddo, alla neve e alla
fatica, i miei compagni avevano dovuto sopportare anche la fame, mangiando ancora
meno del solito senza però veder diminuire, oltre alle razioni, anche la mole
di lavoro.
Ma
nonostante ciò, quando avevo proposto loro la mia idea tutti avevano accettato
di fare quell’ulteriore piccolo sacrificio, accantonando una parte di cibo per
organizzare a Daemon sia un compleanno degno di questo nome che una doverosa
festa d’addio.
D’altronde
ormai tutti a Ende sapevano quello che aveva fatto, e
quanto si fosse messo a rischio in quegli anni non solo per salvare me, ma
anche e soprattutto per proteggere i nostri amici.
Io
stessa avevo aperto infine gli occhi, capendo quanto dentro di sé avesse
sofferto per quelle volte in cui era stato costretto a fare ciò che il suo
ruolo gli imponeva, come uccidere il povero Malik o recitare la parte del
sadico aguzzino di fronte ai soldati.
Avvantaggiati
e galvanizzati dal fatto che per una fortunata coincidenza il compleanno di
Daemon sarebbe caduto in contemporanea con il giorno di riposo che veniva
concesso agli schiavi una volta al mese io, mio padre, Lori e molti altri
lavorammo in gran segreto per settimane, riuscendo a mettere insieme la festa
migliore che degli schiavi senza quasi niente potessero sperare di organizzare.
Si
arrivò quindi al giorno fatidico.
Lungo
la strada principale avevamo allestito tavoli con cibo, acqua, latte e perfino
del sidro; alcuni di noi, me inclusa, si erano letteralmente svenati per pagare
quella sanguisuga di Borg, ma anche se odiavo quel maledetto maiale per una
volta potevamo fare un’eccezione.
Approfittando
dell’assenza di Daemon per la caccia mi ero intrufolata nel tunnel e avevo
fatto ritorno al ghetto; quindi, assicuratici che fosse tutto pronto, l’avevamo
mandato a chiamare dicendogli che a Ende c’era un
ferito che aveva bisogno del suo aiuto.
Non
dico che non fosse sorpreso quando, aperta la porta del capanno, ci trovò tutti
lì davanti ad augurarli in coro buon compleanno; ma se c’era una cosa che il
mio fratellino aveva imparato a fare molto bene nel corso degli anni questa era
senza dubbio non abbandonarsi ad esagerazioni emotive.
«Non
avreste dovuto. Potrebbe essere pericoloso.»
«Sciocchezze.
Ieri era giorno di paga. Le guardie si staranno tutte ubriacando alla locanda.
Avanti fratellino, oggi è l’ultimo giorno che passeremo insieme. Dobbiamo
renderlo indimenticabile.»
Alla
fine sembrò quasi riuscire a divertirsi, perdendosi in lunghe conversazioni con
tutti quelli che facevano la fila per congratularsi con lui, ringraziarlo ed
augurargli buona fortuna per l’avvenire.
«Figliolo.
Qualunque cosa accada da ora in poi, voglio che tu sappia che sono enormemente
fiero di te. Vedere ciò che sei diventato è la prova che tutti i nostri
sacrifici sono stati ben ripagati.»
«Ti
ringrazio padre. Prometto che dovunque andrò continuerò a rendervi fieri di
me.»
«Hai
già deciso cosa farai?»
«Per
il momento, nonno Passe, credo resterò ancora qualche giorno da queste parti.
Devo consegnare al Governatore le mie dimissioni e congedarmi come si deve dai
miei amici al villaggio. Poi penso che andrò a ovest. Prima di tutto vorrei
andare a trovare Sapi, inoltre Connelly è un buon
posto dove stabilirsi per chi come me vorrebbe aiutare i mostri.»
«Mi
raccomando, prenditi cura anche di Drufo. È testardo
e saccente, ma non ho mai conosciuto mostro più fedele.»
«Lo
farò.»
«Il
mio bambino! Non voglio che tu vada via! Come farò se non ti potrò vedere più?»
«Non
preoccuparti, mamma Lori. Me la caverò. Non hai niente da temere.»
«Quanto
tempo è passato dall’ultima volta che mi hai chiamata mamma? Lascia che ti
abbracci un’ultima volta! Ti stringerò così forte da toglierti il respiro!»
Nonostante
la tristezza che provavo anche io mi stavo godendo la giornata, meravigliandomi
dell’allegria e spensieratezza che regnavano attorno a me. Mai una volta in
vita mia avevo visto un simile atmosfera pervadere Ende
e i suoi sfortunati abitanti.
Tutto
venne spazzato via nello spazio di un’istante, ed eravamo tutti talmente presi
dai festeggiamenti che quasi non ci accorgemmo di nulla.
Le
porte del ghetto si aprirono da un momento all’altro, e un’orda di miliziani al
comando di Oldrick fece irruzione ad armi spianate.
Mentre
cercavamo di tenere Daemon nascosto e dargli il tempo di correre al tunnel un
altro gruppo di soldati sbucò fuori proprio da lì, trascinando con sé Drufo incatenato e con addosso i segni di un violento
pestaggio.
In
un attimo ci ritrovammo circondati, con il Comandante Beek
alla testa dei suoi uomini che ci fissava ghignando di soddisfazione.
«Guarda
un po’ quale inaspettata sorpresa. Il nostro amato sceriffo che fa comunella
con questi straccioni. Anche se stiamo parlando di te, dovevo vederlo con i
miei occhi per poterci credere.»
«Che
ci fai tu qui?»
«Forse
non sei così amato e stimato come pensavi. Infatti ho ricevuto una certa
lettera, in cui erano riportate molte cose interessanti sul tuo conto. Chi tu
fossi in realtà, per esempio. Ma anche la verità dietro al misterioso e
compianto signor Haselworth, o la faccenda del tunnel sotto casa tua.»
«Mi…
mi dispiace Daemon. Ho provato a fermarli…»
«E
come se non bastasse, il nostro anonimo ma leale suddito ci ha rivelato anche
cosa ne fosse stato di questa lucertola. Sono sicuro che il Governatore e suo
figlio saranno molto felici di fare due chiacchiere con te.»
«Tieni
Scalia fuori da questa storia.»
«Scalia?
Da quando in qua si chiamano le bestie per nome?»
«Smettila.
È una questione tra me e te.»
«Ti
sbagli, bifolco. Chiunque abbia avuto a che fare con te farà i conti con questa
storia. Il sindaco, la mocciosa dell’emporio. Persino quel rompiscatole di Decurione.
E quando finalmente avremo fatto pulizia, e la gestione di questo letamaio
tornerà sotto il mio controllo, ti assicuro che questi animali passeranno il
peggior quarto d’ora della loro vita. Perché se c’è una cosa che detesto è che
mi si prenda in giro.»
«Considerato
per quanto tempo sono riuscito a fartela sotto al naso, al tuo posto sarei
arrabbiato anch’io.»
Non
solo Daemon schivò senza alcuna difficoltà il pugno di Beek,
ma quell’idiota era talmente scoordinato nei movimenti che perse l’equilibrio
rotolando nel fango.
«Allora?
Vuoi arrestarmi o preferisci restartene lì a mangiare la terra?»
«Tu,
bastardo. Mi andava l’idea di trascinarti personalmente fino al patibolo, ma
ora credo che risolverò la faccenda di persona!»
«Beek, forse è il caso che ti calmi un po’.» disse Oldrick tentando di mediare, ma ormai quello aveva perso
del tutto la testa.
Io
non so cosa sperasse di ottenere Daemon provocando in quel modo quell’animale
rabbioso, fatto sta che si ritrovò a schivare un fendente dietro l’altro; per
sua fortuna l’agilità non gli mancava, mentre di contro Beek
era un pessimo schermidore che maneggiava la spada come fosse un randello.
«Non
intervenite!» ordinò Oldrick al resto dei soldati,
forse nel tentativo di tenere sotto controllo una situazione già pericolosa.
Quella
specie di balletto andò avanti per parecchi minuti, ma all’improvviso Daemon
sembrò perdere l’equilibrio, schivando per miracolo un ennesimo fendente ma
ritrovandosi scoperto ed inerme al successivo affondo.
«Muori!»
Ancora
oggi non so perché agii in quel modo, né potevo immaginare le conseguenze che
il mio gesto avrebbe provocato.
Fatto
sta che da un istante all’altro mi ritrovai lì, davanti a Daemon, con più di
metà della spada di Beek conficcata nel ventre.
L’ultima
cosa che sentii prima di perdere per un momento i sensi e cadere a terra fu un
silenzio assoluto, rotto improvvisamente dalla voce di Daemon che urlava il mio
nome.
Forse
neanche Daemon immaginava cosa le sue azioni stavano per scatenare, reso
furente dal vedermi esanime ai suoi piedi.
«Bastardo!»
urlò con gli occhi fuori dalle orbite per la rabbia, e un attimo dopo il suo
pugnale trapassava da parte a parte la gola di Beek.
Quella
che si dice la tempesta perfetta.
Da
una parte io, che mi ero fatta infilzare per difendere un umano. Dall’altra
Daemon, che per vendicare un mostro sgozzava selvaggiamente un membro della sua
specie.
Quel
silenzio che si era venuto a creare tutto attorno a noi iniziò a scomparire,
cancellato da muggiti, ringhi e mormorii che diventavano sempre più forti.
I
miliziani si guardavano attorno con aria disperata, consapevoli di come il loro
capo l’avesse fatta davvero grossa, mentre qualcuno tra i miei compagni già
raccoglieva sassi, snudava artigli o, nel caso di Grog, sollevava da terra un
intero tavolo brandendolo come una clava.
«Ammazziamoli!»
gridò il vecchio Passe dando il via all’assalto.
Alcuni
dei soldati tentarono di difendersi con il bind, ma poter controllare una sola
pietra per volta serviva a poco se ti saltavano addosso in cinquanta, e vennero
immediatamente linciati.
Oldrick
prese in mano la situazione, e raggruppati tutti i superstiti comandò
immediatamente la ritirata, riuscendo a richiudere i portoni appena in tempo
prima che Lori e gli altri potessero travolgerli.
Come
le guardie se ne furono andate tornò il silenzio. Daemon nel mentre mi era
rimasto sempre vicino, tenendomi la mano e chiamando continuamente il mio nome.
«Vuoi
smettere di urlarmi nelle orecchie?» gli dissi appena fui nuovamente in grado
di parlare
«Scalia!?
Tu stai bene!?»
«Certo
che sto bene. Ci vuole ben altro che una cosa del genere per farmi fuori.»
In
effetti non gli avevo mai parlato delle mie capacità di guarigione, e quando mi
tolsi la spada ancora conficcata nel corpo rimase senza parole nel vedere la
ferita rimarginarsi a vista d’occhio.
«Sia
ringraziato il cielo. Temevo di averti persa.»
«Allora
anche tu sai come si fa a piangere.» sorrisi io
Il
mio sarcasmo si sciolse come la neve quando mi ritrovai stretta nel suo
abbraccio, che oltre a lasciarmi sgomenta mi pervase di un calore così bello
che quasi mi ci persi dentro.
Nel
frattempo la rabbia tra i nostri amici era passata, e alla vista dei corpi
trucidati di Beek e di alcuni dei suoi uomini molti
di loro furono presi dal terrore.
Era
la prima volta che succedeva una cosa del genere a Ende.
Ma sapevamo che c’erano stati altri episodi simili in altri ghetti, e in alcuni
casi delle vere e proprie rivolte, così come sapevamo quali erano state le
conseguenze di tali gesti.
«Che
cos’abbiamo fatto?»
«Mi
dispiace, padre. È stata colpa mia. Se non l’avessi provocato in quel modo…»
«Non
devi scusarti di niente. Quell’animale ha avuto quello che si meritava.»
«Però,
Scalia…»
«E
ora cosa facciamo?» chiese Jack. «Di sicuro torneranno. E ho visto coi miei
occhi cosa fanno a chi si ribella.»
«Io
dico di combattere!»
Quelle
parole mi uscirono così, senza che quasi me ne accorgessi. D’altronde ormai
sentivo bruciare dentro di me quel fuoco che per tutti quegli anni ero riuscita
faticosamente a sopire, e che gli ultimi mesi di libertà avevano già
rinvigorito.
«Scalia
che stai dicendo?»
«Lo
ha detto anche Jack. Non hanno pietà per chi alza la testa. In questo caso
perché dovremmo starcene qui ad aspettare di essere decimati o peggio? E se
proprio dobbiamo morire, allora lo faremo alle nostre condizioni! Combattendo!
Per difendere il nostro diritto di vivere! Quel diritto che loro ci hanno
sempre negato!»
«Ragiona,
Scalia. Quello che proponi è folle.»
«Io
lo so perché dici questo padre. E ti capisco quando dici che forse i mostri in
parte meritano il castigo che gli è stato inflitto. Ma non credi che
cinquecento anni di schiavitù siano stati una pena più che sufficiente per
ripagare ciò che tu e i nostri antenati avete fatto combattendo per il Signore
Oscuro?»
«Scalia
ha ragione! È ora di combattere!»
«Passe…»
«Ora
basta subire in silenzio! Che paghino per tutto quello che hanno fatto a noi e
ai nostri amici!»
«Grog…»
«Io
ne ho davvero abbastanza. Non permetterò che facciano del male a coloro a cui
voglio bene. E di certo non lascerò che facciano del male al mio bambino…»
«Lori,
anche tu…»
«Adesso
smettetela di dire idiozie!»
«Daemon!»
«Nostro
padre ha ragione Scalia! Vi fareste solo ammazzare! Ora scendo al villaggio e
mi consegno a Oldrick. Forse parlando con lui
riuscirò a tenervi fuori da questa storia.»
«Non
sei più un bambino Daemon! Perciò smettila di giocare all’eroe che ci protegge
tutti!»
«E
comunque, al punto in cui siamo pensi davvero che offrirti a loro come vittima
sacrificale basterà a salvarci?»
«Lori
dice bene, ragazzo.» disse Passe «Abbiamo ucciso degli uomini della milizia. La
prossima volta che torneranno qui sarà per massacrarci tutti. Non importa se
gli serviamo, una schiavo che si ribella diventa solo una minaccia.»
«Dunque
vorreste combattere? Ammettiamo che riusciate a scacciare la pattuglia che
verrà inviata qui a compiere la rappresaglia. Poi cosa farete? La volta
successiva manderebbero l’esercito. E a quel punto non avrete scampo. L’ha
detto anche Bojack, queste ribellioni possono finire
in un solo modo.»
«E
allora, indicaci tu la strada da seguire!» esclamai quasi senza riflettere.
Se
solo ci pensavo mi sembrava incredibile: stavo chiedendo ad un essere umano,
per quanto diverso dagli altri, di essere la nostra guida.
Ma
chi altri se non lui avrebbe potuto farlo?
«Sei
stato tu a farmi leggere quei libri, Daemon. Tutte quelle parole sulla libertà,
sull’uguaglianza. Non puoi pretendere che me ne dimentichi. Non adesso che sto
iniziando a credere davvero che sia possibile.»
Daemon
guardò in basso, come schiacciato dal peso che non solo io, ma anche tutti gli
altri a giudicare da come lo guardavano gli stavamo chiedendo di caricarsi
sulle spalle.
«Può
davvero succedere?» chiese Lori. «Puoi aiutarci ad essere liberi?»
«Sciocchezze.
Io ho girato metà di Erthea come schiavo sulle navi. E vi dico una cosa. Non
importa dove andiate, non c’è un solo posto in cui dei mostri come noi possano
dirsi realmente liberi.»
«Hai
ragione, Jack. Un luogo simile non esiste in questo mondo.»
«Visto?
Lo dice persino lui.»
«Ma
potete sempre crearlo.»
«Che
intendi dire!?» chiese Zorech
«Esattamente
ciò che ho detto. Se un mondo in cui i mostri possano dirsi liberi ancora non c’è,
allora non avete altra scelta che costruirne uno con le vostre mani.»
«E
dove dovremmo costruirlo se è lecito?» domandò Jack
«Proprio
qui.»
«Qui!?»
dissi io «Intendi ad Eirinn?»
«Questa
terra è intrisa del vostro sudore e del sangue che i vostri amici hanno
versato. Quale luogo migliore per dare vita ad un mondo in cui essere liberi se
non quello che voi stessi con le vostre fatiche avete contribuito a far
prosperare?»
«Hai
detto tu stesso che non abbiamo speranze contro l’Impero e il suo esercito.»
disse mio padre con rassegnazione, per non dire con cinismo. «Come potremmo mai
sperare di conquistare questa provincia?»
«Infatti
la nostra forza sola non sarebbe mai sufficiente. Non solo per ottenere il
controllo di Eirinn, ma soprattutto per difenderla. Per fare questo servono
degli alleati.»
Impiegammo
un attimo a capire che cosa intendesse Daemon per alleati, e la sola idea bastò
a far venire un moto di ribrezzo a molti, me inclusa.
«Dovremmo
allearci con gli umani? Stai scherzando spero!»
«E
cosa vorreste fare? Sottometterli? Sterminarli? Se è così, preparatevi a vedere
la storia ripetersi. Che vi piaccia o no, questo mondo è interamente popolato
dagli umani. O accettate l’idea che solo dalla coesistenza può nascere un mondo
nuovo in cui possiate essere liberi, o la vostra libertà sarà solo un sogno.»
«E
loro la accetteranno? Sono stati gli umani a tenerci in catene! Sono stati loro
a metterci le pietre nel corpo! Per loro noi non siamo altro che animali!»
«Ormai
pensavo che l’aveste capito. Non tutti gli umani sono così. C’ero anch’io
quando Septimus e i suoi uomini vi hanno difeso da quel porco che vedete lì. E
io vi giuro, su tutto quello che ho di più caro, che non l’hanno fatto perché
era loro dovere, ma perché pensavano realmente che ciò che eravate costretti a
subire fosse sbagliato. Siete liberi di non credermi, ma la gente di questa
provincia ha sofferto e soffre tuttora quasi quanto voi, perché costretta a
vivere sotto il giogo di funzionari incapaci. Tu Scalia. Hai parlato dei libri
che ti ho fatto leggere, ma ti ricordo che sono stati degli umani a scriverli.»
Di
fronte a quella considerazione non seppi cosa rispondere, e ammetto che provai
un senso di vergogna per come mi fossi lasciata trasportare dalle emozioni e
dalla rabbia.
«Anche
supponendo che alcuni umani accettino di schierarsi con noi. E gli altri?»
chiese Jack. «Gli altri cosa faranno?»
«Pretendere
che tutto il mondo segua un unico pensiero è utopistico. Ma di certo non
conquisterete la fiducia degli umani che ancora non sanno cosa pensare di voi comportandovi
esattamente come temono che potreste fare. Pertanto, se davvero volete il mio
aiuto per creare un mondo in cui possiate essere liberi, la mia prima richiesta
è la seguente. Niente vendette personali. Niente ritorsioni. Avete la mia
parola che chiunque abbia commesso dei crimini nei vostri confronti sarà
chiamato a risponderne. Per tutti gli altri, tutto quello che è successo da
oggi è cancellato. Tutti gli umani che accetteranno di seguirci nella creazione
del nuovo mondo, o che semplicemente non si mostreranno ostili al nostro
operato, saranno i benvenuti. Pregiudizi e intolleranza non saranno tollerati
da una parte o dall’altra, e chiunque dovesse dimenticarsene vi assicuro che avrà
modo di pentirsene.»
Fummo
costretti a riconoscere che le sue erano parole sensate, anche se a molti la
sola idea di dover vivere e probabilmente combattere fianco a fianco con gli
stessi che ci avevano tenuto in schiavitù per secoli suscitava ribrezzo. Ed io
ero sicuramente tra questi.
D’altronde
però come potevano un migliaio di schiavi affamati e macilenti mettere in
scacco da soli un intero esercito?
«Prima
di andare oltre però, dovete rispondere a questa domanda.» disse ancora Daemon
guardandoci tutti in modo talmente cupo da spaventarci «Siete davvero pronti a
lottare e morire per ottenere ciò che volete? Costruire da zero un mondo che
non esiste è l’impresa più difficile che una mente senziente sia in grado di
concepire. Molti dovranno sacrificarsi per fare si
che ciò avvenga. Se siete disposti a rischiare la vostra vita, o a veder morire
i vostri amici, per inseguire questo sogno quasi impossibile, allora impugnate
le armi e preparatevi a lottare. Ma se pensate di non esserne capaci, o se
avete anche solo un dubbio, allora sedetevi nel fango e aspettate il vostro
destino, che sarà comunque assai meno doloroso di ciò che vi aspetta oltre quel
muro. La decisione è vostra.»
Una
voce che non seppi riconoscere si sollevò quasi subito alle mie spalle.
«Alle
armi!»
A
quel punto un boato come non ne avevo mai sentiti fece tremare le case, le
mura, perfino le montagne tutto intorno.
«Alle
armi! Viva la libertà!»
E
così, era successo quello che nessuno avrebbe mai potuto immaginare: un umano
che a furore di popolo veniva eletto leader di una rivolta di mostri che solo
poco prima sembrava impensabile.
A
volte anche l’impossibile può accadere.
Una volta avevo sentito dire che le
prime rivolte a Parigi nell’ottantanove erano esplose quando un idiota dei
reggimenti tedeschi dal grilletto facile aveva sparato a un ragazzino durante
una protesta ai giardini delle Tuilerries.
Che
fosse vero o meno, è risaputo che mentre fame, soprusi e governanti inetti sono
la legna che alimenta le rivoluzioni, il sangue è da sempre l’olio che le
incendia.
Di fronte a quella massa di poveri disgraziati
che tutti insieme alzavano la testa al grido di libertà e uguaglianza non
potevo fare a meno di provare un gran disgusto per me stesso.
D’accordo
che avevo sempre saputo che Scalia non sarebbe mai potuta morire per così poco,
tali erano le sue capacità rigenerative, ma ciò non toglie che l’avevo comunque
messa in pericolo.
Per
mia fortuna avevo iniziato a fare ricerche sul bind molto prima che mi fosse
data quella stella, arrivando a scoprire cose che la comune soldataglia
abituata ad usare quelle pietre solo come una sorta di frusta sovrannaturale
neanche si immaginava.
In
questo modo ero riuscito a mettere a punto un particolare incantesimo, che
avevo chiamato con scarsissima fantasia mot de commande. Tutto quello che avevo dovuto fare era stato
instillare nella pietra di Scalia l’ordine di proteggermi qualora la mia vita
fosse stata in pericolo; tale direttiva era quindi rimasta latente fino a
quando non si erano palesate le condizioni per il suo risveglio, avvenimento
del quale naturalmente lei non poteva avere consapevolezza perché eseguito in
una condizione di vera e propria ipnosi.
Era
un vero peccato che lo sforzo magico richiesto per sopportare un incantesimo di
tale complessità fosse più di quanto quelle pietre di bassa lega potessero
sopportare, permettendone un singolo utilizzo, e che per instillarlo nella
pietra fossero richiesti sia parecchi minuti che un contatto diretto.
Ma
ciò che più contava era che avevo finalmente ottenuto quello che volevo.
Ora
non si poteva più tornare indietro, ed ero consapevole che avessimo poco tempo.
Oldrick
e i suoi uomini non si sarebbero certo arrischiati a rimettere piede nel
ghetto, ma era solo una questione di due, massimo tre giorni prima che dal
Castello venisse inviata una spedizione punitiva.
E
prima che ciò accadesse era necessario aver preso il controllo della regione e
cementato l’alleanza tra gli schiavi e gli abitanti del luogo.
Una
volta selezionati i mostri più affidabili e maggiormente pronti alla lotta e
aperte senza difficoltà le porte del ghetto puntammo direttamente i campi di
lavoro, arrivandoci prima che la notizia della rivolta potesse diffondersi.
Le
poche guardie assegnate alla loro difesa si arresero senza neanche provare a
combattere, terrorizzate all’idea di dover affrontare una banda di schiavi
armati di sassi e bastoni ma comunque arrabbiatissimi, permettendoci di mettere
le mani su attrezzi da lavoro, vestiti di cuoio della forgia, cavalli e anche
qualche arma.
Quindi,
venne il momento di puntare al bersaglio grosso.
«A
Dundee!».
Ormai era da mesi che faticavo ad
essere me stesso.
La
morte di Jorn, tanto improvvisa quanto paradossale, mi aveva colpito duramente.
Era
successo la mattina dopo quel festino alla taverna.
Il
sindaco Rutte mi aveva buttato giù dalla branda, dalla quale ero sceso tra
l’altro con un tremendo mal di testa da sbronza, dicendomi che lo avevano
ripescato dal fondo di una cisterna poco fuori le mura, lungo la strada per il
forte.
Un
incidente, si era detto. Gli avevano trovato addosso un sacchetto con l’ultima
paga e la spilla d’argento di suo padre appuntata sulla tunica, senza alcun
segno apparente di un’aggressione.
Daemon,
che era apparso sconvolto tanto quanto me, mi aveva detto di averlo
accompagnato fino alla piazza del villaggio, dove Jorn lo aveva però convinto a
lasciarlo tornare indietro da solo promettendo che sarebbe tornato subito al
forte.
Accidenti
a lui e al suo orgoglio: di sicuro non voleva che qualcuno lo vedesse rientrare
in branda ubriaco fradicio e sorretto a spalla dallo sceriffo.
Dannazione
Jorn! Te l’ho sempre detto che non sei bravo a reggere l’alcol!
Se
fossi stato più attento mi dicevo, se non mi fossi lasciato andare anch’io, di
sicuro non sarebbe finita in quel modo.
Naturalmente
tali pensieri non facevano altro che distrarmi dai miei doveri, e così accadde
che quando la tempesta ci arrivò addosso quasi non mi accorsi di nulla finché
non fu troppo tardi.
Quel
pomeriggio ero seduto in riva al lago, con gli occhi piantati sui monti del Khoral che si stagliavano di fronte a me e la testa persa
in un mare di pensieri.
«Un’insurrezione!?»
esclamai all’indirizzo del messaggero che venne a portarmi la notizia. «E dove
sono adesso i rivoltosi?»
«Hanno
scacciato un manipolo di miliziani e ucciso il Comandante Beek,
e sembra che ora siano diretti verso Dundee!»
«Corri
subito al villaggio! Ordina alla milizia e alla guardia cittadina di prepararsi
a respingerli! Io vi raggiungerò il prima possibile con il resto della
guarnigione!»
«Sì,
decurione!»
Mentre
galoppavo sulla via del ritorno facendo scoppiare i polmoni al mio cavallo mi
accorgevo di quanto la situazione stesse precipitando a vista d’occhio; le case
e le fattorie più isolate erano già deserte, e la strada diretta a nord
talmente intasata che molti avevano abbandonato carri e carretti per proseguire
a piedi.
Il
terrore si percepiva distintamente; i ribelli stavano venendo a presentare il
conto, e sarebbe stato molto salato.
Al
mio arrivo, il presidio era in preda al caos.
«Perché
siamo così pochi? Dove sono tutti?»
«Draxler, Mascius e Corren se ne sono andati. Per gli altri, non ne abbiamo
idea.»
«E
il Centurione Costanzio?»
«È
saltato su un cavallo assieme alla sua scorta personale appena è arrivata la
notizia. Ha detto che andava a chiedere rinforzi, ma a meno che non abbiano
spostato il Castello oltre il fiume non scommetterei sul suo ritorno.»
Ma
se quelle sembravano pessime notizie era niente rispetto a ciò che aveva da
dire il messaggero che avevo mandato al villaggio. Il solo fatto di vederlo entrare
quasi sfondando la porta, bianco come un cadavere, fu sufficiente per farmi
intuire cosa avesse da dirmi.
«Ebbene?»
«Vengo
ora dalla caserma. Il posto è deserto. I miliziani sono già scappati tutti.»
«E
la guardia cittadina?»
«Non
mi hanno neanche lasciato parlare. Mentre tornavo qui però li ho visti aprire
le porte su ordine del sindaco.»
«Maledizione!»
sbottai calciando la sedia «Non possiamo difendere neanche questo forte,
figuriamoci il villaggio!»
«Decurione!
Sono qui! Sono alla base del colle e stanno salendo!»
Era
dunque destino che il mio sogno di diventare un grande eroe fosse destinato ad
accompagnarmi nella tomba. Ma non me ne sarei certo stato fermo ad aspettare di
farmi scannare.
Se
non per gli uomini al mio comando, dovevo provare a fare qualcosa almeno per
coloro che volevo proteggere; ogni minuto che fossimo stati in grado di
guadagnare sarebbe stato un minuto in più concesso ai fuggitivi per mettersi in
salvo.
«A
questo punto, che si sudino le nostre teste!»
Nessuno
esitò, perché i codardi erano già tutti scappati. Era il pensiero di combattere
per i nostri cari a darci la forza in quelli che sapevamo essere i nostri
ultimi minuti.
Recuperati
tutti gli archi, le frecce e i giavellotti che avevamo a disposizione ci
portammo in cima al basso muro che delimitava il cortile del forte, pronti a
vendere cara la pelle.
Da
lì potei vederli mentre, come una marea in carne ed ossa, avanzavano lentamente
lungo il pendio, talmente numerosi da nascondere la terra sotto i loro piedi.
Mi
aspettavo di vederli sciamare contro di noi come un branco di lupi pronti a
divorare le nostre carcasse. E invece, di colpo, arrestarono l’avanzata,
fermandosi alla giusta distanza per essere fuori dalla gittata delle nostre
frecce.
Una
parte di tutti noi capiva. E anche se dentro di noi non volevamo realmente far
loro del male, sapevamo che ai loro occhi tutto eravamo fuorché semplici
soldati obbligati da un giuramento a compiere il nostro dovere.
«Abbiamo
già chiamato rinforzi!» dissi, cercando di apparire il più convincente
possibile. «Deponete le armi, ritiratevi pacificamente e vi giuro che non vi
sarà fatto alcun male!»
Nessuno
rispose, né si levò una voce.
Poi,
d’un tratto, la massa si aprì ordinatamente, e una figura a noi molto familiare
avanzò fino alla testa di quella specie di armata lasciandoci senza parole.
«No…
Non può essere… Tra tutti, perché proprio tu?»
Nota dell’Autore
Salve
a tutti!
Dopo
due settimane, eccomi di nuovo qui con il penultimo capitolo del primo volume di
questa mia pima Light Novel.
Mi
sono sforzato di dare al mio protagonista una personalità il più sfaccettata
possibile, facendo di lui un personaggio complesso e a tutto tondo piuttosto che
il classico eroe isekai.
Ciò
sarà risultato di sicuro evidente in questi ultimi due capitoli, in cui si è
visto fino a che punto Daemon è disposto a spingersi pur di realizzare il
proprio scopo, senza che tuttavia questo faccia di lui un personaggio
totalmente malvagio.
Grazie
a Fenris
per la sua recensione.
Allora
ci vediamo tra due settimane per l’epilogo!^^
A
presto!^_^