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Autore: Cj Spencer    23/07/2023    1 recensioni
Cosa succede se Napoleone Bonaparte viene fatto rinascere in un mondo fantasy per salvare un intero continente dall'avvento di un Re dei Demoni?
Un attimo dopo essere morto, l'ormai ex dominatore d'Europa riceve la visita del misterioso Faucheur, che gli offre la possibilità di rinascere in un altro mondo nel continente di Erthea, a condizione che lo protegga dall'imminente arrivo dell'esercito del Re dei Demoni.
La sfida non è per niente facile, poiché Napoleone si ritrova a rinascere nel corpo di Daemon, un bambino orfano adottato dagli schiavi semiumani che abitano nel sudicio ghetto di Ende, con null'altro per compiere la sua missione che i ricordi della sua precedente vita.
Questa è la storia di come l'Imperatore dei Francesi dovrà riunire sotto il suo comando un continente diviso e in guerra con sé stesso e prepararlo ad affrontare la minaccia che lo aspetta.
Genere: Avventura, Drammatico, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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“Un vero carattere riesce sempre

a emergere nei grandi momenti”

CAPITOLO 6

L’INGANNO

 

 

Su Erthea esisteva un gioco, il madara, molto popolare soprattutto tra l’aristocrazia, affine per alcuni aspetti agli scacchi del mio vecchio mondo.

Si giocava su una scacchiera undici per dodici, con due dadi a dieci facce e un set da nove pezzi, e impararne l’arte era ritenuta una parte fondamentale della formazione di ogni nobile rampollo.

La cosa interessante di questo gioco era che non esistevano pezzi predeterminati, e a condizione di farlo rientrare in una delle sei categorie che suddividevano le varie pedine –ognuna contraddistinta da punti d’attacco, punti difesa e punti vita– ogni giocatore poteva crearsi il pezzo che voleva, dargli un nome e schierarlo in qualunque momento sulla scacchiera in una casella a sua scelta tra quelle che componevano le prime due file, chiamate Castello, che rappresentavano la base da cui il giocatore, nei panni di sovrano, guidava la sua armata.

A differenza degli scacchi lo scopo finale del gioco non era tanto quello di infliggere lo scacco matto, ma la sconfitta di ogni singola pedina dell’avversario; oppure, si poteva portare una pedina ad occupare la casella dorata che stava al centro dei due Castelli, la Sala del Trono, alla quale per consuetudine si lasciava a difesa il proprio pezzo più potente.

Impararne le regole era stata per me una passeggiata, e negli anni avevo impartito sonore lezioni a tutti i giocatori che avevano osato sfidarmi, guadagnandone in denaro e prestigio.

Ora era giunto finalmente il momento di dare inizio alla più grande e memorabile partita di madara che Erthea avesse mai visto.

Ogni cosa era stata predisposta nel modo corretto.

Avevo scelto la scacchiera, analizzato il mio avversario e creato le mie pedine.

C’erano tutti i pezzi di cui avevo bisogno: il Mercante, i Mostri, i Plebei, il Capitano, la Saggia e il Dragone.

Ora non restava che far scendere in campo l’ultimo pezzo, il Generale, e dare inizio al gioco.

Erano passati quasi sei anni da quando mi ero risvegliato in quel mondo; sei anni passati a tessere trame, creare alleanze e pianificare con attenzione ogni mia singola mossa, sia quelle già fatte che quelle che mi apprestavo a compiere.

Conoscevo il mio avversario meglio di quanto lui conoscesse sé stesso, e potevo leggere nella sua anima come un libro aperto.

Mancava solo l’ultimo tassello, la prima tessera del domino, quella che una volta ribaltata avrebbe dato inizio all’inarrestabile effetto a catena destinato a cambiare per sempre il destino non solo di Erthea, ma di quell’intero mondo.

E quella tessera ce l’avevo proprio lì, chiusa nel pugno.

Un semplice pezzo di carta.

Mai prima d’ora avevo provato così nitidamente la sensazione di stringere letteralmente tra le mani lo strumento in grado di cambiare il corso della storia.

Sarei un bugiardo se dicessi di non aver mai considerato in tutti quegli anni almeno un paio di volte di lasciar perdere tutto.

Chi me lo faceva fare, del resto?

Rivivere daccapo eventi come quelli che avevano attraversato la mia precedente vita, seppur con rinnovata consapevolezza?

Ma anche i dubbi ormai erano alle spalle.

La verità era che l’ultima cosa che mi era passata per la mente un attimo prima di esalare l’ultimo respiro era stato il pensiero di cosa sarei stato capace di realizzare se avessi conosciuto anzitempo le conseguenze delle azioni che mi avevano condotto alla rovina.

Ora potevo rispondere a quella domanda.

«Il dado è tratto.»

 

Da quando mi ero trasferita a vivere a casa di Daemon mi ero accorta che qualcosa nel modo in cui mi rapportavo con lui era cambiato.

Quando era bambino dormivamo spesso nello stesso letto, e un paio di volte ci eravamo perfino fatti il bagno insieme. Ora invece il solo fatto di stare nella stessa stanza insieme a lui era sufficiente a farmi agitare, e se provavo a guardarlo negli occhi mi ritrovavo ad arrossire e balbettare come una stupida.

Non capivo cosa mi stesse succedendo, e rifiutavo a priori l’idea che potessi stare iniziando a provare qualcosa per lui che andasse oltre il naturale affetto tra fratelli.

In fin dei conti ai miei occhi lui restava pur sempre un bambino, anche se ormai guardandoci chiunque avrebbe potuto pensare che avessimo quasi la stessa età.

Una notte avevo sognato di vederlo in piedi accanto al mio letto che mi fissava con il suo occhio severo, tenendomi nel mentre il dito indice poggiato al centro della fronte, e al risveglio ero così imbarazzata da avere la sensazione che la mia pietra del servo vibrasse al ritmo dei battiti del mio cuore.

Così, per evitare il ripetersi di certe situazioni imbarazzanti, avevo deciso di andarmene, stabilendomi nel mio vecchio nascondiglio segreto in mezzo alla foresta, reso abitabile con qualche accorgimento e molto lavoro.

Qui passavo il mio tempo andando a caccia, esercitandomi con la spada e, incredibile a dirsi, studiando.

Daemon in questo era stato categorico, dandomi libri e libri da leggere ed imparare, e se solo provavo a lamentarmi della cosa venivo puntualmente rimproverata come una bambina.

All’inizio avevo protestato reputandola una perdita di tempo, ma più cose imparavo e più mi convincevo di quanta conoscenza ci fosse nel mondo, cose fantastiche che finalmente da ragazza libera avevo la possibilità di apprendere come e quanto volevo.

Grazie a Daemon e ai suoi insegnamenti stavo imparando tantissime cose di matematica, alchimia, letteratura, geografia e molto altro.

Ma più di tutto era stata la filosofia a spalancarmi un mondo davanti agli occhi.

Daemon diceva che quando era piccolo aveva potuto leggere molti libri di famosi autori dai nomi impronunciabili –qualcosa come Voltaire, Rousseau, Kant– che l’Impero qualche tempo prima aveva confiscato e nascosto reputandoli pericolosi, ma che lui aveva memorizzato e pazientemente ricopiato.

Leggendoli, mi ero resa conto perché gli umani non volessero che qualcuno li leggesse. Al loro interno si parlava di cose come la libertà universale, l’uguaglianza di tutti gli esseri senzienti, ma soprattutto una critica alla schiavitù a cui noi mostri eravamo costretti da secoli.

Quindi, mi ero detta, Daemon non era l’unico, e come lui c’erano altri umani che pensavano che quello che ci veniva fatto fosse sbagliato. Forse dopotutto c’era qualcosa in loro che valeva la pena di salvare; perché, mi ero detta, se tra loro c’erano persone capaci di simili pensieri, o di dare vita a meraviglie come quelle di cui avevo letto in quei mesi nei campi più diversi, voleva dire che la loro non era poi una specie così cattiva.

Nel mentre l’inverno aveva ceduto il passo alla primavera, e con essa era giunto infine il giorno che mai avrei voluto vedere.

Il giorno dell’addio.

In fin dei conti sapevo che prima o poi doveva finire.

Anche se ormai erano anni che Daemon aveva smesso di vivere al ghetto il patto che avevamo stabilito il giorno in cui l’avevo portato a Ende rimaneva immutato, e con l’arrivo del suo sedicesimo compleanno si era infine giunti anche al giorno in cui avrebbe dovuto abbandonare la provincia per non tornare mai più.

Il solo pensiero di vederlo andar via per sempre mi faceva morire, rendendomi scontrosa e irritabile.

Quasi che avesse intuito il mio pensiero, lui si era affrettato a dirmi che non gli importava di dovere andare via, e che non era saggio che andassi con lui.

«Drufo verrà via con me.» aveva detto, facendomi salire un moto d’invidia verso quel maledetto caprone annoiato dalla vita «Ormai è troppo abituato a vivere libero per fare ritorno al ghetto. Ma tu puoi restare qui se vuoi. Ti lascio in eredità la baita e tutto quello che possiedo. Usali come meglio credi.»

Parlava come se dovesse morire, ma dal mio punto di vista era praticamente così: perché sapevo che non ci saremmo rivisti mai più.

Che cosa me ne dovevo fare della casa, dei libri o dei suoi archi senza di lui?

Ma se da una parte avrei voluto seguirlo, dall’altra ero troppo legata ai miei compagni e alla loro miseria per andarmene così, libera e felice, lasciando loro a patire la schiavitù.

Decisi di prendermi un po’ di tempo per riflettere. Per il momento sarei rimasta a Ende, magari cercando di aiutare i miei compagni come Daemon per tanto tempo aveva aiutato noi, poi forse un giorno avrei preso a mia volta la mia strada, magari per partire alla sua ricerca.

Ma se era destino che ci dovessimo separare per chissà quanto tempo, lo avremmo fatto nel miglior modo possibile.

Non era stato per niente un inverno facile; oltre al freddo, alla neve e alla fatica, i miei compagni avevano dovuto sopportare anche la fame, mangiando ancora meno del solito senza però veder diminuire, oltre alle razioni, anche la mole di lavoro.

Ma nonostante ciò, quando avevo proposto loro la mia idea tutti avevano accettato di fare quell’ulteriore piccolo sacrificio, accantonando una parte di cibo per organizzare a Daemon sia un compleanno degno di questo nome che una doverosa festa d’addio.

D’altronde ormai tutti a Ende sapevano quello che aveva fatto, e quanto si fosse messo a rischio in quegli anni non solo per salvare me, ma anche e soprattutto per proteggere i nostri amici.

Io stessa avevo aperto infine gli occhi, capendo quanto dentro di sé avesse sofferto per quelle volte in cui era stato costretto a fare ciò che il suo ruolo gli imponeva, come uccidere il povero Malik o recitare la parte del sadico aguzzino di fronte ai soldati.

Avvantaggiati e galvanizzati dal fatto che per una fortunata coincidenza il compleanno di Daemon sarebbe caduto in contemporanea con il giorno di riposo che veniva concesso agli schiavi una volta al mese io, mio padre, Lori e molti altri lavorammo in gran segreto per settimane, riuscendo a mettere insieme la festa migliore che degli schiavi senza quasi niente potessero sperare di organizzare.

Si arrivò quindi al giorno fatidico.

Lungo la strada principale avevamo allestito tavoli con cibo, acqua, latte e perfino del sidro; alcuni di noi, me inclusa, si erano letteralmente svenati per pagare quella sanguisuga di Borg, ma anche se odiavo quel maledetto maiale per una volta potevamo fare un’eccezione.

Approfittando dell’assenza di Daemon per la caccia mi ero intrufolata nel tunnel e avevo fatto ritorno al ghetto; quindi, assicuratici che fosse tutto pronto, l’avevamo mandato a chiamare dicendogli che a Ende c’era un ferito che aveva bisogno del suo aiuto.

Non dico che non fosse sorpreso quando, aperta la porta del capanno, ci trovò tutti lì davanti ad augurarli in coro buon compleanno; ma se c’era una cosa che il mio fratellino aveva imparato a fare molto bene nel corso degli anni questa era senza dubbio non abbandonarsi ad esagerazioni emotive.

«Non avreste dovuto. Potrebbe essere pericoloso.»

«Sciocchezze. Ieri era giorno di paga. Le guardie si staranno tutte ubriacando alla locanda. Avanti fratellino, oggi è l’ultimo giorno che passeremo insieme. Dobbiamo renderlo indimenticabile.»

Alla fine sembrò quasi riuscire a divertirsi, perdendosi in lunghe conversazioni con tutti quelli che facevano la fila per congratularsi con lui, ringraziarlo ed augurargli buona fortuna per l’avvenire.

«Figliolo. Qualunque cosa accada da ora in poi, voglio che tu sappia che sono enormemente fiero di te. Vedere ciò che sei diventato è la prova che tutti i nostri sacrifici sono stati ben ripagati.»

«Ti ringrazio padre. Prometto che dovunque andrò continuerò a rendervi fieri di me.»

«Hai già deciso cosa farai?»

«Per il momento, nonno Passe, credo resterò ancora qualche giorno da queste parti. Devo consegnare al Governatore le mie dimissioni e congedarmi come si deve dai miei amici al villaggio. Poi penso che andrò a ovest. Prima di tutto vorrei andare a trovare Sapi, inoltre Connelly è un buon posto dove stabilirsi per chi come me vorrebbe aiutare i mostri.»

«Mi raccomando, prenditi cura anche di Drufo. È testardo e saccente, ma non ho mai conosciuto mostro più fedele.»

«Lo farò.»

«Il mio bambino! Non voglio che tu vada via! Come farò se non ti potrò vedere più?»

«Non preoccuparti, mamma Lori. Me la caverò. Non hai niente da temere.»

«Quanto tempo è passato dall’ultima volta che mi hai chiamata mamma? Lascia che ti abbracci un’ultima volta! Ti stringerò così forte da toglierti il respiro!»

Nonostante la tristezza che provavo anche io mi stavo godendo la giornata, meravigliandomi dell’allegria e spensieratezza che regnavano attorno a me. Mai una volta in vita mia avevo visto un simile atmosfera pervadere Ende e i suoi sfortunati abitanti.

Tutto venne spazzato via nello spazio di un’istante, ed eravamo tutti talmente presi dai festeggiamenti che quasi non ci accorgemmo di nulla.

Le porte del ghetto si aprirono da un momento all’altro, e un’orda di miliziani al comando di Oldrick fece irruzione ad armi spianate.

Mentre cercavamo di tenere Daemon nascosto e dargli il tempo di correre al tunnel un altro gruppo di soldati sbucò fuori proprio da lì, trascinando con sé Drufo incatenato e con addosso i segni di un violento pestaggio.

In un attimo ci ritrovammo circondati, con il Comandante Beek alla testa dei suoi uomini che ci fissava ghignando di soddisfazione.

«Guarda un po’ quale inaspettata sorpresa. Il nostro amato sceriffo che fa comunella con questi straccioni. Anche se stiamo parlando di te, dovevo vederlo con i miei occhi per poterci credere.»

«Che ci fai tu qui?»

«Forse non sei così amato e stimato come pensavi. Infatti ho ricevuto una certa lettera, in cui erano riportate molte cose interessanti sul tuo conto. Chi tu fossi in realtà, per esempio. Ma anche la verità dietro al misterioso e compianto signor Haselworth, o la faccenda del tunnel sotto casa tua.»

«Mi… mi dispiace Daemon. Ho provato a fermarli…»

«E come se non bastasse, il nostro anonimo ma leale suddito ci ha rivelato anche cosa ne fosse stato di questa lucertola. Sono sicuro che il Governatore e suo figlio saranno molto felici di fare due chiacchiere con te.»

«Tieni Scalia fuori da questa storia.»

«Scalia? Da quando in qua si chiamano le bestie per nome?»

«Smettila. È una questione tra me e te.»

«Ti sbagli, bifolco. Chiunque abbia avuto a che fare con te farà i conti con questa storia. Il sindaco, la mocciosa dell’emporio. Persino quel rompiscatole di Decurione. E quando finalmente avremo fatto pulizia, e la gestione di questo letamaio tornerà sotto il mio controllo, ti assicuro che questi animali passeranno il peggior quarto d’ora della loro vita. Perché se c’è una cosa che detesto è che mi si prenda in giro.»

«Considerato per quanto tempo sono riuscito a fartela sotto al naso, al tuo posto sarei arrabbiato anch’io.»

Non solo Daemon schivò senza alcuna difficoltà il pugno di Beek, ma quell’idiota era talmente scoordinato nei movimenti che perse l’equilibrio rotolando nel fango.

«Allora? Vuoi arrestarmi o preferisci restartene lì a mangiare la terra?»

«Tu, bastardo. Mi andava l’idea di trascinarti personalmente fino al patibolo, ma ora credo che risolverò la faccenda di persona!»

«Beek, forse è il caso che ti calmi un po’.» disse Oldrick tentando di mediare, ma ormai quello aveva perso del tutto la testa.

Io non so cosa sperasse di ottenere Daemon provocando in quel modo quell’animale rabbioso, fatto sta che si ritrovò a schivare un fendente dietro l’altro; per sua fortuna l’agilità non gli mancava, mentre di contro Beek era un pessimo schermidore che maneggiava la spada come fosse un randello.

«Non intervenite!» ordinò Oldrick al resto dei soldati, forse nel tentativo di tenere sotto controllo una situazione già pericolosa.

Quella specie di balletto andò avanti per parecchi minuti, ma all’improvviso Daemon sembrò perdere l’equilibrio, schivando per miracolo un ennesimo fendente ma ritrovandosi scoperto ed inerme al successivo affondo.

«Muori!»

Ancora oggi non so perché agii in quel modo, né potevo immaginare le conseguenze che il mio gesto avrebbe provocato.

Fatto sta che da un istante all’altro mi ritrovai lì, davanti a Daemon, con più di metà della spada di Beek conficcata nel ventre.

L’ultima cosa che sentii prima di perdere per un momento i sensi e cadere a terra fu un silenzio assoluto, rotto improvvisamente dalla voce di Daemon che urlava il mio nome.

Forse neanche Daemon immaginava cosa le sue azioni stavano per scatenare, reso furente dal vedermi esanime ai suoi piedi.

«Bastardo!» urlò con gli occhi fuori dalle orbite per la rabbia, e un attimo dopo il suo pugnale trapassava da parte a parte la gola di Beek.

Quella che si dice la tempesta perfetta.

Da una parte io, che mi ero fatta infilzare per difendere un umano. Dall’altra Daemon, che per vendicare un mostro sgozzava selvaggiamente un membro della sua specie.

Quel silenzio che si era venuto a creare tutto attorno a noi iniziò a scomparire, cancellato da muggiti, ringhi e mormorii che diventavano sempre più forti.

I miliziani si guardavano attorno con aria disperata, consapevoli di come il loro capo l’avesse fatta davvero grossa, mentre qualcuno tra i miei compagni già raccoglieva sassi, snudava artigli o, nel caso di Grog, sollevava da terra un intero tavolo brandendolo come una clava.

«Ammazziamoli!» gridò il vecchio Passe dando il via all’assalto.

Alcuni dei soldati tentarono di difendersi con il bind, ma poter controllare una sola pietra per volta serviva a poco se ti saltavano addosso in cinquanta, e vennero immediatamente linciati.

Oldrick prese in mano la situazione, e raggruppati tutti i superstiti comandò immediatamente la ritirata, riuscendo a richiudere i portoni appena in tempo prima che Lori e gli altri potessero travolgerli.

Come le guardie se ne furono andate tornò il silenzio. Daemon nel mentre mi era rimasto sempre vicino, tenendomi la mano e chiamando continuamente il mio nome.

«Vuoi smettere di urlarmi nelle orecchie?» gli dissi appena fui nuovamente in grado di parlare

«Scalia!? Tu stai bene!?»

«Certo che sto bene. Ci vuole ben altro che una cosa del genere per farmi fuori.»

In effetti non gli avevo mai parlato delle mie capacità di guarigione, e quando mi tolsi la spada ancora conficcata nel corpo rimase senza parole nel vedere la ferita rimarginarsi a vista d’occhio.

«Sia ringraziato il cielo. Temevo di averti persa.»

«Allora anche tu sai come si fa a piangere.» sorrisi io

Il mio sarcasmo si sciolse come la neve quando mi ritrovai stretta nel suo abbraccio, che oltre a lasciarmi sgomenta mi pervase di un calore così bello che quasi mi ci persi dentro.

Nel frattempo la rabbia tra i nostri amici era passata, e alla vista dei corpi trucidati di Beek e di alcuni dei suoi uomini molti di loro furono presi dal terrore.

Era la prima volta che succedeva una cosa del genere a Ende. Ma sapevamo che c’erano stati altri episodi simili in altri ghetti, e in alcuni casi delle vere e proprie rivolte, così come sapevamo quali erano state le conseguenze di tali gesti.

«Che cos’abbiamo fatto?»

«Mi dispiace, padre. È stata colpa mia. Se non l’avessi provocato in quel modo…»

«Non devi scusarti di niente. Quell’animale ha avuto quello che si meritava.»

«Però, Scalia…»

«E ora cosa facciamo?» chiese Jack. «Di sicuro torneranno. E ho visto coi miei occhi cosa fanno a chi si ribella.»

«Io dico di combattere!»

Quelle parole mi uscirono così, senza che quasi me ne accorgessi. D’altronde ormai sentivo bruciare dentro di me quel fuoco che per tutti quegli anni ero riuscita faticosamente a sopire, e che gli ultimi mesi di libertà avevano già rinvigorito.

«Scalia che stai dicendo?»

«Lo ha detto anche Jack. Non hanno pietà per chi alza la testa. In questo caso perché dovremmo starcene qui ad aspettare di essere decimati o peggio? E se proprio dobbiamo morire, allora lo faremo alle nostre condizioni! Combattendo! Per difendere il nostro diritto di vivere! Quel diritto che loro ci hanno sempre negato!»

«Ragiona, Scalia. Quello che proponi è folle.»

«Io lo so perché dici questo padre. E ti capisco quando dici che forse i mostri in parte meritano il castigo che gli è stato inflitto. Ma non credi che cinquecento anni di schiavitù siano stati una pena più che sufficiente per ripagare ciò che tu e i nostri antenati avete fatto combattendo per il Signore Oscuro?»

«Scalia ha ragione! È ora di combattere!»

«Passe…»

«Ora basta subire in silenzio! Che paghino per tutto quello che hanno fatto a noi e ai nostri amici!»

«Grog…»

«Io ne ho davvero abbastanza. Non permetterò che facciano del male a coloro a cui voglio bene. E di certo non lascerò che facciano del male al mio bambino…»

«Lori, anche tu…»

«Adesso smettetela di dire idiozie!»

«Daemon!»

«Nostro padre ha ragione Scalia! Vi fareste solo ammazzare! Ora scendo al villaggio e mi consegno a Oldrick. Forse parlando con lui riuscirò a tenervi fuori da questa storia.»

«Non sei più un bambino Daemon! Perciò smettila di giocare all’eroe che ci protegge tutti!»

«E comunque, al punto in cui siamo pensi davvero che offrirti a loro come vittima sacrificale basterà a salvarci?»

«Lori dice bene, ragazzo.» disse Passe «Abbiamo ucciso degli uomini della milizia. La prossima volta che torneranno qui sarà per massacrarci tutti. Non importa se gli serviamo, una schiavo che si ribella diventa solo una minaccia.»

«Dunque vorreste combattere? Ammettiamo che riusciate a scacciare la pattuglia che verrà inviata qui a compiere la rappresaglia. Poi cosa farete? La volta successiva manderebbero l’esercito. E a quel punto non avrete scampo. L’ha detto anche Bojack, queste ribellioni possono finire in un solo modo.»

«E allora, indicaci tu la strada da seguire!» esclamai quasi senza riflettere.

Se solo ci pensavo mi sembrava incredibile: stavo chiedendo ad un essere umano, per quanto diverso dagli altri, di essere la nostra guida.

Ma chi altri se non lui avrebbe potuto farlo?

«Sei stato tu a farmi leggere quei libri, Daemon. Tutte quelle parole sulla libertà, sull’uguaglianza. Non puoi pretendere che me ne dimentichi. Non adesso che sto iniziando a credere davvero che sia possibile.»

Daemon guardò in basso, come schiacciato dal peso che non solo io, ma anche tutti gli altri a giudicare da come lo guardavano gli stavamo chiedendo di caricarsi sulle spalle.

«Può davvero succedere?» chiese Lori. «Puoi aiutarci ad essere liberi?»

«Sciocchezze. Io ho girato metà di Erthea come schiavo sulle navi. E vi dico una cosa. Non importa dove andiate, non c’è un solo posto in cui dei mostri come noi possano dirsi realmente liberi.»

«Hai ragione, Jack. Un luogo simile non esiste in questo mondo.»

«Visto? Lo dice persino lui.»

«Ma potete sempre crearlo.»

«Che intendi dire!?» chiese Zorech

«Esattamente ciò che ho detto. Se un mondo in cui i mostri possano dirsi liberi ancora non c’è, allora non avete altra scelta che costruirne uno con le vostre mani.»

«E dove dovremmo costruirlo se è lecito?» domandò Jack

«Proprio qui.»

«Qui!?» dissi io «Intendi ad Eirinn?»

«Questa terra è intrisa del vostro sudore e del sangue che i vostri amici hanno versato. Quale luogo migliore per dare vita ad un mondo in cui essere liberi se non quello che voi stessi con le vostre fatiche avete contribuito a far prosperare?»

«Hai detto tu stesso che non abbiamo speranze contro l’Impero e il suo esercito.» disse mio padre con rassegnazione, per non dire con cinismo. «Come potremmo mai sperare di conquistare questa provincia?»

«Infatti la nostra forza sola non sarebbe mai sufficiente. Non solo per ottenere il controllo di Eirinn, ma soprattutto per difenderla. Per fare questo servono degli alleati.»

Impiegammo un attimo a capire che cosa intendesse Daemon per alleati, e la sola idea bastò a far venire un moto di ribrezzo a molti, me inclusa.

«Dovremmo allearci con gli umani? Stai scherzando spero!»

«E cosa vorreste fare? Sottometterli? Sterminarli? Se è così, preparatevi a vedere la storia ripetersi. Che vi piaccia o no, questo mondo è interamente popolato dagli umani. O accettate l’idea che solo dalla coesistenza può nascere un mondo nuovo in cui possiate essere liberi, o la vostra libertà sarà solo un sogno.»

«E loro la accetteranno? Sono stati gli umani a tenerci in catene! Sono stati loro a metterci le pietre nel corpo! Per loro noi non siamo altro che animali!»

«Ormai pensavo che l’aveste capito. Non tutti gli umani sono così. C’ero anch’io quando Septimus e i suoi uomini vi hanno difeso da quel porco che vedete lì. E io vi giuro, su tutto quello che ho di più caro, che non l’hanno fatto perché era loro dovere, ma perché pensavano realmente che ciò che eravate costretti a subire fosse sbagliato. Siete liberi di non credermi, ma la gente di questa provincia ha sofferto e soffre tuttora quasi quanto voi, perché costretta a vivere sotto il giogo di funzionari incapaci. Tu Scalia. Hai parlato dei libri che ti ho fatto leggere, ma ti ricordo che sono stati degli umani a scriverli.»

Di fronte a quella considerazione non seppi cosa rispondere, e ammetto che provai un senso di vergogna per come mi fossi lasciata trasportare dalle emozioni e dalla rabbia.

«Anche supponendo che alcuni umani accettino di schierarsi con noi. E gli altri?» chiese Jack. «Gli altri cosa faranno?»

«Pretendere che tutto il mondo segua un unico pensiero è utopistico. Ma di certo non conquisterete la fiducia degli umani che ancora non sanno cosa pensare di voi comportandovi esattamente come temono che potreste fare. Pertanto, se davvero volete il mio aiuto per creare un mondo in cui possiate essere liberi, la mia prima richiesta è la seguente. Niente vendette personali. Niente ritorsioni. Avete la mia parola che chiunque abbia commesso dei crimini nei vostri confronti sarà chiamato a risponderne. Per tutti gli altri, tutto quello che è successo da oggi è cancellato. Tutti gli umani che accetteranno di seguirci nella creazione del nuovo mondo, o che semplicemente non si mostreranno ostili al nostro operato, saranno i benvenuti. Pregiudizi e intolleranza non saranno tollerati da una parte o dall’altra, e chiunque dovesse dimenticarsene vi assicuro che avrà modo di pentirsene.»

Fummo costretti a riconoscere che le sue erano parole sensate, anche se a molti la sola idea di dover vivere e probabilmente combattere fianco a fianco con gli stessi che ci avevano tenuto in schiavitù per secoli suscitava ribrezzo. Ed io ero sicuramente tra questi.

D’altronde però come potevano un migliaio di schiavi affamati e macilenti mettere in scacco da soli un intero esercito?

«Prima di andare oltre però, dovete rispondere a questa domanda.» disse ancora Daemon guardandoci tutti in modo talmente cupo da spaventarci «Siete davvero pronti a lottare e morire per ottenere ciò che volete? Costruire da zero un mondo che non esiste è l’impresa più difficile che una mente senziente sia in grado di concepire. Molti dovranno sacrificarsi per fare si che ciò avvenga. Se siete disposti a rischiare la vostra vita, o a veder morire i vostri amici, per inseguire questo sogno quasi impossibile, allora impugnate le armi e preparatevi a lottare. Ma se pensate di non esserne capaci, o se avete anche solo un dubbio, allora sedetevi nel fango e aspettate il vostro destino, che sarà comunque assai meno doloroso di ciò che vi aspetta oltre quel muro. La decisione è vostra.»

Una voce che non seppi riconoscere si sollevò quasi subito alle mie spalle.

«Alle armi!»

A quel punto un boato come non ne avevo mai sentiti fece tremare le case, le mura, perfino le montagne tutto intorno.

«Alle armi! Viva la libertà!»

E così, era successo quello che nessuno avrebbe mai potuto immaginare: un umano che a furore di popolo veniva eletto leader di una rivolta di mostri che solo poco prima sembrava impensabile.

A volte anche l’impossibile può accadere.

 

Una volta avevo sentito dire che le prime rivolte a Parigi nell’ottantanove erano esplose quando un idiota dei reggimenti tedeschi dal grilletto facile aveva sparato a un ragazzino durante una protesta ai giardini delle Tuilerries.

Che fosse vero o meno, è risaputo che mentre fame, soprusi e governanti inetti sono la legna che alimenta le rivoluzioni, il sangue è da sempre l’olio che le incendia.

 Di fronte a quella massa di poveri disgraziati che tutti insieme alzavano la testa al grido di libertà e uguaglianza non potevo fare a meno di provare un gran disgusto per me stesso.

D’accordo che avevo sempre saputo che Scalia non sarebbe mai potuta morire per così poco, tali erano le sue capacità rigenerative, ma ciò non toglie che l’avevo comunque messa in pericolo.

Per mia fortuna avevo iniziato a fare ricerche sul bind molto prima che mi fosse data quella stella, arrivando a scoprire cose che la comune soldataglia abituata ad usare quelle pietre solo come una sorta di frusta sovrannaturale neanche si immaginava.

In questo modo ero riuscito a mettere a punto un particolare incantesimo, che avevo chiamato con scarsissima fantasia mot de commande. Tutto quello che avevo dovuto fare era stato instillare nella pietra di Scalia l’ordine di proteggermi qualora la mia vita fosse stata in pericolo; tale direttiva era quindi rimasta latente fino a quando non si erano palesate le condizioni per il suo risveglio, avvenimento del quale naturalmente lei non poteva avere consapevolezza perché eseguito in una condizione di vera e propria ipnosi.

Era un vero peccato che lo sforzo magico richiesto per sopportare un incantesimo di tale complessità fosse più di quanto quelle pietre di bassa lega potessero sopportare, permettendone un singolo utilizzo, e che per instillarlo nella pietra fossero richiesti sia parecchi minuti che un contatto diretto.

Ma ciò che più contava era che avevo finalmente ottenuto quello che volevo.

Ora non si poteva più tornare indietro, ed ero consapevole che avessimo poco tempo.

Oldrick e i suoi uomini non si sarebbero certo arrischiati a rimettere piede nel ghetto, ma era solo una questione di due, massimo tre giorni prima che dal Castello venisse inviata una spedizione punitiva.

E prima che ciò accadesse era necessario aver preso il controllo della regione e cementato l’alleanza tra gli schiavi e gli abitanti del luogo.

Una volta selezionati i mostri più affidabili e maggiormente pronti alla lotta e aperte senza difficoltà le porte del ghetto puntammo direttamente i campi di lavoro, arrivandoci prima che la notizia della rivolta potesse diffondersi.

Le poche guardie assegnate alla loro difesa si arresero senza neanche provare a combattere, terrorizzate all’idea di dover affrontare una banda di schiavi armati di sassi e bastoni ma comunque arrabbiatissimi, permettendoci di mettere le mani su attrezzi da lavoro, vestiti di cuoio della forgia, cavalli e anche qualche arma.

Quindi, venne il momento di puntare al bersaglio grosso.

«A Dundee!».

 

Ormai era da mesi che faticavo ad essere me stesso.

La morte di Jorn, tanto improvvisa quanto paradossale, mi aveva colpito duramente.

Era successo la mattina dopo quel festino alla taverna.

Il sindaco Rutte mi aveva buttato giù dalla branda, dalla quale ero sceso tra l’altro con un tremendo mal di testa da sbronza, dicendomi che lo avevano ripescato dal fondo di una cisterna poco fuori le mura, lungo la strada per il forte.

Un incidente, si era detto. Gli avevano trovato addosso un sacchetto con l’ultima paga e la spilla d’argento di suo padre appuntata sulla tunica, senza alcun segno apparente di un’aggressione.

Daemon, che era apparso sconvolto tanto quanto me, mi aveva detto di averlo accompagnato fino alla piazza del villaggio, dove Jorn lo aveva però convinto a lasciarlo tornare indietro da solo promettendo che sarebbe tornato subito al forte.

Accidenti a lui e al suo orgoglio: di sicuro non voleva che qualcuno lo vedesse rientrare in branda ubriaco fradicio e sorretto a spalla dallo sceriffo.

Dannazione Jorn! Te l’ho sempre detto che non sei bravo a reggere l’alcol!

Se fossi stato più attento mi dicevo, se non mi fossi lasciato andare anch’io, di sicuro non sarebbe finita in quel modo.

Naturalmente tali pensieri non facevano altro che distrarmi dai miei doveri, e così accadde che quando la tempesta ci arrivò addosso quasi non mi accorsi di nulla finché non fu troppo tardi.

Quel pomeriggio ero seduto in riva al lago, con gli occhi piantati sui monti del Khoral che si stagliavano di fronte a me e la testa persa in un mare di pensieri.

«Un’insurrezione!?» esclamai all’indirizzo del messaggero che venne a portarmi la notizia. «E dove sono adesso i rivoltosi?»

«Hanno scacciato un manipolo di miliziani e ucciso il Comandante Beek, e sembra che ora siano diretti verso Dundee!»

«Corri subito al villaggio! Ordina alla milizia e alla guardia cittadina di prepararsi a respingerli! Io vi raggiungerò il prima possibile con il resto della guarnigione!»

«Sì, decurione!»

Mentre galoppavo sulla via del ritorno facendo scoppiare i polmoni al mio cavallo mi accorgevo di quanto la situazione stesse precipitando a vista d’occhio; le case e le fattorie più isolate erano già deserte, e la strada diretta a nord talmente intasata che molti avevano abbandonato carri e carretti per proseguire a piedi.

Il terrore si percepiva distintamente; i ribelli stavano venendo a presentare il conto, e sarebbe stato molto salato.

Al mio arrivo, il presidio era in preda al caos.

«Perché siamo così pochi? Dove sono tutti?»

«Draxler, Mascius e Corren se ne sono andati. Per gli altri, non ne abbiamo idea.»

«E il Centurione Costanzio

«È saltato su un cavallo assieme alla sua scorta personale appena è arrivata la notizia. Ha detto che andava a chiedere rinforzi, ma a meno che non abbiano spostato il Castello oltre il fiume non scommetterei sul suo ritorno.»

Ma se quelle sembravano pessime notizie era niente rispetto a ciò che aveva da dire il messaggero che avevo mandato al villaggio. Il solo fatto di vederlo entrare quasi sfondando la porta, bianco come un cadavere, fu sufficiente per farmi intuire cosa avesse da dirmi.

«Ebbene?»

«Vengo ora dalla caserma. Il posto è deserto. I miliziani sono già scappati tutti.»

«E la guardia cittadina?»

«Non mi hanno neanche lasciato parlare. Mentre tornavo qui però li ho visti aprire le porte su ordine del sindaco.»

«Maledizione!» sbottai calciando la sedia «Non possiamo difendere neanche questo forte, figuriamoci il villaggio!»

«Decurione! Sono qui! Sono alla base del colle e stanno salendo!»

Era dunque destino che il mio sogno di diventare un grande eroe fosse destinato ad accompagnarmi nella tomba. Ma non me ne sarei certo stato fermo ad aspettare di farmi scannare.

Se non per gli uomini al mio comando, dovevo provare a fare qualcosa almeno per coloro che volevo proteggere; ogni minuto che fossimo stati in grado di guadagnare sarebbe stato un minuto in più concesso ai fuggitivi per mettersi in salvo.

«A questo punto, che si sudino le nostre teste!»

Nessuno esitò, perché i codardi erano già tutti scappati. Era il pensiero di combattere per i nostri cari a darci la forza in quelli che sapevamo essere i nostri ultimi minuti.

Recuperati tutti gli archi, le frecce e i giavellotti che avevamo a disposizione ci portammo in cima al basso muro che delimitava il cortile del forte, pronti a vendere cara la pelle.

Da lì potei vederli mentre, come una marea in carne ed ossa, avanzavano lentamente lungo il pendio, talmente numerosi da nascondere la terra sotto i loro piedi.

Mi aspettavo di vederli sciamare contro di noi come un branco di lupi pronti a divorare le nostre carcasse. E invece, di colpo, arrestarono l’avanzata, fermandosi alla giusta distanza per essere fuori dalla gittata delle nostre frecce.

Una parte di tutti noi capiva. E anche se dentro di noi non volevamo realmente far loro del male, sapevamo che ai loro occhi tutto eravamo fuorché semplici soldati obbligati da un giuramento a compiere il nostro dovere.

«Abbiamo già chiamato rinforzi!» dissi, cercando di apparire il più convincente possibile. «Deponete le armi, ritiratevi pacificamente e vi giuro che non vi sarà fatto alcun male!»

Nessuno rispose, né si levò una voce.

Poi, d’un tratto, la massa si aprì ordinatamente, e una figura a noi molto familiare avanzò fino alla testa di quella specie di armata lasciandoci senza parole.

«No… Non può essere… Tra tutti, perché proprio tu?»

 

 

Nota dell’Autore

Salve a tutti!

Dopo due settimane, eccomi di nuovo qui con il penultimo capitolo del primo volume di questa mia pima Light Novel.

Mi sono sforzato di dare al mio protagonista una personalità il più sfaccettata possibile, facendo di lui un personaggio complesso e a tutto tondo piuttosto che il classico eroe isekai.

Ciò sarà risultato di sicuro evidente in questi ultimi due capitoli, in cui si è visto fino a che punto Daemon è disposto a spingersi pur di realizzare il proprio scopo, senza che tuttavia questo faccia di lui un personaggio totalmente malvagio.

Grazie a Fenris per la sua recensione.

Allora ci vediamo tra due settimane per l’epilogo!^^

A presto!^_^

   
 
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