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Autore: _Alcor    25/07/2023    9 recensioni
Quando Ashley riceve la possibilità di tornare indietro nel tempo per impedire la morte della sua migliore amica, la afferra senza esitazione. Ma deve riuscirci nei minori tentativi possibili, perché ogni reset le strapperà una parte della sua umanità.
Eppure, si dice, diventare un demone pur di salvare quella ragazza non sembra così male.
{ho un debito creativo enorme verso il kagepro | e per la cover di fight song di Izuru | angst&loop temporali}
Genere: Hurt/Comfort | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Warden of humanity'
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I.
[Ashley Sterling]


Lazerin | ERRORI RILEVATI | Broken einheri, impossibile risalire al codice identificativo



Passo tra due tavoli da air hockey inutilizzati; il muro di fondo è ricoperto da una fila di cabinati vintage che rischiarano la penombra del locale.

Ci cammino accanto. Un paio di soldatini in pixel art si gettano in un campo nemico a pistole spianate, automobili vanno in derapata per le vie di una città poligonale, un robot si accuccia in cima a un grattacielo. Non ho giocato neanche a metà di questi titoli e non lo farò oggi.

Tiro fuori dalla tasca l’ultimo gettone rimasto, questo me lo conserverò per la prossima volta che vengo.

Un biondino in maglietta sportiva pesca una palla da basket dal pop-a-shot, arriccia le labbra e tira. Accanto a lui c’è il cabinato di BUCKET LIST OF THE DEAD, Ronye è ancora lì dove l’ho lasciata.

Gambe divaricate, pistola rosa fosforescente puntata allo schermo e coda di cavallo mezza disfatta per l’intensità con cui gioca a quella mostruosità. Mi fermo a un paio di passi di distanza e premo il gettone tra pollice e indice.

La musica martellante copre gli spari e i grugniti degli zombie. Le zanne del boss si chiudono su un NPC, il suono viscido di carne e ossa spezzate è distorto dalle casse dell’anteguerra. Lo schermo si illumina di bianco, una macchia di sangue copre la visuale.

Faccio roteare il gettone sulle nocche e mi allontano di un passo. Il comparto sonoro mi fa male fisico.

Ronye ringhia sottovoce, fa schizzare la pistola da una parte all’altra. Stringe così forte che le si sbianca la pelle. «Palo, non mi offendo se ti giri!»

«Che amica sarei?»

Rotea il gettone, tifa per Ronye. Non guardare.

Il cabinato irradia luce rossa, mi travolgono i ringhi gutturali e il suono disgustoso di dita che strappano carne. Forse guardare sarà meno doloroso rispetto a immaginare cosa sta accadendo.

Un essere fatto di muscoli pulsanti e vene nere si sfaccia contro lo schermo, salto indietro e tiro un gridolino soffocato.

Il biondino al pop-a-shot si gira e mi fissa. Che vergogna.

Metto le mani sul viso e mi raccolgo a terra come una palla. La gamba di Ronye mi arriva al fianco. «Palo, mi deconcentri!» Caccia un urlo frustrato e ficca la pistola rosa nel sostegno. La scritta GAME OVER riempie lo schermo, il nove diventa un otto, un sette…

Alzo gli occhi. «S… scusa.»

Si passa le dita sulle palpebre e mi tende la mano. Il sudore le ha appiccicato la frangia alla fronte. «Rilassati, non era una buona run in ogni caso. Normalmente arrivo al lich del gabinetto con il doppio della vita e un uso del curio dorato.»

Gliela stringo e mi alzo. Non ho idea di cosa fa la maggior parte della roba che ha citato, ma non tocca questo cabinato da mesi.

«Di base ti sei arrugginita?»

«Fin troppo.» La maniera scontenta con cui arriccia le sopracciglia è adorabile. «Approfitterò delle vacanze per riprenderci la mano.» Chiamare così il licenziamento deve far miracoli per il suo morale.

«Non vuoi recuperare tutto sta sera, vero?»

Ronye rivolge uno sguardo di fuoco al cabinato. «Ormai sono tiltata e,» occhieggia l’orologio da polso. «Domani hai il turno, vero? Dovevi avvisarmi che era così tardi.»

Dissimulo l’imbarazzo con una risata. Sono settimane che non passiamo una serata insieme. «Tornare a casa prima è uno spreco.»

Ronye mi batte la mano dietro la schiena, l’impeto mi sbilancia avanti. Sarà sottile ma quelle braccina sono forti. «Sarà… Muoviti.»





I vecchi binari spariscono dentro la galleria ferroviaria della tratta in disuso, metto le mani in tasca e caccio una pedata a un grosso pezzo di metallo che ingombra il passaggio. L’erba è cresciuta talmente tanto da averlo legato a terra.

Questo posto è abbandonato da un pezzo.

La luce lunare raggiunge a malapena l’entrata della galleria, non fatico a credere che su internet sia chiamata bocca dell’inferno. Ronye cammina sulla sbarra di metallo della rotaia, le braccia stese per rimanere in equilibrio. «Sicura che non dovresti dormire?»

«Sicura-sicura.» Il cielo è limpido, in questa zona l’inquinamento luminoso non è così grave e alcuni astri maggiori sono visibili. «Oggi si vedono bene.»

Trovo le tre stelle della linea d’argento e tendo la mano a L contro l’ultima. Vicino all’unghia dell’indice ci dovrebbe essere lucchetto, socchiudo un occhio. Eccola! Brilla di una tenue sfumatura azzurra.

Le promesse rivolte a quella stella vengono rispettate, sempre. Anni fa eravamo in cinque a vedere le stelle, promettendo di continuare a frequentarci dopo aver finito la scuola, ora la maggior parte di loro si è trasferita e non ha nemmeno intenzione di tornare a Welt per salutare.

Che depressione.

Ronye mi si affianca. «Trovata?»

Annuisco. Ormai potrei non aver nemmeno bisogno di questo metodo per riconoscerla, ma è un'abitudine. Il ronzio di un paio di insetti mi passa vicino alle orecchie.

«Eccavolo.» Ronye spiaccica una zanzara contro la propria spalla, lo schiocco risuona. «Avrei preso l’antizanzare se avessi saputo che venivamo qui.»

«L’estate è proprio arrivata… E io non ho ancora toccato la tesi.»

«Me ne vado se parli di università.»

Mi spalmo contro le sue spalle, la stringo in un abbraccio che grazie al cielo non rifiuta. «Non mi abbandoni, signorina. Le faccio vedere qualcosa di coolino che stiamo facendo al lavoro.» Ronye mi pianta la mano sotto il mento e preme verso l’alto per scollarmi. Schiocco la lingua, devo sperare che un giorno non decida di tirarmi in faccia un’ordinanza restrittiva.

Un cono di luce illumina la bocca della galleria. «Che ci fate qui?» La voce è severa.

Dall’ombra emerge una donna dai capelli rossi, legati in una coda alta. La camicetta abbottonata fino al collo mi ispira ufficiale governativo. Punta la torcia contro il viso di Ronye. «Questa area è pericolosa, andatevene.»

Lei si fa indietro, e la donna sposta di nuovo il fascio di luce verso la sua faccia. Se continua così finiremo a botte in un attimo.

Metto la mano sulla spalla di Ronye. Ci manca solo che si metta a litigare con lei, mi faccio avanti. «Ci scusi, non ne avevamo idea.»

Per la terza volta, la tipa ci acceca. «Allora andatevene.»

La mano di Ronye si posa sulla mia, la sposta e accorcia le distanze dalla donna. «Tu chi saresti?»

La rossa spalanca gli occhi, si abbraccia i gomiti. È più alta di una spanna minimo, ma di fronte a quella ragazza si stringe e fa piccolina. «Non siete voi a fare domande.»

Alzo un sopracciglio, che reazione inusuale. «Hai qualcosa per imporci che dobbiamo andarcene?»

L’espressione della donna si fa scura, incassa la testa e poi la scuote. Ronye mi prende la mano e marcia oltre la rossa, che non ci ferma. Cosa abbiamo appena vissuto? Ci infiliamo nella galleria.

Nel buio, Ronye sghignazza. «Abbiamo pizzicato una ladra, totale.»

Il pensiero mi fa venire ansia, ma non dev’essere così pericolosa se si è congelata così. «Avrà complici?»

«Probabilmente.»

«Guarda che ho cambiato idea; non voglio morire solo per farti da guida.»

Ronye abbozza un sorriso. «Non preoccuparti, scaredycat, ti proteggo io.»





La x fluorescente sul muro segnala il punto di arrivo, faccio un cenno con la mano. «Ci siamo.»

Mi sfrego le mani, si sono arrossate per il freddo. Dentro la galleria la temperatura è molto più bassa di quello che mi aspettavo.

Ronye mugugna, punta la torcia del telefono contro la rientranza nella parete, dove è incuneata una vecchia postazione blu per le riparazioni in loco. Spalanco la porticina, i cardini scricchiolano.

A parte una catasta di strumentazioni e attrezzi, c’è solo un tavolino con una console piena di file di bottoncini e levette. Mi abbasso sotto il tavolo, la postazione di controllo ha un bottone rosso enorme ricoperto da una protezione trasparente. La sblocco e lo spingo.

Trattengo il fiato. Uno, due, tre, quattro. Con uno sfrigolio elettrico, i fanali posizionati ai lati della galleria si accendono uno dopo l’altro. Un mare di colori ricopre le mura, non so come han fatto a fare la diavoleria elettrica per illuminare tutta la zona ma quelli dell’amministrazione hanno la mia infinita ammirazione.

Faccio un passo indietro, Ronye spegne la torcia. Gli occhi passano tra il gigantesco castello fiabesco dipinto sul muro e il dragone alato di un anime che andava un paio d’anni fa.

Fischia. «E questo l’avrebbero fatto per riqualificare il luogo…»

Esco e mi chiudo la porta alle spalle. «Ay. La tratta non è così lunga, renderlo un museo all’aperto sembra interessante.»

«Avete parecchia speranza che nessuno venga a vandalizzare questo buco.» Ronye segue i binari scassati, un paio di falene ronzano intorno a uno dei fari. «Chi c’ha lavorato?»

«Un sacco di gente, tra i vari Limy è tornata con la sua compagnia artistica da Seele giusto il tempo di fare il pezzo forte del museo.» Faccio uno svolazzo con la monetina e seguo la linea della galleria, qui si sente solo il ronzio leggero degli apparecchi elettrici. La temperatura non accenna a migliorare.

«Quindi è riuscita ad entrare in accademia, mi aspettavo che avrebbe avvisato…»

«Ha lasciato l’arduo compito ai suoi stati sui social.» C’è un rumore distante, come il fruscio di qualcosa di estremamente pesante. Me lo starò immaginando? «In realtà ha anche spedito un catalogo con le sue opere, le stiamo caricando nel museo digitale del Granaio in questi giorni.»

Passiamo accanto a mostri-pinguini panciuti, una donna ammantata di stelle con gli occhi del colore della galassia. Un lupo stilizzato è solcato da tre graffi profondi. Mi fermo e Ronye mi sbatte contro la schiena.

«Palo-»

«Scusa.» Passo i polpastrelli sui segni di artigli, sono equidistanti tra loro. Come se fossero stati impressi nello stesso istante. Mi si gela la gola. «Temo che… la ladra avesse ragione.»

Ronye mi serra la mano sul gomito e tira per tornare indietro, la assecondo a passi veloci, meglio non rischiare. Se la bestia che ha lasciato quei graffi è nelle vicinanze, ci sarà bisogno della polizia per catturarla.

I rumori distanti si fanno sempre più vicini, calcio il terreno e scatto. Insieme al rassicurante suono del respiro di Ronye alle mie spalle, qualcosa di pesante sbatte e graffia contro il muro. Più vicino, come un fiume in piena che vuole travolgerci.

Superiamo la donna ammantata di stelle, i passi sono talmente forti da far tremare i muri. Il gemito delle rotaie che si schiacciano sotto il peso di qualsiasi cosa sia alle nostre spalle è violento. Ho il cuore in gola, supero la cabina blu. Le mani di Rho mi premono contro la schiena e spingono.

Rotolo avanti.

Mi raggiunge un sibilo distante. Il suono umido di denti che si chiudono nella carne non è seguito dal gocciolare del sangue a terra, o grida di dolore. Sbatto e mi volto verso il mostro, tra le sue zampe colossali c’è la giacchetta di Ronye.

«Rho?»





[.Note a margine]

Far rotolare le monete sulle nocche è una di quelle cose totalmente inutili, ma cool. Davvero.

Inizia la parte migliore dei loop temporali, i traumi. Mi sono dovuta fisicamente fermare dall’inserire l’headtilt che c’è stato in star rail. C’HO I TRAUMI, MIHOYO.

_Alcor

  
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