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Autore: _Agrifoglio_    28/07/2023    14 recensioni
Una missione segreta, un’imboscata vicino al confine austriaco e il corso degli eventi cambia. Il senso di prostrazione dovuto al fallimento, il dubbio atroce di avere sbagliato tutto, un allontanamento che sembra, ormai, inesorabile, ma è proprio quando si tocca il fondo che nasce, prepotente, il desiderio di risorgere. Un incontro giusto, un’enorme forza di volontà e, quando tutto sembrava perduto, ci si rimette in gioco, con nuove prospettive.
Un’iniziativa poco ponderata della Regina sarà all’origine di sviluppi inaspettati da cui si dipanerà la trama di questa storia ricca di colpi di scena, che vi stupirà in più di un’occasione e vi parlerà di amore, di amicizia, di rapporti genitori-figli, di passaggio alla maturità, di lotta fra concretezza e velleitarismo, fra ragione e sogno e della difficoltà di demarcarne i confini, di avventura, di duelli, di guerra, di epos, di spirito di sacrificio, di fedeltà, di lealtà, di generosità e di senso dell’onore.
Sullo sfondo, una Francia ferita, fra sussulti e speranze.
Davanti a tutti, un’eroica, grande protagonista: la leonessa di Francia.
Genere: Avventura, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Nuovo Personaggio, Oscar François de Jarjayes, Quasi tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Il rosso, il nero e una giovane Delfina
 
Reggia di Versailles, 1830
 
Guardò diritta di fronte a sé mentre il valletto la annunciava alla Regina madre. Fece alcuni passi avanti, poi un inchino e, infine, si congratulò per la recente notizia.
– Sono lieta, Maestà che il Parlamento abbia, finalmente, abrogato la legge salica! Ci sono voluti molti anni, ma, alla fine, la Francia si è modernizzata e la Principessa Elisabetta potrà diventare Delfina!
– Ormai, è questione di giorni, Madame Oscar! – rispose, entusiasta, Maria Antonietta – Non appena la legge abrogativa sarà stata promulgata, il Re nominerà la figlia Delfina!
– E’ un giorno memorabile, Maestà! – ribadì Oscar – E’ il coronamento di tutti gli sforzi che sono stati profusi per dare alla Principessa un’educazione eccellente!
– Voi siete stata il fulcro di questo programma educativo, Madame Oscar e non Ve ne saremo mai grati a sufficienza! Ma sedete, Vi prego – disse Maria Antonietta, indicando a Oscar una sedia – Vi ho mandata a chiamare per parlare con Voi di un argomento molto meno gioioso di questo e il discorso rischia di essere lungo.
– Ciò di cui dovete parlarmi, Maestà, ha a che fare con Napoleone? – domandò Oscar che aveva riconosciuto, nel volto dell’amica, la consueta espressione preoccupata che la incupiva, ogni volta che si discuteva di Bonaparte.
– Soltanto indirettamente, Madame Oscar.
L’enigmatica risposta di Maria Antonietta incuriosì Oscar che si dispose ad ascoltare.
– A Besançon, è stato incarcerato un giovane di ventitré anni, per tentato omicidio ai danni di una Signora.
La curiosità di Oscar crebbe a dismisura, perché di delitti, purtroppo, se ne commettevano continuamente e, ogni giorno, c’era qualcuno che cambiava domicilio, passando dalla propria abitazione alle patrie galere.
– Il giovane in questione, arrestato in flagrante e reo confesso, risponde al nome di Julien Sorel e, forse, Voi avrete già avuto occasione di incontrarlo, perché, fino a poco tempo fa, era il segretario personale del Marchese de La Môle. La vittima, invece, è Madame Louise de Rênal, moglie dell’ex Sindaco di Verrières e madre dei bambini di cui Monsieur Sorel, alcuni anni or sono, fu precettore.
– Ho letto la notizia sul giornale, Maestà. Mio marito e io l’abbiamo commentata proprio ieri, davanti al camino e con in mano un buon cognac. Non immaginavo, però, che la vicenda interessasse in qualche modo la Corona.
– La interessa indirettamente, Madame Oscar, ma voglio procedere con ordine. Monsieur Julien Sorel, pur essendo di origini modestissime – il padre, infatti, è un carpentiere, proprietario di una piccola segheria a Verrières – è sempre stato un giovane intelligente e assai studioso. Grazie a queste attitudini, l’allora Sindaco di Verrières, Monsieur de Rênal, lo assunse come precettore dei suoi figli. Entrato in casa del Sindaco, però, Monsieur Sorel, essendo un uomo di immensa ambizione e di scarsa moralità, sedusse la moglie del padrone, una donna molto virtuosa e gentile, ma, probabilmente, mal maritata. Quando Monsieur de Rênal fu informato della tresca, Julien Sorel fuggì da quella casa nottetempo e riparò a Besançon, dove entrò in seminario. Dopo alcuni anni di studi, grazie a un sacerdote suo amico, Monsieur Sorel fu assunto dal Marchese de La Môle come segretario personale. In breve tempo, questo giovante promettente, grazie ai suoi innumerevoli talenti, conquistò la totale fiducia del Marchese de La Môle che gli affidò incarichi sempre più importanti. Il punto è che la fiducia del Marchese non fu l’unica cosa che quel giovane ambizioso conquistò. Deciso a emergere, Julien Sorel – ma questa è una notizia estremamente riservata – riuscì a compromettere la figlia del Marchese de La Môle, Mathilde, prossima al fidanzamento col Marchese de Croisenois, un giovane nobiluomo che vanta un Duca fra le sue parentele. Di fronte al fatto compiuto, il Marchese de La Môle, seppur furente, fu costretto ad acconsentire alle nozze della figlia adorata con quell’oscuro arrampicatore, ma, forse, i due si erano già sposati in segreto. Il Marchese procurò al futuro genero anche un titolo, un grado nell’esercito e una cospicua rendita, ma, ancora contrariato da quella mésalliance e preoccupato per la figlia, volle prendere delle informazioni. Scrisse, quindi, a Madame de Rênal e la povera donna che, dopo i fatti di alcuni anni prima, era caduta in un profondo stato di prostrazione emotiva, di sua iniziativa o, più probabilmente, sotto l’influenza del Parroco o di qualcun altro, scrisse al Marchese de La Môle una lettera in cui descriveva Julien Sorel nel peggiore dei modi, come un turpe arrivista il cui unico scopo era quello di entrare nelle case degli altri e di sedurre le donne che vi abitavano. Folle di rabbia, il Marchese de La Môle ruppe il fidanzamento della figlia. Vedendo sfumare tutti i suoi sogni e naufragare le sue ambizioni, Julien Sorel si recò a Verrières e, una domenica mattina, nella chiesa nuova del paese, sparò a Madame de Rênal nel bel mezzo della funzione, davanti all’intero paese. La donna è stata ferita a una spalla ed è già sulla via della guarigione, ma il giovane Sorel rischia, comunque, la pena capitale.

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– Questa storia è sconvolgente, Maestà – disse Oscar con voce grave – ma in che modo la vicenda ci riguarda?
– Il giovane Sorel è un popolano innalzatosi grazie alle sue doti e alla sua astuzia mentre le due sedotte, la vittima e la moglie mancata, appartengono entrambe alla nobiltà. E’ risaputo, inoltre, che Julien Sorel è un fervente ammiratore di Napoleone Bonaparte. Questa vicenda sta acquisendo rapidamente una vasta eco, a causa della platealità del gesto, del prestigio della vittima e della giovinezza e della bellezza del reo. Questa vicenda sta diventando un romanzo! Il Re, però, vuole evitare che il periodo di detenzione e l’inevitabile processo si trasformino in un’arena dove riprendano a lottare borbonici contro bonapartisti e monarchici contro giacobini. Nel malaugurato caso in cui dovesse essere pronunciata una condanna, inoltre, si temono reazioni della folla o, addirittura, rivolte.
– Napoleone, purtroppo, ha sempre avuto la prerogativa di attirare su di sé le attenzioni delle persone – disse Oscar, con aria pensierosa – Basti pensare che, all’indomani della fuga da Sant’Elena, un letterato milanese, nipote di Cesare Beccaria, gli dedicò un’ode, intitolata “Il cinque maggio”, che iniziava con le parole: “Egli è”!
Maria Antonietta si passò una mano sulla fronte e, subito dopo, riprese a parlare.
– La Corona non vuole intervenire in alcun modo nella vicenda né, tanto meno, compromettere l’indipendenza dei Magistrati. Nessuna pressione il Re eserciterà per insabbiare il delitto e per fare assolvere Monsieur Sorel. E’ a questo punto che entrate in scena Voi, Madame Oscar. Se accetterete l’incarico, dovrete recarVi a Besançon dove è detenuto Monsieur Sorel e convincerlo ad assumere un atteggiamento processuale più collaborativo. All’accusato, infatti, paiono non interessare le sorti del processo in cui è coinvolto. E’ un uomo orgoglioso, ripete ai Giudici di essere colpevole e non fa quello che l’Avvocato gli consiglia.
La Regina tacque per un istante e, poi, ricominciò.
– Riepilogando, Madame Oscar, per tutte le ragioni che Vi ho indicato prima, l’intero caso rischia di assumere una connotazione politica e la Corona non vuole che ciò avvenga, tanto da non essersi spesa direttamente coi Giudici. Voi dovrete impedire questa deriva e fare l’impossibile per mantenere l’ordine pubblico. Non vogliamo più lotte né fazioni. Il gesto folle di questo giovane non deve riportare in Francia il ricordo delle gesta di un Imperatore ormai deposto e riparato in America da anni. Il fatto che Julien Sorel sia un bonapartista non può assurgere a pretesto per dare nuova voce ai seguaci del tiranno!
Oscar guardò Maria Antonietta con aria grave e preoccupata. Il senso del dovere era ancora forte e vivo in lei, ma l’età incombeva e i malanni pure. Il viaggio era lungo e disagevole e il caso si preannunciava difficile. Ciò nonostante, non poteva negare il suo aiuto alla Regina.
– Maestà, accetto l’incarico. Non appena sarà possibile, partirò con mio marito alla volta di Besançon.
– E’ magnifico, Madame Oscar! – esclamò Maria Antonietta, con entusiasmo giovanile, malgrado i quasi settantacinque anni – Darò subito disposizione affinché siano preparati i passaporti per Voi, per il Conte di Lille e per i servitori che vorrete portare a Besançon.
 
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Vienna, Palazzo della Hofburg, 1830
 
Erano diventati amici inseparabili e, secondo le malelingue, qualcosa di più. Le loro stanze erano vicine e si vedevano tutti i giorni. Lui le portava mazzi di fiori variopinti, fragranti di nettare e di erba appena recisa che raccoglieva per lei, ogni mattina, nei giardini del palazzo. L’abbracciava d’impeto e la baciava e lei doveva schermirsi, dicendo che quelli erano i comportamenti di un fanciullo e non di un giovanotto. Lei danzava con lui, incurante delle chiacchiere, sollevata dopo tanto tempo, perché finalmente era incinta, all’indomani di un soggiorno alle terme di Ischl.
Lui era il Duca di Reichstadt, Napoleone Francesco Giuseppe Carlo, ormai soltanto Francesco Giuseppe Carlo o Franzchen, dopo che il padre era stato sconfitto. Era un giovanotto intelligente e amante delle cose militari, alto più di un metro e ottanta, biondo, longilineo e avvenente come gli Asburgo dai quali aveva ereditato l’aspetto.
Lei era l’Arciduchessa Sofia, nata Wittelsbach e Principessa di Baviera, ora sposa di un Arciduca austriaco. Era una giovane bella, intelligente, volitiva e ambiziosa che già mostrava una notevole propensione per la politica e il governo. Poco aveva in comune con suo marito, l’Arciduca Francesco Carlo, un uomo privo di slanci e ambizioni e amante della vita tranquilla. Molto, invece, condivideva con quel giovane allegro e gentile, bello come il sole e intelligente come il suo innominabile padre. Il suo Franzchen.
Stavano discorrendo dell’ultima rappresentazione teatrale cui avevano assistito, gli occhi brillavano e sprizzavano felicità e le labbra pronunciavano soltanto parole gioiose.
Lei era incinta, ma sembrava una ragazzina. Lui la guardava come se fosse stata il sole della sua vita.
 
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Carcere di Besançon, 1830
 
Scesi dalla carrozza a conclusione di un viaggio scomodo e faticoso, Oscar e André andarono nelle loro stanze a rinfrescarsi mentre i valletti scaricavano i pochi bagagli. L’albergo scelto era uno dei migliori di Besançon e, infatti, senza essere il più sfarzoso, era pulito, ben gestito e idoneo, per signorilità e ubicazione, a garantire ai suoi ospiti, in quelle giornate impegnative e complicate, tranquillità e discrezione.
Dopo un paio d’ore dall’arrivo, si diressero verso il carcere di Besançon. Se si imbattevano in un gruppo di persone, c’era una possibilità su due che queste stessero parlando del delitto di Verrières e, nelle strade e nelle piazze, gente di ogni età proponeva in vendita ai passanti il ritratto del bel Julien.
Giunti a destinazione, mostrarono i loro lasciapassare a una guardia che, dopo averli fatti attendere alcuni minuti, li condusse dove il protagonista di quell’assurda vicenda era stato incarcerato.
Il prigioniero era stato alloggiato al secondo piano di una torre gotica, la cui architettura doveva risalire agli inizi del XIV secolo.
Percorso un corridoio di pietra, il carceriere aprì la porta e li fece entrare nell’ampia stanza adibita a cella.
All’udire il rumore del chiavistello, Julien Sorel, che si trovava affacciato alla finestra, si voltò di scatto e guardò i nuovi arrivati con i suoi intelligenti occhi neri. Un blando stupore si scolpì, ben presto, in quel volto pallidissimo dai tratti irregolari, ma delicati.
La prima cosa che Oscar notò fu che Sorel dimostrava meno dei suoi ventitré anni e che da tutta la figura di lui, esile e agile, traspariva una forte personalità. I capelli erano castano scuri e dall’attaccatura bassa mentre il naso sporgeva aquilino.
Lo sguardo profondo e riflessivo del giovane si stava facendo sempre più interrogativo, così che Oscar si decise a rompere gli indugi.
– Monsieur Sorel, sono Oscar François de Jarjayes, Comandante Supremo delle Guardie Reali e Ministro della Difesa mentre questi è il Conte André de Lille, Ministro della Giustizia.
– So bene chi siete, Maresciallo de Jarjayes – disse Julien Sorel – offrendo, con perfetta cortesia, due sedie agli ospiti – Ho avuto più volte occasione di vederVi da lontano, mentre svolgevo delle commissioni per il Marchese de La Môle.
Tacque per un attimo e, poi, proseguì con voce pacata:
– La mia vicenda deve avere avuto un’ampia eco nella capitale, se ben due Ministri si sono interessati a me. E, probabilmente, l’eco è risuonata fino a Versailles.
Oscar sgranò gli occhi con aria sorpresa per quelle acute osservazioni e per l’atteggiamento distaccato, quasi tranquillo, di chi le aveva formulate mentre André rimase impassibile.
– Monsieur Sorel – disse Oscar, dopo avere messo da parte le sue riflessioni – La Vostra vicenda sta avendo risonanza in tutta la Francia e, probabilmente, sta valicando i confini nazionali.
– Mi duole del fastidio che sto arrecando là dove si esercita il potere, Maresciallo de Jarjayes – rispose il prigioniero con un tono che non tradiva alcuna emozione – ma, presto, tutto sarà finito e la marea si acquieterà. Al massimo fra un paio di mesi, io morrò giustamente, per avere attentato alla vita di una nobildonna da tutti stimata, la normalità si ristabilirà e ognuno potrà tornare alle sue consuete occupazioni.
– Nessuno vuole la Vostra morte, Monsieur Sorel – ribatté Oscar, con voce severa e lampi inquieti negli occhi azzurri – ma, al contrario, tutti auspicano che Voi seguiate i consigli del Vostro avvocato e Vi difendiate al meglio.
– Io ho creato questo subbuglio e io devo riparare – chiosò l’altro, con aria imperturbabile – La mia vita è una merce di scambio tutto sommato accettabile anche se munita di un esiguo valore intrinseco.
– Avrete tempo di trincerarVi dietro il cinismo o il sarcasmo, a Vostra scelta, quando questo putiferio sarà terminato – si inserì André, con espressione insolitamente severa – Ora, fate la prima cosa sensata che Vi sia capitato di compiere da un mese a questa parte!
Oscar si voltò, stupita, verso il marito, quasi non riconoscendolo mentre il carcerato sorrise lievemente.
– Comparire in pubblico, durante le udienze in Tribunale, sarà per me molto penoso, così come rispondere agli interrogatori dei Giudici, in questa cella, è una fastidiosa e vuota formalità. Ho ucciso o, perlomeno, tentato di uccidere e la morte è il giusto castigo che mi spetta.
– Ma lo capite che, così, rischiate l’osso del collo e non soltanto le bacchettate del precettore, giovanotto?! – sibilò André, con aria infastidita.
– Non ho avuto precettori, Conte di Lille. Sono, infatti, un autodidatta.
– Che il Vostro delitto Vi pesi è un buon segnale – si frappose Oscar, nell’insolita veste di paciera – Vuol dire che avete una coscienza, ma, ora, occorre placare gli animi e diradare il polverone che avete sollevato. DifendeteVi a dovere e, dopo la scarcerazione, in caso di pena detentiva o subito, qualora foste assolto, Vi sarà garantita una cospicua rendita per vivere come un gran signore dove vorrete, preferibilmente all’estero. Posso assicurarVi, sul mio onore, che nessuno dei Vostri familiari sarà astretto dalla necessità per tutti i giorni che gli resteranno da vivere.
A quest’ultima affermazione, Julien Sorel sorrise ironicamente, tanto poco gli importava del padre e dei due fratelli maggiori con i quali nulla aveva in comune e che, sin da quando aveva memoria, lo avevano irriso, battuto e umiliato.
– Vi ringrazio, Maresciallo de Jarjayes, ma ogni ambizione si è spenta in me, prima fra tutte quella di sopravvivere e, ora, desidero soltanto assaporare in pace ogni attimo che mi resta da vivere.
– Se non siete contento del Vostro avvocato, posso procurarVi un collegio difensivo di prim’ordine – insistette Oscar – Madame de Rênal non è morta e pare che si stia riprendendo velocemente. Non sarà difficile convincere la Corte che il gesto da Voi compiuto è il frutto di una follia momentanea dovuta alla Vostra giovane età. Oltretutto, siete incensurato.
– Vi ringrazio, Maresciallo de Jarjayes, ma non intendo cambiare difensore. Temo che abbiamo esaurito ogni argomento di conversazione.
Oscar rimase basita davanti alla risolutezza di quel ragazzo, che aveva poco più della metà degli anni di Honoré e Antigone e che, tuttavia, rifiutava ogni ancora di salvezza, permettendosi addirittura di mettere alla porta chi quest’ancora gli stava offrendo. Come poteva un giovane promettente, intelligente e di bell’aspetto essere già così disamorato della vita?
– Ce ne andiamo, ma torneremo – concluse, con voce secca e alzandosi dalla sedia mentre André la seguiva.
Quando la porta si fu chiusa dietro le loro spalle con un tonfo sordo, Oscar e André percorsero a ritroso il corridoio, riflettendo lei sull’assurdità di quella situazione e lui sul crescente fastidio che il giovane Sorel gli aveva procurato, quand’ecco che, dalla direzione opposta, videro camminare speditamente una ragazza sui vent’anni, biondissima e con gli occhi scintillanti. Malgrado i modesti abiti che indossava, Oscar fu colpita dal portamento fiero e altero, a tratti sprezzante, della giovane signora e, proprio nel momento in cui si incrociarono, riconobbe in lei Mathilde, la figlia del Marchese de La Môle e, secondo quello che le aveva riferito la Regina, promessa sposa o moglie segreta del carcerato.
– Ha fatto parlare di sé fin dal suo arrivo a Besançon – disse il carceriere, con aria ammiccante, guardando in direzione della Marchesina – In città, si pensa che sia una sartina o una modista parigina invaghitasi della fama del bel Julien, ma io ho i miei dubbi. Entrare qui tutti i giorni richiede denaro e conoscenze, non so se mi spiego. Non mi stupirei se si venisse a scoprire che è una gran dama e, poi, non credo che sia una semplice ammiratrice attirata dalla storia avventurosa di quella testa matta. Danno l’idea di conoscersi bene e, quando sono chiusi là dentro, si sentono le scintille per le scenate che lei gli fa!
Oscar e André – che aveva riconosciuto pure lui Mathilde de La Môle – furono infastiditi dalle osservazioni impertinenti del carceriere, ma dovettero riconoscere che questi aveva ragione.
Subito dopo che la porta si fu chiusa dietro le spalle della visitatrice, infatti, si udì nitidamente la voce acuta di lei che gli rimproverava la negligenza nel difendersi e la colpa di preferirle un’altra, quella per cui rischiava la pena di morte, mentre lei si stava guastando la reputazione per lui.
– Il modo che ha di rincuorarlo è fargli una scenata di gelosia! – commentò Oscar, dopo che furono usciti dalla prigione – Ella non ama Sorel, ma soltanto se stessa e rivolge a lui un amore egoistico in cui vede riflessa la sua persona.
– In fatto di egoismo, egli non ha rivali – ribatté André – Da ciò che mi hai raccontato e che io stesso ho sentito in giro, ha usato tutti quelli con i quali ha incrociato la strada, manipolandoli per ascendere socialmente. Quando la lettera di Madame de Rênal ha posto fine alle ambizioni del nostro bell’abatino, lui è crollato.
– Egli è nato povero ed è perdonabile l’ambizione in chi è privo di tutto.
– Anch’io sono nato povero, Oscar , ma non sono mai stato ambizioso e, soprattutto, non ho mai manipolato te o altri per salire! Io non ti ho mai usata per farmi strada o per gratificare il mio amor proprio! Quell’uomo non ha coscienza e fa apparire i giovani poveri e talentuosi come individui pericolosi e amorali da cui guardarsi!
Fu così che Oscar finalmente si spiegò l’ostilità che André, di solito sempre tanto gentile ed educato, aveva manifestato verso un giovane in difficoltà e avrebbe voluto rispondergli e rassicurarlo che era certa dell’amore e della specchiata onestà di lui, ma un turbine di pensieri l’aveva assalita e la spossatezza dell’incontro, unita a quella del viaggio, ebbe la meglio, lasciandola svuotata.
Senza dire una parola, si diressero verso l’albergo.
 
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Besançon, albergo ove alloggiano Oscar e André, 1830
 
Un viaggiatore inglese racconta con quanta intimità vivesse con una tigre; l’aveva allevata e la carezzava, ma teneva sempre sul tavolo una pistola carica (Stendhal, Il rosso e il nero)
 
Avevano appena terminato la cena che si erano fatti servire in camera ed erano pronti ad andare a dormire, quando udirono bussare alla porta.
Ebbero appena il tempo di dire “avanti” che le ante si aprirono e Mathilde de La Môle fece irruzione nella stanza con viso fiero e occhi scintillanti di esaltazione.
– Vi ho visti uscire dal carcere mentre io vi facevo ingresso e Vi ho subito riconosciuti – disse la Marchesina con la voce di chi è molto sicuro di sé – Non è stato difficile scoprire dove alloggiate. Suppongo che i convenevoli siano superflui. Ditemi, perché siete qui?
– Veramente, questa domanda dovrei farla io a Voi, Marchesina de La Môle – rispose Oscar con severità.
– Da che parte state? – insistette Mathilde de La Môle.
– Siamo qui per ristabilire l’ordine – sospirò Oscar, spazientita, ma troppo stanca per darlo a vedere – Per evitare a quell’esaltato piantagrane la ghigliottina e, a questo punto, anche per riportare Voi a casa. Non posso scendere in ulteriori dettagli.
– Grazie a Dio!
Mademoiselle de La Môle esplose in un sospiro di sollievo teatrale e iniziò a narrare a Oscar e André l’attività febbrile da lei svolta sin dal suo arrivo a Besançon. Parlò dei suoi colloqui con Monsignor de Frilair, l’eminenza grigia della regione, della sua corrispondenza con un’importante signora parigina, di tutti gli ingranaggi che aveva oliato e delle leve che aveva manovrato.
Parve a Oscar e André di trovarsi di fronte a una persona del tutto singolare, notevole, intelligente, passionale e completamente folle. Alternava momenti di orgoglio nobiliare a fasi di profondo scoramento, la dolcezza della donna innamorata alla rabbia feroce per la gelosia verso l’altra. Mentre sacrificava per lui il suo orgoglio e la sua reputazione, egli preferiva il ricordo della donna per la quale si era perso. A tratti, pensava di odiarlo, ma non avrebbe potuto farne a meno e soltanto così si sentiva viva.
Tutto in lei era portato alle estreme conseguenze, all’esagerazione. Sembrava il personaggio di un romanzo gotico o l’eroina di un poema cavalleresco.
Mathilde de La Môle era sempre stata così. Figlia adorata di uno degli uomini più ricchi e potenti di Francia, bellissima, piena di spirito e ben poco sorvegliata, era vissuta soltanto per se stessa, per risplendere nel bel mondo e per fustigare nei salotti chi non le andava a genio. Avendo tutto, disprezzava tutto e si annoiava. I giovani nobili e ricchi che le ruotavano intorno e la adoravano le sembravano scialbi, noiosi e tutti uguali. Si era, pertanto, inventata il rimpianto per un’epoca medievale eroica mai realmente esistita, dove le passioni erano grandi e i caratteri nobili. A questo proposito, aveva anche trovato un eroe in seno alla sua stessa famiglia, il Conte Joseph Boniface de La Môle, giustiziato per tradimento. Si narrava che la testa mozza del bellissimo Conte fosse stata raccolta e appassionatamente baciata dall’amante, Margherita di Valois, Regina di Navarra e Mathilde ci aveva creduto e si era immedesimata nella macabra e sanguinosa storia così tanto da vestirsi a lutto ogni anno, nella ricorrenza della decapitazione dell’antenato.
Senza nessuno che le tenesse testa, la riportasse alla ragione o, semplicemente, le desse due schiaffi quando faceva queste stupidaggini, la Marchesina era cresciuta dispotica, altezzosa e perennemente annoiata e inquieta. Un giorno, aveva conosciuto Julien Sorel, il segretario personale di suo padre e ne era rimasta ammaliata. Egli era diverso dai giovani nobili che conosceva, più intelligente, ambizioso, selvaggio e destinato alla grandezza di loro. Combattuta fra l’attrazione per lui e il desiderio di non perdere il suo posto nel bel mondo e, per questo, ancora meno lucida, era rimasta sempre più invischiata in una passione folle e insensata. Lui l’aveva tenuta sulle spine e trattata come una tigre pericolosa, alternando momenti di passione ad atteggiamenti di durezza e sgarbo, così da mantenerla in pugno, soddisfare il suo orgoglio e conquistarsi un posto in società accanto a una moglie importante. Per la prima volta, Mathilde aveva amato, non si era annoiata ed era anche rimasta incinta.

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Oscar e André ebbero, però, la sensazione che i sentimenti della bella Mathilde fossero tanto fanatici ed esplosivi quanto di breve durata e poco radicati. L’attrazione fisica e l’ammirazione intellettuale tenevano il luogo dell’affetto, della tenerezza e di altri sentimenti più concreti e duraturi. Quella passione bruciante si sarebbe esaurita con la stessa velocità con cui era nata, perché nulla quei due avevano in comune, se non di essere dei folli. Se Julien Sorel fosse sopravvissuto, lei si sarebbe stancata presto di essere la moglie di un uomo che non le garantiva il prestigio al quale era abituata e per il quale, oltretutto, era una seconda scelta. Se fosse stato ghigliottinato, la passione non sarebbe sopravvissuta a lungo al gelo della tomba.
Madamigella de La Môle continuava a parlare freneticamente, a progettare piani mirabolanti, a tessere trame e tutto voleva fare tranne che arrendersi. Per questo, si conquistò l’ammirazione di Oscar che, però, continuava a essere perplessa sul resto.
Dopo circa un’ora, Oscar e André le assicurarono che avrebbero fatto il possibile per risolvere la questione e la inviarono a riposarsi, ma, quando lei se ne fu andata, l’ottimismo da loro manifestato si attenuò, perché Monsignor de Frilair, come tutti i politici ambiziosi e gli uomini di Chiesa privi di vocazione, era imperscrutabile e imprevedibile mentre Julien Sorel non si era mostrato affatto collaborativo.
 
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Palazzo di Giustizia di Besançon, 1830
 
L’aula del Palazzo di Giustizia era gremita di persone di varia estrazione. Oscar e André erano stupiti dal gran numero di donne presenti. Molte di loro, quasi tutte, erano accorse a vedere l’esito di quella vicenda romanzesca, attirate dalla fama di bellezza e di giovinezza dell’imputato. Anche gli uomini erano curiosi e discutevano fra loro del possibile esito del processo.
Oscar e André temevano un colpo di teatro, che Mathilde de La Môle facesse una scenata o che Julien Sorel dicesse qualche sciocchezza. La prima non l’avevano vista, ma non dubitavano che ci fosse. Il secondo si era sempre comportato come se quella vicenda giudiziaria non lo avesse riguardato e nulla aveva fatto per alleggerire la sua posizione, sembrando, invece, che volesse aggravarla. Il comportamento che avrebbe tenuto in aula rappresentava, per i due anziani coniugi, una fastidiosa e spiacevole incognita.
Intorno alle nove, le guardie trasferirono il prigioniero dal carcere al Palazzo di Giustizia, compiendo uno sforzo sovrumano per farsi strada nel cortile, in mezzo a una folla compatta.
Tutti questi provinciali invidiosi – pensava Julien Sorel – Non mi hanno mai perdonato la mia rapida ascesa. Godranno allo spettacolo della mia disgrazia.
Con suo grande stupore, invece, il giovane vide nel pubblico soltanto volti commossi mentre fra la folla si susseguivano varie esclamazioni: “Come è giovane!”, “Sembra un fanciullo!”, “E’ più bello del ritratto!”. La mente gli si addolcì e, in tale stato d’animo pacificato, fu colto da ammirazione per l’eleganza dell’architettura gotica dell’edificio.
Su una tribuna posta sopra l’area dei giurati, c’erano molte delle signore in vista di Besançon, fra cui la moglie del Prefetto, una Marchesa e la Signora Derville, amica di Madame de Rênal. Julien Sorel si accorse che tutte le donne erano molto commosse e interessate a lui. Doveva, quindi, fare buona impressione, affinché riferissero a Madame de Rênal che si era comportato onorevolmente, senza vigliaccheria. Si accorse anche che la giuria, purtroppo, era presieduta dal Barone de Valenod, una canaglia arricchita e volgare che, da quando aveva ottenuto un titolo, aveva moltiplicato la propria arroganza e maleducazione e tutti i tratti peggiori della plebe da cui proveniva. Quell’uomo rozzo e violento ce l’aveva con lui da anni, perché mirava a entrare nelle grazie di Madame de Rênal e lo considerava un rivale.
Il Procuratore Generale, che ambiva a conquistarsi i favori dell’aristocrazia, con una prosa scadente, fece una dura requisitoria contro l’imputato, ponendo l’accento sull’abominevole delitto e sulla pessima condotta del reo. Julien Sorel fu disgustato dalla cattiva eloquenza del Procuratore e, subito, l’animo gli si riempì di disprezzo verso tutti coloro che assistevano al processo.
– Le cose paiono mettersi male – disse Oscar ad André.
– Non è detto – le rispose il marito – Guarda la disapprovazione sul volto della gente! L’opinione pubblica, che è quella che a noi interessa, pare compatta. Ciò che mi preoccupa è che quell’esaltato faccia qualche sciocchezza. Non ce lo vedo a mantenere la calma troppo a lungo e, ogni tanto, lancia delle occhiate dure all’indirizzo della folla. Speriamo che non si scavi la fossa da solo! A quel punto, toccherebbe a noi raccogliere i cocci e fare di tutto per evitare che scoppino rivolte.
Anche Julien Sorel si accorse che il pubblico era con lui e l’animo gli si quietò.
Subito dopo, parlò l’Avvocato che fece un discorso fermo e potente, attirando verso il giovane Sorel lo sguardo insolente di Valenod. Il pubblico approvava e le donne piangevano mentre l’imputato si sentiva vincere dalla commozione, ma, allo stesso tempo, temeva di cedere alle lacrime, dandola vinta ai suoi nemici. Soprattutto, non voleva che qualcuno raccontasse a Madame de Rênal che aveva dato segni di debolezza, comportandosi da vile davanti all’estremo cimento.
Venne l’ora del desinare, ma nessuno lasciò l’aula, preferendo tutti farsi portare il pranzo da fuori. Anche Oscar e André, che, in gioventù, avrebbero sicuramente saltato il pasto, preferirono rifocillarsi con del cibo leggero, per evitare cedimenti.
Il tempo passò e si giunse alla lettura della relazione del Presidente, inframmezzata dai rintocchi dell’orologio che suonava la mezzanotte. Terminata la relazione, il Presidente dell’Assise chiese a Julien Sorel se aveva qualcosa da dire e Oscar e André sentirono il sangue gelarsi loro nelle vene.
L’imputato si alzò in piedi e, con voce che a ogni nuova parola si faceva sempre più ferma e chiara, disse:
– Signori giurati, l’orrore del disprezzo, che credevo poter sfidare al momento della morte, mi fa prender la parola. Signori, io non ho l’onore di appartenere alla vostra classe, voi vedete in me un contadino che si è ribellato contro l’umiltà della sua sorte. Non vi domando alcuna grazia. Non mi faccio illusioni, la morte mi attende e sarà giusta. Ho potuto attentare ai giorni della donna più degna di ogni rispetto e di ogni omaggio. Madame de Rênal era stata per me come una madre; il mio delitto è orribile ed è stato premeditato. Ho dunque meritato la morte, signori giurati. Ma, se anche fossi meno colpevole, vedo qui uomini che, senza lasciarsi fermare da quella pietà che può meritare la mia giovinezza, vorranno punire in me e scoraggiare per sempre quella classe di giovani che, nati in una classe inferiore e in qualche modo oppressi dalla povertà, hanno la fortuna di farsi una buona educazione e l’audacia di mischiarsi a quel che l’orgoglio dei ricchi chiama società. Ecco il mio delitto, signori e sarà punito con tanta maggior severità in quanto io non sono affatto giudicato dai miei pari. Non vedo sul banco dei giurati alcun contadino arricchito, ma solo borghesi sdegnati.
Alea iacta est! – sibilò André – Il pazzo si è sdraiato da solo sull’asse della ghigliottina!
Oscar, invece, assestò una sonora manata sulla balaustra di legno davanti a lei, richiamando l’attenzione di chi le stava vicino e anche di varie persone sedute un po’ più discoste.
Il Procuratore Generale si agitava nervosamente sulla sedia e, fosse stato per lui, avrebbe tirato personalmente il collo all’accusato mentre l’Avvocato aveva la costernazione dipinta nel volto e malediceva mentalmente l’assistito più difficile che gli fosse mai capitato.
All’una di notte, i giurati si ritirarono a deliberare e Oscar e André notarono, con un mezzo sollievo, che, malgrado il discorso suicida di Sorel, tutto il pubblico, senza distinzione, parteggiava per lui. Se ne accorse anche l’imputato che provò una sensazione di piacere.
Alle due, però, si aprì la porta della camera dei giurati che, preceduti da Valenod, fecero il loro ingresso in aula. Con aria contrita e melliflua, il Barone dichiarò che la giuria reputava l’imputato colpevole e lo condannava a morte.
Da una piccola tribuna ricavata nel coronamento di un pilastro gotico, si udì il grido acuto di una donna e Oscar e André capirono finalmente dove si trovava Mathilde de La Môle.
Il vecchio Presidente, pur essendo Giudice da tanti anni, aveva le lacrime agli occhi nel condannare l’imputato che, dal canto suo, cercava di non dare motivo di riso a quella canaglia di Valenod.
Con immensa fatica, i gendarmi lo ricondussero in carcere attraverso una folla vociante e scomposta e, mentre costoro fendevano la calca e la giuria si ritirava, Oscar e André si guardarono stanchi e costernati.
– Recuperiamo Mademoiselle de La Môle prima che, con una delle sue follie, non segni la degna conclusione di una giornata di fango e, poi, torniamocene in albergo – disse Oscar al marito – Per noi, non c’è altro da fare in quest’aula e, da domani, ci attendono giorni frenetici.
– Me lo sentivo che quella testa calda avrebbe decretato la sua rovina e gettato la città e, poi, tutta la Francia nel tumulto! – disse André – Troviamo quell’altra esaltata e andiamocene.
– Convincerlo a presentare domanda d’appello, con l’orgoglio che si ritrova, non sarà un’impresa facile – chiosò Oscar.
– Lo farà, se vorrà conservare la testa – le rispose André – Altrimenti, affari suoi!
– Ritengo che Julien Sorel si sia suicidato per l’impossibilità di trovare un suo posto nel mondo – commentò Oscar con stanchezza – Quelli come lui non si sentono a loro agio in alcun ambiente sia esso quello che hanno lasciato o quello in cui desiderano entrare.
– Io penso, invece, che ci troviamo al cospetto di una persona malata nello spirito che ha un’idea esagerata di sé e nessuna considerazione dei sentimenti e del pensiero degli altri – disse, con severità, André – Egli non accetta di essere giudicato e, malgrado il palese favore della folla e la non iniziale ostilità della giuria, preferisce pensare che tutti cospirino per perderlo piuttosto che farsi un esame di coscienza. Quando fui condotto dinanzi al Re per essere giudicato, rimasi in silenzio anche dopo la condanna. E’ troppo facile fare la vittima per scansare le proprie responsabilità.
Oscar si ricordò che, per André, Julien Sorel era l’esempio di ciò che un giovane povero non sarebbe mai dovuto essere e pose fine a un discorso che non aveva alcun senso portare avanti.
I due coniugi si diressero verso la tribuna dalla quale era provenuto l’urlo acuto che aveva trafitto l’aula all’annuncio della condanna e vi trovarono Mathilde de La Môle afflosciata sulla sedia con lo sguardo assente.
Nel timore che facesse qualche sciocchezza, condussero la ragazza con loro in albergo, dove André le avrebbe ceduto la sua stanza e, con volto provato e passo stanco, si incamminarono nel buio della notte.
 
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Vienna, Palazzo di Schönbrunn, 1830
 
La residenza estiva degli Imperatori austriaci era inondata di sole e di letizia, perché un nuovo erede era nato, il nipote di un Imperatore malato e senza figli, il figlio di una Principessa bavarese bella e determinata che stava vivendo la sua stagione di gioia.
Come era bello il suo piccolo Franzi in braccio a quel giovane gentile e attraente! Quanto erano belli insieme Franzi e Franzchen!
Stringeva in braccio il neonato, il figlio dell’Imperatore fuggiasco e guardava la madre di lui, splendida e raggiante. Di chi era figlio l’Arciduca Franz Josef? Era così importante saperlo? Sofia era sposata, quella relazione non aveva futuro.
 
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Carcere di Besançon, 1830
 
Svegliatisi la mattina dopo di buon ora, Oscar e André non trovarono Mathilde nella stanza che lui le aveva ceduto, ma erano troppo avviliti per provare fastidio e quasi certi di ritrovarla nel carcere dove stavano per recarsi anche loro.
Giunti a destinazione, il carceriere li condusse non più verso la torre, ma nella cella dei condannati a morte dove il prigioniero era stato trasferito e, durante il tragitto, con aria melliflua, li tediò con il racconto del mare di lacrime che aveva versato quando gli era stata comunicata la condanna.
Si vede che ti hanno pagato così profumatamente da farti ritenere non indegno di te includere le lacrime nei tuoi servigi – pensò Oscar, con aria disgustata.
– Se penso che un così valente giovane debba essere strappato tanto presto al mondo – continuò a lamentarsi il carceriere – e dopo avere pronunciato parole davvero insane!
Giunti dietro la porta della cella riservata ai condannati a morte, Oscar e André si accorsero che le loro supposizioni erano esatte e che, nel giro di pochi istanti, sarebbero passati dalle lamentazioni del carceriere alle scenate di Mademoiselle de La Môle. Prima ancora che il carceriere aprisse, infatti, udirono distintamente la fiera Marchesina rimproverare aspramente e con insistenza il suo amante per non volere presentare la domanda di appello e, subito, ebbero chiara l’immagine dell’agone che li attendeva.
La cella dei condannati a morte era molto meno ariosa della torre dove Julien Sorel era stato alloggiato fino al giorno prima. Era buia e miseramente arredata e, appena furono entrati, Oscar e André si sentirono oppressi da un’aria insalubre mentre i loro occhi si spostavano dalle lenzuola ruvide del letto alla scheggiata sagoma del tavolaccio dove il condannato avrebbe consumato gli ultimi pasti.
Il loro ingresso fu salutato con tranquilla cortesia da Julien Sorel e del tutto ignorato da Mathilde de La Môle, forsennatamente intenta a percorrere in lungo e in largo la cella, a sprizzare fiamme dagli occhi e ad accusare il condannato di volerla lasciare sola per quel maledetto orgoglio che gli impediva di presentare la domanda di appello e di fare il suo dovere verso di lei.
– Mademoiselle de La Môle ha ragione, Monsieur Sorel – si inserì Oscar, con voce stentorea e stringendo una mano a pugno – Dovete presentare la domanda di appello. Il dovere lo richiede. Il buon senso lo richiede. La Francia lo richiede.
– La Francia? – chiese, con pacata ironia, il prigioniero.
– Se volete fare getto della Vostra testa, della Vostra gioventù e dei sentimenti di chi tiene a Voi – ruggì Oscar, guardando, nel pronunciare le ultime parole, Mathilde – Fate come volete, ma, come francese e, prima ancora, come uomo, avete dei doveri. Questa vicenda potrebbe rinfocolare faide che sembravano ormai sotto controllo! Il Vostro discorso dissennato e fuori contesto rischia di mandare a monte il lavoro di pacificazione di una vita! Cercate di crescere e pensate, per una volta, anche agli altri!
Mentre Oscar pronunciava queste parole, Mathilde de La Môle annuiva, con aria fiera.
– Dovrei pensare agli altri? – protestò, senza scomporsi, Julien Sorel – E chi sarebbero questi altri? Quella carogna di Valenod, passato dalla plebaglia alla Baronia, che ha goduto nel nuocermi, fingendo di dispiacersene? Il pubblico di borghesi benpensanti che mai vorrebbero avere qualcosa da spartire con me? O il Vostro Re, assiso sul suo trono d’oro, sotto un baldacchino di velluto purpureo?
– Gli altri sono questa giovane che si sta guastando la reputazione per aiutarVi! – lo rintuzzò André, accennando a Mathilde – Gli altri sono la donna che avete ferito e che non vorrebbe essere la causa indiretta e sottolineo indiretta della Vostra rovina! Gli altri sono mia moglie, che è stata colpita al polmone da una lancia, a Waterloo e che, in questa cella fetida, respira a fatica e, nonostante tutto, ci è venuta e ci resta, nel tentativo di farVi ragionare! Gli altri sono i Vostri concittadini che non meritano il protrarsi a oltranza di questo eterno conflitto fra guelfi e ghibellini!
André fece una pausa per la stanchezza e, poi, proseguì:
– Nel Palazzo di Giustizia, poco dopo la mezzanotte, diceste che ci sono uomini di una classe sociale superiore alla Vostra che vogliono colpirVi, come monito per tutti gli altri giovani di umili origini desiderosi di elevarsi. Ebbene, chi sono costoro? Vedo, qui, la figlia di un Marchese che continua a rischiare la reputazione per Voi e so per certo che Madame de Rênal desidera che viviate! La Corona non vuole la Vostra rovina e il pubblico, in aula, era tutto dalla Vostra parte! Il vecchio Presidente del Tribunale aveva le lacrime agli occhi nel condannarVi e mia moglie si sta dannando la salute da mesi per Voi! Gli unici a Voi ostili erano il Procuratore Generale che stava facendo soltanto il suo lavoro e, per Vostra stessa ammissione, il Barone de Valenod, ma Valenod, come Voi, prima, avete detto, non appartiene a una classe sociale superiore alla Vostra, ma è uno che è venuto su dal nulla. Il Vostro teorema crolla miseramente!
André rivolse uno sguardo di fuoco al giovane, strinse i pugni e continuò:
– Anche io provengo da famiglia contadina, da giovane ero un plebeo, ma non ho mai pensato che gli altri, salvi pochi casi di gente indegna, cospirassero per farmi restare plebeo o per farmici tornare, una volta nominato Conte! Mi sono assunto le mie responsabilità e non ho mai incolpato gli altri dei miei fallimenti! Soprattutto – nel dire ciò, lanciò uno sguardo a Mathilde – Non ho mai usato le persone e i loro sentimenti per salire!
Tacque un attimo e, con voce tornata calma, concluse:
– Non ci sono cospirazioni contro di Voi. C’è stata una lettera infelice, giunta nelle mani del Marchese de La Môle. C’è stata una reazione sconsiderata da parte Vostra. Ci sono stati il Vostro orgoglio e la Vostra personale visione del mondo che Vi hanno spinto a firmare la Vostra condanna a morte. MetteteVi una mano sulla coscienza e presentate domanda di appello!
Mathilde de La Môle approvava, con occhi fiammeggianti da cui scendevano lacrime stizzite.
– Mi dispiace – disse il prigioniero – ma non macchierò la parte finale della mia vita con la codardia. Napoleone non l’avrebbe fatto e neppure io lo farò.
– Andiamocene, André – ingiunse Oscar al marito, per prevenire altri conflitti – E’ inutile proseguire… ma torneremo – concluse, rivolta a Julien Sorel.
Mentre i due coniugi uscivano, udirono, come un tuono, il tonfo secco dei palmi di Mathilde de La Môle abbattersi sul tavolaccio della cella.
 
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Strade di Besançon, 1830
 
Oscar e André percorrevano le strade che separavano il carcere dall’albergo con passo pesante e animo scoraggiato. Avevano da subito capito che Julien Sorel sarebbe stato un osso duro, ma quell’abatino pallido ed esile sfidava le leggi di natura.
– Tu provi pena per lui, Oscar – proruppe André, rompendo il silenzio – ma io non riesco proprio a immedesimarmici né, tanto meno, a compiangerlo. In tutte le case in cui è entrato, ha operato silenziosamente, come una vespa che fa il nido e vi depone le uova, cibandosi delle carni dello sventurato ospite. Sia in casa de Rênal sia nel Palazzo de La Môle, ha sedotto una donna per trarne dei benefici e per provare a se stesso chi sa cosa! Non conosco Madame de Rênal, ma, da quello che ti ha raccontato la Regina e da ciò che ho sentito qui, deve trattarsi di una signora rispettabile e buona, intrappolata in un matrimonio infelice, che Sorel ha usato, inducendola a infrangere i suoi principi. Quanto a quella giovane folle di Mathilde de La Môle, non ho mai provato simpatia per lei. Che la si incroci a corte, a teatro o in un salotto, è un’ape regina che dispensa nettare o colpi di pungiglione a suo arbitrio e senza rimorso. Si potrebbe dire che ha trovato pane per i suoi denti e, probabilmente, è vero, ma Sorel, in tutta questa vicenda, ha giocato un ruolo detestabile, da manipolatore ipocrita qual è e, anche adesso, mentre lei fa l’impossibile per salvarlo pure a costo della sua reputazione, lui la sopporta a stento.
André rimase in silenzio per qualche istante, attendendosi da Oscar un intervento che non arrivò e, poi, riprese:
– Non lo conosco e non so quali pulsioni o tormenti lo agitino e ne abbiano motivato le azioni, ma a me pare un soggetto freddo e calcolatore. Odia chi lo fa sentire insicuro e piccolo e ama se può trarne un tornaconto o una gratificazione per la sua vanità. C’è qualcosa di inquietante e di terribile nella natura di quel giovane. Dirò una cosa odiosa, ma non sono così sicuro che sia un bene che scampi la morte. Quelli come lui non cambiano mai. Se ritornerà libero, continuerà a fare danni.
– Il tuo è un giudizio molto severo – disse Oscar, con le palpebre abbassate.
– Quelli come lui corroborano nella gente l’idea del giovane povero pericoloso e arrivista che punta un bersaglio e lo raggiunge, lasciandosi dietro rovina e desolazione. Non sai quante persone, da che sono diventato Conte e, soprattutto, da quando ti ho sposata, pensano queste cose di me! Ne ho sentiti vari pronunciare, con sarcasmo o con disprezzo, frasi del tipo: “Ci ha impiegato trent’anni, ma ce l’ha fatta!”, “Sembrava tanto umile e innocuo, ma ha messo nel sacco persino il Generale de Jarjayes!”, “Da attendente a marito, con in mezzo chi sa cosa!”, ma la mia preferita è sicuramente questa: “Se se lo sono preso in famiglia, è perché dovevano pagarne il silenzio per qualcosa che ha fatto o visto fare!”.
– Lasciali dire, André! – rispose Oscar, con un sorriso amaro – Chi ti conosce ti stima e non dubita. Gli altri parlano per luoghi comuni o per invidia, ma, comunque sia, non puoi convincerli tutti. Per quello che mi riguarda, non ho alcun dubbio sul tuo profondo amore e sulla tua specchiata onestà. C’è un abisso fra te e Julien Sorel e quell’abisso è dato da tutto ciò che tu hai e lui no: l’amore, nel senso nobile e non egoistico del termine, l’onestà, il sacrificio, la generosità. Tu sei uscito dal tuo guscio, sei cresciuto e ti sei affrancato da un atteggiamento egocentrico mentre lui riporta tutto al senso che ha di sé, al suo orgoglio smisurato e all’opinione che la gente ha di lui. Non vuole presentare la domanda di appello per non fare la figura del codardo! Vuole morire per non darla vinta e non far ridere… chi sa chi… Quante doti sprecate, quanta intelligenza persa in un bicchier d’acqua! Hanno proprio ragione i Sacerdoti quando affermano che l’orgoglio è il peggiore dei peccati!
Oscar tacque un attimo per cercare lo sguardo di André e, quando lo ebbe trovato, disse:
– Tu mi ami probabilmente più di quanto ti ami io o, perlomeno, in modo più nobile e completo! I tuoi detrattori poco o niente hanno capito di chi, fra noi due, è stato il più beneficiato! Sei la maggior fortuna che mi sia capitata e benedico il Cielo di averti incontrato! Vivessi cento vite, vorrei trascorrerle tutte con te!
 
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Carcere di Besançon, 1830
 
Oscar e André tornarono nel carcere tre giorni dopo, nella speranza di far cambiare idea al condannato. Il carceriere li accolse con le sue solite ciarle, ma disse anche di non poterli fare entrare subito, in quanto Monsieur Sorel stava ricevendo un’altra visita ed essi pensarono che si trattasse di una cosa davvero importante, dato che la presenza di Mathilde de La Môle non era mai stata di ostacolo al loro ingresso.
Il carceriere li lasciò davanti alla porta ed essi udirono distintamente la voce di Julien Sorel venata di un tono che all’interlocutore parve piacere, ma che a loro sembrò beffardo:
– Ebbene, il Signore mi ha ispirato per il mio testamento. Lascerò mille franchi a ognuno dei miei fratelli e il resto a Voi.
– Benissimo – rispose la voce di un uomo anziano – Questo resto mi è dovuto; ma, poiché Dio Vi ha fatto la grazia di toccarVi il cuore, se volete morire da buon cristiano, è bene che paghiate i debiti. Ci sono anche le spese del Vostro mantenimento e della Vostra educazione che io ho anticipato e a cui non pensate…
Dopo un paio di minuti, uscì dalla cella un vecchio dai capelli bianchi, col volto antipatico e gli occhi cattivi, ma soddisfatti. Trovando campo libero, Oscar e André entrarono.
– Ecco, dunque, l’amor paterno! – esclamò Julien Sorel nel vederli – Col colpo di genio del testamento, perlomeno, l’ho tacitato, ponendo fine ai rimproveri che mi muoveva.
Oscar e André furono colti da un vivo disgusto per quel vecchio carpentiere che, da un figlio condannato a morte, cercava soltanto quel denaro che da qualsiasi altro genitore sarebbe stato considerato una luctuosa hereditas, decurtando, oltretutto, il lascito destinato agli altri figli e, considerando con quale padre degenere il giovane era vissuto, si spiegarono tante cose.
– Monsieur Sorel, Vi rinnovo l’invito a presentare domanda di appello – disse Oscar, con voce triste.
– Per togliere a quell’onest’uomo il piacere di ereditare? – rispose Julien Sorel, con tono beffardo.
Proseguì, per una decina di minuti, una schermaglia di quel tenore, finché nella cella non fece irruzione, con la delicatezza che le era propria, Mathilde de La Môle che investì il condannato con una delle scenate che solo lei sapeva fare, rimproverandogli di non volersi appellare.
– Che Vi è saltato in mente, oltretutto, di parlare di casta? – aggiunse, attingendo a un repertorio finora inedito – Avete irritato i giurati e risvegliato la loro piccola vanità aristocratico – borghese! Quelli neanche ci pensavano ed erano già pronti a piangere e Voi li avete sfidati, facendo prevalere il conflitto di classe sull’orrore di una condanna a morte e servendo a Valenod il pretesto per metterli contro di Voi!
Giudicando che i modi della ragazza fossero in gran parte controproducenti alla loro causa e ritenendo che, per loro, nulla ci fosse da fare lì, Oscar e André lasciarono il carcere. Vi tornarono due giorni dopo e, sulla via che portava al severo edificio medievale, scorsero provenire, in senso inverso, una donna sui trent’anni, di bell’aspetto, col volto dolce e gli occhi buoni. Capirono che si trattava di Madame de Rênal, la signora che Julien Sorel aveva ferito, colei di cui il giovane era perdutamente innamorato e Mathilde terribilmente gelosa, la madre dei ragazzi di cui il condannato era stato precettore, la madre che lui mai aveva avuto. La donna aveva un viso raggiante e ciò fu giudicato un buon segnale da Oscar e André.
Quando erano distanti ancora una decina di metri dalla prigione, purtroppo, videro Mathilde de La Môle che ne varcava la soglia, seguita, un minuto dopo, da un giovane che non avevano mai visto.
Allorché il carceriere aprì loro la porta della cella dei condannati a morte, udirono la terribile scenata di Mathilde, motivata da una feroce gelosia. Combattuta fra la vergogna di avere un amante così infedele e la fierezza aristocratica, la giovane rimproverava Julien Sorel di avere presentato domanda di appello su impulso di Madame de Rênal e non per dare ascolto a lei che erano giorni e giorni che glielo chiedeva.
Oscar e André compresero che la domanda era finalmente stata presentata, ma, prima di gioirne, ne chiesero conferma. Rispose loro, in senso affermativo, il giovane che era entrato nella prigione dopo Mathilde de La Môle. Si trattava di un uomo della stessa età di Sorel, dall’apparenza non eccessivamente distinta, ma dal volto serio e affidabile. Seppero, più tardi, trattarsi di un tale chiamato Fouqué, un commerciante di legname benestante nonché migliore amico di Julien Sorel, unico delle vecchie conoscenze a essergli rimasto fedele nella disgrazia.
Usciti dal carcere, Oscar e André andarono all’ufficio postale, per dare comunicazione alla Regina delle novità.
Iniziò un periodo di attesa, durante il quale Julien Sorel si beava delle visite di Madame de Rênal, Mathilde de La Môle faceva delle furiose scenate di gelosia con frequenza quotidiana e Fouqué tentava di portare ordine e buon senso. Oscar e André, dal canto loro, continuavano a sorvegliare la situazione e a scrivere con regolarità alla Regina per informarla. Quando erano soli, discutevano il da farsi per il caso in cui l’appello fosse stato rigettato.
Dopo un paio di mesi, in effetti, l’appello fu rigettato e Oscar e André si recarono nella gendarmeria cittadina e in una caserma dell’esercito per chiedere che, nel giorno dell’esecuzione e in quelli successivi, il servizio d’ordine fosse potenziato, pur senza dare nell’occhio, al fine di prevenire possibili disordini.
Espletata quella triste, ma necessaria incombenza, si ritirarono in albergo, profondamente afflitti per quella giovane vita spezzata e consci che, con una maggiore dose di buon senso, le cose sarebbero potute andare in modo molto diverso.
 
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Besançon, 1830
 
Tutto avvenne semplicemente, convenientemente e, da parte sua, senza alcuna ostentazione (Stendhal, Il rosso e il nero)
 
Oscar e André non assistettero all’esecuzione, ma allertarono le autorità locali affinché potenziassero il servizio d’ordine e nessun tumulto si registrò. Rimasero in albergo, da soli.
Madame de Rênal e Mathilde de La Môle furono portate da Fouqué a dieci leghe da Besançon, ma, la notte stessa, Fouqué si vide entrare Mathilde nella stanza d’albergo dove alloggiava. A richiesta della ragazza, le indicò un mantello azzurro adagiato sul pavimento, dove erano avvolti i resti dell’amico.
Ispirata dalla storia del suo antenato Joseph Boniface de La Môle e di Margherita di Valois, Regina di Navarra, Mathilde accese nella stanza molte candele, aprì il mantello con dita tremanti, prese fra le mani la testa del suo amante, la pose su un tavolino di marmo e la baciò in fronte.
Un gran numero di preti seguì la bara fino a una grotta sul monte Giura, sopra la cittadina di Verrières. Quella era la tomba che Julien Sorel si era scelto.
All’insaputa di tutti, Mathilde de La Môle seguì il corteo nella sua carrozza parata a lutto, con la testa del suo amante sulle ginocchia.
Anche Oscar e André, insieme ad alcune guardie in borghese, seguirono la processione, ma nessun disordine si verificò.
Gli abitanti dei piccoli villaggi di montagna, attirati da quello strano corteo, andarono dietro, così che, a notte fonda, la piccola grotta, illuminata da tantissimi ceri, era gremita di gente. Venti preti celebrarono l’ufficio dei morti e Mathilde, con lunghe vesti di lutto, fece gettare alla folla molte monete.
Alla fine della celebrazione, nella grotta, erano rimasti soltanto Mademoiselle de La Môle e Fouqué mentre Oscar e André attendevano sulla soglia. Mathilde seppellì con le proprie mani la testa del suo amante e Fouqué divenne pazzo di dolore.
A quel punto, Oscar e André entrarono nella grotta. La chiazza di sangue era ben visibile come macchia ancor più scura sulle vesti già scure di Mathilde e gli stanchi coniugi abbassarono lo sguardo. Ricondussero i due giovani in città e invitarono Mathilde a pernottare nel loro albergo. La ragazza, smarrita e svuotata, acconsentì.
Al loro ritorno, trovarono nella stanza una lettera della Delfina insieme al messo che l’aveva portata. La Principessa Elisabetta li elogiava per il lavoro svolto e li esortava a ricondurre a Parigi Mathilde de La Môle, per chiudere al più presto la questione. Nessuno, nella capitale e a Versailles, sapeva della trasferta di Mathilde, perché l’identità della misteriosa parigina non era trapelata, ma le dicerie più strane stavano cominciando a circolare. Malgrado esse, il giovane Marchese de Croisenois, folle d’amore, era ancora disposto a sposare Mademoiselle de La Môle e l’occasione non andava sprecata. La Principessa avrebbe presto inviato a Besançon una celebre compagnia di attori, perché inscenassero delle commedie, distraendo la gente, così che ogni eco si perdesse e ogni conflitto fra borbonici e bonapartisti, monarchici e giacobini, fosse stroncato sul nascere.
– La nostra Principessa ha organizzato tutto nei dettagli – disse Oscar ad André, dopo avere consegnato la risposta al messo di corte – Il Re ci ha visto giusto nel nominarla Delfina e io sono molto fiera di lei.
Il giorno dopo, Oscar, André e Mathilde iniziarono il viaggio di ritorno verso Parigi, ma, a metà strada, la Marchesina si sentì male ed ebbe un aborto spontaneo. Si ristabilì velocemente e tornò al suo palazzo. Dopo qualche mese, sposò il suo tranquillo fidanzato e riprese la vecchia vita da ricca nobildonna annoiata.
 
Madame de Rênal fu fedele alla sua promessa. Non cercò in alcun modo di attentare alla propria vita; ma, tre giorni dopo Julien, morì abbracciando i suoi figli (Stendhal, Il rosso e il nero)
 
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Vienna, Palazzo della Hofburg, 1830
 
Il giovane e biondo Duca di Reichstadt era triste e pieno di pensieri. Sofia era un’Arciduchessa ed era anche una madre e quella relazione non aveva futuro. Adesso che la successione era stata assicurata, avrebbero continuato a chiudere un occhio dall’alto? La corte mormorava, tante reputazioni erano da salvare e lui era di troppo.
Entrò nelle sue stanze, scorse la lettera che giaceva sulla scrivania, la lesse e sospirò. Forse, era quella la soluzione, andarsene lontano, là dove Napoleone il Grande sarebbe voluto arrivare.
 
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Reggia di Versailles, 1830
 
– Mi avete mandata a chiamare, Altezza Reale? – domandò Oscar alla Principessa mentre un raggio di sole autunnale attraversava la vetrata e disegnava un reticolato sul pavimento di marmo.
– L’affare di Besançon ha portato alla luce un conflitto latente, Madame Oscar. Finché Napoleone sarà vivo e per molti anni dopo la morte di lui, l’ombra dell’invasore non ci darà mai tregua. Scoppierà sempre un caso divisivo e, da ogni dove, spunterà qualche Julien Sorel a ricordarci che siamo una Nazione dilaniata e in bilico fra passato e futuro, fra tradizione e novità. Ormai, le porte sono state spalancate alla modernità, il mito dell’investitura divina e della supremazia dei Re è tramontato e i seguaci di Bonaparte renderanno instabile qualsiasi trono. A meno che…
– A meno che? – domandò Oscar, traboccante di curiosità.
– A meno che un matrimonio non unisca le due dinastie. Ho chiesto al Duca di Reichstadt di concedermi la sua mano ed egli ha accettato.
– Altezza Reale, Voi non lo conoscete! Meritate più di un matrimonio politico!
– Quelli come me non hanno la libertà di sposarsi per amore. Il Duca di Reichstadt è un giovane avvenente e di buon carattere. E’ molto più di quello che normalmente si possa sperare da un matrimonio politico. Le dinastie saranno unite e i conflitti disinnescati. Il Re mio padre è d’accordo.
– E se il Vostro futuro sposo avesse un carattere non così buono? Se, dietro le sue buone maniere, celasse le tendenze paterne? Se non accettasse una moglie che lo sovrasta in rango e volesse governare lui al Vostro posto?
– Mi conoscete così poco, Madame Oscar? – sorrise la Principessa – Quelle come noi non si fanno mettere i piedi in testa.







Questo capitolo contiene il crossover con un noto romanzo che tutti avrete individuato anche perché è citato nel testo. La descrizione del processo e di ciò che avvenne dopo la morte di Julien Sorel deriva da lì, così come il discorso in aula del protagonista e il dialogo fra lui e il padre.
Nel romanzo, il Marchese de Croisenois muore in duello. Io, invece, l’ho fatto sopravvivere.
A quanto pare, per andare a Besançon da Parigi, occorreva il passaporto. Anche quest’informazione l’ho tratta da lì.
L’amicizia fra l’Arciduchessa Sofia e il Duca di Reichstadt fu autentica. L’Arciduchessa fu l’unica persona a confortare il Duca durante la malattia e, quando egli si trovò in punto di morte, volle prendere la Comunione insieme a lui per non fargli capire che gliela somministravano perché stava per morire. Circolavano voci sulla paternità dei primi due figli dell’Arciduchessa, ma pare prevalere la tesi che i rapporti fra lei e il Duca furono soltanto amichevoli e che il resto fossero malignità. In questa versione romanzesca, invece, ho lasciato intendere che ci fosse stata una relazione e che lui fosse in perfetta salute.
Come al solito, grazie a chi vorrà leggere e recensire.
   
 
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