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Autore: 18Ginny18    28/07/2023    1 recensioni
[Sequel di 'Secrets']
La vita di Ginevra Andromeda Black era stata sconvolta da quella strana Creatura Oscura di cui ignorava il nome. Viveva dentro di lei, come un parassita, e pian piano cercava di prendere il controllo al suo posto.
Genere: Drammatico, Guerra, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Fred Weasley, George Weasley, Nuovo personaggio, Regulus Black, Sirius Black | Coppie: Draco/Hermione, Harry/Ginny, Remus/Ninfadora
Note: What if? | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie '~The Black Chronicles~'
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Capitolo 32 - Controllo


Sapere che Voldemort era entrato in possesso del suo corpo, anche se per un breve istante, per Harry fu un duro colpo.
Aveva sempre avuto il controllo della situazione, soprattutto da quando partecipava alle lezioni di Occlumanzia con il professor Piton. Ma allora… cos’era cambiato?
Al solo pensiero di quell’intrusione si sentì sporco.
- Mi dispiace, Gin. Non avevo idea che potesse succedere una cosa del genere – mormorò, dispiaciuto. - Forse era meglio se rimanevo allo scuro di tutto.
- Non dire così, Harry – provò a rassicurarlo Ginevra. - Tu dovevi sapere.
- Ma adesso anche lui sa – sbottò Harry, in piena collera.
Ginevra gli passò una mano sulla fronte sistemando i ciuffi ribelli dei suoi capelli. Un gesto istintivo che riuscì a tranquillizzarla.
Lo guardò dritto negli occhi e si trovò a sorridere.
Era sollevata di vedere il verde dei suoi occhi e non più quel bianco agghiacciante.
- Vedrai che si sistemerà tutto – gli accarezzò la guancia con tenerezza e sorrise. - Troveremo una soluzione. Te lo prometto.
Harry annuì senza la minima convinzione.
Sua sorella era in pericolo ed era tutta colpa sua. Era lui a dover trovare una soluzione.
Le prese la mano che gli stava accarezzando il viso e la strinse nella sua. - Ti aiuterò – promise.

La settimana non migliorò.
La Umbridge tampinava tutti gli studenti, invitandoli a bere un tè, con la speranza di estorcere informazioni su eventuali incontri proibiti fuori dalle lezioni con l’inganno, e Harry cominciò a temere per l’incolumità dell’ES; era ancora sulle spine all'idea che Hagrid potesse essere licenziato; e non poteva fare a meno di ripensare a quello che era successo quando Voldemort si era impossessato del suo corpo, anche se non ne parlò ai suoi amici: non voleva farli preoccupare, ma soprattutto non voleva peggiorare la situazione di sua sorella. Avrebbe tanto desiderato poterne parlare con Sirius, ma era fuori discussione, perciò cercò di respingere il pensiero in fondo alla mente buttandosi a capofitto nell’Occlumanzia.
- In piedi, Potter – sputò acido il professore di Pozioni.
Dopo la possessione improvvisa di Voldemort, Harry si trovava ancora una volta in ginocchio sul pavimento dell'ufficio di Piton, cercando di rafforzare la sua mente. Era appena stato costretto a rivivere un flusso di ricordi molto remoti, che non sapeva nemmeno di possedere ancora, la maggior parte dei quali riguardava le umiliazioni che gli erano state inflitte da Dudley e dalla sua banda alle scuole elementari.
- Non ti stai impegnando - disse Piton.
- Ci sto provando - rispose Harry, alzandosi esausto.
- Vuoi che il Signore Oscuro prenda di nuovo il controllo? - mormorò Piton.
- No - balbettò Harry.
Gli occhi scuri di Piton perforarono quelli di Harry. - Vuoi che arrivi a tua sorella?
- No – ripeté Harry, serrando le mascelle e stringendo più forte la bacchetta tra le dita.
Anche se gli risultava ancora molto difficile, aveva imparato a sopportare il tono acido e i modi bruschi del suo odioso professore. Ma solo perché sua sorella gli aveva assicurato che Piton era davvero dalla loro parte e che ci si poteva fidare.
“- È uno dei pochi in grado di aiutarci – gli disse Ginevra. - Ti prego, fa un piccolo sforzo”.
Un piccolo sforzo… più facile a dirsi che a farsi ma, pur di raggiungere il suo scopo, Harry era disposto a mettere da parte tutto il suo astio e andare d’accordo con lui.
- Allora dimostrami che puoi farcela, Potter – disse Piton a denti stretti. - Dimostrami che sbaglio a pensare che tu sia una nullità.
Per un lungo momento rimasero a fissarsi; Harry tremava per la stanchezza ma non aveva alcuna intenzione di arrendersi.
- Ora, se sei pronto, ricominciamo – disse. Poi levò la bacchetta: - Uno... due... tre... Legilimens!
Provarono ancora una volta, attraversando i ricordi di Harry: la Coppa del Mondo di Quidditch… i Mangiamorte… la morte di Cedric… sua sorella distrutta dal dolore… il giorno in cui aveva riabbracciato Sirius… la notte in cui lui e Ginevra avevano mangiato cioccolata calda e biscotti… contrasse il viso per concentrarsi, riuscendo a vedere ancora Piton in piedi davanti a lui, gli occhi fissi sul suo viso, che mormorava a mezza voce... e in qualche modo l'immagine di Piton si faceva più chiara, mentre quella dei suoi ricordi sfumava lentamente…
Harry alzò la bacchetta
- Protego!
Piton barcollò, la sua bacchetta volò verso l'alto, lontano, e all'improvviso la mente di Harry si riempì di ricordi non suoi: un uomo dal naso adunco che urlava contro una donna che cercava di difendersi, mentre un bambino piccolo coi capelli neri piangeva in un angolo... un adolescente dai capelli unti sedeva solo in una camera buia, puntando la bacchetta al soffitto per ammazzare le mosche... una ragazza rideva mentre un ragazzo ossuto tentava di cavalcare una scopa imbizzarrita... Harry riuscì a riconoscerla: era sua madre.
Cosa ci faceva sua madre nei ricordi di Piton?
- BASTA COSÌ!
Harry sentì una forte spinta sul petto; indietreggiò di vari passi e per poco non cadde con il sedere per terra. Piton tremava leggermente ed era molto pallido.
- Bene, Potter... finalmente… un vero miglioramento… - Con il respiro un po' affannoso, Piton sistemò meglio il Pensatoio in cui aveva riposto alcuni pensieri prima della lezione, come per assicurarsi che ci fossero ancora. - Non ricordo di averti insegnato a usare un Sortilegio Scudo... ma senza dubbio è stato efficace...
Harry non disse nulla; nonostante le tante domande che gli vorticavano in testa, sentiva che parlare poteva essere pericoloso. Era sicuro di essersi intromesso nei ricordi di Piton, di aver appena visto immagini della sua infanzia. Era fastidioso pensare che il bambino che poco prima aveva visto piangere mentre i suoi genitori urlavano ora si trovava di fronte a lui.
Harry fu percorso da un brivido di terrore; stava quasi per provare pena per il suo professore che tanto odiava.
- Riproviamo? - disse Piton.

Nel frattempo, nella Sala Comune di Grifondoro, seduta sul divano davanti al caminetto tra le braccia di George, Ginevra ripensava alla conversazione telepatica che aveva avuto qualche giorno prima con suo zio Regulus.
Lo aveva aggiornato sugli ultimi avvenimenti e lui ne era letteralmente terrorizzato.
“Devi andare via da lì”, le aveva detto. “Non possiamo rischiare che Voldemort o qualche Mangiamorte venga per te”.
Ingenuamente lei pensò di essere al sicuro finché si trovava a Hogwarts, dopotutto l’intero castello era pieno di protezioni e nessuno poteva materializzarsi all’interno o nei dintorni del castello. Poi però, il ricordo dell’anno prima, quando Barty Crouch jr era riuscito a penetrare nel castello indisturbato, le tornò in mente come una doccia fredda. Per un attimo aveva sperato che tutto quello che le era successo fosse solo un sogno; il rapimento, le torture mentali da parte di uno psicopatico Mangiamorte… ma si sbagliava. Era tutto reale.
E no. Non era al sicuro nemmeno a Hogwarts.
Quando ne aveva parlato a George, lui era entrato nel panico proprio come Regulus. Poi si era tranquillizzato, trovando persino una soluzione.
- Ho già un piano – disse. - Verrai via con me e Fred.
- Cosa? - esclamò lei, sorpresa. - E dove?
George le aveva spiegato il piano. Sembrava tutto così facile da sembrare infallibile; molto presto lui e Fred avrebbero lasciato Hogwarts per aprire ufficialmente il loro negozio di scherzi, quindi per tenerla al sicuro l’avrebbero portata al quartier generale dell’Ordine.
- Lui non sa dove si trova il quartier generale, no?
- No – mormorò Ginevra, facendosi prendere dall’ansia man mano che parlava. - Almeno lo spero. Potrebbe sempre guardare nella mente di Harry.
È vero. Potrebbe”, concordò Entity.
“Non sei per niente incoraggiante”, la rimproverò Ginevra.
Ma se ti ho appena dato ragione?!”.
- Be’, tu devi pensare al lato positivo e non a quello negativo – disse George. - Fidati di me. Ti porterò al sicuro.
Nonostante fosse spaventata, Ginevra si lasciò rassicurare dalle sue parole e dai suoi abbracci.
Grazie a George poteva svuotare la mente ed evitare i cattivi pensieri. Si sentiva al sicuro, come se nulla potesse farle del male finché era con lui.

Poco dopo, quando Katie e Angelina entrarono nella Sala Comune di Grifondoro, George e Ginevra scattarono subito in piedi: Angelina era in lacrime.
- Ehi, che cosa è successo? - domandò George preoccupato. - Dov’è Fred?
- Va tutto bene? - gli fece eco Ginevra.
Domanda stupida. Era ovvio che non andava bene.
Bastava guardarla per capirlo.
Angelina provò a parlare ma non ci riuscì; le lacrime scendevano copiose e i singhiozzi le impedivano di proferire parola. Ginevra la avvicinò al divano, facendola sedere.
Con un colpo di bacchetta George evocò un bicchiere d’acqua e lo offrì alla ragazza.
- Fred è dal Preside – rispose Katie, sedendosi al fianco della sua amica. Cominciò ad accarezzarle i capelli, cercando di calmarla, ma quando Angelina sentì il nome del suo ragazzo nascose il volto tra le mani, continuando a piangere.
Katie le passò un fazzoletto bianco, per poi spiegare la situazione a George e Ginevra.
- Qualcuno ha scoperto che la ragazza incinta di cui si continua a parlare è Angelina e lo ha spifferato alla Umbridge – disse. - Ero con loro quando li ha trovati. Stava per sospenderli entrambi, ma per fortuna c’era la McGranitt e ha cercato di sistemare le cose.
- Cosasu… cceder… àad… esso? - piagnucolò Angelina, tra un singhiozzò e l’altro.
George e Ginevra la guardarono, senza capire cosa avesse detto e questo alimentò il suo pianto. Sembrava una lingua aliena.
- Ha detto “cosa succederà adesso?” - spiegò Katie, pacata e tranquilla come sempre. Poi si rivolse alla Cacciatrice. - Tranquilla, tesoro. Andrà tutto bene. Vedrai che Silente risolverà tutto.
Le due ragazze non notarono l’occhiata che si erano scambiati George e Ginevra, perché in quel momento il ritratto della Signora Grassa si aprì e Fred fece il suo ingresso nella Sala Comune accompagnato dalla professoressa McGranitt.
Angelina scattò subito in piedi, ma non ebbe il coraggio di avvicinarsi a lui. Si soffiò il naso con il fazzoletto che teneva stretto al petto, senza però riuscire a frenare le lacrime.
Fred restò immobile, di fronte a lei, con la testa fra le mani e lo sguardo basso. Sembrava stanco.
- Allora? - domandò George, impaziente.
Fred esitò un solo istante prima di rispondere. Sospirò e guardò il fratello. - Hanno contattato le nostre famiglie – disse. - Verranno domani.
La professoressa sospirò, affranta, e concentrò la propria attenzione su Angelina. - Purtroppo io e il professor Silente non potevamo fare altrimenti – disse.
- Era l’unico modo per ritardare l’espulsione e tenere chiuso il becco di quella bastarda della Umbridge.
Solitamente la professoressa McGranitt avrebbe redarguito Fred per il suo linguaggio, ma in quel momento sembrò infischiarsene. Anzi, sembrava quasi incoraggiarlo.
- È inconcepibile – borbottò tra sé e sé, contrariata. Si tormentava le dita delle mani ripetendo quanto fossero assurde le richieste della Umbridge. - Come può aver anche solo pensato di espellervi! Questa non è la prima volta che una delle nostre studentesse sia in dolce attesa! E nessuno, ripeto, nessuno è mai stato espulso per questa ragione e mai accadrà – ribadì, ferma.
I singhiozzi di Angelina riecheggiavano nella stanza e Fred le andò incontro, stringendola forte tra le sue braccia.
- Andrà tutto bene – le sussurrò, piano, ma Angelina non sembrava convinta.
Stava piangendo a dirotto, mettendo a nudo tutta la sua sofferenza e le sue paure.
Tra un singhiozzo e l’altro riuscì a parlare di ciò che la spaventava di più.
I signori Johnson erano molto tradizionalisti e per loro il matrimonio era molto importante, un obbiettivo che non doveva essere aggirato, per così dire. Come le dicevano sempre: “- Prima viene il matrimonio, poi i figli”.
- Non fanno altro che ripetermelo da tutta la vita – singhiozzò Angelina. - Mi odieranno.
Non smise un attimo di piangere e Fred restò accanto a lei tutto il tempo necessario. Quando la Sala Comune iniziò a popolarsi di studenti che andavano e venivano dalla Sala Grande o dalle lezioni, George, Ginevra e Katie li fulminavano puntualmente con lo sguardo facendoli scappare a gambe levate ogni qual volta li sentivano mormorare qualcosa su Angelina o si fermavano troppo a guardarla.
Come quando una ragazza del sesto anno mormorò alla sua compagna: - Sapevo che avrebbe fatto questa fine.
Purtroppo per lei, Katie riuscì a sentirla. Le andò incontro. I suoi occhi erano ridotte a due fessure. - Prova a ripeterlo – la minacciò a denti stretti.
La ragazza sgranò gli occhi, spaventata. Tutto il coraggio che aveva si dissolse e scappò via seguita dalla sua amica.
Alla fine i curiosi intorno a loro smisero di girare come avvoltoi e ognuno tornò alle proprie faccende.
Angelina sembrò calmarsi, ma non aveva il coraggio di uscire dalla Sala Comune per andare a cena o a lezione. Un conto era avere addosso lo sguardo dei Grifondoro, un altro era avere quello di tutta la scuola.
Troppo imbarazzante.
La professoressa McGranitt si comportò come una madre amorevole e premurosa persino con Fred. Incoraggiò la ragazza a riposarsi, mettersi a letto, promettendole di inviarle la cena direttamente in camera.
La McGranitt era fatta così. I suoi figli erano i suoi studenti e li amava nonostante tutto.
Prima di lasciare la Sala Comune promise a entrambi che non li avrebbe abbandonati dicendo che era persino disposta a remare contro ai loro genitori, ad accoglierli in casa sua e ad aiutarli a crescere il bambino, se necessario.
Ginevra la guardò, non potendo fare a meno di domandarsi se la professoressa avesse fatto quella stessa conversazione anche a sua madre, diciassette anni prima.
Quel momento era come un déjà vu per lei? Aveva aiutato Lily Evans quando era incinta?
La donna sembrò accorgersi del suo sguardo e le sorrise, come se le avesse appena letto nel pensiero.

La professoressa McGranitt mantenne la promessa.
L’indomani rimase al fianco di Fred e Angelina per tutto il tempo, proteggendo soprattutto la Cacciatrice dagli attacchi della Umbridge. Ma ad un certo punto non poté fare molto; nonostante lei e i signori Weasley fossero contrari alla cosa, Fred venne scortato fuori dall’ufficio del Preside sotto richiesta dei signori Johnson. A quanto pare non gradivano molto la sua presenza e non trovavano molto “consono” che lui si opponesse alle loro decisioni.
Allora Fred tornò nella Sala Comune. Era stremato, arrabbiato, ma quando vide il gemello non poté fare a meno di sfogarsi con lui e raccontargli tutto.
- I genitori di Angelina sono contrari – disse. - Non vogliono che tenga il bambino.
- E mamma e papà? - domandò George. - Come l’hanno presa?
Le labbra di Fred si curvarono istintivamente all’insù. - Be’, lo sai come sono fatti. All’inizio hanno dato i numeri… poi però si sono calmati e hanno cercato di far ragionare i genitori di Angie. “Siamo sorpresi quanto voi, ma di certo non permetteremo che i nostri ragazzi rinuncino a questo bambino!” - scimmiottò imitando la voce della madre.
Sogghignò, poi la sua espressione si fece cupa.
Abbassò lo sguardo, traendo un profondo sospiro dal naso.
- Ma sembra che non sia servito a nulla – disse, prendendosi la testa tra le mani. - Vogliono portare Angelina al San Mungo domani stesso e… – la voce cominciò a tremare, ma cercò di mantenere la calma. - Dovevi sentire come parlavano. Angie piangeva e io...
George non fece domande.
Restò in silenzio, con lo sguardo perso nel vuoto, a pensare.
Poteva solo immaginare la scena.
In quel momento era come se riuscisse a sentire la sofferenza di suo fratello. Sentiva il dolore in ogni sua parola e lo vedeva anche nel suo sguardo. Per un attimo riuscì persino a seguire il filo dei suoi pensieri.
I genitori di Angelina volevano farla abortire a tutti i costi e di Fred non ne volevano sapere. Due diciassettenni genitori e squattrinati? Meglio l’aborto!
Quell’orribile pensiero gli dava i brividi.
- Ma non puoi fare niente per impedirlo? Dopotutto sei il padre, no?
Fred abbozzò un sorriso triste. - Chi, io? - domandò ironico. - Io sono solo il bastardo che l’ha messa incinta. Dovevi sentirli! Non volevano nemmeno guardarmi, parlavano come se io non fossi lì. Vogliono che io venga espulso.
- Be’, questo non ha importanza – disse George, cercando un lato positivo. - Avevamo già deciso di filarcela e abbandonare gli studi. Porteremo anche lei con noi. La McGranitt vi aiuterà, l’ha detto lei.
- Questa era la mia idea. Io e Angie ne abbiamo parlato e lei sarebbe anche disposta a farlo, ma... – sospirò Fred. - L’idea che i suoi genitori non mi danno alcun diritto sul piccolo… mi fa arrabbiare! Ma mi fa anche soffrire in un modo che non credevo neanche possibile.
Fred tremava di rabbia e dal dolore. Si era talmente abituato all’idea di avere un figlio con Angelina, da immaginare la sua vita con lui: voleva vederlo crescere, gattonare, sentirgli dire le prime parole, giocare con lui a Quidditch. La sola idea di perderlo lo faceva stare davvero male.
- Immaginavo già di tenerlo tra le braccia… Non voglio che lo portino via.
Gli sfuggì una piccola lacrima e George lo notò. Si avvicinò al fratello e sedette al suo fianco, poggiando una mano sulla sua spalla. - Non parlare così. Tu avrai questo bambino. Troveremo una soluzione. Scapperemo oggi stesso se necessario. Fidati di me, Freddie.

Nel frattempo, nell’ufficio del Preside continuava la faida tra i Weasley e i Johnson. Dopo che Fred aveva abbandonato la stanza, la signora Weasley si era lanciata in una accesa discussione contro la signora Johnson, difendendo il figlio con le unghie e con i denti da tutti gli insulti che quella donna acida dispensava senza sosta.
Angelina ascoltava in silenzio, mentre delle calde lacrime continuavano a rigarle il volto. Era seduta in una morbida poltrona davanti alla scrivania del preside, ma era talmente agitata da non riuscire a stare comoda. Continuava a muoversi, incerta, mentre lo sguardo andava da destra a sinistra tra le due famiglie che si scontravano.
Il suo unico conforto era la professoressa McGranitt. Le stava accanto, proprio come aveva promesso, battendosi per la sua sicurezza e quella del bambino meglio che poteva.
Quando i Johnson avevano detto che la loro figlia avrebbe dovuto abortire, la McGranitt sbraitò a gran voce insieme alla signora Weasley, incurante degli occhietti acquosi e soddisfatti della Umbridge che la fissavano.
Non tollerava la scelta dei signori Johnson di far operare la loro figlia così da risolvere “il problema”.
Il bambino non era un “problema da risolvere”!
Esistevano ancora persone talmente ottuse e prive di cuore da pensare una cosa del genere? Sperava di non porsi più una domanda del genere in futuro.
Il professor Silente, al contrario di come la pensavano i signori Johnson, andò in contro ai pensieri della professoressa di Trasfigurazioni, sostenendo che Angelina dovesse rimanere a Hogwarts.
Ovviamente c’era chi era contrario: la Umbridge, per esempio. Ma quella vecchia cornacchia, così la chiamava la McGranitt, non poteva fare nulla per scavalcare il Preside.
- La signorina Johnson e il signor Weasley rimarranno a Hogwarts – disse il vecchio mago, in tono fermo e deciso.
Era stanco di sentir urlare tutte quelle persone nel suo ufficio e, nonostante avesse ben altro a cui pensare, prendere le difese dei due ragazzi sembrava la decisione migliore.
I signori Johnson stavano già per ribattere, ma Silente li zittì immediatamente rivolgendosi alla sua collega, (nonché amica di lunga data), Minerva McGranitt. - Posso chiederle di scortare la signorina Johnson nel suo dormitorio, professoressa?
- Ma certo – rispose la McGranitt.
- Ma è inconcepibile! - sbottò indignata la signora Johnson. La cascata di capelli neri le coprivano il lato destro del viso e metà del suo cipiglio severo.
Arthur e Molly Weasley notarono che la donna era bella quasi quanto la figlia, ma in quel momento la sua bellezza esteriore era stata surclassata dal suo carattere orribile. Erano addolorati per la povera Angelina che aveva per madre quella donna, e sentivano il cuore farsi pesante ad ogni sua parola.
- Mia figlia non può rimanere in questo stato – continuò la signora Johnson indicando il ventre gonfio di Angelina. - Pretendo che venga con noi in modo da risolvere la faccenda una volta per tutte. Altrimenti sarò costretta a chiedere l’intervento del Ministro in persona!
- Ma non pensa al dolore che sta recando a sua figlia? - esclamò la signora Weasley, con il cuore in mano. - Non vede come piange?
La signora Johnson schioccò la lingua e le sue labbra si incurvarono in una smorfia sprezzante. - È ovvio che piange! Prima aveva un futuro radioso! Un futuro nel Quidditch! E invece quel maiale di vostro figlio le ha rovinato la vita!
- Badi a come parla, signora! - sbottò il signor Weasley in difesa della moglie; nonostante usasse un bastone di legno come sostegno e zoppicasse un po’, non esitò un solo istante a fronteggiare i coniugi Johnson.
- Mamma ti prego – pigolò Angelina, proteggendosi con la mano il ventre mentre la professoressa McGranitt la aiutava ad alzarsi.
La signora Johnson la ignorò, come se non avesse nemmeno aperto bocca. - Non permetterò a nessuno di decidere per il bene di mia figlia. La sua vita è importante! Non può rovinare tutto per una storiella scolastica.
La professoressa aiutò Angelina a reggersi in piedi, stringendola in un mezzo abbraccio. - Vedrai che andrà tutto bene – le sussurrò incoraggiante, scortandola fuori dall’ufficio del Preside.
Per la prima volta dopo ore di urla e insulti che aveva sentito in quelle quattro mura, Angelina sentì finalmente parole di conforto da una faccia amica e si sentì più leggera e tranquilla.
Le sue mani erano appoggiate nello stesso punto da tutto il giorno, sul suo grembo. Lo accarezzava come se in realtà stesse accarezzando il bambino stesso, pensando in qualche modo di proteggerlo, rassicurarlo.
- Angelina – esclamò sua madre, imperiosa. - Ti proibisco di uscire da questa stanza senza di noi. Se esci di qui non avrai più una famiglia!
La McGranitt arrestò il passo per un istante insieme alla ragazza. Guardò la signora Johnson con disgusto.
C’erano parecchie cose che voleva dire in quel momento, ma Angelina riuscì a batterla sul tempo.
- Io ho una famiglia, mamma – disse, continuando a sfiorarsi il ventre con dolci carezze.
Finalmente aveva trovato il coraggio di affrontare sua madre e di imporsi al suo volere. Non le importava se il suo rapporto con lei si sarebbe spezzato una volta per tutte, in quel momento, i suoi pensieri e il suo cuore erano per il suo bambino.
- Non puoi – obbiettò la donna, stralunata. I suoi occhi erano talmente sgranati da farla sembrare una cerbiatta davanti ai fanali di una macchina.
- Oh, sì che può – esclamò la McGranitt, sorridendo. Non aveva smesso nemmeno per un secondo di stringerla tra le sue braccia e Angelina non poteva che essergliene grata. Senza il suo sostegno non avrebbe mai trovato la forza di reagire.
La signora Weasley annuì, commossa, sostenendola con tutto il suo cuore. - Sarai sempre la benvenuta nella nostra famiglia, cara.
Angelina la ringraziò e uscì dall’ufficio.
Sua madre rimase immobile per qualche secondo, con lo sguardo fisso dove prima vi era sua figlia, incapace di accettare la realtà dei fatti. Poi riuscì a balbettare qualcosa. - Fa qualcosa, Clive!
Guardò il marito in cerca di man forte, ma prima che lui potesse pronunciare un’altra parola, Silente sbatté le mani sul tavolo con decisione, facendoli trasalire.
- Non c’è nulla che possiate dire o fare. La decisione è stata presa – sbottò perentorio. - Ogni studente di questa scuola ha il diritto e il dovere di continuare gli studi fino a quando non lo ritiene opportuno e, per quanto riguarda la signorina Johnson, essendo maggiorenne è in grado di prendere le sue decisioni. E, in questo caso, ha deciso di tenervi fuori dalla sua vita.
La Umbridge si schiarì la voce. - Hem hem.
Silente alzò gli occhi al cielo e sospirò pesantemente; l’ultima cosa che desiderava era ascoltarla.
- Le chiedo scusa se mi intrometto, signor Preside - disse in tono lezioso la professoressa Umbridge, - ma non credo che una ragazzina possa decidere a comodo suo. I suoi genitori hanno la priorità su tutto. Dico bene?
Lanciò un’occhiata ai signori Johnson, sicura di trovare approvazione. Quando loro annuirono, si rivolse nuovamente al Preside: - Visto che non sono l’unica a pensarlo, credo sia meglio che…
- La decisione non spetta a nessuno di noi - ribatté prontamente Silente. - Alla signorina Johnson è stata posta una scelta. Una scelta che lei ha affrontato con molto coraggio.
- Temo che lei non capisca la situazione, Silente - disse la Umbridge, sorridendo. - Il coraggio non servirà a molto a quella ragazza. I suoi genitori vogliono solo il suo bene.
Con grande sorpresa dei signori Weasley e dei signori Johnson, Silente sorrise. - Oh, per quanto io possa essere vecchio, non sono ancora stupido, professoressa. Capisco molte cose – disse. - Quello che voi non capite è che Angelina non è più una bambina. È una donna adulta in grado di badare a sé stessa. Cercava l’amore e la comprensione dei suoi genitori e ha ricevuto solo disprezzo. Ora, se fossi in voi, non mi sorprenderei più di tanto che lei abbia preso la scelta di non seguirvi.

Appena varcata la soglia della Sala Comune di Grifondoro, Angelina si lanciò tra le braccia di Fred e gli raccontò ogni cosa. Alla fine per lui fu come se il peso che aveva nel petto fosse sparito come per magia.
Nonostante i signori Johnson fossero ancora contrari al bambino, a Fred non importava. Per lui l’obbiettivo principale era lasciare Hogwarts, aprire il negozio di scherzi con George e andare a vivere con Angelina e il loro piccolo Weasley in arrivo.
Nient’altro aveva importanza. Dovevano solo decidere quando lasciare il castello.
Continuarono a frequentare le lezioni, senza badare alle occhiate e ai bisbigli dei curiosi, come se niente fosse.
I genitori di Angelina le mandarono una lettera al giorno per i tre giorni seguenti, cercando di convincerla che la scelta migliore era rinunciare al bambino. Lei li ignorò senza pensarci due volte e loro rinunciarono.
Troncare i rapporti per lei fu abbastanza difficile, ma grazie a Fred e ai suoi amici era riuscita a non toccare il fondo.
Poi c’erano le lezioni dell'ES.
Passavano ore e ore nella Stanza delle Necessità, a lavorare sodo ma anche a divertirsi. Ron e Ginny erano talmente felici di diventare zii da litigare su chi dei due doveva prendere in braccio il bambino per primo una volta nato. Ma poi ci pensava George a surclassarli: - È inutile che litigate, tanto sarò io il primo a prendere in braccio il mio nipotino – disse, gonfiando il petto con orgoglio.
- O nipotina – ribatté la sorella. - Guarda che ancora non sappiamo se sarà maschio o femmina.
George agitò pigramente una mano, come per scacciare una zanzara fastidiosa. - Non è così importante - disse. - L’importante è che io lo vizierò tantissimo.
- Non vorrei interrompere l’idilliaca lotta familiare su chi sarà lo zio migliore – disse Harry. - Ma se siete ancora interessati oggi cominceremo a lavorare sui Patronus.
Gli occhi della piccola Weasley si illuminarono. - Davvero? Non me l’avevi detto! - disse, fingendosi offesa.
Harry fece spallucce e la prese per mano, accompagnandola alla postazione principale.
Tutti lo guardavano entusiasti.
Non vedevano l’ora di imparare ad evocare un Patronus, anche se, come continuava a ricordare loro Harry, evocarne uno in tutta sicurezza e in un'aula illuminata a giorno era ben diverso dall'evocarlo di fronte a un Dissennatore.
- Questo “teoricamente” è un incantesimo da settimo anno, ma sappiamo tutti che la Umbridge non proverà nemmeno ad insegnarlo… Ma è per questo che siamo qui, no? – disse Harry, incoraggiandoli. Tirò fuori la bacchetta ed evocò il suo Patronus e un cervo cominciò a camminare con passo maestoso vicino a lui. - Se all’inizio non riuscirete non preoccupatevi, abbiamo tutto il tempo.
Ginevra guardò il cervo con un ghigno beffardo sulle labbra.
Non disse nulla, ma dalla punta della bacchetta fuoriuscirono dei fasci di luce argentei che si unirono fino a formare un cane di taglia medio-grande con un manto di pelo foltissimo e gli occhi dallo sguardo intenso e penetrante.*
Un mormorio stupito e ammirato accolse il cane argenteo che zampettò tra loro, per poi sedersi al fianco di un Harry sbalordito.
Guardò la sorella e sorrise. - Da quando sai evocare un Patronus corporeo?
Ginevra fece spallucce. - Forse sei un bravo insegnante.
- Ah ah. Divertente.
Si spintonarono giocosamente e il cane zappettò vicino al cervo per giocare con lui.
- Vuoi una mano? - domandò Ginevra e Harry accettò con gioia. Una mano faceva sempre comodo.
- Quando avevi intenzione di dirmi che sai evocare un Patronus? E perché non me l’hai mai insegnato? - la rimproverò allegramente George quando la raggiunse.
- Sinceramente avevo quasi dimenticato che ne ero in grado – rispose lei. - È passato molto tempo dall’ultima volta.
Un sorriso malizioso incurvò le labbra di George.
Appoggiò le mani sui fianchi di lei e la avvicinò a sé, sussurrandole all’orecchio: - Allora puoi darmi lezioni private.
Il suo respiro caldo le solleticava il collo, provocandole dei brividi di piacere. -Le diede un lento e delicato bacio sul collo, aumentando notevolmente i brividi, ma di certo quello non le impedì di provocarlo a sua volta.
Si morse il labbro inferiore, sapendo che in quel modo lo faceva sempre impazzire. Poi si alzò sulle punte dei piedi quel tanto che bastava per sfiorargli l'orecchio con le labbra, per bisbigliare con voce seducente: - Se è quello che vuoi, Weasley.



*Il Patronus di Ginevra è un Samoiedo
  
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