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Autore: Airborne    02/08/2023    2 recensioni
Tenzō ha nove anni quando viene salvato dalle grinfie di Orochimaru ed entra nella Radice perdendo ogni cosa. Kakashi ha tredici anni, è il capitano più giovane nella storia degli ANBU ed è cresciuto bruscamente e brutalmente. Sono giovani, sono diversi, sono ben lontani dall’essere il prototipo del ninja eroico e sanno già che faranno i conti con il passato per sempre; ma sono anche determinati a mettere la propria vita in campo per Konoha, per un futuro migliore, e l’uno per l’altro.
Kakashi/Yamato
***
«Credo che diventerà un ninja interessante» dice solo.
«Se esce indenne dalla Radice».
Kakashi rabbrividisce. Menomale che lui non ci è finito, nella Radice. Spera, come fa per tutti i ragazzini dell’organizzazione, che quel Tenzō sia abbastanza forte da sopravvivere. E spera che non debba mai, mai fare i conti con qualcosa come Obito e Rin.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Kakashi Hatake, Yamato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
Capitoli:
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Niente di cui scusarsi

 

And up until now I have sworn to myself that I'm content
With loneliness
Because none of it was ever worth the risk, well
You
Are
The only exception

Paramore – The Only Exception

 

 

4

Kakashi

 

 

 

Quando rientra a Konoha dopo una missione di tre giorni, Kakashi capisce subito che c’è qualcosa che non va. Kurenai e Rie, che presidiano l’ingresso al villaggio, sono da tutt’altra parte con la testa, e nonostante ci sia un trambusto innaturale Konoha sembra oppressa da una cappa di desolazione. Anche il vento che spazza le strade è aggressivo, più ostile, e i volti in pietra degli Hokage non hanno mai avuto un’espressione più grave.

«È successo qualcosa?» chiede alle ragazze sperando sinceramente che la risposta sia “no”, e non solo perché non è tranquillo. Sperava di poter andare dritto da Obito e Rin.

«Una tragedia» risponde Rie, mortalmente seria. E se Rie è seria significa che la situazione è davvero grave.

L’espressione di Kurenai è ancora più frastornata, e le sue parole sono un fulmine a ciel sereno.

«Ieri sera Itachi Uchiha ha sterminato il suo clan e ha abbandonato il villaggio».

 

 

 

È palese che non tutti, al mondo, condividano la stessa visione della vita e gli stessi valori. È altrettanto palese che un ragazzino, ninja o civile che sia, non sa nemmeno cosa quelle parole vogliano dire: per un ragazzino la vita ruota attorno al trovare una scusa per non fare i compiti, e l’unico valore seguito con costanza è spesso l’egoismo. È per questo che esistono i genitori, i maestri e gli eroi: perché i bambini possano capire ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, il significato di comportarsi in modo onorevole e quali siano le cose per cui vale davvero la pena darsi da fare.

Kakashi non pretende di essere (essere stato?) un esempio per Itachi, o per qualsiasi altra persona abbia incontrato nella sua vita; anzi, spera con tutto sé stesso che nessuno lo abbia mai preso a modello, perché non riesce a pensare a qualcuno di peggiore per ricoprire quel ruolo. Ma non si capacita di come Itachi Uchiha, lo stesso Itachi Uchiha con cui ha portato a termine un’infinità di missioni, l’Itachi Uchiha che parla (parlava?) del suo fratellino come se al mondo non esistesse niente di più importante e che si impegnava più di chiunque altro per dare un contributo concreto a Konoha abbia potuto massacrare il suo intero clan. È questo, più del fatto che Itachi abbia appena tredici anni e, per quanto talentuoso possa essere, abbia (avesse) solo da imparare dai suoi familiari, che lo lascia sbigottito. Più della gravità dell’accaduto, più dell’ “E adesso?” che Konoha si chiede da tre giorni.

E, molto egoisticamente, non si capacita, no, è arrabbiato perché qualcuno, e Itachi Uchiha fra tutti, nel giro di… Quanto? Un’ora? Due?, ha buttato all’aria tutto ciò per cui Konoha lavora da un secolo o giù di lì, e ha infangato le cose per cui suo padre e il suo maestro, eroi del villaggio, hanno dato la vita. È arrabbiato perché Itachi, tra tutti, era l’ultimo da cui si sarebbe aspettato una cosa del genere; lui stesso sarebbe stato un candidato molto più credibile a compiere quel gesto. E vorrebbe tanto sapere perché l’ha fatto, perché di punto in bianco la sua personalità, il suo tutto è cambiato in maniera così inaspettata, ma in quel momento prova solo tanta rabbia.

Tutta Konoha è arrabbiata e confusa.

Chissà cosa ne penserebbe Obito. Chissà se lui sarebbe stato in grado di sopravvivere a Itachi. Probabilmente no.

Kakashi è sdraiato sul letto a fissare il soffitto da un bel po’ quando qualcuno bussa alla porta di casa. Quasi si spaventa, assorto com’è nei suoi pensieri. Non è proprio dell’umore adatto per vedere gente; per un momento prende in considerazione l’idea di fingere di non essere in casa, anche se potrebbe essere una convocazione per una missione urgente. Una missione per catturare Itachi, magari. A Konoha non ci sono molti ninja in grado di portare a termine un incarico simile. Forse nemmeno lui è tra questi.

«Senpai!»

È Tenzō. Le probabilità che sia richiesto per una missione non aumentano, ma nemmeno calano. In ogni caso, non può sottrarsi al suo dovere in quel modo.

«Ciao, Tenzō» lo saluta. Non porta la maschera da ANBU e non è in divisa, cosa che lo rende abbastanza certo che non sia lì per via di un incarico urgente. I suoi occhi sono enormi, come al solito. «Che succede?»

«Niente, io… sono passato a vedere come stavi».

Tenzō non sarà Obito o Rin, ma Kakashi apprezza la sua compagnia. È la prima persona, dopo loro, con cui pensa che valga la pena avere un rapporto che vada oltre l’essere commilitoni. È buono, Tenzō, è innocente, sveglio e, contrariamente a lui, farebbe di tutto per evitare uno scontro. Come (faceva) Itachi.

«Tutto bene» risponde Kakashi precedendolo in casa. «Vuoi bere qualcosa? Non ho granché, in realtà».

«Un tè andrà benissimo».

E lo capisce meglio degli altri, soprattutto. Ha capito che Kakashi non è tranquillo come lascia intendere, perché dopo avere chiesto il tè non dice nient’altro, e se Tenzō ha un difetto fastidioso è proprio quello di essere un gran chiacchierone.

«Cosa mi racconti?» gli domanda riempiendo la teiera.

«Niente di che, il solito. È un po’ che non ti si vede in caserma».

«Sono stato parecchio in giro. Tira una brutta aria dalle parti del Paese della Pioggia».

«Sì, ho sentito. Hai scoperto niente?»

«Molto poco, il che vuol dire che qualcosa di preoccupante sta succedendo di sicuro».

Tenzō non replica. Kakashi decide che tanto vale arrivare subito al dunque. «Che si dice in caserma degli Uchiha?»

«Un sacco di cose» risponde Tenzō dopo una breve esitazione. «Brutte, più che altro. Poco oggettive».

Sì, è proprio intelligente.

«Non c’è niente di oggettivo in questa storia» sbotta sedendosi dall’altra parte del tavolo in attesa che l’acqua bolla. Non avrebbe voluto, e Tenzō non merita di vederlo arrabbiato per l’accaduto dopo essersi preso la briga di andare da lui a vedere come sta. Ma Kakashi è arrabbiato.

Ma il ragazzo risponde come se lui fosse rimasto calmo. «Sì, nessuno ci sta capendo nulla. Per non parlare delle baggianate che girano…»

«Che cosa si sta inventando la gente?»

«Le cose più assurde. Che Itachi è stato pagato da Iwa, che è tutto un complotto degli Hyūga per non perdere la loro posizione all’interno del villaggio… Qualcuno è addirittura convinto che sia tutta opera di Naruto Uzumaki».

A Kakashi gira la testa nel sentire il nome del figlio di Minato, ma l’istante dopo è già passato. «Quante cazzate. Mi chiedo come faccia la gente a crederci».

«Hai sentito di Sasuke?»

Kakashi annuisce prima di alzarsi a versare il tè nelle tazze. Il fatto che Itachi abbia risparmiato il fratello è forse la parte più crudele di tutta quella follia. Nessuno ha avuto il coraggio di interrogare Sasuke, non ancora, e Kakashi ne è quasi sorpreso. Non che servirebbe a qualcosa: ha sentito dire che il ragazzino si è chiuso in un silenzio impenetrabile. Qualcuno dubita addirittura che ricomincerà mai a parlare. Kakashi non vuole nemmeno immaginare ciò a cui potrebbe aver assistito.

«Non sembra che lo faranno entrare nella Radice».

«No, infatti. Non è mai stato nei loro radar. Sembra che abbia talento, ma non abbastanza per la Radice». Ed è un sollievo: meno ragazzini entrano in quell’organizzazione, meglio è. Non lo dice ad alta voce per rispetto di Tenzō, e perché è superfluo dal momento che anche lui è dello stesso avviso.

«Penso che lo terranno sott’occhio per un po’ e poi lo manderanno a casa. Con Naruto hanno fatto così».

Forse sarebbe meglio che lo mettessero in un istituto pensa Kakashi. Lui era già troppo grande quando suo padre era morto, ma lo avrebbe preferito alla vita che aveva condotto da allora.

«Come stai, senpai?»

Kakashi non risponde subito. Si risiede a tavola, ma non beve e non guarda verso Tenzō.

«Sono arrabbiato. E deluso».

Si chiede se sia il caso di raccontare a Tenzō certe cose che sono successe nel suo passato. Non le ha mai dette a nessuno. Ci hanno sempre pensato gli altri a raccontare la tragica vita di Kakashi dello Sharingan.

«Itachi, tra tutti».

«Lo so» sospira Tenzō. «Sono sconvolto anch’io».

«È che… dopo tutto quello che ha fatto, dopo tutte quelle missioni, dopo essere cresciuto durante una guerra… un gesto del genere non ha nessun senso».

«Non lo difendo, sia chiaro, ma… conoscendolo, avrà di sicuro avuto i suoi motivi».

«L’abbiamo mai conosciuto davvero, secondo te?»

Tenzō lo guarda dritto negli occhi. «Forse no».

Stanno in silenzio a lungo, sorseggiando il tè. Non è un silenzio opprimente; non lo è mai, tra loro. A dire il vero, per Kakashi, che non sopporta le parole dette solo per dare aria alla bocca e tappare buchi, non lo è in nessun caso, con nessuno.

«Non sarebbe dovuta andare così. Itachi era il migliore tra tutti noi. Ha sempre avuto in mente solo il bene di Konoha, per quanto piccolo fosse».

«Come tuo padre, senpai?»

Kakashi vede chiaramente una scintilla negli enormi occhi di Tenzō, ancora prima che arrossisca e abbassi lo sguardo. Probabilmente pensa di essersi spinto troppo oltre, e se ne vergogna.

«Scusa».

«Sì, come mio padre».

È pronto a parlarne, ora, con Tenzō. Sono passati anni, e sia loro due che il villaggio hanno perso la propria innocenza, ormai.

«Mio padre ha messo Konoha prima della sua stessa vita. Prima di me». Fa ancora male, ma ha imparato a scenderci a patti. «Itachi avrebbe fatto lo stesso, fino a tre giorni fa». Guarda fuori dalla finestra: non ce la fa a raccontare quella cosa guardando qualcuno negli occhi. «Una volta mi ha detto che considera mio padre un vero eroe di Konoha. Come aveva fatto Obito. Gli avevo appena salvato la vita e mi ha detto che mio padre è un eroe per aver preferito fallire la missione piuttosto di lasciare che i suoi compagni morissero, anche se poi...» Non finisce la frase, ma sa che Tenzō capisce. «Che lui sarebbe stato disposto a fare anche di più. Che si sarebbe sacrificato per salvare la vita dei suoi compagni, se non avesse avuto altra scelta».

«Tu non avresti voluto sentirti dire certe cose».

Kakashi riporta lo sguardo sul ragazzo. Tenzō sta quasi trattenendo il fiato, come se sapesse che lui non ha mai raccontato quella storia a nessuno. E forse lo intuisce davvero.

«No, non avrei voluto. Non sono mai riuscito a considerarlo veramente un eroe. Sono un cattivo figlio, secondo te?»

«No» risponde Tenzō con un mezzo sorriso. «È sempre diverso quando ci sei dentro».

E lui è stato un cattivo padre? vorrebbe chiedergli, ma non è sicuro di poter sopportare la risposta.

«Forse hai solo bisogno di più tempo» continua il ragazzo.

«Sono passati nove anni, Tenzō».

«E allora?»

E allora, è stufo di continuare a vivere con quel peso nel cuore, come se non ne avesse già altri, come se i dubbi e i rimpianti non si accumulassero uno sull’altro missione dopo missione.

«Non puoi cambiare il passato, senpai» continua Tenzō con una disarmante e inconsapevole crudeltà. «Puoi solo imparare a conviverci. E secondo me tu l’hai già imparato. È normale pensarci ogni tanto e sentirsi tristi».

Lui si sente sempre triste, ed è tutto così dannatamente difficile.

«Soprattutto…» Tenzō esita. «Soprattutto se… se ti sono successe altre cose brutte».

Kakashi beve una lunga sorsata di tè. «Tu lo sai cos’è successo a Obito Uchiha e Rin Nohara?» Cazzo. Anche solo pronunciare i loro nomi fa male.

«Non lo so. So solo che…»

«Che sono morti in missioni a cui partecipavo anch’io».

Tenzō arrossisce, come sempre. Arrossisce davvero spesso, anche quando non ne avrebbe motivo. È buono, Tenzō, e vuole solo vivere la sua vita senza disturbare gli altri. «Non devi raccontarmelo se non te la senti».

Kakashi sorride tristemente sotto la maschera. «Non me la sentirò mai». Ma prima o poi lo dovrò fare, e tanto vale farlo ora e con Tenzō. «Obito ha fatto ciò che avrebbe voluto fare Itachi. È morto per salvare me e Rin, perché io…» Non solo è difficile guardarlo negli occhi, è difficile anche mantenere la voce ferma, ora. «… Perché io sono stato talmente una merda da lasciare Rin indietro, invece di andare subito a salvarla. Ho fatto il contrario di quello che avrebbe fatto mio padre, e il risultato è stato…» Non serve che glielo dica. «Obito non sarebbe morto se fossi intervenuto subito».

«Questo non lo puoi sapere».

«E se Obito non fosse morto, probabilmente nemmeno Rin lo sarebbe. Io e lui insieme saremmo riusciti a salvarla, e lei non si sarebbe suicidata sul mio Millefalchi per proteggere Konoha».

Tenzō è sgomento per il racconto di Kakashi. Se lo sarebbe mai aspettato, lui, che il suo senpai, il grande Kakashi Hatake dello Sharingan, uno tra i migliori ANBU di Konoha, con il record di missioni completate e di sottoposti vivi e illesi al rientro, avesse le mani sporche del sangue dei suoi più cari amici?

«Perché alla fine si riduce sempre tutto a questo, no? O Konoha, o la propria vita». Non ha mai pensato che il sistema su cui si fondano i villaggi ninja fosse sbagliato; se ne rende conto solo in quel momento.

«Non si riduce sempre tutto a questo» balbetta Tenzō dopo un lungo silenzio. Per tappare i buchi, appunto.

«Non c’è bisogno che mi consoli. Non c’è niente al mondo che possa perdonare o giustificare ciò che ho fatto». Come niente al mondo può perdonare o giustificare ciò che ha fatto Itachi.

«Ma non è semplice, senpai».

«Non stavamo parlando di questo» taglia corto, troppo vulnerabile per continuare.

«Soffriamo tutti, prima o poi».

«Non è una giustificazione».

«Non vuole esserlo».

Le parole di Tenzō sorprendono Kakashi. Messo in quella situazione, chiunque cercherebbe di sostenere il contrario, anche se è una bugia, perché bisogna proprio essere degli stronzi per rigirare il coltello nella piaga in quel modo. Ma Tenzō non sta dicendo quelle cose per ricordargli che razza di persona sia (sia stato?). Sta cercando di farlo sentire meglio, perché è buono. Un po’ zoppicante come tentativo, ma in quel momento Kakashi gli è grato per la sua determinazione nello stargli accanto.

«Ormai non puoi più cambiare il passato» ripete. «Devi solo decidere che atteggiamento avere a riguardo. Ci starai sempre male, senpai, ma non ha senso rimuginarci su». Gli sorride, Tenzō. «So che non ci rimugini su spesso, non abbastanza da lasciare che ti influenzi. Ma è normale che in questo momento tu lo faccia. No?». Gli sorride, quando tre quarti del villaggio non gli si sono più avvicinati davvero dopo la morte di Obito e Rin. O forse è lui che non si è mai sentito particolarmente vicino a nessuno di loro, perché con nessuno, prima di Tenzō, ne è valsa veramente la pena.

Kakashi finisce il suo tè prima di ricominciare a parlare. «Tu ci pensi mai a… a quello che ti è successo? Se ti va di parlarne» si affretta ad aggiungere.

«Tutte le volte che uso le mie tecniche» risponde subito, «e anche di più. Non è stata una bella esperienza, e io ero solo un bambino. Forse questo è un bene, però, se avessi avuto più coscienza di me stesso non so se avrei avuto la forza di reagire. Ma è una cosa diversa da quelle che sono successe a te».

«Cos’è successo di preciso?»

«Non mi ricordo niente dell’esperimento. So solo quello che mi ha raccontato il Terzo Hokage. Ma non dev’essere stata una bella esperienza, visto che mi ha fatto perdere la memoria». Tenzō sghignazza. È forte, lui. «Molto comodo, visto che i membri della Radice non hanno storia».

«Neanche tu hai avuto una vita facile, eh?»

Che cosa stupida da dire.

«No. Ma sono felice di come sono adesso, immagino».

«Beato te».

Si guardano negli occhi a lungo. È passato molto tempo dall’ultima volta che Kakashi è riuscito a guardare qualcuno negli occhi in quel modo, e un’infinità di cose. «Per quello che vale, senpai» dice Tenzō, «tu sei un grande ninja e una brava persona. E… Puoi venire da me, quando ne hai bisogno».

Soprattutto, Tenzō è puro di cuore. Come Obito e Rin.

  
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