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Autore: Cj Spencer    06/08/2023    1 recensioni
Cosa succede se Napoleone Bonaparte viene fatto rinascere in un mondo fantasy per salvare un intero continente dall'avvento di un Re dei Demoni?
Un attimo dopo essere morto, l'ormai ex dominatore d'Europa riceve la visita del misterioso Faucheur, che gli offre la possibilità di rinascere in un altro mondo nel continente di Erthea, a condizione che lo protegga dall'imminente arrivo dell'esercito del Re dei Demoni.
La sfida non è per niente facile, poiché Napoleone si ritrova a rinascere nel corpo di Daemon, un bambino orfano adottato dagli schiavi semiumani che abitano nel sudicio ghetto di Ende, con null'altro per compiere la sua missione che i ricordi della sua precedente vita.
Questa è la storia di come l'Imperatore dei Francesi dovrà riunire sotto il suo comando un continente diviso e in guerra con sé stesso e prepararlo ad affrontare la minaccia che lo aspetta.
Genere: Avventura, Drammatico, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Non v'è rivoluzione senza furore popolare.

Non v'è furore di popolo scatenato senza disordine e vittime.”

EPILOGO

RIVOLUZIONE

 

 

Quando un popolo si solleva, solitamente chi non vuole avere niente a che fare con la questione prende le proprie cose e scappa senza neanche guardarsi indietro.

Se poi a ribellarsi sono quegli stessi individui che fino al giorno prima hai trattato come bestie da soma, l’ultima cosa che vuoi è rischiare di capitargli tra le mani solo per rimanere a difendere un pezzo di campo o una bottega.

Per questo non mi sorprese più di tanto quando, lungo il tragitto verso Dundee, trovammo la maggior parte delle case e delle fattorie abbandonate.

Razziatori e banditi si erano già messi al lavoro, ma fu mia cura fare arrestare chiunque sorprendemmo a saccheggiare le case o assalire le carovane in fuga, promettendo a tutti quelli che incontravamo e che si buttavano il più delle volte ai nostri piedi implorando pietà che a nessuno sarebbe stato torto un capello.

L’eco di questi comportamenti, oltre a quello su chi stava guidando la rivolta, sembrò spargersi in fretta, e per quando arrivammo in vista delle mura di Dundee molta gente aveva già smesso di scappare, preferendo piuttosto restare alla finestra e vedere come la situazione si sarebbe evoluta.

Sapevo che Rutte era un uomo di giudizio, che non avrebbe mai corso il rischio di affidare le vite dei suoi concittadini alle risibili mura di Dundee o a quei mezzi soldati della guardia cittadina.

Quello di cui non ero ancora del tutto sicuro era come avrebbero reagito Septimus e i suoi uomini. Li conoscevo quasi tutti, e fatte salve alcune eccezioni sapevo che non si sarebbero fatti uccidere per difendere un Impero nel quale in fin dei conti nessuno di loro credeva davvero; a condizione ovviamente di dare loro qualcosa di migliore nel quale credere e a cui votare la propria lealtà.

Ignorando inizialmente Dundee, di cui Rutte aveva come previsto già fatto aprire le porte per dimostrare l’assenza di qualunque velleità di resistenza, ordinai di dirigersi immediatamente verso il forte, che invece trovammo in pieno assetto di guerra e pronto a difendersi.

Ovviamente tutti quei soldati, a cominciare da Septimus, restarono ammutoliti quando mi videro apparire dinnanzi a loro in mezzo a tutti quei mostri, ma sapevo che la mia sola presenza o le semplici parole non sarebbero bastate a convincerli a cedermi le loro armi.

Occorreva un gesto plateale. E io per fortuna, in quanto a gesti plateali, ero un professionista.

«Daemon, che stai facendo?» esclamò Scalia vedendomi avanzare verso il forte con le braccia conserte dietro la schiena, la schiena dritta e lo sguardo fisso davanti a me «Ti ammazzeranno!»

Subito ordinai ai miei pochi arcieri di posare le armi, fermandomi a metà strada tra le mura e la mia prima linea e restando a lungo a fissare negli occhi i soldati sui bastioni.

Mi sembrava di essere tornato a Laffrey, di fronte al quinto di linea schierato e pronto a spararmi.

«Mi riconoscete vero? Non vogliamo farvi alcun male! Non siete voi i nostri nemici!»

Non vi fu risposta, anche se potevo scorgere l’esitazione negli occhi di ognuno di loro.

«Se volete uccidermi, fate pure!» dissi allargando le braccia «Fatelo adesso e finirà tutto! Altrimenti, scendete da lì e parliamo! Avete la mia parola che nessuno di noi alzerà un dito!»

Carel, una giovane recluta poco più che quattordicenne, svenne letteralmente per lo stress, e a quel punto Septimus si decise ad ordinare ai suoi di abbassare le armi.

«Adesso scendo e parliamo! Ma se uno solo di loro muove un passo…»

«Hai la mia parola che non accadrà nulla!»

Di lì a breve le porte della fortezza si aprirono leggermente e Septimus uscì all’esterno accompagnato da un subalterno con la bandiera bianca.

«Che sta succedendo, Daemon?»

«Non poteva durare Septimus, e tu lo sapevi.»

«Perché sei insieme a loro? Sono solo schiavi.»

«Eri pronto anche tu a difenderli quando sono stati in pericolo. Avrò modo di spiegarti ogni cosa. Ma non adesso. Non c’è tempo. Avrai già saputo cos’è successo al ghetto. La spedizione punitiva sarà presto qui, e non possiamo affrontarli con attrezzi da lavoro e grembiuli da forgia. Ci servono le armi del forte.»

«E pensi davvero che te le consegnerò? Sono un Decurione dell’esercito imperiale. Tecnicamente dovrei dare l’ordine di uccidervi io stesso.»

«Otterresti solo di morire inutilmente, e i tuoi uomini con te.»

«Non ha alcuna importanza. Io ho fatto un giuramento.»

«Lo stesso che ha fatto il tuo superiore che se l’è data a gambe lasciandovi qui a farvi ammazzare? Non guardarmi così, so perfettamente che è già scappato. Abbiamo fermato lui e la sua scorta a neanche un miglio di qui, mentre cercavano di attraversare il ponte. Ora sei tu al comando. Le vite di quegli uomini sono nelle tue mani.»

Septimus stava scoprendo sulla sua pelle che decidere di gettare via la propria vita in nome dell’onore è facile, ben diverso però è fare lo stesso con quella dei soldati sotto il proprio comando.

Decisi di spingere ulteriormente.

«L’hai visto tu stesso il vero volto dell’Impero. Vuoi davvero morire per gli stessi che hanno vessato questi poveretti fino al punto di spingerli a dire basta? O che hanno incarcerato e ucciso i nostri amici durante quella stupida caccia alle streghe? Siamo cresciuti insieme, lo sai che di me ti puoi fidare. Ti assicuro che non vogliamo spargere sangue innocente.»

Era evidente che il suo orgoglio di soldato gli impediva di fare ciò che intimamente avrebbe voluto. Occorreva un’ultima spinta.

«Un gruppo di miei compagni sono già entrati a Dundee. Non hanno fatto del male a nessuno. Ora stiamo radunando tutti gli abitanti della regione che non sono ancora scappati. Venite anche voi. E se dopo che avrete ascoltato quello che ho da dire deciderete comunque di opporvi a noi vi lasceremo andare via incolumi, con tutte le armi che riuscirete a portarvi dietro. Sarete anche liberi di andare al nord e riunirvi con il resto della legione se lo vorrete. Lo giuro.»

Septimus accettò quasi subito la mia proposta, ponendo come unica condizione la garanzia che fatto salvo un piccolo gruppo di fedelissimi tutti gli altri ribelli sarebbero rimasti al di fuori delle mura.

Mentre si allontanava potevo sentirlo ordinare al proprio portabandiera di dare indicazioni perché tutti iniziassero a mettersi in spalla quante più armi possibili in vista del viaggio verso il Castello. Ma io sapevo benissimo che in realtà quel viaggio non ci sarebbe mai stato.

 

Eirinn non aveva subito le stesse devastazioni patite dall’Impero o da altre parti di Erthea durante le Guerre Sacre, quindi era quasi naturale che in molti tra noi non condividessero il fanatismo e la brutalità con cui l’Impero trattava i mostri.

Di sicuro non li consideravamo nostri pari, ma allo stesso tempo non li vedevamo neanche come oggetti da usare e gettare via a piacimento.

Certo, molti tra di noi avevano schiavi, ma con poche eccezioni quasi tutti facevano ciò che era in loro potere per trattarli nel modo più dignitoso possibile, dandogli da mangiare, un giaciglio caldo su cui dormire, e pretendendo da loro solo ciò che erano materialmente in grado di fare.

Per quanto riguarda me, fin da quando ero bambina non mi ero mai preoccupata troppo della sorte dei mostri, ritenendo di avere già abbastanza problemi nella mia vita per dovermi fare carico anche di quelli degli altri.

Crescendo però mi ero resa conto di quanto egoistico fosse stato il mio modo di pensare, e che se io mi ritenevo sfortunata solo per via dell’avere un padre ubriacone e violento quello era niente se paragonato alla miseria in cui erano costretti gli schiavi che vivevano nei ghetti.

Era stato l’ultimo, terribile inverno a cementare questa idea nel mio animo, nel momento in cui Daemon e Septimus mi avevano confidato che se noi avevamo poco da mangiare a causa dell’incendio al granaio, quei poveretti erano stati spesso costretti a lavorare per giorni e giorni senza poter mettere nulla sotto i denti.

Così, appena prese in mano appieno le redini del negozio, avevo iniziato a fare quello che potevo per aiutarli, ordinando cibo e vestiti caldi dai miei fornitori pagandoli con spezie e altri beni pregiati, e cercando nel mentre di compensare le perdite alzando i prezzi che praticavo abitualmente.

In qualche modo ero riuscita ad evitare di andare in perdita, e quando Septimus mi aveva detto che i mostri erano stati contenti di poter finalmente mangiare qualcosa di decente e proteggersi meglio dal freddo ammetto che mi si era scaldato il cuore.

Ma evidentemente tutti i miei sforzi non erano bastati, o forse più semplicemente quegli schiavi avevano deciso infine di dire basta.

Quello che mai mi sarei potuta immaginare era di trovare Daemon a capo della rivolta. Tutto quello che credevo di sapere sul suo conto si era sgretolato, ma ammetto che vederlo così, nel pieno del suo proverbiale carisma, tenendo in pugno senza difficoltà quella massa eterogenea di schiavi arrabbiatissimi prodigandosi nel mentre a rassicurare tutti sul fatto che non avessero cattive intenzioni non faceva altro che accrescere la mia stima nei suoi confronti.

Mentre cercavo ancora di metabolizzare tutto quello che stava accadendo in quel giorno pazzesco, un piccolo goblin armato di bastone fece irruzione nel negozio sfondando la porta che avevo sprangato per sicurezza e mettendosi a ingurgitare tutto quello che gli capitava a tiro.

Dimenticandomi con chi avevo a che fare presi la scopa e cercai di mandarlo via neanche avessi avuto a che fare con un topo molesto, con il risultato che quello per poco non si avventò anche su di me.

Ancora una volta fu Daemon a salvarmi, irrompendo sulla scena assieme ad una giovane ragazza con coda e corna di drago quando già mi immaginavo il peggio.

«Ero stato chiaro Pythus. Niente saccheggi o aggressioni.» e senza aggiungere altro lo trafisse da parte a parte quando quello cercò di assalire anche lui.

«Non credo che mancherà a nessuno.» osservò cinicamente la ragazza-drago «Era solo un viscido selvaggio.»

«Mary. Tu stai bene?»

«Sì, tranquillo. Non mi ha fatto niente.»

«Mi dispiace. Lui aveva l’ordine di restare fuori dalle mura, ma deve essersi intrufolato di nascosto. E mi dispiace anche per la frutta.»

«Ma no… non preoccuparti…»

«Puoi stare tranquilla, gli altri miei compagni non sono come lui. Ordinerò ad alcuni di loro di presidiare il negozio, così non dovrai temere neanche gli sciacalli.»

Se Daemon sembrava ancora il gentiluomo rude ma pieno di premure che avevo sempre conosciuto, la sua compagna al contrario mi fissava con occhi che sapevano di rabbia, per non dire di odio.

E in tutta onestà devo dire che anche a me fece una brutta impressione, più che altro per il modo schietto e poco educato con cui si rivolgeva a Daemon: come si permetteva di rivolgersi a lui come se fosse stato un suo parente?

Ovviamente ancora non sapevo che quella era davvero sua sorella –sorella adottiva per lo meno–, ma capii subito che non saremmo andate d’accordo.

Daemon aveva appena fatto le presentazioni quando una minotaura così alta da non passare attraverso la porta del negozio arrivò di corsa avvisando tutti che c’era un problema serio alla taverna del sindaco, e che Giselle era in pericolo.

Istintivamente, essendo io stessa in pensiero per la mia amica, li seguii fino al Cervo Nero, dove trovammo Giselle tenuta in ostaggio con un pugnale da uno dei pochi miliziani a non essere ancora fuggiti.

Si chiamava Vig, ed era uno dei peggiori aguzzini che avessi mai conosciuto, oltre ad essere un lascivo pervertito sempre alla ricerca di una ragazza da conquistare con i suoi modi da caprone. Tutti quelli della sua risma se l’erano data a gambe appena arrivata notizia della rivolta per non rischiare di finire nelle mani delle loro vittime, ma lui quel giorno si era ubriacato a tal punto da crollare addormentato sotto il tavolo della locanda, rendendosi conto di quanto stava accadendo solo una volta smaltita la sbronza.

«Ora smettila soldato!» disse il Capitano Oldrick, anche lui presente assieme a Septimus, al sindaco Rutte e ad un paio di mostri che, avendolo riconosciuto, avevano tentato di mettergli le mani addosso provocandone la reazione «Non c’è ragione di proseguire oltre con questa follia!»

«Io non voglio avere niente a che fare con queste bestie! Voglio cinquecento goldie e un salvacondotto per passare il ponte!»

«Tu non vai da nessuna parte maledetto!» strillò il vecchio coboldo indicandosi la benda sull’occhio. «Devo ancora manifestarti la mia gratitudine per questo!»

«Fai silenzio stupido animale, o giuro che ti cavo anche l’altro occhio!»

«Non fare stupidaggini.» disse Rutte con sguardo cupo, per nulla preoccupato a prima vista di quanto stava capitando a sua figlia. «Mantieni il sangue freddo e andrà tutto bene.»

«Tu taci vecchio! Non sono cose che ti riguardano!»

«Io non stavo parlando con te.»

«Mi dispiace padre. Ma ho avuto fin troppa pazienza con questo idiota.»

«Cos…»

Sì udì una specie di sibilo, come di qualcosa che veniva estratto con violenza, e un attimo dopo Vig stramazzò a terra come paralizzato, con la bava alla bocca e gli occhi quasi fuori dalle orbite.

Ma questo era in niente in confronto allo stupore che provammo quasi tutti nel momento in cui notammo una specie di punta acuminata che spuntava da dietro la gonna di Giselle.

«Giselle, ma cosa…»

«D’accordo, credo che questa recita sia durata anche troppo.»

A quel punto tutto il corpo della mia migliore amica sembrò come lacerarsi, e da sotto la sua pelle fece la propria comparsa in vari punti, soprattutto su braccia e gambe, una sorta di armatura scura simile alla corazza di un insetto. Quattro ali membranose le apparvero dietro la schiena lacerando la camicetta, e buona parte della gonna venne letteralmente sventrata dall’emergere di un grosso addome peloso giallo e nero terminante in un lungo pungiglione ricurvo. Infine, un paio di antenne le spuntarono in cima alla testa.

«Finalmente! Non ne potevo più di quell’involucro gommoso!»

A Septimus sembrava dovesse cadere la mascella da un momento all’altro, e a giudicare dal rigonfiamento sotto alla cintura era chiaro che la trasformazione della nostra amica in una specie di conturbante ape regina dal balcone quasi raddoppiato aveva destato in lui pensieri inopportuni.

«Giselle, ma tu sei un…»

«Uno schianto? Uno spettacolo? Una forza della natura?»

«Un mostro!?»

«Preferirei che non lo dicessi con quel tono.»

«Giselle non è propriamente un mostro.» disse Daemon. «È una sanguemisto.»

«Non dirmi che tu l’hai sempre saputo.» chiese lei, ghignando malevola come quando eravamo bambini

«Sono cresciuto in mezzo ai mostri. Ovvio che so riconoscerne uno, per quanto mascherato.»

In seguito scoprimmo che molti anni prima il signor Rutte si era imbattuto in una schiava fuggitiva e mezza morta mentre tornava da un viaggio nell’Unione, portandola a casa con sé e tenendola per molto tempo nascosta nella soffitta di casa sua dopo averla curata.

Alla fine si erano innamorati e dalla loro unione era nata Giselle, anche se lo sforzo di partorire un sanguemisto era stato tale che sua madre era morta nel darla alla luce.

Venne fuori anche che la specie a cui apparteneva la madre di Giselle aveva sviluppato la capacità di comprimere e celare il proprio vero aspetto dietro ad un involucro che simulava in tutto e per tutto la pelle umana, che però una volta distrutto non poteva più essere ricostruito.

«Allora? Volete restare lì a fissarmi o muovere le mani? Toglietemi di torno questo rifiuto ambulante prima che mi venga voglia di iniettargli un’altra dose di veleno.»

«Rude, selvaggia e testarda. Sei proprio tale e quale a tua madre.»

Mentre Oldrick e Septimus portavano via Vig un orco gigantesco ma dall’aspetto amichevole entrò nella locanda.

«Daemon. È tutto pronto.»

 

A sentire Daemon, la popolazione di Dundee era solita radunarsi in massa nella piazza centrale solo per assistere alle esecuzioni pubbliche.

Una volta smontate le forche e trasformato il patibolo in un palco avevamo radunato non solo gli abitanti del villaggio, ma anche tutti quelli che eravamo riusciti a trovare in giro per tutta la regione.

Era chiaro che avevano paura di noi, e che se molti di loro ci avevano obbedito seguendoci al villaggio era solo perché Daemon aveva preteso che i rastrellamenti venissero condotti da gruppi misti composti da mostri, membri della guardia e legionari.

A conti fatti c’era molta più gente di quanto mi aspettassi; gli occhi di tutti erano puntati ovviamente su Daemon, che si stagliava come un gigante tra i nani al centro del palco con il sindaco, il Decurione Septimus, il Capitano Oldrick e alcuni altri rispettabili cittadini alle sue spalle.

Molti fissavano anche la ragazza-ape in piedi accanto a suo padre, e dai loro sguardi si capiva che nessuno aveva mai avuto neppure un sospetto sulla sua vera natura.

Ad un cenno di Daemon scese il silenzio.

«Amici miei. Abitanti di Dundee. Non c’è bisogno che io mi presenti, tanto mi conoscete tutti. Ormai dovreste averlo capito. Vi ho mentito. Su molte cose. Ma se l’ho fatto non è stato perché mi vergognavo di chi fossi o delle mie origini. La verità è che io sono un orfano. Questi mostri, che molti voi hanno sempre considerato niente altro che bestie selvagge e senz’anima, mi hanno trovato abbandonato nella foresta quando ero solo un neonato in fasce. Avrebbero potuto ignorarmi, o persino mangiarmi. Invece mi hanno adottato. E hanno fatto enormi sacrifici per potermi crescere, affinché un giorno io potessi avere tutto ciò in cui loro non avrebbero mai potuto sperare. Ho vissuto in mezzo a loro, e ho visto quello a cui sono costretti. Ho asciugato le loro lacrime e pianto insieme a loro ogni volta che un loro compagno alla sera non rientrava nella sua baracca, solo perché qualcuno aveva ritenuto che la sua vita valesse meno di una pepita d’oro, un secchio di pece o un pezzo di carbone. Ma quali che siano i vostri pensieri, o qualunque cosa voi sappiate o crediate di sapere, voglio dirvi che non siamo qui per vendicarci, o per ripagare nel sangue chissà quali torti. Siamo qui perché crediamo che ogni essere senziente che cammina su questa terra sia tanto degno di vivere quanto chiunque altro. Ogni singolo individuo, umano, mostro o mezzosangue che sia ha il diritto di disporre liberamente della propria vita, e di rispondere in prima persona dell’abuso che potrebbe fare della propria libertà dinnanzi ad una legge di fronte alla quale tutti devono essere uguali. Quella stessa libertà e quella stessa legge che anche a voi sono stati strappati, calpestati da un governo che pretende di decidere delle vostre vite nello stesso modo in cui dispone a proprio piacimento di quelle degli schiavi. Un governo che dopo non essere stato capace di impedire che la nostra terra fosse ridotta alla fame non solo non ha fatto niente per aiutarci, ma si è perfino rivelato un nido di serpi che non ci hanno pensato un attimo a speculare sulle nostre sventure. Ebbene io dico, quando chi dovrebbe come prima cosa ad assicurare il benessere di coloro che si rimettono a lui si dimostra indegno della fiducia concessagli e del ruolo che ricopre, il popolo non ha soltanto il diritto, ma anche il preciso dovere di alzare la testa e gridare a piena voce la propria rabbia! Tutti quelli che non hanno fiducia nelle mie parole, non credono nella bontà di ciò che vogliamo costruire, o semplicemente non riescono a liberarsi dei loro pregiudizi possono andare via incolumi, con tutto ciò che saranno in grado di portarsi dietro. Non uno di loro sarà toccato. Coloro che condividono la nostra lotta ma hanno paura di rischiare la vita in prima persona non abbiano nulla da temere, perché combatteremo anche per loro, e avranno comunque l’occasione di rendere il loro servizio alla causa. Ma se anche voi credete che sia giusto sperare in qualcosa di più, se anche voi pensate che può esserci un’altra via, allora vi chiedo di schierarvi al nostro fianco e aiutarci a costruire un mondo migliore. Un mondo in cui nessun individuo avrà potere di vita o di morte sui propri simili. In cui ognuno di noi, dal più umile dei contadini al più illustre dei proprietari terrieri, dal mostro un tempo schiavo al più grande dei re, avrà diritto inalienabile alla libertà, alla proprietà, all’uguaglianza di fronte alla legge e allo stato e ad un giusto processo da parte di una giuria di suoi pari. Il sangue di coloro che daranno la vita per difendere questo mondo nelle guerre che sicuramente saranno scatenate contro di noi nel tentativo di spegnere il fuoco delle nostre coscienze risvegliate sarà l’acqua della vita che farà germogliare i semi di una nuova era. Anche nella morte, i martiri della nostra lotta avranno la consolazione che il loro sacrificio non sarà stato vano, che coloro che lasceranno dietro diventeranno figli di tutti noi, e che il loro ricordo vivrà per sempre. La decisione spetta a voi.»

Per tutto il tempo in cui Daemon aveva parlato non si era levata una voce, e ci eravamo ritrovati tutti ad ascoltarlo in silenzio come ipnotizzati. Era come udire la voce di un dio, un essere ultraterreno le cui parole sarebbero state capaci di convincerti che il bianco era nero e viceversa.

Conoscevamo tutti la potenza del suo carisma, ma mai prima d’ora ci eravamo trovati di fronte a qualcosa di così incredibile.

Il primo a farsi avanti fu il suo amico Septimus, che mosse un passo dopo essersi strappato dalla tunica blu da legionario lo stemma imperiale.

«Io sono con te Daemon!»

«Anche io!» disse dalla folla quell’antipatica quattrocchi col faccino da bambina

«Conta su di me! – E anche su di me! – Morte al Governatore! – Viva la libertà!»

Un attimo dopo la piazza esplose in un boato assordante, con migliaia di persone che tutte insieme invocavano a piena voce il nome del mio fratellino.

«Non ci posso credere.» disse Jack. «Ditemi che è tutto vero.»

«Non stai sognando, stallone.» rise Giselle. «Chi l’avrebbe mai detto? Il piccolo e gracile Daemon.»

Era vero. L’impossibile era infine successo.

Probabilmente la maggior parte di loro ancora non aveva compreso che da quel momento in poi avrebbero vissuto e combattuto fianco a fianco con le stesse creature che fino al giorno prima avevano guardato dall’alto in basso e trattato come dei servi, ma in quel momento non mi importava.

Ad un cenno di Daemon gli porsi l’asta sulla quale avevamo legato uno stendardo fatto di stracci recuperati qua e là, realizzato da Bonbi e dalle altre donne del ghetto seguendo il modello da lui suggerito.

Un contorno blu come il cielo notturno e un cuore rosso come il sangue versato dai nostri amici, divisi da un rettangolo bianco.

Infine, al centro, tre rose candide, una per ogni specie, uguali e bellissime.

La nostra bandiera.

Il simbolo della nostra libertà.

«La Rivoluzione è cominciata!»

 

 

Nota dell’Autore

Salve a tutti!^_^

E così siamo giunti alla fine di questo primo volume della mia prima light novel!

Spero che la storia vi sia piaciuta, e che continuerete a seguirmi nel prosieguo di questa mia avventura.

Ho dedicato molto tempo e passione alla creazione di ogni singolo aspetto della vicenda, dal susseguirsi degli eventi alla creazione dei personaggi.

Da qui in poi gli eventi procederanno in maniera molto più fluida, in un susseguirsi di situazioni che faranno evolvere la trama generale in modo abbastanza veloce.

Il Volume 2, intitolato “Solo chi è disposto a morire conoscerà la vera forza” è già completato nella sua versione italiana, mentre quella inglese sarà ultimata da qui ad un paio di mesi.

Quindi restate nei paraggi, perché tra due settimane arriva già il primo capitolo!

A presto!^_^

Cj Spencer

   
 
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