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Autore: _Atlas_    06/08/2023    1 recensioni
1997.
Axel, Jake e Jenna vivono i loro vent’anni nella periferia di Mismar, ubriacandosi di concerti, risate e notti al sapore di Lucky Strikes. Ma la loro felicità è destinata a sgretolarsi il giorno in cui Jake viene trovato morto, spingendo gli altri nell’abisso di un’età adulta che non avrebbero mai voluto vivere.
Diciotto anni dopo, Axel è un affermato scrittore di graphic novel che fa ancora i conti col passato e con una storia di cui non riesce a scrivere la fine.
Ma come Dark Sirio ha bisogno del suo epilogo, così anche il passato richiede di essere risolto.
Genere: Generale, Hurt/Comfort, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Capitolo XXII
 

 
 
 
«È fuori pericolo» si affrettò a chiarire subito l’infermiera vedendoli arrivare.
Axel e Jenna sospirarono insieme, anche se la notizia non assicurava comunque la ripresa di Darryl.
«Purtroppo le sue condizioni restano critiche,» spiegò infatti la donna «passerà la notte in terapia intensiva e domani valuteremo il da farsi. È molto indebolito e non sembra aver preso seriamente la sua patologia. Il diabete va tenuto sotto controllo, è impensabile curarsi come ha fatto finora.»
«Sì, purtroppo non segue la terapia come dovrebbe» concordò Jenna con voce sostenuta. «È testardo ed è estremamente goloso. È difficile stargli dietro…» aggiunse poi a voce più bassa.
«Immagino, è un tipo tosto. I medici sono comunque fiduciosi, tra poco vi diranno meglio» concluse l’infermiera lasciandoli soli.
«È un tipo tosto, ma dai?» recitò con ironia Axel, in un disastroso tentativo di alleggerire l’atmosfera. Aveva temuto il peggio e ora che Darryl era fuori pericolo era come se qualcuno gli avesse appena dato una scossa elettrica, esponendolo al rischio di fare la figura dell’idiota.
Jenna, comunque, ridacchiò a bassa voce.
«Giuro che vorrei strozzarlo» aggiunse appena un po’ più seria.
Poco più tardi il medico confermò quanto già comunicato dall’infermiera. Le condizioni di Darryl non erano buone, aveva ribadito, era necessario rimodulare la terapia, cambiare drasticamente la dieta e tenere sotto controllo il cuore; per come erano andate le cose quella sera, era un miracolo che fosse ancora vivo.
«Devo avvisare gli altri. Lion mi sta tempestando di messaggi» disse Jenna mentre si avviavano verso l’uscita dell’ospedale. Per quella notte i medici non avevano concesso loro di vedere Darryl, spiegando che era necessario che riposasse, così alla fine decisero di rientrare a casa.
 
«Grazie per quello che hai fatto» mormorò Jenna una volta messo da parte il telefono.
Axel continuò a guidare, liberando l’ennesimo sospiro della serata.
«Non avevo mai fatto un massaggio cardiaco.»
«Appunto, grazie.»
Le strade di Mismar erano illuminate dai pochi lampioni ai lati dei marciapiedi, non c’era nessun altro a parte loro. Del resto erano ormai le tre del mattino, a quell’ora e in quegli isolati si poteva incontrare al massimo qualche ubriacone, un paio di senzatetto e, con un po’ di fantasia, una sagoma oscura pronta ad annientare i criminali che da sempre si aggiravano in quelle vie.
«Ho avuto paura» mormorò a un tratto Jenna «Ne ho ancora, a dire il vero.»
«Anch’io» le confessò Axel «Non pensi che queste cose possano succedere a uno come lui.»
Jenna non rispose e continuò a tenere lo sguardo sulla strada.
«Ti porto a casa?» le chiese Axel, fermandosi poi a un bivio in maniera un po’ brusca. Stava inconsciamente proseguendo verso la vecchia casa di Jenna, prima di rendersi conto che erano passati diciotto anni dall’ultima volta che l’aveva accompagnata e che forse non abitava più lì.
«E se ci bevessimo una birra a casa tua?» lo spiazzò invece lei, facendogli saltare tre o quattro battiti.
Rimase fermo con le mani sul volante senza sapere bene cosa rispondere. Si sentì irrigidito, ma al tempo stesso non fu in grado di dirle di no. In verità, non fu proprio in grado di dirle niente di sensato.
«Non credo di avere birre in casa.»
«Un succo di frutta?»
«Neanche succhi di frutta.»
«Mi accontento anche di un bicchiere d’acqua. Del rubinetto» specificò lei, bloccando sul nascere il suo tentativo di dirle che forse ne aveva giusto una bottiglietta.
«Non è detto che sia potabile» obiettò comunque Axel.
«Ho capito, mi è passata la sete» borbottò quindi lei.
«Okay.»
Axel si schiarì la voce riflettendo su cosa fare. «Allora ti riporto a casa?» chiese a suo rischio e pericolo.
«L’auto è mia, dovrei essere io a riportarti a casa» puntualizzò la giovane.
«Giusto. Beh, allora…»
«Dio, non sei cambiato per niente!» esclamò Jenna interrompendolo e rimanendo in quello scambio per metà serio e per metà giocoso. Axel trattenne un sorriso e incrociando il suo sguardo per un paio di secondi si accorse però che era appena un po’ lucido.
«Non me la sento di stare sola a casa» spiegò lei a mo’ di scuse.
Non si stupì di sentirglielo dire, si era sempre mostrata forte nelle situazioni difficili e poi, in un momento preciso e che decideva lei, lasciava che la sua fragilità venisse fuori all’improvviso. Dopotutto, pensò Axel, anche lei non era cambiata per niente.
«Ora che ci penso dovrei avere una bottiglia di Coca-Cola in frigo» le disse guardandola con la coda dell’occhio, lieto di vederla sorridere. «E anche una busta di patatine alla paprika, se ti interessa» aggiunse con slancio.
«Non sapevo che gli scrittori di fama internazionale mangiassero come degli adolescenti» gli fece notare lei.
Axel accolse la sfida e assottigliò appena gli occhi. «Invece tenere in macchina una busta piena di caramelle gommose di dubbio gusto e provenienza è roba da veri adulti» le disse facendo comparire dal portaoggetti la confezione di marsh-mallows  che aveva intravisto poco prima.
«Quelli sono di Lion» obiettò Jenna.
«Certo. Neanche dare la colpa ai ragazzini è roba da adulti, lo sapevi?»
«Che c’è, ti sei offeso perché ti ho dato dell’adolescente?» lo provocò.
«Nient’affatto.»
«Vada per la Cola-cola, per me possiamo chiuderla qui» si arrese infine.
Axel ridacchiò, e anche se non era convinto di quello che stava facendo per una volta decise di non pensarci troppo e imboccò la strada verso casa.
E sì, forse un po’ si era offeso.
 
 
*
 
 
«Wow, la vista da qui non è cambiata» mormorò Jenna sporgendosi per un secondo dall’enorme terrazza che affacciava sulla città.
Axel, che fino a quel momento aveva cercato di rimanere tranquillo nonostante quella giornata sembrasse non voler giungere al termine, iniziò a sentirsi di nuovo a disagio. Trovarsi lì con Jenna dopo diciotto anni non era esattamente una cosa facile da affrontare, e potevano entrambi usare tutto il sarcasmo del mondo per alleggerire l’atmosfera, ma non sarebbe comunque stato più semplice.
Non gli era chiaro perché avesse insistito tanto per andare da lui, ma ormai non aveva più senso chiederselo. Girò la chiave nella serratura e le fece segno di entrare in casa con il cuore che gli martellava nel petto.
Non disse nulla, ma di nuovo i suoi occhi lucidi parlarono al suo posto.
Seguì il suo sguardo posarsi prima sul cucinotto a sinistra dell’ingresso e poi sulla scrivania a ridosso del muro, dove tante volte avevano mangiato insieme e passato il tempo a riordinare le sue stampe fotografiche o a rifinire pagine e pagine di fumetti. Ora era ricoperta dai vestiti che si era portato da New York, da scartoffie di lavoro e dal resto dei cimeli che aveva trovato nello scatolone lasciatogli da Darryl.
C’era anche un divanetto blu addossato a quella parete, che una volta era in posizione centrale e che serviva per dividere grossolanamente la parte della sala dove dormiva, da quella dove studiava e guardava la tv. Il letto lo aveva lasciato lungo la parete opposta, accanto alla mensola dove da sempre c’era il suo vecchio stereo e la sua collezione di musicassette. Il bagno, rammentò con suo sommo sollievo, non aveva avuto bisogno di grossi interventi per tornare ad essere funzionale.
Jenna, che non aveva proferito parola da quando era entrata, si limitò a sorridergli timidamente, facendo solo qualche passo nella stanza.
«Forse una bottiglia di scotch ci avrebbe fatto comodo» commentò Axel chiudendosi la porta alle spalle con fare impacciato.
«Meglio una vodka polacca. Non ce ne saremmo neanche accorti.»
«Hai cambiato idea?» le chiese, non capendo bene cosa provasse.
Jenna scosse la testa con vigore. «Scherzi? Non vedo l’ora di mangiare le patatine alla paprika.»
«Giusto, le patatine. Le prendo subito.»
Axel iniziò a trafficare in cucina, da una parte sollevato che non volesse tornare a casa ma allo stesso tempo teso per quello che forse si sarebbero detti.
Riempì due bicchieri di Coca-Cola e gliene portò uno insieme alle patatine, vedendo che nel frattempo si era seduta al bordo del suo letto.
«Grazie» gli disse mentre a sua volta prendeva posto sul divano, «come stai?»
Axel si morse la lingua, bevendo in fretta metà del suo bicchiere.
«Sto bene. E tu?»
«Sono preoccupata per Lion. E per Darryl, ovviamente.»
«Mi sembra che sappia il fatto suo. Lion, dico.»
«Passa troppo tempo con noi. Non ha amici, va male a scuola…e poi si ritrova alle due di notte al pronto soccorso pensando di essere la causa di quello che è successo.»
Axel abbassò lo sguardo, passandosi sulla fronte il bicchiere in cerca di un po’ di refrigerio.
«A proposito di questo, potrei aver fatto qualcosa di poco sensato questa mattina» confessò col fiato appena più corto.
«Ovvero?»
«Ovvero me lo sono portato dietro alla conferenza che dovevo tenere alla C.A.M. Ci ha visti anche il professor Layton e Lion si è presentato dicendo di essere mio nipote. Come attore è una pippa, a proposito.»
Jenna rimase col bicchiere a mezz’aria e gli occhi sgranati, cercando forse di metabolizzare quanto aveva sentito.
«In che senso “te lo sei portato dietro”? Non era a scuola?» chiese finalmente.
«No. A dirla tutta è venuto fin qui e dopo aver negoziato con lui per almeno dieci minuti alla fine ho pensato che fosse la soluzione migliore per evitare che se ne andasse chissà dove.»
«E quindi è rimasto con te a seguire la conferenza? Lion?!» domandò ancora Jenna, incredula.
«Era una conferenza sui fumetti, mica una convention sulla politica estera» puntualizzò piccato.
Jenna rimase in silenzio per una manciata di secondi, dopodiché scoppiò a ridere rischiando di far cadere quel poco che restava della sua Coca-Cola.
«Fa ridere?» domandò Axel, sorridendo a sua volta sotto ai baffi.
«Solo un po’. È un vero peccato che tu non abbia dell’alcol, qui» gli rispose continuando a ridere.
«Cos’altro potevo fare?»
«Non lo so. Ma forse era la cosa migliore in quel momento. Era anche il suo compleanno, credo sia per quello che non è voluto andare a scuola.»
«Lo ha fatto altre volte.»
«Lo so.»
Axel mise da parte il suo bicchiere e si adagiò contro lo schienale del divano. Improvvisamente tornò serio e forse per colpa della stanchezza iniziò a rincorrere pensieri lontani.
«So di averti delusa» mormorò socchiudendo le palpebre.
«Perché hai preferito portartelo dietro piuttosto che lasciarlo da solo?»
«No. Non mi riferivo a quello» disse senza aggiungere altro. Non sapeva se quello di Jenna fosse un tentativo per non affrontare l’argomento, probabilmente se la notte prima avesse dormito un po’ più di tre ore sarebbe stato lui stesso a vietarsi di parlarne, così lasciò cadere il discorso sperando di non aver guastato l’atmosfera.
«Non sono delusa» mormorò tuttavia Jenna. Lui rimase con gli occhi socchiusi, ma ancora una volta il cuore gli tremò nel petto.
«E non sono nemmeno arrabbiata. O almeno non più.»
La intravide avvicinarsi allo stereo e trafficare con la fila di musicassette riposte in fila sul comodino.
Axel deglutì a vuoto, immaginando quello che avrebbe fatto. La sentì avviare lo stereo facendo partire le note di Around the World dei Daft Punk; la canzone proseguì per qualche secondo fino a quando non si interruppe bruscamente lasciando spazio a Dust in the Wind dei Kansas.
Axel ricordava di averla registrata per errore mentre una sera smanettava con la radio accesa, senza sapere che quel pezzo gli sarebbe rimasto cucito addosso per sempre.
«Ti ricordi?» gli chiese Jenna, sdraiandosi sul letto.
«Certo» mormorò Axel senza aggiungere altro.
Non parlarono fino alla fine della canzone, poi Jenna spense lo stereo e si stese nuovamente.
«Dopo che te ne sei andato mi sono chiusa in casa per settimane» iniziò a raccontare, e nche se fu assalito da un’ondata di panico, Axel rimase in silenzio e la ascoltò.
«Mangiavo poco, dormivo poco, studiavo...poco. Stavo male, una notte ho persino provato a tagliarmi, non so cosa mi era passato per la testa.
Mio padre non si è mai accorto di nulla, era lontano e ha comunque provato ad aiutarmi come poteva. Lo fa ancora, a volte.
La moglie di Darryl veniva a trovarmi ogni giorno e alla fine mi convinse a fare qualche ora al bar. Mi rialzai un po’, a fatica finii la scuola e per qualche anno non feci altro che lavorare. Volevo mettermi da parte i soldi e lasciare Mismar una volta per tutte. Ho sempre voluto farlo, ma mai come allora volevo prendere e scappare. Poi le cose sono iniziate a cambiare, Margaret si è ammalata e Darryl aveva bisogno di aiuto.
Ho visto il Lenox Blues spegnersi piano piano, niente più concerti, niente più serate, niente più ragazzi…niente di niente, solo risse e musicisti di passaggio che volevano più che altro fare casino o fumare.
In quel periodo conobbi David, un chitarrista che era riuscito a fare un po’ di pubblico nell’estate del 2006 e che aveva deciso di stabilirsi qui. Cambiava lavoro continuamente, ma era riuscito a mettere da parte abbastanza per vivere con dignità; alla fine andammo a vivere insieme, a due passi dal palazzo in cui viveva Jake.»
Si fermò per qualche secondo e Axel realizzò che era la prima volta da quando era tornato che la sentiva pronunciare il suo nome.
«Non so perché accettai di sposarlo,» continuò «mi sentivo sola e senza prospettive, e ingenuamente pensavo che con lui avrei potuto vivere un po’ della vita che mi ero immaginata da ragazza. Anche se non avevamo un giardino per mettere il barbecue, né il posto per un cane o dei figli. Era comunque un inizio.
Darryl, ovviamente, lo odiava. Diceva che era uno sbruffone e che aveva la puzza sotto al naso. Anch’io non ero convinta, ma lo vedevo come una via di fuga.»
Axel trattenne il fiato e sperò con tutto il cuore che il resto del racconto non continuasse come aveva iniziato a temere, memore di quello che gli aveva raccontato Darryl qualche settimana prima.
«Dopo neanche un anno si ammalò di leucemia e più o meno nello stesso periodo iniziò ad essere violento, forse per paura…o forse perché era così e basta. Comunque durò poco, anche perché le cure non facevano effetto ed erano più i giorni che passava in ospedale che a casa. Io e Darryl facevamo a turno per tenere aperto il bar, il resto delle giornate lo passavamo tra un ospedale e l’altro, io per David, lui per Margaret, finché non ci lasciarono entrambi nel giro di sei mesi.»
Axel rimase ancora in silenzio. Il panico era sparito, ma al suo posto adesso c’era un’immensa angoscia e fare da padrona.
«In quel periodo conoscemmo Richie,» continuò Jenna, quasi non volesse più fermarsi «e se non fosse stato per i suoi dolci avremmo chiuso da un pezzo. Non abbiamo molti clienti nel locale, il grosso del fatturato proviene dai buffet che ci ordinano e dai pranzi di lavoro. Per il resto andiamo avanti grazie ai risparmi di Darryl.»
«E Lion?» domandò Axel «Com’è arrivato dai voi?»
Jenna ridacchiò sottovoce, come se quella sua curiosità l’avesse risvegliata.
«Lo ha agguantato Darryl neanche un anno fa. Una sera abbiamo sentito della confusione nel retro del locale e abbiamo beccato quattro stronzetti che lo avevano messo con le spalle al muro. Credo per un qualche furto che alla fine non era avvenuto. Insomma, Darryl è uscito, ha preso la pompa dell’acqua e ha fatto fare un bagno a tutti e cinque.»
«Anche Lion?»
«Già. Lui sostiene che era una scusa per agganciarlo e farlo affezionare, io rimango dell’idea che non serviva conciarlo come un pulcino per offrirgli una tazza di cioccolata calda. Ma tant’è…ha vinto lui.»
«Come sempre.»
«Sì, come sempre.»
«E Mike?»
«Diciamo che deve ancora scegliere da che parte stare» rispose con semplicità Jenna.
Axel non aggiunse altro, dopodiché socchiuse di nuovo gli occhi, chiedendosi se tutta quella conversazione fosse reale o frutto della sua immaginazione privata di molte ore di sonno.
«Com’è New York?» domandò Jenna in sussurro.
Lui si prese qualche secondo prima di rispondere, ripercorrendo brevemente la sua routine caotica e sregolata.
«Una merda» rispose con voce piatta.
«Sul serio?»
«No. Ma qualsiasi posto prima o poi lo diventa se ci vai per scappare da qualcosa» ammise.
«Già. Forse è per questo che ho smesso di essere arrabbiata con te.»
Axel ignorò la fitta di tristezza che lo colpì. «Che vuoi dire?»
«Ti ho odiato per molto tempo,» spiegò Jenna «e ho odiato il tuo successo e la facilità con cui ti stavi creando una vita e una carriera brillante.»
«Pff, ti assicuro che non sei la sola» disse riferendosi a sé stesso.
«Ma più guardavo le tue interviste e leggevo di te, più le cose non tornavano. Saranno anche passati diciotto anni, ma lo sguardo che avevi il giorno in cui sei partito ce l’hai ancora appiccato in faccia.»
Axel ammutolì e non trovò il coraggio per guardarla.
Non disse nulla, socchiuse di nuovo gli occhi e si sentì sopraffatto da tutto ciò che si erano detti.
Si era sempre chiesto cosa fosse successo a Mismar mentre lui si preoccupava di dimenticare il passato e di costruire una vita apparentemente perfetta, ma ora che Jenna aveva risposto a quella domanda il suo senso di colpa pesava il doppio, se non di più. L’idea che avesse sofferto anche a causa sua lo uccideva, così come non poteva tollerare che fosse stato qualcun altro a ferirla.
Si chiuse nel silenzio ancora un po’, fino a quando poi riaprì gli occhi e si accorse che Jenna si era addormentata sul suo letto, con le sopracciglia appena corrugate, come se stesse ragionando su qualcosa.
Lo distrasse una notifica sul telefono, ricordandogli che erano quasi le quattro del mattino e che a quel punto sarebbe stato meglio se si fosse addormentato anche lui.
Ci provò, ancora frastornato dagli eventi, e sospirò ancora una volta.

 

_______
 
 
NdA
Okkkkay, capitolo lungo lunghissimo eterno.
Diciamo che l’importanza di questo pezzo non è da poco, per cui spezzarlo in due capitoli non aveva molto senso.
Eniuei, è sicuramente un passaggio che ho amato scrivere perché finalmente questi due babbei interagiscono tra di loro come normali esseri umani. FORSE.
Come sempre vi invito a lasciarmi le vostre impressioni, positive o negative che siano.
 
Grazie a chi è arrivato fin qui,
 
_Atlas_
   
 
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