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Autore: Valerie    07/08/2023    2 recensioni
Eleonora non riusciva a capacitarsi di come fosse possibile che le camicie dell’uomo che lei stava fissando senza ritegno da almeno dieci minuti semplicemente non esplodessero nel mal contenere tutta la muscolatura strabordante che si portava addosso.
Erano le dieci del mattino, era arrivata in ufficio da appena un’ora e già si era distratta una dozzina di volte dalla mole di lavoro che avrebbe dovuto sbrigare entro la pausa pranzo.
Il suo capo non le facilitava le cose.
Tanto bello quanto odioso, Gabriele La Torre era la persona più detestabile che Eleonora avesse mai conosciuto.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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CAPITOLO 2
 
 
 
-Muoviti, El, o perderemo il taxi- la esortò Francesco avanzando a passo spedito verso l’uscita dell’aeroporto di Linate.
-Ricordami perché sono qui- chiese lei all’amico con respiro affannato raggiungendolo di corsa.
Lui la guardò serio.
-Perché La Torre ci ha fatto una proposta irrifiutabile-
-A te ha fatto una proposta irrifiutabile- precisò lei in tono polemico -Sei tu il designer di punta in questa trasferta-
-Hai ragione- ci pensò su lui – Sei qui perché mi vuoi bene e hai deciso di voler condividere con me questa fantastica prima esperienza- le sorrise smodatamente.
Non aveva tutti i torti.
Quando il capo li aveva chiamati nel suo ufficio per proporgli la trasferta nell’agenzia di moda di cui avrebbero dovuto curare il profilo marketing, scegliendo Francesco come primo designer, Eleonora era stata così felice da sentirsi commossa per l’amico.
Il problema era arrivato dopo, quando aveva capito che La Torre aveva scelto lei come stenografa da portarsi dietro. Avrebbe potuto rifiutare, a dirla tutta era stata sul punto di farlo, ma gli occhi imploranti dell’amico l’avevano fatta desistere.
“Mi avresti mandato in trasferta con quella vipera di Luisa?” le aveva chiesto lui una volta seduti al tavolino del bar in centro “Mi avrebbe sicuramente fatto sentire il terzo incomodo”.
Eleonora aveva alzato un sopracciglio con fare interrogativo.
“Il terzo incomodo?” aveva domandato sorseggiando il suo cocktail.
“El, quella gatta morta non vede l’ora di strappare a morsi le camicie che il capo indossa, per poi surfare sul suo petto ampio e muscoloso”
Per poco ad Eleonora non era uscito lo spritz dal naso.
“Non osare mai più fare metafore di questo genere!” aveva ammonito l’amico fra un colpo di tosse e l’altro cercando di riprendere a respirare normalmente.
“Non fare la pudica, tu faresti di peggio. Chi disprezza compra, lo sanno tutti” aveva risposto Francesco, zittendo immediatamente qualsiasi sua replica.
Inutile dire con quanta fatica Eleonora tentò di togliere dalla propria mente l’immagine di sé spalmata sui pettorali del suo capo. E più cercava di distogliere l’attenzione da quel punto, più il pensiero si riproponeva.
Aveva passato le successive due settimane, in attesa della partenza, ad evitare come poteva di posare lo sguardo su Gabriele La Torre e arrossendo ogni qualvolta lui le rivolgeva la parola.
-Ecco il capo- disse d’un tratto Francesco richiamando la sua attenzione e indicando un punto fra la folla.
Impossibile non notarlo. Non avrebbe potuto neanche volendo.
Era una specie di faro in mezzo al mare.
Indossava un completo casual dai colori caldi. Pantaloni e giacca erano di un beige abbastanza chiaro, mentre il maglioncino a girocollo era di un particolare color vinaccia. Il colore preferito di Eleonora.
La ragazza emise un profondo sospiro e, prima di raggiungere l’uomo, si fece mentalmente il segno della croce.
-Buongiorno- li salutò lui vedendoli arrivare.
-Buongiorno- ricambiarono il saluto all’unisono.
-Spero il viaggio sia andato bene- disse ancora facendogli cenno di seguirlo verso la postazione dei taxi.
Francesco annuì e disse che a parte una piccola turbolenza a ridosso della partenza il volo era stato perfetto.
-Vi chiedo scusa, se non avrete il tempo di ambientarvi- aggiunse La Torre alzando il braccio per far fermare un’auto dal caratteristico colore bianco -Ma abbiamo la necessità di presenziare ad una prova della sfilata dell’agenzia fra non molto. Il taxi penserà a portare i vostri bagagli in albergo-
Eleonora spalancò gli occhi.
Aveva sentito bene? Il dio greco aveva appena chiesto scusa a dei comuni mortali come loro?
Non riusciva a crederci.
Avrebbe assalito Frank con quelle osservazioni se non fosse stato che l’uomo di cui voleva spettegolare fosse seduto proprio davanti a sé.
-Francesco- disse ancora lui rivolgendosi al designer -lascerò che sia tu a dedicarti alla sfilata, mentre io e la signorina Tosti ci separeremo il tempo di un meeting con Ferrera, il dirigente d’azienda-
Eleonora guardò di sottecchi l’amico mentre rispondeva entusiasta al programma della mattinata e se la rideva sotto i baffi per la sua espressione più che contrariata.
-Voglio tornare a casa!- cantilenò al collega quando, arrivati al palazzo della Cotton Style, il capo li aveva lasciati leggermente indietro, precedendoli alla reception.
-Non ti chiama per nome- notò subito lui, ignorando la polemica del momento e tornando a poco prima, quando nel taxi La Torre aveva definito i ruoli della giornata -Cosa cavolo gli hai fatto?-
Eleonora avrebbe voluto affermare di non averci fatto troppo caso, ma non era così.
Lei notava sempre quando lui la trattava in modo differente dagli altri. Qualsiasi sottigliezza non sfuggiva mai al suo occhio critico e analitico, non da quando, almeno, quel giorno di circa un anno e mezzo prima, era avvenuto il fattaccio.
Non lo aveva mai raccontato a nessuno, neanche a Francesco, a cui sperava che prima o poi sarebbero bastate tutte le sue giustificazioni riguardo al risentimento profondo che provava nei confronti del loro capo.
Nei primi sei mesi di lavoro alla Marketing Tower, Eleonora era sempre stata cortese con lui, sorridente, disponibile. Amava mantenere dei rapporti sereni e distesi sul posto di lavoro, quindi non le riusciva difficile essere gentile e accogliente con tutti, sposandosi ciò anche con la sua natura caratteriale. Quel giorno, però, cambiò totalmente il suo assetto.
Una tempestosa sera di fine novembre, si era attardata in ufficio più del solito: Frank era andato via di corsa per assistere il padre malato e non avrebbe potuto quindi usufruire del suo solito passaggio per tornare a casa. Piovendo a dirotto, aveva deciso di aspettare che spiovesse, così da poter raggiungere a piedi la fermata della metro più vicina.
“Eleonora” l’aveva chiamata il capo, stupito di vederla ancora lì.
Lei si era giustificata subito, rassicurando l’uomo che sarebbe presto andata via. Lui aveva fatto un cenno di assenso  con la testa aggiungendo che, se avesse voluto, avrebbe potuto chiamarle un taxi.
Aveva rifiutato con tutta la cortesia del mondo. Non ce n’era bisogno, per lei non era questo grande disagio viaggiare con i mezzi pubblici.
Poi qualcosa era andato storto.
Ricordava di aver notato un fermacarte sotto ad una scrivania, in un angolo un po’ in ombra e di aver fatto un paio di passi per raccoglierlo. L’uomo era a neanche un metro di distanza, quando all’improvviso la sua caviglia destra aveva traballato. Le succedeva spesso quando portava i tacchi, motivo per cui lo faceva raramente. Ma quella mattina così grigia aveva sentito la necessità di un po’ di colore nella sua vita, quindi aveva scelto delle bellissime decolleté di un lucido verde bottiglia, intonate allo stesso colore della camicia che portava, e le aveva indossate.
Così era inciampata, cadendo rovinosamente fra le braccia del suo capo.
Fu tutto rapidissimo.
Lui le aveva evitato una brutta caduta, ma l’aveva subito dopo spinta via, imprecandole contro in malo modo di fare più attenzione a dove mettesse i piedi.
Nell’imbarazzo più totale, vistosi così respinta, Eleonora si era scusata più volte, ma niente era valso tanto da tranquillizzarlo: aveva il viso deformato da una smorfia di malcelato disgusto e con le mani non faceva altro che strusciare i palmi sul tessuto della giacca.
-Le chiamo un taxi, aspetti nella hall- fu l’ultima cosa che lo sentì dire mentre le apriva la porta dell’ufficio e le faceva cenno di uscire.
Aveva attraversato l’uscio così mortificata che non era riuscita neanche a pronunciare un ‘buonasera’.
Quel terribile senso di disagio, poi, le si era attaccato addosso quasi fosse stato uno spesso strato di gelatina appiccicosa, difficile da togliere.
L’immagine del disgusto dipinto negli occhi dell’uomo le si era stampata nella testa e ostinatamente vi era rimasta per molto tempo.
Le era stato così difficile capire come l’uomo potesse essere passato in così poco tempo dalla cortesia del passaggio in taxi a quella più che evidente stizza.
Sulle prime, in ufficio era stato difficile per lei ignorare l’accaduto. Soprattutto quando si era resa conto che non avrebbe mai ricevuto delle scuse per l'atteggiamento che le era stato riservato.
Si era ritrovata a riavvolgere il nastro di quel momento così tante volte e mai aveva trovato qualcosa che in evidenza potesse giustificare una reazione di quel tipo.
Probabilmente la poca autostima di cui spesso Francesco aveva cercato di renderla successivamente consapevole e quell’infelice incidente avevano fatto sì che si sentisse la causa principale di una così sgradevole reazione.
Quindi, la disprezzava? Allora lei lo avrebbe snobbato da lì all’eternità.
Avrebbe mantenuto un profilo professionale, certo, ma lo avrebbe ideologicamente annientato. Di lui sarebbe rimasta polvere e nient’altro.
-Io non ho fatto proprio nulla- rispose alzando le spalle e superando l’amico di qualche passo.
Francesco alzò gli occhi al cielo, esasperato.
Lui ed Eleonora avevano sviluppato una certa sintonia fin da subito. Le piaceva quella ragazza timida ma sorridente che concentrata batteva a macchina, parola per parola, tutto quello che veniva detto nelle riunioni di staff.
Il primo passo verso di lei lo aveva fatto lui: aveva messo a punto una simpatica vignetta che lo ritraeva intento a chiederle di pranzare insieme l’indomani e gliel’aveva lasciata sulla scrivania.  Ovviamente il suo personaggio rispondeva immancabilmente di sì.
Eleonora aveva trovato l’idea così originale e carina che proprio non aveva saputo rifiutare.
Avevano attirato non poco l’attenzione, all’inizio. In ufficio, pettegolezzi su una loro presunta relazione amorosa si erano diffusi con la stessa velocità con cui si diffondono video virali di gattini su Tik Tok.
Nessuno di quelli, però, aveva mai ritratto la realtà.
Quella con Frank era stata una di quelle rare condizioni che risultano chiare e trasparenti fin da subito. Entrambi cercavano null’altro che amicizia. In realtà non cercavano formalmente neanche quello. Semplicemente era ciò che era nato.
Eleonora amava il sushi, Il Signore degli anelli, ascoltare la musica con le cuffie e leggere romanzi rosa.
Francesco adorava la pizza e Il trono di spade. Aveva un vecchio giradischi nel salone di casa e nel tempo libero scribacchiava brevi storie dai toni noir e thriller.
Erano esattamente il negativo l’uno dell’altra: si incastravano alla perfezione.
Eppure, nonostante la complicità e l’intimità che in certi momenti avevano condiviso, l’uomo era riuscito a malapena a scalfire la pochezza dell’immagine che l’amica aveva di sé. 
Motivo per cui, come in quell’occasione, l’avrebbe volentieri prese e sbattuta fra le braccia di qualche bel maschione atletico e prestante, con un minimo di sale in zucca. E, checché continuava a dirne lei, Gabriele La Torre era l’uomo perfetto.
 
 
 
   
 
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