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Autore: Valerie    05/08/2023    3 recensioni
Eleonora non riusciva a capacitarsi di come fosse possibile che le camicie dell’uomo che lei stava fissando senza ritegno da almeno dieci minuti semplicemente non esplodessero nel mal contenere tutta la muscolatura strabordante che si portava addosso.
Erano le dieci del mattino, era arrivata in ufficio da appena un’ora e già si era distratta una dozzina di volte dalla mole di lavoro che avrebbe dovuto sbrigare entro la pausa pranzo.
Il suo capo non le facilitava le cose.
Tanto bello quanto odioso, Gabriele La Torre era la persona più detestabile che Eleonora avesse mai conosciuto.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Dio abita al mare
 
 
 
A Lisi,
Per la pazienza, il sostegno
E l’infinita dolcezza.
 
 
 
 
 
Eleonora non riusciva a capacitarsi di come fosse possibile che le camicie dell’uomo che lei stava fissando senza ritegno da almeno dieci minuti semplicemente non esplodessero nel mal contenere tutta la muscolatura strabordante che si portava addosso.
Erano le dieci del mattino, era arrivata in ufficio da appena un’ora e già si era distratta una dozzina di volte dalla mole di lavoro che avrebbe dovuto sbrigare entro la pausa pranzo.
Il suo capo non le facilitava le cose.
Tanto bello quanto odioso, Gabriele La Torre era la persona più detestabile che Eleonora avesse mai conosciuto.
-Saccente, snob, frigido, spocchioso…- aveva iniziato ad elencare tutta una serie di deliziose qualità mentre lo guardava allontanarsi dalla scrivania della collega di fronte a lei.
-Atletico, prestante, dagli occhi azzurri così espressivi…- una voce alle sue spalle la fece sussultare.
-Frank!- sobbalzò Eleonora portandosi una mano al cuore.
-Vuoi farmi morire?- chiese voltandosi e dando un pugno alla spalla del collega.
-Ouch!- si lamentò lui -Eri così assorta nell’ammirare il grande capo che mi sembrava brutto non partecipare al tuo estatico coinvolgimento- rispose ancora giustificandosi.
Francesco, Frank per tutti quelli che avevano il privilegio di essere in confidenza con lui, era il collega preferito di Eleonora, nonché suo super amico.
-Non ammiravo proprio nessuno- sbuffò la ragazza, sistemandosi sulla sedia e riprendendo a scrivere al computer alcuni verbali di vecchie riunioni con fare stizzoso.
-Bugiarda!- la additò l’altro con fare teatrale -Sei solo una falsa-
-Frank, metti giù quel dito o ti faccio fare la fine di Frodo- lo minacciò lei continuando a guardare lo schermo davanti a sé.
-Mi spedirai a vivere in una confortevole casetta ricavata dalla terra a scrivere libri in santa pace?- chiese il ragazzo con sguardo speranzoso.
-No, ti staccherò due falangi a morsi!- gli ringhiò voltandosi verso di lui e riducendo i propri occhi a due fessure.
-Ma perché non riesci semplicemente ad ammettere che sei attratta da quella sottospecie di Adone?- le chiese sedendosi su una sedia girevole e avvicinandosi a lei con ostentato fare spazientito -Se non fosse che mi piacciono le donne, lo sarei anche io-
-Ho detto di no!- esclamò lei indignata attirando su di sé lo sguardo dei presenti.
-Ehm…- si schiarì la voce grattando un po’ la gola, imbarazzata -Scusate…- disse lanciando fugaci occhiate qua e là.
-Il tuo è solo semplice orgoglio- sentenziò Frank a bassa voce, scivolando con la sedia alla postazione a fianco e senza dare ad Eleonora la possibilità di replicare.
Le parole le rimasero sulla punta della lingua mentre guardava il suo amico rimettersi a lavoro.
Si girò soffiando aria dal naso quasi fosse un drago.
Non era attratta dal suo capo. Non c’era altro da dire.
Era sicuramente un uomo affascinante, elegante, di bell’aspetto, dal fisico scolpito, con capelli corvini e chiari occhi magnetici, tutte qualità che non si potevano affatto dire negative, ma lei lo trovava ugualmente terribile. Sapeva come far sentire a disagio le persone ed era un potere che sovente esercitava con disinvoltura e zero remore. Non aveva mai compassione per nessuno e non lo aveva mai sentito pronunciare parole di incoraggiamento ad uno dei suoi dipendenti.
Forse non lo aveva neanche mai visto ridere con uno di loro.
Freddo, distaccato, terribilmente saccente, snob, disumano.
Ok, forse disumano era un tantino eccessivo come termine, ma pensò comunque che fosse un menomato a livello emotivo.
Lo aveva intravisto di rado tirare su gli angoli della bocca in quella che poteva essere una pallida imitazione di un sorriso, magari con un qualche dirigente di azienda o di una società cliente. Immaginava si esibisse in quella performance giusto per mantenere un iter di buone pratiche sociali o qualcosa di simile.
Solo una volta gli era capitato di vederlo ridere di gusto. Si trovava nel suo ufficio e un uomo, plausibilmente una sua stretta conoscenza, lo era passato a salutare. Difficile che ciò accadesse, ma sembrava che questo amico di vecchia data fosse stato fuori dall’Italia per parecchio tempo e che si trovasse nei paraggi soltanto per qualche altro giorno. In quell’occasione, Eleonora aveva notato, gli occhi del suo capo avevano acquisito una luce diversa. Il viso aveva assunto una posa rilassata, agli angoli degli occhi si erano formate quelle caratteristiche rughette d’espressione, e i denti bianchi e regolari erano perfettamente in bella mostra.
Era spontaneo.
Francesco l’aveva redarguita più volte sul suo modo di vedere e analizzare minuziosamente il capo.
“Non fai altro che demonizzarlo!” aveva esclamato l’amico dopo il suo ennesimo commento sfavorevole nei confronti dell’uomo in questione “E lo fai perché in realtà la sua bellezza e quell’aria da uomo infallibile che lo circonda minaccia terribilmente la tua instabile autostima!”
Lei aveva cercato di controbattere a suon di “Ha la puzza sotto il naso” e “Edward Cullen è più affabile di lui”, ma Frank aveva sentenziato: Eleonora era attratta come una calamita dal suo sexy capo, ma lei, da donna indipendente ma piena di complessi quale era, non poteva accettarlo.
“Non ho l’autostima precaria” aveva continuato a blaterare lei in uno stato di totale dissenso quella volta.
“Ma se non hai voluto iscriverti in palestra perché – cito testualmente – tutti quei corpi perfetti ti mettono a disagio!”
Era vero: corpi tonici erano per la sua vista motivo di piacere, ma messi al confronto col suo, erano solo una grossa spina nel fianco.
Eleonora non aveva un fisico imponente, aveva semplicemente quelle classiche morbidezze proprie di chi non fa troppe rinunce a tavola e che gli esercizi fisici li vede giusto in qualche video tutorial su Youtube.
“Se avessi un corpo perfetto, sarebbe facile desiderarmi” pensava spesso “Ma essere scelta per ciò che mi porto dentro è quello che desidero davvero”.
Ma nonostante questi nobili propositi, si sentiva costantemente minacciata dalla perfezione che la circondava.
Sovente succedeva con le donne, con cui spesso si sentiva in competizione. Una competizione che, messa sul piano prettamente estetico, non pensava mai di poter vincere.
Con gli uomini accadeva invece che li snobbasse, per il semplice fatto di non venir lei snobbata per prima.
Per cui aveva sempre da ridire su chicchessia:
 “Quello lì? Avrà sicuramente il cervello della grandezza di una ghianda”, “Ma chi? Luca? Non sa coniugare neanche i congiuntivi!”, “Flavio è tutto fumo e niente arrosto”.
In certe occasioni, Francesco l’avrebbe volentieri presa a sberle.
“La volpe che pensa di non arrivare all’uva dice che è acerba” le citava spesso aggiustando il vecchio detto, ma Eleonora chiudeva sempre la conversazione con un sonoro sbuffo e voltandogli le spalle.
Va bene, la ragazza poteva anche avere le sue riserve, ma Gabriele La Torre era frigido, punto. E lei era allergica all’uva.
 
 
 
*****
 
 

Eleonora continuava a guardare la mediana delle lancette dell’orologio che, impertinente, sembrava non volesse schiodarsi dal quel cinquantatré.
Mancavano ancora sette lunghissimi minuti alla fine di quella estenuante giornata lavorativa.
C’erano state ben due riunioni nell’arco di quel pomeriggio e lei aveva dovuto prendere fitti appunti per entrambe.
Verbali. Verbali su verbali.
Era sommersa di documenti da sistemare e, se avessero continuato ad avere meeting a passo così sostenuto, probabilmente non avrebbe mai finito.
Dannato La Torre, lui e la sua precisione.
“Forse dovrei essergli un minimo riconoscente” pensò tra sé e sé “Visto che mi offre un lavoro e una paga profumata” concluse chinando leggermente il capo di lato.
Guardò di nuovo l’orologio.
16.57
Era decisamente ora di prepararsi per andarsene.
Si alzò da dietro la scrivania e voltandosi lanciò a Frank un’occhiata d’intesa.
Durante la pausa pranzo, infatti, i due avevano deciso di godersi un po’ di sano relax non appena usciti dall’ufficio. Un aperitivo sembrava proprio fare al caso loro.
Durante l’ultima riunione era stata tirata in ballo un’interessante iniziativa pubblicitaria per un’azienda emergente nel campo della moda e, benché fossero decisamente stanchi morti, avrebbero voluto parlarne fra di loro per trovare qualche idea originale e d’effetto da proporre al meeting successivo.
Frank faceva parte del team dei designer e Eleonora adorava vederlo al lavoro.
Nonostante i suoi studi da dattilografa la portassero a ricoprire tutt’altra mansione, a volte lei poteva essergli addirittura d’aiuto con qualche spunto o suggerimento. In quelle occasioni, lui non mancava mai di sottolineare quanto il lavoro di “raccatta appunti”, come amava definirla, fosse un totale spreco del suo talento.
Quando aveva trovato l’annuncio per il suo posto alla Marketing Tower, Eleonora, a dirla tutta, ne era rimasta stupita.
Non sapeva servisse una dattilografa in un’azienda di marketing. Poi aveva conosciuto il suo capo e tutto le era risultato più chiaro.
Quell’uomo era più preciso di un orologio svizzero. Documentava ogni riunione e all’occorrenza ne rileggeva i verbali.
Era sicuramente molto metodico, non lasciava mai nulla al caso. Insomma, una sorta di maniaco del controllo.
Sorrise fra sé. Forse Frank aveva ragione, lei era in grado di rovesciare qualsiasi medaglia, di mettere in cattiva luce qualsivoglia qualità di quel povero – a detta di lui, sia chiaro – uomo.
Guardò l’orologio per la terza volta.
Cinque in punto.
Infilò la giacca e mise la borsa sulla spalla destra pronta a scattare verso la libertà, quando la voce del suo capo la inchiodò sul posto.
-Valeri, Tosti- disse rivolgendosi prima a Francesco e poi a lei -Vorrei avere un colloquio con voi nel mio ufficio-
La terra aveva tremato.
Il resto del mondo se n’era accorto? O era stata solo lei ad accusare quelle terribili vertigini?
Non appena l’uomo voltò loro le spalle, Eleonora guardò spaesata il collega con fare interrogativo, ma da lui non ottenne altro che un’alzata di spalle.
Ecco, lo sapeva. I loro schiamazzi durante le ore di lavoro e i suoi ritardi nel redigere i verbali dell’ultima settimana avevano fatto sì che si beccassero una bella lavata di capo.
Ma era pronta a controbattere qualsiasi accusa. Dove avrebbe dovuto trovare il tempo di sistemare le bozze se lui indiceva quindici riunioni contemporaneamente?
Non era colpa sua!
Nessuno l’aveva dotata del dono dell’ubiquità alla nascita.
Per quanto riguardava le chiacchiere, avrebbe accettato con dignitoso silenzio tutte le recriminazioni formulate. Era colpevole. Nessuna condizionale per lei.
-Prego, sedetevi- disse l’uomo indicando loro le sedie poste davanti la scrivania di mogano che ammobiliava l’ufficio, ma rimanendo lui stesso in piedi accanto alla finestra.
Eleonora guardò nervosamente l’orologio alla parete, non tanto per il fastidio di essere intrattenuta oltre il suo orario di lavoro, quanto per il timore di non sapere cosa aspettarsi da quella convocazione.
-Potrà recuperare il tempo che le sto rubando come meglio crederà nei giorni a venire, signorina Tosti- si sentì dire con voce tagliente.
Eleonora tornò a guardare in viso l’uomo che aveva di fronte. I suoi occhi chiari la fissavano imperturbabili.
Per un attimo le mancò il respiro.
Cielo, come avrebbe voluto tirargli un pugno su quella mascella disegnata con una perfetta squadratura.
Lo odiava. Terribilmente. E qualsiasi cosa fosse accaduta nel mondo, lei non avrebbe mai e poi mai cambiato idea su di lui.
 
 
 
 
 
 

 
 
   
 
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