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Autore: Airborne    09/08/2023    1 recensioni
Tenzō ha nove anni quando viene salvato dalle grinfie di Orochimaru ed entra nella Radice perdendo ogni cosa. Kakashi ha tredici anni, è il capitano più giovane nella storia degli ANBU ed è cresciuto bruscamente e brutalmente. Sono giovani, sono diversi, sono ben lontani dall’essere il prototipo del ninja eroico e sanno già che faranno i conti con il passato per sempre; ma sono anche determinati a mettere la propria vita in campo per Konoha, per un futuro migliore, e l’uno per l’altro.
Kakashi/Yamato
***
«Credo che diventerà un ninja interessante» dice solo.
«Se esce indenne dalla Radice».
Kakashi rabbrividisce. Menomale che lui non ci è finito, nella Radice. Spera, come fa per tutti i ragazzini dell’organizzazione, che quel Tenzō sia abbastanza forte da sopravvivere. E spera che non debba mai, mai fare i conti con qualcosa come Obito e Rin.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Kakashi Hatake, Yamato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
Capitoli:
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Pre-note:
La wakizashi è un tipo di spada corta giapponese (quella di Sai, per intenderci).
Buona lettura!

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Niente di cui scusarsi

 

And up until now I have sworn to myself that I'm content
With loneliness
Because none of it was ever worth the risk, well
You
Are
The only exception

Paramore – The Only Exception

 

 

5

Tenzō

 

 

 

Kakashi è oggettivamente bello, lo dicono tutti. Poco importa che abbia sempre il volto coperto: certe cose si capiscono lo stesso. È alto e asciutto, tanto per cominciare, e ha le movenze di chi è sicuro di sé, di chi è padrone del suo corpo come del suo mondo, per quanto incasinato sia. I vestiti che porta sotto la divisa da ANBU, poi, lasciano intendere un busto definito, e non potrebbe essere altrimenti visto il lavoro che fa. E non è nemmeno del tutto vero che la maschera sia un ostacolo a determinare il suo aspetto fisico, perché non nasconde i lineamenti del viso; semmai li risalta, oltre ad aggiungere un intrigante (e minaccioso per i nemici di Konoha, bisogna ammetterlo) alone di mistero sulla sua persona.

È un bravo ragazzo, Kakashi, oltre a essere bello. In diciotto anni di vita, di cui nove passati senza una figura genitoriale, non si è mai messo nei guai, non ha mai dato pensieri a nessuno. Certo, ci sono quelle storie poco chiare di Obito Uchiha e Rin Nohara, ma si è trattato comunque di missioni, e in missione Kakashi non ha mai dato motivo ai suoi compagni di dubitare di lui. È un ottimo ninja, è maturo, è tremendamente intelligente e va d’accordo con tutti, nonostante sia freddo. Ed è così bello, come sussurrano molte ragazze quando lo vedono passare per strada, e come commentano alcuni ragazzi. Non tutti con malizia: quando un uomo è oggettivamente bello, è oggettivamente bello. E tutti vorrebbero vederlo in faccia almeno una volta nella vita.

Qualcuno che l’ha visto in faccia c’è, in realtà. Più di uno. Molti, tra gli ANBU uomini, hanno avuto questo piacere, complici le docce della caserma. Kakashi non frequenta spesso la caserma, ancora più raramente si fa la doccia lì, e di solito sceglie sempre i momenti più tranquilli, quando ci sono meno probabilità di incontrare qualcuno. Le malelingue attribuiscono questo comportamento alla vergogna per qualcosa di non meglio precisato, ma Tenzō, che lo ha visto farsi la doccia in caserma, sa che non ha proprio niente di cui vergognarsi.

Il volto di Kakashi non ha niente di particolare. Ha una pelle liscia, talmente liscia da sospettare che non gli crescano neanche quattro peli di barba in croce; ha dei bei lineamenti, non troppo morbidi né troppo spigolosi, decisi, cosa che un po’ rispecchia la sua personalità; labbra piuttosto sottili, un naso ben proporzionato e gli occhi... Bè, gli occhi di Kakashi sono noti, diversi e penetranti in entrambi i casi. O forse sarebbe meglio dire penetrante, visto che l’occhio sinistro si apre solo in battaglia, e bisogna sperare di non incrociarlo mai. Preso nel suo complesso, il viso di Kakashi è gentile, e forse questa è la vera sorpresa. Non che lui non sia gentile, ma non è di certo la prima cosa che se ne direbbe. Il suo viso, invece, è buono, è tranquillo, e anche quando è impassibile sembra che sia sempre sul punto di sorridere. Almeno, questo è ciò che Tenzō ha visto nel viso di Kakashi le poche volte che lo ha incontrato nella stanza delle docce.

Non ha visto solo quello, Tenzō.

Kakashi è oggettivamente bello. Anche Tenzō lo ha sempre pensato, fin da bambino, e fin da bambino la sua bellezza è stata un tutt’uno con la sua intelligenza, la sua dedizione e il suo animo tormentato. D’altra parte Kakashi è una persona, non può essere preso a compartimenti stagni, è un pacchetto unico.

Da qualche tempo, più precisamente dalla penultima volta che lo ha incontrato nella stanza delle docce, sei mesi prima (Tenzō ha quasi tenuto il conto dei giorni), al pacchetto si è aggiunta la sensualità. E se la bellezza può essere oggettiva, altrettanto non si può dire della sensualità.

È stato allora che Tenzō ha capito di avere un problema bello grosso. È affezionato a Kakashi da molto tempo e lo ammira da ancor prima, ma è stato solo in quel momento, solo quando lo ha visto entrare nella stanza nudo, con gli addominali e qualcos’altro in bella mostra, sicuro di sé, mentre le labbra di norma nascoste si piegavano a scandire le parole Ciao, Tenzō, che la testa ha cominciato a girargli per nessun motivo plausibile (salvo uno), ha sentito un caldo non imputabile all’acqua appena tiepida che gli scorreva lungo la schiena e, poi, un altro tipo di calore al basso ventre.

Aveva capito subito cos’era successo.

Sono sei mesi che ci pensa. È bello, a volte, essere innamorati, anche se non lo sa nessuno. Ma altre volte lo mette a disagio, gli fa paura, è semplicemente inspiegabile. Perché Kakashi? Perché non prima? Non lo saprà mai. Può solo accettare la cosa e decidere come gestirla. La prima parte è facile: è facile accettare di essere innamorati, e sospetta che accettare di essere innamorati di Kakashi sia più facile che accettare di essere innamorati di altri. La seconda parte è più difficile, e lo spaventa.

 

---

 

L’area che va da Taki fino al mare, su a nord, è brulla e selvaggia. È la prima volta che Tenzō viene mandato in quella zona e nemmeno i suoi molto più scafati compagni vi si trovano a loro agio. Non sono abituati a combattere in territori dove non ci si può nascondere. Kakashi, tanto per cambiare capitano, ha insistito molto su questo punto prima della partenza da Konoha e durante il viaggio, ma non li ha preparati a sufficienza: il territorio li spiazza. Procedono in gruppo, strisciando a terra, consapevoli di essere comunque visibili e che separarsi non aiuterebbe.

Sono alla ricerca di un’organizzazione che si fa chiamare Tigri Rosse. Non è ben chiaro perché l’Hokage si sia preso la briga di mandarli così lontano dal Paese del Fuoco per sgominare una banda di criminali, ma tant’è, avrà avuto i suoi buoni motivi. Per quanto lo riguarda, l’assegnazione della missione è stata agghiacciante. In quattro (ANBU, per carità) a sgominare un gruppo di trenta persone circa (con poche probabilità di incontrarli tutti insieme, per carità), trenta fanatici invasati di una qualche religione pagana e sanguinosa. Gli è sembrata un’idea quantomeno azzardata già nell’ufficio dell’Hokage, ma ora che hanno superato Taki, l’ultimo villaggio ninja a nord prima dell’oceano, è convinto che sia una missione suicida.

«Tenzō» lo chiama Kakashi con un sussurro. Incrocia il suo sguardo indecifrabile (o meglio, fissa la maschera del capitano all’altezza degli occhi) e spera con tutto sé stesso che stia per annunciare mezz’ora di riposo. «Concentrati».

Ovviamente. «Sì, senpai. Scusa».

«Sono preoccupato anch’io» gli rivela, gli occhi di nuovo fissi davanti a sé. E Tenzō sorride brevemente, perché se Kakashi è preoccupato vuol dire che sono messi parecchio male e, soprattutto, non è una cosa che direbbe a tutti. Jin e Hiroka, infatti, non hanno sentito niente.

Quello scambio di parole costa loro molto caro.

Il boato porta con sé un gran polverone e un crepaccio a pochi centimetri da loro di cui non si vede il fondo. Non fanno in tempo ad alzarsi in piedi che si ritrovano circondati da cinque ninja a volto scoperto e dall’abbigliamento simile.

«Guarda, guarda, se non sono ANBU di Konoha» sghignazza il tipaccio dall’altro lato del burrone rimettendosi in piedi. Ha dovuto toccare il terreno con le mani, il che vuol dire che combatte utilizzando il chakra della terra, se il baratro in cui non sono caduti per miracolo (o per il volere dei loro avversari) non fosse stato abbastanza per capirlo.

Tenzō li osserva uno a uno. Nessuno indossa il coprifronte della Cascata, ma tutti hanno una fascia di tessuto rosso lungo l’avambraccio destro e l’elsa di una wakizashi che spunta da dietro la spalla sinistra.

«Quantomeno ci avete evitato la faticaccia di trovarvi» dice Kakashi. Il suo tono è quasi amichevole, ma Tenzō sa che il suo occhio sta carpendo ogni informazione disponibile e il suo cervello le sta mettendo insieme. Durante il viaggio hanno concordato una strategia generale, ma non possono fare molto affidamento su piani ideati praticamente sul nulla.

«Tra un po’ non sarete così felici di averci trovati» sghignazza l’altro.

Tenzō sente il battito accelerare. Per quanto ci sia abituato, non è mai facile scontrarsi con dei nemici. E loro sono in inferiorità numerica, pur essendo la punta di diamante del Villaggio della Foglia. Anche se le Tigri Rosse non hanno la minima idea delle loro abilità, mentre loro qualcosa sanno.

E sono cose parecchio inquietanti.

«Cosa dite, ANBU di Konoha…» dice uno dei ninja alle sue spalle, «Vorreste unirvi al culto del Dio Jashin?»

Uccidono le persone, quelli, in nome del loro dio.

«Manco se mi preghi in ginocchio» ringhia Hiroka.

«Come osi!» urla la donna davanti a Tenzō, sfoderando la sua wakizashi. «Come osi anche solo pensare che potremmo pregarti come una divinità? C’è un unico Dio, e il suo nome…»

Un attimo dopo, c’è solo il caos.

Sono veloci, le Tigri Rosse. Fulminee, visto come si sono avvicinati a loro senza che se ne accorgessero, mentre la donna continuava a sbraitare cose riguardo il loro dio. Voleva distrarci pensa Tenzō bloccando una lama a pochi centimetri dal suo viso per unico merito dei suoi buoni riflessi. Con me ci è riuscita? Non avrebbe dovuto riuscirci. Lui non avrebbe dovuto distrarsi; ma a questo ci penserà dopo. Kakashi, senza molti complimenti, afferra di peso il ninja che lo ha attaccato e lo porta via da lui, via dal gruppo. Sono in inferiorità numerica, e hanno concordato che fosse lui a occuparsi di più nemici contemporaneamente, se la situazione lo avesse richiesto. Ma Tenzō avrebbe quasi preferito che quell’incarico fosse stato affidato a lui, se avesse saputo che avrebbe dovuto affrontare la donna. I pazzi fanatici sono pericolosissimi, e quella ninja sembra di gran lunga la più fanatica del gruppo.

«Non credi di essere un po’ troppo giovane per essere un ANBU?» lo provoca, correndo verso di lui con la wakizashi tesa.

Tenzō non si degna nemmeno di risponderle. Invece erge una parete di terra per bloccare la sua corsa, e salta oltre di essa per calare sulla donna dall’alto, pronto a bloccarla con la Tecnica del Legno. Dovrebbe puntare subito a ucciderla, lo sa: quello è l’ordine che hanno ricevuto dall’Hokage. Ma non gli piace uccidere, e spera sempre di non doverlo fare. Di solito è Kakashi a incaricarsi di uccidere i suoi avversari, come se già non avesse abbastanza responsabilità. Quasi non gli passa per il cervello che quella volta le cose dovrebbero andare diversamente.

Così, Tenzō rimane a dir poco spiazzato quando la donna si getta di proposito contro la punta acuminata del blocco di legno che si estende dal suo braccio, rimanendone trafitta al centro del petto con un urlo disumano.

Non che si senta in colpa; non si dispiace certo per un nemico che si suicida. Ma la cosa è sospetta, e lui comincia ad avere paura anche se non ha senso, perché la sua avversaria si è appena uccisa.

Tenzō capisce presto che il suo istinto ha avuto ragione.

Quando l’urlo di dolore della donna si spegne, il sorrisetto folle sul suo volto si allarga. «Grazie dell’aiuto, ragazzino» dice, e nel suo tono non c’è né dolore, né il gorgoglio del sangue che riempie la bocca dopo una ferita del genere. Sotto gli occhi di Tenzō, paralizzato dallo stupore, taglia in due il blocco di legno facendo scorrere il chakra del fulmine lungo la wakizashi. Mentre estrae la metà piantata nel suo petto, Tenzō cade a terra, attraversato dalla scossa elettrica che ha risalito il legno fino a raggiungere il suo corpo. «Il sommo Jashin mi ha addirittura voluto graziare assegnandomi un avversario debole contro il mio chakra» continua. «Il sommo Jashin ringrazia sempre chi lo serve con dedizione!»

«Buon per te» commenta Tenzō rimettendosi lentamente in piedi, «ma ci vuole ben altro per mettermi al tappeto».

La ninja scoppia a ridere come una pazza invasata. La ferita nel suo petto gronda sangue, ma non sembra nemmeno accorgersene. Non c’era niente di tutto ciò nelle informazioni che hanno ricevuto prima di partire per Taki, e Tenzō non ha mai visto niente di più agghiacciante. E di cose agghiaccianti ne ha viste, nella sua vita. «E pensi di essere in grado di mettere me al tappeto?»

«Dèi, quanto parli» dice allontanandosi da lei con un balzo. Stando a quello che ha visto, la donna combatte a corta distanza; lui no, per fortuna, e deve sfruttare quel vantaggio. Non ha molto altro a cui aggrapparsi, visti i loro tipi di chakra.

«Jin!»

L’urlo disperato di Hiroka lo spinge istintivamente ad alzare lo sguardo. Cerca il compagno di squadra sul campo di battaglia, ma c’è così tanta confusione che vede ben poco di quello che stanno facendo gli altri, e lui ha problemi più urgenti.

«A Konoha ve la insegnano a scuola, la blasfemia?» lo provoca la ninja.

Non le risponde. Si sta muovendo sul posto in modo alquanto sospetto, e Tenzō ci mette un po’ a capire che sta… disegnando? qualcosa a terra col suo stesso sangue. Nemmeno questo era nelle loro informazioni, e di certo non è un modo per ingannare il tempo in attesa che lui faccia la sua mossa.

«Ma tanto morirete tutti». Vede il suo terrificante ghigno invasato anche da quella distanza. «A cominciare da quel tuo compagno laggiù».

Jin. Cosa sta succedendo, cazzo?

Ma non è il momento di farsi domande, è il momento di iniziare a portare a termine quella missione. Sono in inferiorità numerica, e Kakashi sta combattendo da solo contro due avversari. Non vuole che lui, tra tutti, rischi più del dovuto. Dèi, non vuole che nessuno di loro rischi più del dovuto.

Forma una serie di sigilli e batte le mani a terra, come poco prima ha fatto uno dei ninja di cui si sta occupando Kakashi. Davanti a lui non si apre nessun crepaccio, ma il terreno trema con un boato, e pochi, pochissimi istanti dopo degli speroni di roccia spuntano davanti alla sua avversaria, mirando a infilzarla. Lei li evita con facilità saltando in aria, ma Tenzō non è così sprovveduto da lasciarsi sorprendere dal cambiamento di strategia. La donna ha fatto esattamente ciò che lui voleva facesse, e infatti si vede arrivare addosso un fascio di blocchi di legno che a mezz’aria hanno molte probabilità di andare a segno; ma riesce ugualmente a evitare anche quell’attacco.

È dannatamente forte, oltre che una pazza invasata. È più pericolosa di quanto sembri a prima vista, e la cosa non gli piace per niente.

«Dovrai impegnarti più di così se vuoi colpirmi» lo sfotte toccando terra con eleganza, l’orribile ghigno ancora stampato sul volto.

Da qualche parte poco lontano, Jin urla di dolore.

Anche la donna lo sente. Dèi, chi non lo noterebbe, un urlo così? «Lo sai come si prega il sommo Jashin, ragazzino?»

Tenzō non ha nessuna intenzione di ascoltare le sue farneticazioni. Un clone di legno sbuca dal terreno davanti a lei, cogliendola di sorpresa, ma non abbastanza da bloccarla. È velocissima. Lui è lento in confronto, e davvero non poteva capitargli avversario peggiore. E Jin è messo male, e Kakashi sta combattendo contro due avversari contemporaneamente.

«Il tuo compagno non ha scampo».

È sicura di ciò che dice. Ne è assolutamente certa.

«Jin!» urla di nuovo Hiroka. È più disperata di prima, cazzo.

No, cazzo. No.

E intanto la sua avversaria sta correndo verso di lui, la wakizashi stretta in pugno, talmente sottile da confondersi col paesaggio plumbeo che li circonda. Tenzō le lancia addosso degli shuriken, che vengono deviati dalla lama.

«Kakashi! Tenzō!» urla ancora Hiroka. «Non fatevi ferire! Qualunque cosa succeda, non fatevi ferire!»

«Non distrarti, ragazzino!» gracchia la ninja. Tenzō erge una barriera di legno; e poi, inspiegabilmente, sente un dolore lancinante alla gamba.

Un clone. È stato ferito da un clone.

«Kakashi e Tenzō» continua la donna, afferrando al volo il kunai che le ha lanciato la copia di sé stessa prima di sparire in una nuvola di fumo. Lui inizia a sospettare che quell’orrendo sorrisetto invasato gli sia stato cucito addosso con ago e filo. «Si dicono grandi cose di voi, in questo Paese. Pensa solo a cosa avreste potuto fare nella nostra organizzazione». E, sotto lo sguardo atterrito di Tenzō, si porta la lama alle labbra e lecca il suo sangue. «Anche se le dicerie sono esagerate, sembra. Essere tra gli ANBU e farsi giocare da un clone…» ridacchia.

Tenzō stringe con forza la gamba ferita. Sotto la maschera, il suo volto è contratto dal dolore. Prova a rialzarsi, ma la donna è stata molto astuta e diabolicamente accurata nel colpirlo in un punto che gli rende difficile muoversi, come se la sua velocità già non bastasse.

Poi alza di nuovo lo sguardo verso di lei, e se prima la situazione era sospetta, ora gli sembra inquietante.

L’aspetto della donna è mutato. La sua pelle ha cambiato colore, e a Tenzō sembra di guardare un teschio negli occhi. Il volto è quasi completamente bianco, salvo un cerchio in mezzo alla fronte, dei segni sotto agli occhi, sotto alla bocca e sul naso, e anche sulle mani dei segni candidi come la neve ricalcano le ossa che si trovano pochi centimetri sotto, oltre la pelle.

«Tenzō!» La voce di Hiroka urla il suo nome, adesso. «Kakashi, Tenzō…»

La ninja la ignora. «Chissà se il tuo compagno è già morto». Jin. «Probabilmente sì» si risponde, e con un balzo raggiunge lo strano disegno che ha tracciato col sangue.

Se Jin è morto come dice lei, sono ancora più in inferiorità numerica di prima.

Si odierebbe per un pensiero del genere, se non fosse nel bel mezzo di uno scontro; ma d’altra parte la Radice gli ha insegnato a ragionare in quel modo, prima la missione e poi tutto il resto, e non se ne libererà mai.

Sempre che esca vivo da quel casino.

«Bloccala! Portala via da lì!» strilla ancora Hiroka. È terrorizzata. E Tenzō non capisce bene perché dovrebbe essere così terrorizzata, ma sa che quando Hiroka dice qualcosa durante una missione, è sempre meglio darle ascolto.

«Sei ancora in tempo per convertirti, se vuoi. Ma ti conviene deciderti in fretta». Alza la wakizashi sopra la testa, e lui è impotente e paralizzato dalla paura. «Lo sai come si prega il sommo Jashin, ragazzino?»

Tenzō, limitato nei movimenti, usa ancora una volta la Tecnica del Legno, ma non può fare molto altro. È chiaro che la ninja non ha problemi nello schivarla, e lui non può fare molto altro. Le tecniche di terra e acqua gli si ritorcerebbero contro, il corpo a corpo è fuori questione, e con i kunai e gli shuriken si fa poco.

«Però non puoi metterti a rompere le scatole proprio ora» dice la sua avversaria evitando con un salto il legno che spunta dal suo braccio. «Almeno ho avuto la conferma finale che non vuoi convertirti». Si capovolge con una capriola a mezz’aria e tocca il fascio di legno; Tenzō si accorge troppo tardi delle sue intenzioni e, nonostante riesca a staccare il braccio prima che il grosso della tecnica raggiunga il suo corpo, viene lo stesso colpito da una scossa elettrica. «Finiamola qui, ragazzino» continua la donna toccando nuovamente terra. Non ghigna più. Sembra davvero di guardare un teschio, ora. Alza un’altra volta la wakizashi, puntandola verso di sé, e Tenzō non capisce cos’abbia in mente. L’unica cosa sensata che potrebbe fare da quella distanza è lanciargliela addosso, ma la wakizashi non è un’arma da lancio.

E invece la abbassa di colpo verso di sé, mirando allo stesso punto in cui pochi minuti prima è stata trafitta dal legno di Tenzō.

Tenzō intuisce la pericolosità di quel gesto nel momento in cui Kakashi entra nel suo campo visivo, l’armatura che luccica dove un istante prima c’era la wakizashi e i capelli argentei che lasciano come una scia al suo passaggio. E sente un'inspiegabile fitta al petto nel momento in cui il capitano rotola a terra con la donna, e sente la maglia sotto la divisa bagnarsi di una sostanza appiccicaticcia, e il dolore gli toglie il fiato e lo costringe un’altra volta a terra, in ginocchio. E lì, raggomitolato su sé stesso, sente l’odore ferroso del sangue, molto più vicino alle sue narici di quanto non sia la ferita alla gamba.

«Tenzō!» urla Kakashi, ma lui non ha la forza di alzare la testa per guardarlo. Gira tutto, ed è sul punto di svenire.

Non ha capito niente di quello che è successo, ed è stato dannatamente lento.

  
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