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Autore: MissAdler    10/08/2023    13 recensioni
Itai doshin significa “diversi corpi, stessa mente” ed è un’espressione che ho trovato azzeccatissima per i personaggi di questo anime/manga. Si riferisce infatti a quella connessione che si viene a creare tra persone molto diverse tra loro che però hanno qualcosa che le unisce.
Questa sarà una raccolta di OS e flashine su varie ship, il rating cambierà e verrà segnalato di volta in volta.
1. Cascare nei tuoi occhi. KageHina
2. Non avere paura. AsaNoya
3. Vorrei. DaiSuga
4. Connessi. KageHina
5. Bright Star. BokuAka
6. 10 cose che odio di te. KuroTsukki
7. Autumn in Tokio. BokuAka
Genere: Erotico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Aoba Johsai, Shiratorizawa, Shouyou Hinata, Tobio Kageyama
Note: Lemon, Lime, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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[Questa storia partecipa alla “First Kiss Challenge” indetta dal gruppo Facebook “L’angolo di Madama Rosmerta ed è candidata agli Oscar della Penna 2024 indetti sul forum "Ferisce la penna"]

 
Coppia: Bokuto/Akaashi
Rating: giallo
Contesto: manga, Fukurodani VS Mujinazaka 

spoiler per chi non ha letto il manga
 
 

 BRIGHT STAR 
 
 
 
Così per la lor via vanno le stelle,
incomprese, immutabili!
Tu, mentre noi ci dibattiamo in vincoli,
di luce in luce ascendi.
Tu, la cui vita è tutta di splendore!
E se dalle mie tenebre
Tendo a te braccia nostalgiche
Sorridi e non m’intendi
mi baci.

 

La prima volta eri rimasto come folgorato. Quando una stella ti brucia davanti agli occhi non puoi tornare a vedere i contorni della realtà come li vedevi prima. Le tue pupille si adattano alla luce, le tue certezze crollano, la tua prospettiva si ribalta e inizi a mettere in dubbio perfino la forza di gravità.
Una rincorsa, un balzo, un’esplosione di scintille a mezz’aria. Quel bagliore dorato era schizzato ovunque, aveva imbrattato tutto. E aveva lo stesso colore dei suoi occhi.


Ti era stato chiaro da allora, che non saresti più stato lo stesso.



 



Koutarou Bokuto in campo era una potenza dirompente, ma anche una giostra di emozioni sregolate. Avevi imparato a memoria ogni sua debolezza, ogni suo capriccio, li avevi numerati e catalogati nel tuo palazzo mentale, avevi stilato approcci motivazionali, frasi a effetto e ridicoli teatrini mirati a rimetterlo in sesto, a dargli fiducia e concentrazione tutte le volte che si buttava giù per un nonnulla.
Forse perché eri un inguaribile maniaco del controllo, o forse perché volevi che lui fosse sempre al meglio, libero di brillare in quel modo che ti incendiava il sangue nelle vene.
Vederlo inarcarsi oltre la rete, pronto a colpire la palla con tutta la forza del suo braccio destro, ti faceva l’effetto di una scarica elettrica sottopelle. A ogni parallela schiacciata con precisione millimetrica, a ogni diagonale strettissima, carica di forza esplosiva, tu eri regista e spettatore insieme. Cosa avresti potuto desiderare di più? Cosa poteva esserci di più che stargli accanto, che alzare la palla per lui e goderti lo spettacolo così da vicino? Niente ti avrebbe persuaso a staccare gli occhi da Bokuto, perché se lui era così speciale, stargli vicino in qualche modo rendeva speciale anche te.


“Akaashi, le tue alzate sono le migliori!”


L’avevi deciso nell’istante in cui l’avevi visto giocare per la prima volta: un giorno saresti riuscito ad avvicinarti a quella stella, anche a costo di bruciarti. E in un istante, in due anni che erano scivolati via in un battito di ciglia, ti eri ritrovato lì, col sudore tra i capelli e gli applausi del pubblico nelle orecchie, a sentirti dire – proprio da lui – che in qualche modo tu – proprio tu – eri speciale.


Non gli importava che avessi fatto un casino, che fossi andato nel pallone al punto di essere mandato in panchina coi nervi a fior di pelle. Lui credeva in te. Lui voleva schiacciare le tue alzate. Le tue. Solo le tue. E quando eri rientrato in campo l'avevi fatto con la convinzione che non importava nient’altro in quel momento, perché voi due eravate davvero i protagonisti del mondo.



 



“Non è impossibile! È solo difficile!”
Lo era. Terribilmente difficile.
Vincere sempre, segnare sempre, splendere sempre. Ma con lui al tuo fianco, dopo quella vittoria, ti sembrava di poter fare tutto. Non c’erano più limiti ai sogni, non c’era trazione verso il basso, verso la deprimente concretezza della realtà, perché Bokuto era già oltre, si era staccato da terra e brillava di luce propria come l’astro che era sempre stato. Cosa poteva mai farsene lui, delle statistiche, dei pronostici, della banalità del concreto? Cosa potevi fartene tu, che gli stavi così vicino, aggrappato così testardamente all’orlo del suo entusiasmo da riuscire a spiccare il volo a tua volta?
“Hai ragione.”
Avevi sorriso tra le lacrime, senza più preoccuparti di nascondergliele. Un po’ perché non avevi potuto evitarlo, un po’ perché forse volevi che ti vedesse così, fragile e fuori controllo come non ti eri mai mostrato a nessuno. Una parte di te che forse era la più vera, la più onesta.


La partita contro il Mujinazaka era finita da una decina di minuti, i corridoi del palazzetto erano deserti e silenziosi, perfino i compagni di squadra avevano smesso di spiarvi e se n’erano andati a rifocillarsi chissà dove.
Ma tu non eri pronto a raggiungerli, a sciacquare via sotto la doccia quella sensazione indefinibile, ad asciugare gli occhi e a indossare di nuovo quella maschera stoica e impassibile. Non eri pronto ad allontanarti da lui. Non ancora.
C’era qualcosa di stranamente confortante nell’aver appena avuto un crollo nervoso, nel crogiolarsi in quel pasticcio di emozioni senza filtri né logica. Era liberatorio, quasi piacevole. Come starsene comodamente sdraiati sul fondo di un burrone dopo essersi lasciati cadere.


Avevi preso a tormentarti le dita, spiandolo di sottecchi da dov’eri seduto.
Se ne stava in piedi davanti a te ma era già di spalle, pronto a raggiungere gli spogliatoi: i capelli completamente zuppi di sudore che minacciavano di afflosciarsi da un momento all’altro, le spalle larghe, i muscoli delle braccia e delle gambe ancora gonfi e tesi, le vene in rilievo su polpacci e avambracci.
Gli avevi guardato le mani mentre stringevi forte le tue, torcendoti le falangi fino a farti male.
“Bokuto…”
“Sì?”
Si era girato a guardarti ma in realtà non sapevi cosa dire. Non sapevi perché l’avessi chiamato, perché continuassi a startene seduto in quel corridoio deserto quando lui, come sempre, era già oltre, proiettato senza alcun timore verso il futuro.


Stupido, inventati una cosa qualunque… ormai hai pronunciato il suo nome, prova a dire qualcosa di sensato, una frase banale, di circostanza, un’ovvietà! Ti prego, parla o sembrerai più svitato di quanto tu non ti sia già dimostrato in queste ultime ore


“La partita del Karasuno sta per-”
“Ti staccherai le dita se continui a torturartele in quel modo.”
Avevi abbassato lo sguardo sulle tue mani martoriate, osservando stranito le nocche sbiancate e i polpastrelli violacei.
“Come farai ad alzarmi la palla se resterai senza nemmeno un dito??”
Era serio?
“Non mi staccherò le dita, stai tranquillo Bokuto-san.”
Aveva assottigliato lo sguardo, soppesando le tue parole come se si trattasse davvero di una questione della massima serietà, poi si era chinato davanti a te e aveva appoggiato le sue mani sulle tue.
“Secondo me invece sì!”
Il cuore aveva iniziato a rimbalzarti nel petto mentre Bokuto separava le tue dita delicatamente, per poi spostartele sulle ginocchia e premere i suoi palmi sul dorso delle tue mani.
La sua pelle era calda, umida e leggermente ruvida. Era bello sentire quella pressione sulle tue nocche, sulle tue unghie, sulla pelle chiara e sottile che ti ricopriva i reticoli verdastri delle vene.
“Così va meglio, no?”
Il suo sorriso ti abbagliava sempre, ma quella volta era diverso, la sua luce ti sembrava ancora più accecante. Eri rimasto come imbambolato davanti alle sue iridi dorate, era inutile sforzarti di restare impassibile, di darti un contegno, mentre le lacrime continuavano a pungerti gli occhi.
Quello che Koutarou stava facendo non sembrava normale. Di certo non sembrava una cosa da amici. O nella sua testa bacata lo era?
“La partita del tuo discepolo starà per iniziare” eri riuscito a bofonchiare mentre lui abbassava lo sguardo sulle vostre mani. Aveva preso le tue e le aveva girate all’insù, facendo scorrere lentamente i polpastrelli sui tuoi palmi.
“Non è giusto che le tue dita siano più lunghe delle mie!”
“Non credo sia rilevante nella pallavolo…”
“Ma io sono più grande di te!”
“Non vedo come questo possa incidere sulla lunghezza delle dita.”
Non avevi idea di come riuscissi ancora ad articolare risposte di senso compiuto. Non avevi più saliva in bocca, ti sembrava di dover vomitare da un momento all'altro.
Koutarou ti aveva sfiorato i polsi con la punta delle dita e a quel punto avevi smesso anche di respirare.
“Che stai facendo?”
“Non lo so. Però mi piace.”
Avevi abbassato gli occhi anche tu, fissando i movimenti circolari dei suoi pollici sulla tua pelle. In quel punto era così trasparente e ipersensibile che ti sembrava di percepire le scanalature delle sue impronte digitali. Piccole scosse elettriche ti correvano lungo gli avambracci, sulle spalle, dietro la schiena, drizzandoti la peluria sotto la maglietta ancora umida.
“A te piace, Akaashi?”
Aveva di nuovo sollevato lo sguardo e tu ti eri ritrovato a fare lo stesso, pensando per un momento che forse i tuoi desideri più reconditi non fossero poi così ridicoli e senza speranza. Che forse quella stella non era poi così inafferrabile.
“Sì.”
E mentre questa nuova consapevolezza si faceva strada dentro le pieghe della tua mente ancora esausta, Bokuto si era avvicinato al tuo viso e ti aveva stampato un goffo bacio sulla guancia, uno schiocco che ti era rimasto incastrato nell’orecchio e che forse non se ne sarebbe andato più.
“E questo... questo ti è piaciuto?”
Lui... ti stava davvero chiedendo se ti fosse piaciuto quel bacio? Koutarou Bokuto ti aveva appena baciato?
“Sì” avevi ripetuto con un filo di voce, evitando accuratamente di incrociare il suo sguardo.
“Sei salato.”
“Perché ho pianto.”
“Mh.”
Senza staccare le mani dai tuoi polsi si era avvicinato di nuovo, lentamente, sfiorando le tue labbra con le sue senza preoccuparsi di chiudere gli occhi.
“Però ora non piangere più, okay?”
Con la testa che si svuotava del tutto, che si faceva leggera come una bolla di sapone, col respiro che ti si incastrava in gola e che poi ti usciva tra i denti in piccoli singhiozzi strozzati, aspettavi solo che ti chiedesse se anche quello ti fosse piaciuto. Perché gli avresti risposto un'altra volta sì e in quel caso sarebbe stato come strapparti il cuore dal petto per consegnarglielo a mani aperte.
Ma lui non aveva più parlato, era rimasto come impalato a pochi centimetri dal tuo viso, con la faccia paonazza e gli occhi sgranati, come se si fosse reso conto solo in quel momento di cio che aveva appena combianto.
Forse, dopo tutto, avere la mente annebbiata non era sempre uno svantaggio, perché eri sicuro che in una situazione normale non avresti mai trovato il coraggio di essere così intraprendente.
Senza pensarci gli avevi stretto forte i polsi, piegando la testa da un lato e baciandolo a tua volta.
La consapevolezza che il momento di bruciarti infine era arrivato, che quella stella ora ce l’avevi addosso, che il suo fuoco dorato ti avrebbe inghiottito e divorato, ti aveva pervaso come lava nelle vene. Un cataclisma era il minimo che ti aspettassi, ma non avevi calcolato che baciare Bokuto potesse essere così, che le sue labbra fossero gentili, pazienti, mentre aspettavano che fossero le tue a schiudersi per prime. Era stato un bacio adulto, lento, sensuale, come se tutto il lato buffo e infantile di Koutarou fosse svanito all’improvviso. Il suo profumo nella testa, il battito del suo cuore che pulsava nelle vene dei polsi, proprio sotto le tue dita... era più stupefacente di qualunque fantasia avesse partorito in quei due anni la tua mente contorta.


“Akaashiii…” aveva farfugliato staccandosi dalla tua bocca e afflosciandosi sulle tue cosce.
“Bokuto-san?”
“Così mi ucciderai!”
Le sue braccia si erano strette intorno alla tua vita mentre il viso affondava nella stoffa dei tuoi pantaloncini. A quanto pareva il suo sprazzo di maturità era già finito.
“Spero proprio di no, Bokuto-san.”
Avevi sorriso e ti era quasi dispiaciuto che lui non potesse vederlo. Gli avevi sfiorato le ciocche argentate e te le eri rigirate delicatamente intorno alle dita, pensando che tu ti sentivi esattamente allo stesso modo, che un po’ stavi morendo e un po’ avevi appena iniziato a esistere. Proprio come fanno le stelle.




 
FINE


 
ANGOLINO DELL'AUTRICE

Avevo detto "pausa estiva" ma ci tenevo a partecipare comunque a questa challenge. Avevo iniziato anche una UshiHina, ma questa mi è letteralmente uscita dalle dita in pochi giorni, quindi eccola qui. Oggi poi, è anche San Lorenzo, quindi siamo in tema con le stelle, no? ;)
Nell'ultimo paragrafo c'è una semicit. a Call me by your name, perchè Aciman ci sta sempre bene, come il cacio sui maccheroni. Il titolo è quello di una poesia di Keats che personalmente amo, mentre i versi all'inizio sono di Hesse, con una mia piccola licenza sul finale! Non me ne voglia il buon vecchio Hermann. ♥
Non ho MAI letto nessuna fanfiction su di loro, spero siano abbastanza IC. Spero che questa piccola storia vi sia piaciuta, se vi va fatemelo sapere. Grazie comunque per essere arrivat* fin qui e un mega-abbraccione a chi mi lascia sempre un segno del suo passaggio. Stavolta niente sorprese fino a fine settembre, torno a studiare! T___T
Buon Ferragosto e buone vacanze! 
Aislinn

 
   
 
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