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Autore: Lartisteconfuse    11/08/2023    3 recensioni
Quando aveva sette anni Izuku ha perso il suo amico d'infanzia, Katsuki gli è sparito davanti agli occhi, senza che lui potesse fare niente. Non fu mai ritrovato.
Dopo dieci anni, Izuku ancora non ha abbandonato l'idea di ritrovare il suo amico perduto, la sperenza che prima o poi possa riabbracciare il suo Kacchan è rimasta viva dentro di lui. Un giorno, un suo amico che lavora in polizia, lo chiamerà per partecipare a un caso di omicidio molto particolare e le speranze di Izuku inizieranno a diventare più concrete.
Genere: Drammatico, Hurt/Comfort, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Izuku Midoriya, Katsuki Bakugou, Kirishima Eijirou, Shouto Todoroki
Note: AU | Avvertimenti: Non-con, Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Midnight'
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Note pt1: Finalmente nuovo capitolo!!
⚠ Non-con (non nel dettaglio) e impliciti pensieri suicidi



Si sentiva vuoto, pesante e leggero allo stesso tempo, non sapeva nemmeno se stava respirando. I movimenti monotoni dell’uomo che lo stava penetrando erano l’unica cosa che faceva muovere il suo corpo. Da parte sua, non c’era il minimo sforzo, il minimo accenno di voler partecipare a quel triste amplesso. 
Una mano gli afferrò il mento con forza e gli fece girare la testa. “Ei, io non ho pagato il doppio per averti qui mentre siete chiusi, per ritrovarmi a scopare una bambola!” 
In quel momento Katsuki tornò alla realtà: si accorse del pesante corpo sopra di lui, dell’organo estraneo dentro di sé, del dolore all’addome che da tutto il giorno lo aveva tormentato e che con quei movimenti e la posizione in cui si ritrovava faceva ancora più male. L’uomo teneva ancora fermo il mento con la mano e la stretta era ferrea, quasi come se avesse esercitato un altro po’ di forza gli avrebbe potuto rompere la mandibola. 
Un gemito di dolore sfuggì dalle labbra. Chiuse gli occhi. L’uomo sorrise. “Ecco, continua così. Voglio sentirti.” Aumentò il ritmo dei suoi fianchi, eccitato dai piccoli suoni che Katsuki continuava a lasciarsi sfuggire. 
Gli stava venendo la nausea.
“Basta” mormorò. Aveva le labbra secche, la bocca asciutta. L’uomo non lo sentì. Con uno sforzo immane, mosse le braccia per provare a spingere lontano da sé l’uomo. “Fermo, fermo.” L’uomo sembrò accorgersi che stesse parlando, ma non riusciva a sentirlo. Si chinò su di lui ancora di più per poterlo sentire e Katsuki ne approfittò per mordergli un orecchio con tutta la forza che aveva. 
L'uomo si ritrasse, urlando. Uscì da lui, provocandogli un altro gemito di dolore.
“Che cazzo fai stronzo!”
Katsuki avrebbe voluto spiegarsi, ma apriva la bocca e non riusciva a far uscire la voce. Doveva dirglielo, doveva dirgli che aveva la nausea, che se non aveva notato, aveva un gigantesco livido sull’addome e gli faceva  male. Doveva semplicemente andarci piano. Ma niente di tutto ciò riuscì a lasciare le sue labbra. 
L’uomo lo afferrò per guardarlo in faccia. “Pensi che puoi permetterti di fare queste cose, puttana? Ora non hai più Todoroki a riempirti le tasche, devi lavorare e farlo bene!” 
Cosa credeva quel tipo, che Katsuki non lo sapesse? Era lì, a sopportare quell’uomo proprio per quel motivo. Maledetta Nemuri che li aveva fatti uscire di nascosto per andare a soddisfare le urgenze di quei maiali, che nemmeno l’omicidio di uno della loro cerchi li aveva fermati dal desiderio di ficcare i loro cazzi in qualche buco. 
“Mi stai ascoltando?” 
Uno schiaffo lo colpì in pieno sulla guancia sinistra e una stilettata di dolore lo investì. Si portò una mano allo zigomo e quando la ritrasse la vide sporca di sangue. Guardò l’uomo con occhi spalancati. Questi si guardò la mano con cui lo aveva colpito. Aveva un anello.
Katsuki si ritrasse. Si alzò dal letto e afferrò una vestaglia dell’uomo, che era stata abbandonata sul divanetto della camera quando si erano spostati sul letto. 
“Cosa stai facendo?”
Katsuki non rispose. Aprì la porta e corse fuori. Era certo che l’uomo non lo avrebbe inseguito, non se lo poteva permettere, avrebbe rischiato di venire riconosciuto, tutti avrebbero saputo che uno del suo rango correva dietro a una puttana. 
Lasciò la villa dell’uomo e corse per le strade del quartiere. Non era molto tardi, c’era molta gente per strada. 
Si rifugiò in un vicolo cieco, per riprendere fiato e decidere cosa fare. Avvertì il calore del sangue che continuava a colare liberamente sul suo volto, finendo sul mento e giungendo al petto, tingendo di rosso anche la vestaglia. 
Le gambe tremavano, l’addome gli faceva male. 
Avrebbe dovuto aspettare lì fino a notte inoltrata, forse Madame Kayama avrebbe inviato qualcuno a cercarlo per paura che fosse fuggito e così sarebbe stato trovato. Doveva solo aspettare lì, dubitava che qualcuno si sarebbe avvicinato a quel vicolo. Però…il sangue non si fermava e nonostante non avesse preso l’occhio aveva fastidio quando lo chiudeva. 
“Sei sicuro che non do fastidio?” 
“No, figurati, Shoto ha detto che non ci sono problemi se ci sei pure tu.”
“E Aizawa?”
“Senti, al massimo starai con i fratelli di Shoto mentre noi parliamo. Guarda che va a tuo vantaggio.”
Katsuki conosceva il tipo. Era il tizio di quella mattina, l’amico di Denki che lavorava con la polizia. Aveva un volto buffo con tutte quelle lentiggini e Katsuki si era divertito a prenderlo in giro. Lo aveva guardato con una faccia stralunata e non aveva resistito. Gli era parso così innocente.
Uscì dall’ombra che il vicolo gli aveva regalato e raggiunse i due ragazzi, che avevano da poco superato l’entrata. Allungò un braccio e sfiorò la schiena del ragazzo. Izuku. Sì, si chiamava Izuku, Denki li aveva presentati. Perchè se lo ricordava? Era un’informazione così inutile.
Izuku si girò e spalancò gli occhi quando lo vide. “Kac-”
“Non-non so cosa fare.” Solo il pronunciare quelle parole era stato uno sforzo immane. Aveva sete, gli girava la testa. Le gambe gli cedettero e qualcuno lo sorresse. Alzò la testa e vide dei capelli neri. Non era stato Izuku a prenderlo.
Venne fatto sedere a terra, addosso al muro di un palazzo e i due ragazzi si misero davanti a lui, forse per proteggerlo dagli sguardi incuriositi di qualche passante. 
Vide le labbra di Izuku muoversi, assottigliò gli occhi, come se quel gesto lo potesse aiutare a capire quello che l’altro gli stava dicendo. L’altro ragazzo gli premette un fazzoletto sulla guancia. Gemette di dolore per la piccola stilettata che sentì quando il tessuto fece contatto con la ferita. 
“Dobbiamo portarlo con noi.” Questo lo aveva sentito. Aveva parlato Izuku. Ben presto si ritrovò avvolto da due braccia e la sua testa si posò su un petto caldo. In quel momento avrebbe preferito essere immerso in acqua fredda, ma quella sensazione gli piacque lo stesso. Chiuse gli occhi. Per la prima volta da quando aveva memoria decise di abbandonarsi completamente all’incoscienza. Normalmente non lo avrebbe mai fatto, troppo pericoloso, ma non riuscì a resistere. 
Mentre la mente si iniziava a spegnere lentamente, la terra svanì da sotto di lui e istintivamente si aggrappò al collo di chi lo aveva sollevato.
C’era odore di casa, di sicurezza. Gli venne in mente il profumo del grano, lo stesso che sentiva nei suoi sogni. Una melodia giunse alle sue orecchie, la conosceva. Era la canzone che cantava sempre, però le parole non erano le stesse. Confuso, Katsuki si arrese e perse conoscenza. 

 
***
 
Katsuki capì subito dove si trovava. Aveva frequentato Todoroki Enji fin troppo per non riconoscere l’odore di casa sua. Si girò su un fianco, non gliene fregava niente se quel vecchio lo avrebbe voluto sveglio, aveva sonno e avrebbe continuato a dormire. 
Quando la guancia sinistra toccò il cuscino, però, sentì dolore. Spalancò gli occhi e si mise a sedere di colpo. 
Riconobbe subito il salottino vicino all’ingresso della villa Todoroki, ma non capì perché si trovasse lì. 
Enji era morto. 
Si portò una mano alla guancia e le sue dita toccarono un tessuto ruvido. Un cerotto. Si strinse meglio nella vestaglia che aveva rubato all’uomo da cui era scappato e si alzò. Doveva andare via. 
Si avvicinò alla porta e sentì delle voci che parlavano animatamente. Riconobbe la voce di Todoroki Shoto e del commissario Aizawa, ma ce ne erano altre. 
Non capiva cosa stessero dicendo e nemmeno gli importava in quel momento, lui doveva andarsene. Non avrebbe indugiato nemmeno un secondo di più in quella casa. 
Sapeva di essere al piano terra, così si diresse verso la finestra e l’aprì. Non sapeva per quanto aveva dormito, ma da quanto poteva intravedere da oltre l’inferriata che circondava la casa, le strade dovevano essersi svuotate. Conosceva la strada di ritorno a memoria partendo da lì.
Mise una gamba oltre la finestra e si tirò a sedere sul davanzale. Proprio mentre stava facendo scavalcare anche l’altra gamba la porta si aprì.
“Ma che fai?” 
Katsuki si voltò e guardò il nuovo arrivato con gli occhi spalancati.
Izuku osservò Katsuki dalla soglia della stanza, gli ricordò un gatto, pronto a scappare via non appena lui si fosse mosso. 
Richiamati dalla sua esclamazione anche gli altri giunsero nella stanza. Aizawa borbottò un’imprecazione e, prima che Katsuki potesse rendersene conto, lo sollevò di peso e lo allontanò dalla finestra. 
“Volevi scappare?” 
“Non ho fatto niente!” urlò Katsuki dimenandosi nella presa dell’uomo, che per tutta risposta lo fece cadere sul divano. Katsuki si affrettò a stringersi nella vestaglia, era ben conscio di essere completamente nudo lì sotto e non ci teneva affatto a mostrarsi a tutte quelle persone. 
Il suo sguardo cadde su Izuku e su un ragazzo dai capelli neri. In quel momento ricordò quello che era successo prima che svenisse. Si insultò mentalmente per quel momento di debolezza che lo aveva spinto a chiedere aiuto. Si domandò cosa sarebbe successo se non avesse visto Izuku, forse sarebbe ancora in quel vicolo svenuto o peggio.
“Che cosa è successo?” domandò Aizawa. 
Katsuki si voltò a guardarlo. “Secondo te?” replicò con astio. “Lavoravo.”
Izuku si lasciò sfuggire un verso di sorpresa, ma subito dopo si portò le mani alla bocca imbarazzato. Shoto aggrottò la fronte e Aizawa alzò un sopracciglio. “Ho fatto chiudere temporaneamente il Midnight, perchè sei in giro?”
Katsuki chiuse gli occhi. Aveva fatto una cazzata. Tecnicamente non era colpa sua, come avrebbe potuto immaginare che quell’idiota dai capelli verdi lo avrebbe portato a casa di Todoroki e che per giunta ci avrebbe trovato proprio il commissario.
Preferì non rispondere. 
“Allora?” insistette il commissario. 
Katsuki rimase in silenzio. Portò al petto le ginocchia e le abbracciò. Guardò la stanza, senza soffermarsi su nessun volto in particolare. A Enji piaceva quella stanza, dopo il suo studio e le camera da letto, quella stanza era un altro dei posti che l’uomo più preferiva. I figli e la moglie non avevano mai sospettato nulla, Katsuki non li aveva mai incrociati per caso quando Enji lo portava a casa. I domestici, però, sapevano tutto. Si sfiorò il cerotto. Forse era stato proprio uno di loro a medicarlo. Gli facevano schifo.
“Fermo.”
Una mano gli afferrò dolcemente il polso, fermando il movimento della mano. Katsuki si accorse che si era distratto nei suoi pensieri per tutto quel tempo. Mise a fuoco la vista e vide che Izuku si era seduto accanto a lui e gli aveva appena impedito di togliersi il cerotto.
“Non rovinare il lavoro egregio che ho fatto” disse Izuku con tono scherzoso. 
Quindi era stato lui a medicarlo, non uno dei domestici. Si rilassò e lasciò che Izuku gli abbassasse il braccio. 
“Posso andare a casa?” domandò. 
“Prima dimmi che cosa ti è successo,” insistette Aizawa. 
Katsuki sbuffò. “Non lo vedi?” esclamò indicandosi la faccia. “Madame Kayama ci ha mandati a domicilio.” Scoppiò a ridere. “Mera merce” borbottò a mezza voce scuotendo la testa e continuando a ridere.  
“E sei stato picchiato?” 
Alzò le spalle. “è stato un errore.” Katsuki si premurò di non specificare che l’errore era stato il suo, avrebbe dovuto starsene buono, fare quello che l’uomo gli aveva richiesto e prendersi i soldi. 
Pensò a quanto aveva perso con la morte di Enji. 
Quanto era stato stupido. 
“Andremo insieme.” 
Katsuki alzò la testa verso Aizawa, pensò di aver capito male. “Cosa?”
“Andremo insieme e parlerò con Madame Kayama.”
“Non puoi!”
“Sì, devo. Non dovrebbe mandarvi in giro. Se ho fatto chiudere il Midnight c’è un motivo.”
“Pensate che potrebbe essere uno di noi l’assassino?” 
“Sì, come anche qualcuno dei clienti. Se l’assassino è tra di loro, chi vi dice che non potrebbe decidere di ammazzare anche uno di voi?”
Katsuki pensò al corpo di Enji senza vita sul suo letto, ricoperto di sangue e con gli occhi spalancati. Ebbe un capogiro e chiuse per un attimo gli occhi.
Izuku, ancora vicino a lui, gli mise una mano sulla schiena in segno di conforto. Katsuki ne fu confuso, quel ragazzo lo stava trattando come se fosse il suo migliore amico. Tutta quella gentilezza da parte di uno sconosciuto era strana. Quella mattina lo aveva trattato male, si era preso gioco di lui e Izuku era lì a massaggiargli la schiena mentre lui si sentiva male. O forse era lui che non era abituato alla gente che agiva per il bene altrui senza un vero scopo? Impossibile, però, avevano tutti uno scopo. 
Si domandò cosa avrebbe fatto se avesse espresso il desiderio di non tornare. Avrebbe litigato con il commissario per non farlo andare al Midnight? Ovviamente quella sarebbe solo rimasta una domanda senza risposta, Katsuki sapeva che gli uomini di Madame Kayama lo avrebbero trovato subito.
Inoltre, doveva ricordarsi che Aizawa non solo era un figlio di nobili come Shoto, ma era anche della polizia e Katsuki sapeva bene che proprio il capo del commissario era un assiduo cliente del bordello. 
Si alzò. “Andiamo.”
I presenti rimasero sorpresi da quell’improvvisa decisione, non essendo al corrente del ragionamento mentale che Katsuki si era fatto nel suo silenzio. 
Aizawa lo seguì e stupendo Katsuki, domandò a Izuku di venire con lui. 
Katsuki si domandò che razza di lavoro facesse quel ragazzo. 
Shoto prestò l’auto ad Aizawa, Izuku e Katsuki e così andarono al Midnight. Katsuki non fiatò per tutto il breve tragitto, fissava fuori dal finestrino le strade ora deserte dal suo posto anteriore. 
Quando la macchina si fermò davanti al portone del Midnight, Katsuki si sentì mancare il fiato. Mentre il commissario scendeva e Izuku, già sceso, gli apriva la portiera, Katsuki non riuscì a muoversi. I piedi erano piantati al pavimento dell’automobile, le gambe chiuse, come se in quella posa sarebbe potuto diventare un tutt’uno con il sedile. 
Izuku gli sfiorò una spalla e lui sobbalzò. Si girò per guardare il ragazzo, che gli stava sorridendo incoraggiante, ma Katsuki sapeva riconoscere un sorriso falso quando ne vedeva uno. Quella realizzazione gli fece montare una rabbia improvvisa. Schiaffeggiò la mano e uscì dall’auto. Marciò verso il portone del bordello e suono il campanello ripetutamente. 
Ad aprire fu uno dei domestici, che lo guardò con la solita espressione impassibile. “Vado a chiamare Madame Kayama.”
L’uomo sparì e Katsuki entrò, seguito subito dopo da Izuku e Aizawa. 
Nemmeno una manciata di secondi dopo Madame Kayama apparve in cima alle scale, che scese quasi di corsa. 
“Commissario, a cosa devo la vostra visita a quest’ora?”
“Madame, voi sapete che questo posto è chiuso?” ribatté Aizawa con voce dura. Nemuri si bloccò e lo guardò perplessa. “Certo, perché?"
“Con chiuso, si intende che nessuna attività deve essere esercitata, quindi non potete mandare i vostri prostituti a casa dei clienti.”
Madame Kayama guardò Katsuki, che non ricambiò lo sguardo. La donna non gli disse niente, mise su un sorriso falso che rivolse al commissario. “Allora, forse dovevate specificarlo.”
Aizawa prese un profondo respiro, chiamando a sé tutta la pazienza di cui era capace. “Bene, allora, ora che lo sapete evitate di mettere a rischio i vostri ragazzi e ragazze e anche i vostri clienti. O potremmo avere un secondo omicidio su cui indagare.”
Madame Kayama assentì e congedò lui e Izuku con tono mieloso, servizievole. 
Dalla soglia d’entrata, su cui erano stati gentilmente sospinti dalla donna, Izuku guardò Katsuki e lo sorprese a fissarlo. Aveva la faccia sbattuta, pallida, il cerotto bianco quasi si confondeva con la pelle. Sotto gli occhi aveva profonde occhiaie scure. Izuku pensò a quando gli era svenuto tra le braccia, a come si era aggrappato a lui cercando conforto. Avrebbe voluto così tanto afferrarlo e portarlo via con sé. Era certo che quel ragazzo, che nonostante tutto continuava a mostrarsi forte, era il suo amico d’infanzia. E Izuku avrebbe fatto di tutto per portarlo via da quel miserabile posto. 
Con un ultimo saluto Madame Kayama sbatté loro la porta in faccia. 
Quando Madame Kayama vide dalla finestra che la macchina si allontanava, si voltò verso Katsuki e lo raggiunse. Senza che il ragazzo avesse l’opportunità per dire anche una sola parola, Nemuri gli tirò uno schiaffo sulla stessa guancia già colpita. 
Katsuki barcollò, ma riuscì a mantenersi in piedi, e si portò una mano alla guancia bruciante.
“Ti è andato di volta il cervello?” tuonò Madame Kayama. “Sei andato alla polizia? Che cosa gli hai detto?”
Katsuki scosse la testa e provò a fare un passo indietro ma la donna lo afferrò per un polso, attirandolo vicino a lei. “N-no, non sono andato da nessuno.”
“E allora perché sei tornato con Aizawa?”
“é stato un caso, lo giuro.”
Madame Kayama si lasciò sfuggire una risata. “Sì, certo, un caso.”
“è vero!”
“Perché te ne sei andato da casa, eh? Stavi lavorando e sei scappato.”
Katsuki guardò la donna negli occhi. “Stavo male” mormorò.
Per tutta risposta ricevette uno schiaffo sulla testa. “Questo non giustifica la tua fuga! Sei una puttana e devi fare la puttana, hai capito?” La donna continuò a colpirlo e Katsuki si dimenò dalla sua presa, riuscendo a liberarsi, ma cascò a terra. Ora, Nemuri torreggiava su di lui con aria minacciosa. Dalla tasca della gonna tirò fuori una busta. “Sei fortunato che quell’uomo è un idiota. Ha mandato le sue scuse, mpf, pensa di essere nel torto per un taglio che ti ha fatto sul volto, e ha pagato la quota completa.”
Katsuki allungò una mano verso la busta, ma Madame Kayama lo allontanò da lui. Ridacchiò. “Oh no tesoro, questi sono miei. Come punizione per la tua avventura con la polizia non vedrai nemmeno un centesimo di questa notte.”
Non gli permise di dire niente, Nemuri se ne andò, lasciando Katsuki da solo. 
Il ragazzo rimase a lungo seduto per terra a fissare il punto vuoto davanti a sé, che poco prima era stato occupato da Madame Kayama. Decise di alzarsi e lentamente salì le scale. Camminò in automatico fino alla stanza di Denki, che da quando la sua era diventata la scena del crimine, lo stava ospitando. C’erano anche altre stanze vuote che Katsuki avrebbe potuto occupare, ma non se la sentiva di dormire da solo. La presenza del suo amico era rassicurante. 
Il dolore lo attraversava per tutto il corpo, non c’era un punto che non gli facesse male e l’animo non era messo meglio. Era distrutto. Era dalla sera prima che era distrutto. 
Si avvicinò alla finestra e la spalancò. Si aggrappò alle sbarre di ferro, che gli impedivano di sporgersi. Erano lì per impedire loro di fare qualche pazzia, dato un lontano precedente, ma in quel modo la sensazione di essere in una prigione era ancora più vivida. Guardò fuori, la mente era completamente spenta. Cosa avrebbe fatto se quelle sbarre non ci fossero state? 
Dietro di lui la porta si aprì ed entrò Denki. Katsuki non aveva fatto caso che la camera era vuota quando era entrato. 
“Oh, Kat! Sei tornato.” Denki si rese conto della posizione in cui stava l’amico. Corse da lui e lo abbracciò da dietro, poi allungò una mano per poggiarla su quella di Katsuki posta su una sbarra di ferro e gliela fece staccare lentamente. “No, no, non pensarci” mormorò. 
A quel puntò un singhiozzo riempì il silenzio della stanza. “Non ce la faccio.” E con quella frase detta con voce rotta, Katsuki scoppiò a piangere. 
Denki lo sorresse e piano piano lo fece allontanare dalla finestra. “Ssh, ssh, andrà tutto bene.”
Katsuki scosse la testa con forza. “No, non andrà mai bene! Non fin quando siamo ancora qui! E saremo sempre qui!”
Denki non sapeva che dire, perché lo capiva e sapeva che non c’erano parole di rassicurazione per chi stava nella loro situazione. Gli baciò le guance con tenerezza per asciugare le lacrime. Lo fissò da capo a piedi: un cerotto e un’impronta rossa sulla guancia sinistra, una vestaglia forse troppo grande per il suo fisico e i piedi scalzi. “Sai che ti dico? Chiamiamo Ochako, ci facciamo portare dell’acqua e del ghiaccio, mentre intanto noi ti prepariamo un bagno caldo, ti va?”
Katsuki annuì tra le lacrime e Denki lo abbracciò. Gli accarezzò la testa. 
Trascinandosi Katsuki per i corridoi Denki andò in camera di Ochako, ben consapevole di trovarla sveglia, dato che era stato con lei fino a poco prima. E così i due si prodigarono per rimettere in sesto Katsuki. Lo lavarono con attenzione, gli poggiarono il ghiaccio sulla guancia e Ochako lodò la perfezione con cui era stato messo il ceretto. Katsuki borbottò che era stato quel ragazzo strano, Izuku, e Denki si illuminò. “Oh allora è davvero un bravo ragazzo! Domani vuoi venire con me al bar a vedere Tenko lavorare? Forse lo troviamo.”
Katsuki non rispose, nascose la testa dietro le ginocchia. Non voleva far vedere che quella proposta gli aveva fatto affiorare un piccolo sorriso sulle labbra. 
Dopo il bagno e essersi asciugato, Katsuki si infilò dei pantaloni per dormire, sia lui che Denki ringraziarono e salutarono Ochako e poi tornarono nella loro stanza.
Si misero a letto e Denki abbracciò Katsuki da dietro, stringendolo a sé con fare protettivo. “Ho avuto paura ti fosse successo qualcosa di grave. Che non saresti più tornato.”
“Ho rischiato, ma è apparso Izuku con un suo amico.”
“Oh, Eijirou forse.”
“Non lo so. Mi hanno portato dai Todoroki.”
“Ah.” Denki lo abbracciò ancora più stretto.
“Per un momento ho dimenticato tutto. Pensavo che fossi lì per lui, che fosse ancora vivo.”
Denki sospirò. “Ora dormi, Kat. Non pensarci. Pensiamo a qualcosa che ci renda felici.”
Katsuki avrebbe voluto ribattere che non aveva niente a cui pensare, non aveva mai avuto pensieri felici, però, non appena Denki ebbe finito di parlare e Katsuki lo sentì rilassarsi addosso a lui, l’immagine di Izuku gli venne in mente. Pensò a Izuku nel campo di grano che spesso sognava. Il simbolo di libertà e pace che Katsuki anelava da quando aveva memoria. Non aveva mai visto un campo di grano, così giallo e illuminato dal sole, eppure gli appariva in sogno quando gli incubi lo lasciavano stare. E ora si era aggiunta anche l’immagine di Izuku, un ragazzo che Katsuki nemmeno conosceva davvero. Chiuse gli occhi, si concentrò su quel pensiero pacifico. Izuku correva e lo guardava. 
 
"Vieni Kacchan! Torniamo a casa!”

 
***
 
Quando Izuku e Aizawa se ne erano andati con Katsuki, Eijioru rimase da solo con Shoto. La famiglia Todoroki si era ritirata già da tempo, da quando avevano assicurato che Katsuki stava bene e che a breve si sarebbe sicuramente risvegliato.
“Dovrei dirlo alla mia famiglia?” L’improvvisa domanda di Shoto riscosse Eijirou dai suoi pensieri.
“Come?”
“Di mio padre e Katsuki.”
“Oh. N-non lo so.”
“Non si ricordano di averlo già visto in un’altra veste proprio in questa casa.”
“Forse prima è meglio capire cosa è successo.”
Shoto ci rifletté, poi annuì. “Hai ragione. Vuoi sederti?” Si avviò verso un’altra parte della casa, un’altra stanza, molto più ricca del piccolo salotto in cui avevano fatto stendere Katsuki. Shoto prese posto sul divano e indicò a Eijirou di sedersi dove volesse.
Intimidito e agitato Eijirou prese posto accanto a Shoto. Forse aveva sbagliato, forse si sarebbe dovuto sedere su una delle poltroncine, o meglio, sulla sedia posta dalla parte opposta della stanza. 
Shoto, però, sembrò contento della vicinanza o almeno questo era ciò che sperò Eijirou.
Tra i due era calato il silenzio, Eijirou non sapeva bene che dire, aveva paura che se apriva bocca avrebbe spento il cervello e avrebbe dato semplicemente il via libera a una marea di stupidaggini. Mentre si arrolleva il cervello per capire cosa dire, sentì dei singhiozzi. Piccoli, leggeri. Se non fosse stato per il completo silenzio in cui si trovavano i due ragazzi Eijirou non li avrebbe sentiti. Si girò di scatto verso Shoto. Il ragazzo stava davvero singhiozzando, con una mano davanti alla bocca per evitare di fare troppo rumore. L’intero corpo stava tremando. 
“C-che succede?” esclamò Eijirou allarmato. 
Shoto tolse la mano dalla bocca e con l’altra provò ad asciugarsi gli occhi. “S-scusa, i-io,” venne interrotto da un ennesimo singhiozzo e questa volta il pianto fu forte, invase completamente la stanza.
“Ok, ok, va tutto bene.” Eijirou non sapeva bene cosa stesse facendo, ma l’altro ragazzo stava piangendo così tanto che sembrava stesse faticando a respirare. “Non devi spiegarti” continuò Eijirou. “Sfogati e basta.”
E Shoto fece come gli aveva detto, ma quello che stupì di più Eijirou, fu che si ritrovò coinvolto in un abbraccio, mentre Shoto gli piangeva disperato sulla spalla. Eijirou provò a rassicurarlo dandogli leggeri colpetti sulla schiena. 
Restarono in quella posizione fino a quando Shoto non si calmò. Ruppero l’abbraccio e Shoto cercò nella tasca dei suoi pantaloni un fazzoletto. “Scusa” mormorò, mentre si asciugava il viso. Si soffiò il naso, cercando di farlo nella maniera più silenziosa possibile e questo fece sorridere Eijirou. Quel ragazzo cercava sempre di restare composto, anche dopo aver passato almeno cinque minuti buoni a piangergli addosso. 
“Non ti devi scusare, stai passando un brutto momento.”
“è tutto così troppo! E la cosa che meno mi ha colpito è la morte di mio padre, cioè, mi ha colpito, ma non per le motivazioni che tutti penserebbero.”
Shoto si girò verso Eijirou e lo guardò negli occhi. “Ho sperato molte volte che morisse, ma non ho mai pensato che sarebbe potuto succedere davvero.”
Eijirou rimase sorpreso. Conosceva la storia di Shoto, Izuku gli aveva raccontato tutto, ma sentire quelle parole lo aveva comunque stupito.
“Lo so, ora pensi che sono una persona orribile, ma la sua presenza nella mia vita era così soffocante e nociva. Nemmeno vivere lontano dal suo tetto e lavorando mi ha aiutato. In realtà, nemmeno ora che l’ho visto morto mi sento libero da lui.”
“Forse non dovresti lavorare a questo caso, penso che Aizawa ti lascerebbe fuori se glielo chiedi.”
Shoto scosse la testa. “Shouta me lo ha già detto, ma mi sono opposto.”
Eijirou spalancò gli occhi. “Perché?”
“Mio padre incombe ancora su tutti noi e poi non posso fare a meno di pensare a quello che ha fatto con Katsuki. Io conoscevo bene mio padre, alzava le mani su di noi, i suoi figli, sua moglie…secondo te non lo ha fatto anche su un ragazzo che si portava a letto?”
“Tu lo stai facendo per Katsuki?”
“Per tutti coloro che si trovano in quel bordello. Hai sentito cosa ha detto Shouta, Katsuki è sicuramente il bambino del suo vecchio caso, l’amico di Izuku. La foto nel fascicolo l’hai vista anche tu e ci assomiglia terribilmente.”
Eijirou annuì. Mentre Katsuki dormiva nel salottino, Aizawa aveva mostrato il fascicolo che aveva preso dalla centrale di polizia della cittadina vicino al paese suo e di Izuku. Il commissario gli aveva permesso di restare e così anche lui aveva potuto vedere la foto del piccolo Bakugou Katsuki: una foto consunta, in bianco e nero, che mostrava un bambino imbronciato dai capelli chiari. Se si univa quella vaga somiglianza a tanti altri punti comuni con il Katsuki del Midnight, la possibilità che fossero la stessa persona era più che certa. 
“Quei ragazzi hanno passato l’inferno e non so cosa li aspetta una volta che non saranno più utili al bordello” proseguì Shoto. “Indagare sull’omicidio di mio padre ci permetterà di aprire il caso di Katsuki e arrivare a ciò che gira intorno al bordello.”
“Ma siete certi che questo non vi porterà dei guai?” Eijirou notò come Shoto si fosse stranito e lo stesse guardando come se Eijirou gli avesse appena detto che in realtà suo padre aveva fatto anche del bene. “No, non hai capito. Intendo che a gestire i bordelli di questa città, soprattutto quelli come il Midnight ci sono persone protette e finanziate dallo stesso governo. Come sarà possibile fermare tutto questo? Anche se salvi i ragazzi del Midnight che ne sarà degli altri? E di quelli che verranno? Chiudi un bordello e stai pur certo che ne verrà aperto un altro.”
“Lo so!” L’urlo di Shoto zittì subito Eijirou. “Scusa” disse a voce più bassa. “Aizawa non ha intenzione di fare il paladino della giustizia” proseguì. “Lo sa che è impossibile. I miei sono solo sogni impossibili. Mi sento così impotente.”
Eijirou gli poggiò una mano sulla spalla. “Lo so, è una situazione davvero brutta.”
Shoto annuì, “ma voglio fare almeno quello che è in mio potere.”
“Come aiutare Katsuki.”
“Sì, Izuku è la sua famiglia e ha una casa che lo sta aspettando. Merita di tornare dai suoi genitori. Inoltre, essendo il figlio dell’uomo che- dio non riesco a pensarci…insomma voglio fare qualcosa per lui.”
“Faremo il possibile! Tutti!” Shoto gli regalò un piccolo sorriso ed Eijirou si sentì il cuore sciogliere. I sorrisi di Shoto erano così rari e essere riuscito a tirargliene uno fuori dopo aver pianto fu davvero speciale per lui. 
In quel momento tornarono Aizawa e Izuku. Sentirono la macchina fermarsi fuori. Eijirou si alzò. “Credo che sia il caso di tornare a casa per me.”
Shoto si alzò a sua volta. “Chiamo l’autista, così vi porta a casa.”
“Non ce n’è bisogno.”
“è tardi. Lo chiamo.”
Eijirou sorrise e lo ringraziò. Osservò la figura di Shoto avviarsi fuori la stanza, si soffermò sulle spalle larghe e sui fianchi stretti del ragazzo. “Daì Eiji, riprenditi!”

Note pt2: E fine anche di questo cap!
Allora io in realtà non odio né Midnight né Enji, voglio ribadirlo perché sennò sembra che sto usando questa fic solo per gettare il mio odio sui personaggi, bé non è così T-T 
Anche perché soprattutto il personaggi di Enji, che ok non piace a molti, però non è come lo descrivo qui, quindi ci tengo a dire che è tutto in funzione della trama che ho in testa

Con questo vi saluto, al prossimo capitolo! E grazie a voi che state leggendo! <3 <3
   
 
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