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Autore: _the_unforgiven_    16/08/2023    2 recensioni
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Brevissimi frammenti sparsi, scritti dopo la seconda stagione di Good Omens.
Cercando di trovare un senso.
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SPOILER per la seconda stagione, naturalmente.
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Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Aziraphale/Azraphel, Crowley
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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In retrospettiva, avrebbe dovuto aspettarsi di trovare Aziraphale nel centro dei singolari eventi di quella primavera.

Crowley, che in quel momento si trovava a Roma, aveva cominciato ad interessarsi alla vicenda per via degli accenni sempre più fitti che comparivano fra la corrispondenza vaticana.

(La visita agli archivi della cancelleria papale era per Crowley una tappa fissa nelle occupazioni della settimana: ne usciva portandosi dietro pacchi di lettere provenienti da ogni angolo del mondo, che poi sfogliava pigramente stravaccato in riva al Tevere, sorbendo vino all'ombra dei platani. All'epoca, rappresentavano la sua fonte preferita per comporre i rapporti da inoltrare Di Sotto, nonché per i pettegolezzi).

Lungi dall'interessare solo le segreterie di corte, però, la storia della ragazzina che in nome di Dio aveva preso le armi per il Re di Francia accendeva la fantasia di tutti; voci sempre più inverosimili si rincorrevano nelle osterie e sui sagrati, fra i monelli nei vicoli e le donne nei mercati.

"Una pischella a comandare l'esercito. Ha! Se butta male, dal re ci mando mi' socera!"

"C'è poco da ridere. Un fatto del genere, contro la legge, contro il buonsenso e la consuetudine fomenterà ribellione e caos. Se davvero la manda Dio, è per punire l'arroganza dei Francesi."

"Eppure l'hanno interrogata, sai? Esaminata e messa alla prova in tutti i modi, e non gli è riuscito di prenderla in castagna."

"Avrà un diavoletto a bisbigliarle all'orecchio."

"Quella povera famiglia. Che vergogna. Dicono che si è tagliata i capelli, che racconta di parlare con gli angeli."

In capo a un paio di settimane, Crowley aveva ceduto alla curiosità ed era partito alla volta del regno di Francia.
O di quel che ne restava.

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Da quando Crowley aveva messo piede in territorio francese, le voci, anziché quietarsi, erano aumentate; e per quanto si affrettasse verso Nord, gli eventi sembravano susseguirsi più veloci di quanto fosse possibile raccontarli.

La fanciulla conduceva l'esercito verso la città assediata di Orléans, no, l'aveva liberata; era stata trapassata da una freccia, no, era sopravvissuta a un colpo mortale a Jargeau e già guidava l'avanzata su Beaugency, sventolando lo stendardo bianco come un vessillo angelico.
Era un'adolescente esile come un giunco, portava le armi e cavalcava come un soldato; era una contadina ignorante, teneva testa ai teologi perché Dio ha un libro che nessun dotto ha mai letto; brandiva la spada, non aveva mai versato sangue, piangeva confortando i nemici morenti, scriveva al re d'Inghilterra lettere di fuoco.

Quando finalmente raggiunse l'esercito accampato, Crowley aveva pressoché la certezza di trovarci il proprio nemico ereditario.

Si trattava dell'accampamento militare più bizzarro del mondo, pieno di donne con i bambini in collo e risuonante di inni sacri; nell'aria aleggiava una tale devozione che Crowley quasi ne aveva l'orticaria.

Ed eccolo lì Aziraphale, mescolato al nugolo di ecclesiastici che accompagnavano la Pucelle come un coro angelico. Portava un saio monacale; ma in mezzo a tante figure identiche spiccava l'aureola dei suoi capelli impossibilmente biondi, illuminata dal sole radente del tramonto.

Crowley aveva appena posato gli occhi su di lui che Aziraphale alzò lo sguardo a propria volta, come si fosse sentito chiamare; e nel vedere il demone il suo viso si illuminò.

Gli corse incontro con tale slancio che Crowley si fermò, confuso, sui propri passi.

"Non posso crederci, stavo pensando a te," rise l'angelo senza fiato, appena lo raggiunse; e gli occhi gli brillavano di una tale luce che, per un momento, anche il respiro di Crowley inciampò in un improvviso affanno.

Durò appena un istante, prima che Aziraphale abbassasse lo sguardo, nascondendo le mani nel saio.
"Naturalmente," proseguì, rivolgendo a Crowley un sorriso più misurato e tinto da un leggero imbarazzo, "immagino che avrai i tuoi motivi per essere venuto fin qui."

Crowley si riscosse e farfugliò qualcosa di indistinto, prima di riuscire ad articolare, "No! No; pura, oziosa curiosità. Nessun obiettivo particolare."

Qualcosa di simile al sollievo rischiarò di nuovo il viso di Aziraphale. "Oh. In questo caso." Mosse una mano verso gli attendamenti poco lontani. "Ho una piccola ma gradevolissima scorta di vino della zona da farti assaggiare, mentre ti aggiorno sui fatti."

"...quando la metti così, angelo," rispose Crowley, raffazzonando un sorriso.

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L'intuizione di Crowley si rivelò corretta: Aziraphale non era stato un semplice testimone degli avvenimenti, ma aveva accompagnato Jeanne fin da quando era bambina.

Davanti alla corte come sul campo di battaglia l'aveva protetta come una chioccia i suoi pulcini, e ora ne parlava con l'orgoglio entusiasta di un insegnante per l'allievo favorito.

"Non vedevo tanta audacia dai tempi di Alessandro il Grande, una fede così ardente dalla morte di Caterina," disse animatamente, tornando a riempire il bicchiere di Crowley.

Parlavano ormai da ore, ma Aziraphale era così di buonumore che non permetteva alla bottiglia di vuotarsi.

"Ed è anche spiritosa, sai? Brillante e vispa come una gazza."

"E pestifera. Non è scappata di casa?" fece Crowley alzando un sopracciglio.

"Molte volte!" rise Aziraphale. "Ha anche schiacciato in tribunale il malcapitato che voleva sposarla. Trova sempre il modo di fare le cose a modo suo."

"Ti sei proprio innamorato, Aziraphale," ridacchiò Crowley sotto i baffi; l'angelo gli gettò un'occhiata in cui un sorriso si mascherava da indulgente rimprovero.
Scosse la testa, considerando il fondo del proprio bicchiere.

"Oh, è testarda, e curiosa. E ha una certa lingua affilata..! Mi ricorda così tanto..." Si interruppe, alzando su Crowley i grandi occhi chiari. "Mi è molto cara," disse piano.

Per un breve momento, Crowley non riuscì a rispondere. Poi il senso lieve di turbamento prese una sfumatura più amara.

"Aziraphale," disse a voce bassa, "sai che il mondo non è gentile con chi fa di testa propria."

Lo sguardo di Aziraphale si soffuse di una luce più dolce e più dolorosa allo stesso tempo.

"Oh, Crowley," sospirò; e il demone non riuscì a capire se per rimprovero, rassegnazione o rimpianto. "Lo so," proseguì Aziraphale, tornando a sedere con più compostezza. "Ma questa volta sarà diverso. Dio l'ha chiamata. Dio la proteggerà."

"Se lo dici tu, angelo, sarà vero," mormorò Crowley, senza però riuscire a guardarlo in viso.

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Un'altra cosa che, in retrospettiva, Crowley avrebbe dovuto immaginare era che si sarebbe lasciato trascinare da Aziraphale nel mezzo di tutto quel nonsense guerresco.

Non c'era una singola buona ragione per trovarsi nel bosco nel freddo umido dell'alba, con le ginocchia nella terra ed ogni speranza di mimetizzarsi annullata dalla strenua opposizione del biancospino sotto cui era nascosto. L'albero gli aveva conficcato le proprie spine ovunque e ora rifiutava di lasciarlo andare senza combattere.

La squadra di esploratori francesi lo oltrepassò lanciandogli occhiate in tralice, prima di scomparire alla vista scivolando silenziosamente nel sottobosco. Erano in cerca di un qualsiasi segnale che rivelasse la posizione dell'accampamento inglese; l'armata di Jeanne aveva bisogno di un vantaggio, e in fretta.

Crowley imprecò sottovoce, dando uno strattone che fece fremere l'intera pianta fino alla cima; quando riuscì finalmente a estrarsi dalla spinosa stretta del biancospino, trovò che gli esploratori lo avevano distanziato, che l'alba era ormai prossima, e che nella radura ammantata di foschia aveva fatto la sua apparizione un cervo dai palchi enormi, che lo studiava ruminando altezzoso.

"Che c'è?" sbottò Crowley, spazzando via le foglie che gli si erano impigliate fra i capelli. "Se fossero fatti per strisciare, questi corpi non avrebbero le gambe."

Un sonoro clack dalle sue articolazioni inferiori gli fece sibilare fra i denti un'imprecazione particolarmente colorita; il cervo continuò a osservarlo, senza apparire particolarmente impressionato.

"Oh, non fare il gradasso solo perché non hai le ginocchia, tu," borbottò Crowley.

I cervi hanno le ginocchia? si chiese poi mentre annusava nervosamente l'aria cercando di rintracciare i soldati francesi.
Se le avevano, allora erano montate al contrario.
No, dovevano avere le ginocchia; altrimenti come avrebbero fatto a correre?

"Oh!"

Crowley fu solleticato da un'idea improvvisa.
Un largo sorriso gli scoprì i denti.

"Di' un po'," si rivolse al cervo, "avresti voglia di farti due risate?"

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La battaglia di Patay fu la prima combattuta in campo aperto dall'esercito di Jeanne e fu coronata da una clamorosa vittoria.

Fu anche caratterizzata da una incredibile concatenazione di casi fortuiti, a partire da quando i soldati inglesi rivelarono le proprie posizioni per gettarsi all'inseguimento di un cervo che passò correndo nei pressi del loro accampamento.

Scoperta la posizione del nemico, l'esercito francese poté attaccare prima che gli Inglesi avessero avuto il tempo di erigere le palizzate difensive e schierare i micidiali arcieri.

Da lì in poi, i soldati inglesi furono vittime di una tale sequela di errori, malintesi e fatali coincidenze che nessuno dubitò che Dio stesso avesse posato la propria mano sul Re di Francia, e che avesse preso la forma gentile di una mano di fanciulla.

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Un mese dopo, la città di Reims divenne per un giorno il centro dell'universo.

Nel sole sfolgorante di luglio, fra una folla oceanica giunta da tutto il Paese in un delirio di gioia, nel mezzo del risuonare a stormo delle campane della cattedrale cui fecero eco tutte le chiese dei dintorni, Carlo VII fu finalmente incoronato Re di Francia, sotto lo sguardo (presunto) di Dio e quello (reale e commosso) di Jeanne la Pucelle.

Naturalmente, Crowley non poté entrare nella cattedrale per assistere alla cerimonia.
Mentre se ne stava a braccia conserte all'ombra di un vicolo nelle vicinanze, si disse che non gli importava affatto.
L'intera messinscena durava da ore, anticipata da un corteo senza fine di dame e cavalieri che pareva la cornice miniata di un libro d'ore; da dentro la chiesa provenivano musica e squilli di trombe; sembrava che dal cielo piovessero fiori.

Ah, al diavolo.
Crowley si decise a staccarsi dal muro, per andare alla ricerca di una bettola qualsiasi in cui si servisse vino fresco; ma era appena uscito dal vicolo che Aziraphale gli piombò quasi fra le braccia.

"Eccoti!" rise, splendente come il sole del mattino sui tetti di Reims, prendendo di slancio le mani di Crowley fra le proprie; e Crowley si trovò ad afferrarle senza volerlo, sperando che il tremito che gli attraversò i polsi restasse inosservato.

"Là ne avranno ancora per un pezzo," disse Aziraphale accennando con il capo alla cattedrale, "una cosa magnifica, dozzine di musici e cantori, cento stendardi, e così tanta gente che i padri tengono i bambini sulle spalle per permettere loro di vedere - "

"Mgf. Già," borbottò Crowley, senza osare muovere un muscolo. "Ma, uhm, così non ti perderai i festeggiamenti, angelo?"

"Non mi sembra festa, se non ci sei tu," fu la risposta leggera di Aziraphale, e il petto di Crowley fece qualcosa come un'ostrica che venga aperta da dita golose.

Annaspò un istante, prima di farfugliare, "Stavo andando - verresti a bere qualcosa?"
Non osò aggiungere con me, perché le sue mani erano ancora in quelle di Aziraphale ed era già un grave sforzo non stringerle più di così, non muovere le dita per imprimersene tutti i particolari nella memoria.

Aziraphale aveva sorriso; ed erano sfuggiti insieme alla calca e al sole cocente per rimanere insieme fino all'alba del giorno dopo, a bere e ridere e parlare.
Aziraphale era così raggiante da dimenticare ogni prudenza e ogni timore; gli sedeva così vicino che Crowley poteva sentire l'odore della sua pelle, mescolato a quello dell'incenso e della polvere; e guardava il demone di sotto in su con occhi luminosi, che restavano in quelli di Crowley senza fuggire.

E Crowley aveva dimenticato cosa di preciso si fossero detti, mentre non riusciva a staccare lo sguardo da Aziraphale e si lasciava ubriacare dal vino, dalla vicinanza dell'angelo e dall'afflato di inusitata speranza che si era impadronito di entrambi: la sensazione eccitante che tutto fosse possibile, in un mondo che sembrava pronto a cambiare in un solo colpo d'ala, ad aprirsi oltre il velo squarciato da una sola anima ribelle.

°°°

Alcuni mesi dopo l'incoronazione di Reims, quando ormai le cose sembravano volgere al meglio per il regno di Francia, Aziraphale aveva ricevuto l'ordine di trasferirsi in Medio Oriente.

Solo a quel punto anche Crowley smise di indugiare in territorio francese; aveva la vaga idea di trascorrere qualche tempo vagabondando fra le isole greche, al calore del Mediterraneo.

La notizia lo raggiunse troppo tardi, e troppo lontano.

Quando arrivò a Rouen ormai tutto si era compiuto da tempo.
Tuttavia era certo che, anche questa volta, avrebbe incontrato Aziraphale.

Non osò pensare che l'angelo lo stesse aspettando; ma quando Crowley lo trovò, assorto a guardare l'orizzonte dall'alto delle mura cittadine, il suo sguardo sperduto si aggrappò a quello del demone con desolato abbandono.

Crowley gli si avvicinò in silenzio, restando al suo fianco mentre senza parlare guardavano rincorrersi nuvole lontane.

"...Non aveva ancora compiuto vent'anni," mormorò infine Aziraphale, senza staccare lo sguardo dall'orizzonte.

La sua voce non tradiva alcuna emozione; ma a Crowley non sfuggì la stretta troppo immobile, quasi spasmodica, delle sue mani allacciate in grembo, le spalle incurvate come sotto una pioggia battente.

"Mi dispiace, Aziraphale," mormorò Crowley. Un'impotenza amara gli legava la voce.

Aziraphale era pallido contro il cielo grigio. "Continuo a pensare..." Lasciò morire la frase, stringendo le labbra, come se le parole gli sfuggissero e non gli riuscisse di raggiungerle.
Levò in alto uno sguardo inquieto, come spiando l'arrivo di una tempesta. "...ci dev'essere qualcosa che non riesco a capire," disse, tornando finalmente a guardare Crowley in viso.

Così smarrito e fragile, sembrava allo stesso tempo troppo giovane e troppo vecchio. 
"...deve esserci un errore," mormorò come una supplica, come un'accusa, "di sicuro devo aver sbagliato-"

"Non è stata colpa tua," sibilò Crowley scattandogli vicino, nel disperato impulso di gettarsi fra lui e il cielo, di fargli da scudo, di forzare la morsa di quella pena come le sbarre di una prigione; con tanta più angoscia in quanto sapeva che non era del tutto vero.

Aziraphale aveva contribuito a mettere in moto gli eventi.
Aveva tenuto per mano Jeanne e poi l'aveva abbandonata sulla strada che l'aveva condotta al rogo. 

Soltanto in obbedienza agli ordini, certamente.
Ma questo era mai stato di qualche sollievo?

Se la ragazza non avesse mai lasciato il suo paesino, se non avesse mai imbracciato le armi, se fosse rimasta una semplice contadina...

Tutto questo era scritto negli occhi di Aziraphale, nel suo minuto curvarsi sotto un peso invisibile; e il petto di Crowley si struggeva di amarezza.

Non è giusto.

"Forse è successo perché mi sono immischiato," gli uscì di bocca. "Sono un demone, Aziraphale. Forse venendo qui ho contaminato... Ho rovinato..."

Aziraphale gli afferrò una mano e la strinse con impeto, una luce feroce negli occhi chiari. "Non dirlo," lo ammonì con voce soffocata. "Non è così, Crowley."

Il cuore di Crowley batteva a colpi così forti da fare male.
Dovette sforzarsi per non trattenere la mano di Aziraphale quando egli, dopo qualche momento di intensità dolorosa, lasciò andare la sua.

"...ma ti ringrazio," sussurrò l'angelo abbassando gli occhi. "Tu mi avevi avvertito. Ricordi?"

"Aziraphale..." Perché lasci ancora che ti facciano questo. 

"Forse è un errore cercare di capire," mormorò l'angelo con una contrazione incredula delle sopracciglia. "Forse..." e di nuovo tacque, serrando le labbra; e forse stai pensando che a loro non importa, che a nessun altro importa, angelo, ma a te importa, oh, io so che a te importa.

Crowley si morse la lingua e strinse i pugni per costringersi a tacere; abbassò lo sguardo, lo lasciò vagare sulla campagna davanti a loro, sulla città alle loro spalle. Rimasero in silenzio, uno accanto all'altro, sotto un cielo che si faceva sempre più nero.

"Andiamo a ripararci, prima che diluvi," mormorò Crowley; l'odore della pioggia imminente gli permeava le narici. 

Aziraphale sembrò non averlo udito, lo sguardo ancora perso nell'orizzonte; quando si rivolse di nuovo al demone, la sua voce tradiva un fremito.

"Accetteresti una promessa da me, Crowley?"

Nei suoi occhi c'era qualcosa di fragile, luminoso e inflessibile come vetro.

"Voglio farla a te, perché ho paura di non essere capace di mantenerla, se la facessi a me stesso," spiegò timidamente; per poi proseguire, con un'inflessione di scuse, "e non mi basta il coraggio per farla...ad altri."

Quasi soffocato dal batticuore, Crowley riuscì solo ad annuire in silenzio.
Aziraphale si lasciò andare a un lungo sospiro. Raddrizzò la schiena, sollevò il mento. Nell'aria umida, Crowley avrebbe potuto indovinare il profilo delle sue ali.

"Qualsiasi cosa accada da oggi in poi," disse Aziraphale con voce limpida, "voglio esserci fino in fondo. Non lascerò le cose a metà. Non volterò le spalle."

Crowley attese un istante, sforzandosi di ignorare il battito del proprio cuore. Non voleva che la voce lo tradisse. 

"...ti ho udito, Aziraphale," rispose infine. Aveva la sensazione di aver appena suggellato qualcosa di solenne.

Il sorriso che gli rivolse Aziraphale conteneva troppe cose.
"Grazie, Crowley," sussurrò.

Il momento passò al cadere delle prime gocce di pioggia. 

Aziraphale si riscosse. "Sono uno sciocco," esclamò, coprendosi con il cappuccio della veste monastica, "ti ho trattenuto qui fuori all'addiaccio, quando c'è un posticino delizioso proprio ai piedi del Gros Horloge..!" 

Crowley inspirò a fondo l'odore della pioggia, cercando di scacciare il bizzarro intreccio di déja-vu e trepidazione, la vertigine che a volte ancora gli dava la loro strana esistenza a metà di innumerevoli crocevia.

"Andiamo, angelo," annuì; e si incamminò insieme ad Aziraphale, mentre la pioggia cadeva lieve.

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