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Autore: Airborne    17/08/2023    2 recensioni
Tenzō ha nove anni quando viene salvato dalle grinfie di Orochimaru ed entra nella Radice perdendo ogni cosa. Kakashi ha tredici anni, è il capitano più giovane nella storia degli ANBU ed è cresciuto bruscamente e brutalmente. Sono giovani, sono diversi, sono ben lontani dall’essere il prototipo del ninja eroico e sanno già che faranno i conti con il passato per sempre; ma sono anche determinati a mettere la propria vita in campo per Konoha, per un futuro migliore, e l’uno per l’altro.
Kakashi/Yamato
***
«Credo che diventerà un ninja interessante» dice solo.
«Se esce indenne dalla Radice».
Kakashi rabbrividisce. Menomale che lui non ci è finito, nella Radice. Spera, come fa per tutti i ragazzini dell’organizzazione, che quel Tenzō sia abbastanza forte da sopravvivere. E spera che non debba mai, mai fare i conti con qualcosa come Obito e Rin.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Kakashi Hatake, Yamato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
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Niente di cui scusarsi

 

And up until now I have sworn to myself that I'm content
With loneliness
Because none of it was ever worth the risk, well
You
Are
The only exception

Paramore – The Only Exception

 

 

5

Tenzō

 

 

 

Il sonno di Tenzō è molto più tormentato di quanto sia stato fino al suo primo risveglio dopo lo scontro. Si agita, si sveglia spesso per precipitare di nuovo nel torpore nel giro di pochi secondi. Sente delle voci che non appartengono né a Kakashi né a Hiroka, capisce di essere in movimento, ma non intuisce altro. Il dolore non sembra diminuire, mai, e la gola è sempre più arsa. Una volta è svegliato da qualche goccia di acqua fresca sulle labbra, ma non distingue chi lo sta aiutando. Nella sua mente immagina che sia Kakashi.

 

 

 

Poi, a un certo punto si sveglia del tutto. Dovunque sia, la luce è forte e il suo corpo è pesante, ma è avvolto in coperte calde e per un istante è certo di non essersi mai sentito meglio di così. Dolore a parte, s’intende.

Vicino a lui c’è Kakashi. È seduto su una poltrona, non indossa né la maschera da ANBU, né la divisa, né il coprifronte, e sta leggendo un libro. È talmente concentrato che non si accorge del suo risveglio; tra tutte le domande che potrebbero passargli per la mente in quel momento, Tenzō si chiede che libro sia.

«Senpai».

Kakashi alza la testa di scatto. «Tenzō…» L’occhio destro è spalancato dallo stupore, o forse dal sollievo. Appoggia il libro sul bracciolo della poltrona e si avvicina al suo letto. «Come stai?»

«Male». Riesce a sedersi con la schiena dritta, non senza provare dolore in varie parti del corpo, e prende il bicchiere d’acqua che Kakashi gli tende. Decide che non sottovaluterà mai più l’acqua in vita sua. «Dove siamo?»

«All’ospedale di Taki. Hai dormito tre giorni, mi ero già rassegnato a dover star qui un mese».

«Esagerato». Risponde per le rime: buon segno. «Ho una fame da lupi». Altro buon segno.

«L’infermiere dovrebbe passare tra poco. Gli chiederemo di portarti qualcosa».

«Hiroka?»

«È già ripartita per Konoha. Abbiamo informato l’Hokage dell’accaduto, ma aveva bisogno che qualcuno tornasse subito. Non possiamo mica interrompere le missioni».

Tenzō tace. Di tutte le cose che vuole sapere, non ce n’è neanche una che vorrebbe chiedere a Kakashi. Come si è conclusa la missione? Jin? Come sta lui?

«Noi quando ce ne andremo?»

«Pensa a guarire, prima di fare domande del genere». Il suo tono è vagamente accusatorio, ma sta sorridendo.

«Sono messo così male?»

«Hai due costole rotte e non puoi camminare, vedi un po’ tu».

Tenzō rigira la domanda. «Quanto ancora è disposta a ospitarci Taki?»

«Credi di fregarmi così?» ridacchia Kakashi, ma poi risponde. «In realtà si sono rivelati molto gentili, anche se non ci andiamo d’accordo». Lo ha chiesto per quello. I rapporti tra i loro villaggi non sono mai stati particolarmente distesi. «In pratica possiamo rimanere fino a quando sarà necessario. Il capovillaggio è un po’ contrariato che Konoha abbia mandato degli ANBU a occuparsi delle Tigri Rosse, ma ci ha offerto la sua ospitalità e le cure che ti servono».

«Quanta magnanimità». Tenzō nota l’ombra sul volto di Kakashi al nominare la missione. «Quindi? Per quanto ne ho?»

«Una settimana prima di riuscire a camminare, dicono». Tenzō sbuffa. «Hai un intervento alla gamba programmato per domani pomeriggio».

«Fantastico». Rabbrividisce al pensiero di bisturi, siringhe e fili vari attaccati al suo corpo. Gli danno la nausea ancora più di certi cadaveri squartati che ha visto ed è perfettamente conscio di quale sia il motivo. «Spero che tu non abbia intenzione di rimanere qui una settimana ad aspettarmi». In realtà lo spera con tutto il cuore.

«Due settimane, vorrai dire». Davvero fantastico. «Certo che ho intenzione di rimanere qui ad aspettarti. Ci mancherebbe solo che ti faccessi attraversare mezzo mondo nelle tue condizioni senza alcuna assistenza».

«Ce la posso fare anche da solo» insiste, trattenendosi dal sorridere. «A Konoha hanno sicuramente bisogno di te».

«E di te al meglio delle tue condizioni».

«Di me?» chiede Tenzō, più a sé stesso che a Kakashi. Io sono debole. A Konoha non serve uno come me.

«Tenzō». Riporta lo sguardo nei suoi occhi. «Non ci pensare. Non adesso».

Improvvisamente ha una gran voglia di piangere.

 

 

 

L’intervento è un successo, come ci tiene a sottolineare più volte il ninja medico che lo ha eseguito. Il dolore se ne va molto lentamente, ma alla fine se ne va.

Kakashi passa molto tempo con lui, ma approfitta anche di quel soggiorno inaspettato per visitare Taki (e allenarsi, ovviamente. Una sera parla anche di una certa ninja della Cascata che gli ha insegnato una nuova tecnica di combattimento corpo a corpo). Tenzō è sicuro che ci sia qualcos’altro sotto: il bisogno di star da solo con i suoi pensieri, a elaborare ciò che è successo per tornare a Konoha con la mente libera, pronto a buttarsi a capofitto nel prossimo incarico e a portarlo a termine senza nemmeno una sbavatura. Gli ci vogliono due giorni e mezzo per provare a chiedergli come sta.

«Bene».

No, non è ancora il momento di affrontare il discorso.

Kakashi è ancora più silenzioso del solito, anche quando escono finalmente dall’ospedale (Kakashi portando entrambi gli zaini, Tenzō zoppicando) e si profondono in ringraziamenti nei confronti del capovillaggio prima di lasciare Taki alla volta di casa. Il viaggio è lungo e appesantito da una cappa di silenzi e pensieri negativi che li segue lungo il brullo paesaggio del Paese della Cascata, nelle praterie sconfinate del Paese dell’Erba e anche attraverso le familiari foreste del Paese del Fuoco. È bello passare tutto quel tempo da solo con Kakashi, anche se le motivazioni che ci sono dietro non lo sono proprio per niente. Parlano poco, ma si dicono tanto. Kakashi si preoccupa per lui, lo sorregge quando il dolore diventa troppo forte e accetta di buon grado di fermarsi spesso a riposare; e lui lo ringrazia ogni volta perché non può fare altro, ma nessuno di quei ringraziamenti è vero e significativo quanto quello che non ha il coraggio di pronunciare per il timore di farlo soffrire più di quanto non stia già facendo.

«Tenevo molto a Jin».

È così che Kakashi decide di affrontare l’argomento. Sono a mezza giornata di distanza da Konoha e Tenzō, che ha iniziato a pensare di dover aspettare parecchio tempo prima di poterne parlare senza fare ulteriori danni, è appeso alla sua schiena, perché è troppo debole per camminare ma nessuno dei due ha la minima intenzione di passare un’altra nottata lontano dal proprio letto, e lui ha bisogno di altre cure. Soprattutto, in quel modo non si possono guardare negli occhi. «E fa malissimo non essere riuscito a proteggerlo».

Tenzō non sa bene cosa dire. Non può dire stronzate di circostanza come “non è colpa tua” o “non potevamo fare altro”, non a Kakashi. È la verità, ma sono cose talmente ovvie che pronunciarle ad alta voce è superfluo, e non gli sarebbero di alcun conforto.

«Non doveva andare così. Niente di questa missione doveva succedere».

Hanno già fatto un discorso del genere, e se lo ricordano entrambi.

«E so che mi vuoi dire che non posso cambiare il passato e che l’unica cosa da fare è decidere come farci i conti, ma niente di tutto questo dovrebbe essere successo».

Tenzō stringe istintivamente le braccia attorno alle spalle di Kakashi. Vorrebbe abbracciarlo come si deve, ma può fare solo quello. «Non ho nessun consiglio da darti, senpai».

«Forse al mondo ci sono delle cose per cui non esistono consigli».

«O forse ognuno deve trovare il suo modo di superarle».

«O forse non ci sono modi per superare certe cose».

Tacciono. Tenzō pensa che forse è lui a non essere pronto per affrontare il discorso.

«E io ero pure il capitano. È una mia responsabilità se la missione è fallita, Jin è morto e tu sei in queste condizioni. Come con Obito e Rin».

«Non è colpa tua».

«Ma è una mia responsabilità».

«Non succederà niente, senpai. Sei uno dei migliori capitani degli ANBU, nessuno prenderà provvedimenti perché hai fallito una missione».

«Il punto non è questo».

Sì, lo sa anche lui.

«Posso assumermi un po’ di questa responsabilità?»

«Tu? Tu non hai proprio nessuna responsabilità in questa storia, Tenzō».

«Tranne quella di non essere abbastanza».

«Chi è che si colpevolizza, ora?»

«Avremmo anche potuto concludere la missione se fossi stato all’altezza dello scontro».

«Non credo proprio».

Kakashi pensa veramente ciò che sta dicendo, e la cosa allevia il suo dolore molto più degli analgesici di cui si è imbottito nelle due settimane precedenti.

«E prima o poi capita a tutti di trovarsi davanti nemici molto più forti».

«A te non è mai capitato» gli fa notare.

«La mia carriera di ninja è ancora lunga». Un purtroppo rimane appeso nell’aria.

«Non posso permettermi di essere così debole. Anch’io ho molte responsabilità, come ANBU e come compagno di squadra. Non può dipendere tutto dal caso di trovarsi davanti un avversario più forte o più debole».

«Hai ragione, in effetti».

«Non è confortante, senpai».

Lo sente ridacchiare, e la cosa lo fa stare un po’ meglio. «Scusa. Però è così. Ma anche per questo non si può fare granché, a parte allenarsi».

«Ma allora siamo sempre al punto di partenza, no? Il mondo è fatto così e non ci si può far niente».

«Noi di sicuro ci possiamo fare poco».

Il discorso muore lì. Tenzō posa la testa sulla spalla di Kakashi, cercando di far finta, nella sua testa, che vada tutto bene, che lui sia abbarbicato sulla sua schiena per nessun motivo al mondo e di sicuro non perché non è in grado di reggersi sulle proprie gambe, l’ennesima dimostrazione della sua inadeguatezza. La conversazione non lo ha aiutato a stare meglio, ma spera che lo stesso non valga per Kakashi. Lui è molto meno fragile di Kakashi. Molto più spensierato. Certe cose le può sopportare meglio, e perdonarsele, col tempo. E davvero non vuole altro se non saperlo più sereno di quanto non sia stato negli ultimi giorni.

«Non dirò all’Hokage di come… di come è andato il tuo scontro. Mi inventerò qualcos’altro».

«Ma non è giusto, senpai!» protesta Tenzō. «Non puoi mentire all’Hokage, e non è giusto che tu ti assuma tutta la responsabilità!»

«Ancora con questa storia? Il capitano sono io, tu non hai nessuna responsabilità».

«Non è vero».

«Non ti getterò addosso delle conseguenze negative all’interno degli ANBU».

«Ma che conseguenze vuoi che ci siano?» Non è vero. Le conseguenze ci sarebbero eccome. Ma lui le può sopportare.

«Promettimi solo che continuerai ad allenarti per diventare più forte».

«Non c’è bisogno di promettere. Sai che lo faccio già».

Ci andrà lui stesso, a parlare con l’Hokage.

 

 

 

Arrivano a Konoha alle undici passate. Kakashi lo scarica a terra mentre spiega brevemente ad Asuma ed Ebisu, di turno al presidio, come mai sono rientrati a quell’ora e perché stava portando il suo compagno sulla schiena. Tenzō prova a sgranchirsi un po’ le gambe, ma deve appoggiarsi alla guardiola per riuscire a stare in piedi senza sentire dolore.

«Prendi l’antidolorifico che ti hanno dato a Taki» gli ordina Kakashi.

«Vai all’ospedale» gli consiglia Asuma.

«Non ho nessuna voglia di tornare in un ospedale» dice a Kakashi quando si allontanano lungo le vie di Konoha (casa, finalmente). Odia gli ospedali, non vi si sente a suo agio e nelle ultime due settimane ne ha avuto abbastanza per una vita intera.

«Prima o poi dovrai andarci, quelle ferite non guariranno da sole».

«Non ho voglia di andarci ora». Vuole solo il suo letto, e basta. Vuole riposare, e l’ospedale non è un luogo dove si riposa.

Kakashi sospira. «Domani mattina ti ci porto io, che ti piaccia o no».

«Grazie, senpai» sorride contro la sua spalla.

«Se vuoi stare più tranquillo, stanotte puoi venire da me».

In condizioni normali, Tenzō si strozzerebbe nel sentire una proposta del genere. Non che ci sia niente di strano, è chiaro; ma lui è innamorato di Kakashi, e con quelle parole ne torna pienamente consapevole, come se con tutte le cose successe nelle ultime due settimane i sentimenti che prova per lui si fossero affievoliti. Ma non sono in condizioni normali e non c’è davvero niente di strano: sono amici, sono più vicini di quanto siano mai stati e Tenzō sta male. È del tutto legittimo che Kakashi voglia che passi la notte in un posto più comodo e tranquillo della caserma degli ANBU e che voglia assicurarsi che mantenga il buon proposito di andare in ospedale la mattina seguente.

«Sei sicuro?»

«Certo».

«Ma dove dormo, scusa?»

«Nel mio letto, mi pare ovvio. Io mi metto sul divano».

«Ma…»

«Se preferisci te lo ordino».

Tenzō sorride. «Va bene».

Kakashi mette l’acqua per il tè sul fornello e va a preparare il letto mentre Tenzō aspetta in cucina con l’ordine di non alzare nemmeno un dito e mangiare almeno tre dei biscotti che gli ha messo davanti. Non ha mangiato molto durante il viaggio, e per prendere le medicine bisogna essere a stomaco pieno. Kakashi non tocca né il tè, né i biscotti, ma accompagna Tenzō fino in camera e lo aiuta a cambiarsi per la notte. Lui arrossisce nel farsi vedere in mutande, come se non lo abbia già visto nudo. O forse arrossisce nel farsi vedere così fragile.

«Grazie» dice mentre gli rimbocca le coperte.

«Se ti serve qualcosa, fai un fischio».

«No, dico sul serio» dice poi, rendendosi conto che lo sta ringraziando per qualcosa di più dell’ospitalità. «Grazie per avermi salvato la vita. Non te l’avevo ancora detto».

L’occhio destro di Kakashi legge nei suoi, come sempre. «Non è vero». Lentamente, come se non sapesse bene come muoversi, si siede accanto a lui sul bordo del letto. «E in ogni caso non devi ringraziarmi per una cosa del genere».

«Come no?»

«Non si ringraziano gli amici perché ti salvano la vita». Gli sembra un po’ una cazzata, ma forse è vero. «E tu, tra tutti…» Kakashi distoglie lo sguardo, e per qualche motivo inspiegabile Tenzō sente la testa girare. «Non avrei mai potuto non salvare te».

C’è qualcosa di strano nell’aria, e lui ha la gola secca.

Kakashi sospira. «Voglio dire che…» balbetta, tormentandosi le mani e guardando dappertutto tranne che verso di lui. «Voglio dire che ti devo ringraziare anch’io per tutto, Tenzō, e…» E poi non va più avanti.

«E…?»

«E ti sono grato che ci sei sempre, quando ne ho bisogno».

Tenzō sorride. «Le rare volte che ne hai bisogno».

«Quando ne ho bisogno. Lo sai, non… non sono mai stato abituato a una cosa del genere».

«Sono tuo amico, senpai». Sono innamorato di te. «Non si ringraziano gli amici per queste cose».

Si guardano negli occhi a lungo. Tenzō sorride, Kakashi no. È così bello, e forte, e coraggioso, e buono, anche se la bontà è difficile da trovare in uno come lui. Si chiede cosa gli stia passando per la testa

«Bè, buonanotte» dice alla fine, alzandosi. «Se hai bisogno, chiama».

«Sì. Buonanotte, senpai».

Lo guarda allontanarsi da lui attraverso la stanza, e lo vede fermarsi davanti alla porta e mormorare qualcosa.

«'Fanculo».

Lo vede voltarsi di nuovo, tornare a passo deciso verso di lui guardandolo negli occhi. E lo sta ancora guardando, aspettando che gli dia una spiegazione del suo comportamento, quando si tira giù la maschera e lo bacia sulle labbra.

«Non provare mai più a farmi preoccupare così tanto».

E non ha capito niente di quello che è appena successo, a malapena si rende conto che Kakashi si è tolto la maschera davanti a lui per baciarlo sulle labbra e non accenna a volersela rimettere, anche se non lo sta più baciando e gli ha detto quello che gli voleva dire (ma cosa gli voleva dire, poi? E perché è così contento che gliel’abbia detto anche se non lo ha capito?), ma forse, dopotutto, certe cose non si capiscono con la testa, e infatti è il cuore che gli martella nel petto che lo fa avvicinare a lui per baciarlo di nuovo, oltre le labbra e oltre ogni cosa che la testa potrebbe pensare.

Sorride, ora, e sorride anche Kakashi. Non si rimette la maschera. È ancora più bello di quanto ricordasse, ed è il sorriso, perché non lo ha mai visto sorridere senza la maschera. Ha un sorriso gentile, forse più gentile di quanto ci si aspetterebbe da uno come lui.

«Domani ne parliamo, che dici?»

«Mi piaci un sacco, Ka… Senpai».

Kakashi quasi scoppia a ridere. «Vai a cagare, Tenzō».

Non è la risposta che ha sempre sognato, ma va bene così.

  
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