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Autore: 0421_Lacie_Baskerville    17/08/2023    1 recensioni
"Conservava uno strano ricordo del momento in cui il flebile fruscio dell'erba alta gli aveva fatto sollevare lo sguardo dai blocchi in legno con cui stava giocando, per incrociare quegli occhi penetranti che lo fissavano. Il silenzio immobile denso dell'odore dei fiori in cui erano rimasti a guardarsi, avvolti dall'ombra odorosa del glicine, con la voce cristallina di sua madre intenta a stendere il bucato poco lontano che faceva fremere le sottili orecchie pelose della volpe con il suo dolce canto. (...) Non sapeva ancora niente, allora, a parte che quella visione fugace l'aveva stregato. "
Venite con me, se quello che cercate è un mondo in cui potervi perdere e cercare riposo, questa storia potrebbe fare proprio al caso vostro. Perciò, girate pagina e addentriamoci insieme nelle atmosfere senza tempo del Giappone antico e forse, potremo vedere insieme una volpe dagli occhi rossi riposare all'ombra odorosa del glicine insieme al ragazzo che rinunciò a tutto per perdersi con lui in sogno...
💚 AU con ambientazione storica-leggenda giapponese
🦊 Kitsune legend
Genere: Fantasy, Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Altri, Inko Midoriya, Izuku Midoriya, Katsuki Bakugou
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Sotto il candore della neve, un sogno che si confonde con la realtà.

Sotto il candore della neve, unsogno che si confonde con la realtà.

Il bambino che aveva lasciato quella casa, a Izuku sembrava un ricordo fumoso. Faticava a riconoscersi in lui, in quella creatura serena e ingenua come la primavera, distante come i suoi primi fiori in sboccio nel mezzo della neve. Già nel tornare a casa quell'inverno, era cambiato tanto che sua madre a stento l'aveva riconosciuto nel bambino smilzo e abbronzato che gli si era presentato davanti.

Era mutato qualcosa in lui. Nel profondo della sua anima, aveva smesso di nascondersi e si era aperto al mondo circostante. Non gli importava se le persone lo fissavano per i suoi riccioli ribelli, per la loro sfumatura verde così insolita. Anche quando suo padre lo guardò dall'alto della sua statura con un'espressione irritata sul viso severo, Izuku pensò che non avrebbe tinto quei capelli mai più.

La determinazione dei bambini, in fondo, era una cosa terribile, ora se ne rendeva conto. Vivevano di assolutismi. "Mai più" "Per sempre" sembrano tempi infiniti. Parole scolpite nella roccia che non sarebbero mai mutate. Dogmi al cui il mondo intero doveva piegarsi. Non aveva ancora compreso quanto mutevole fosse il tempo né che la forza delle parole risiedeva nelle azioni e nella determinazione con cui le si trasformavano in realtà. Non aveva ancora accettato che tutto in questo mondo scorre e muta senza sosta.

Izuku fermò il pennino sulla carta e rilesse pensieroso i kaji tracciati con cura. Mancava qualcosa. Mancava sempre qualcosa. Per quanto si sforzasse di trovare le parole giuste, di tracciare le linee che compensassero con il disegno ciò che non poteva esprimere in altro modo, gli sembrava sempre di rincorrere un fantasma che non poteva afferrare con le mani e fissare su carta.

Nel mordersi il labbro inferiore, avvertì il movimento alle sue spalle e un lieve sorriso gli curvò la bocca. Mancava lui. I sentimenti di Kacchan sulla carta o forse, il suo tocco. Mancava quel qualcosa che li rendeva entrambi tangibili e reali, come il fruscio delle sue vesti sulla pelle o il battito calmo del suo cuore contro le scapole.

Ma era un vuoto che nessuna parola al mondo poteva colmare.

≪ Ti ricordi quella volta che pensavi ti avessi dimenticato? ≫ mormorò, lasciando ricadere la testa indietro, sulla spalla muscolosa del ragazzo che l'abbracciava. Kacchan si voltò a guardarlo nella luce del sole mattutino che filtrava dai rami di un'alta quercia. Gli occhi rossi, ombreggiati dalle corte ciglia bionde, sembravano quasi ambrati in quella luce, un fuoco caldo quanto i raggi del sole che gli sfioravano il volto. ≪ Io? Non credo che mi sia mai importato qualcosa di cosa pensassi tu. ≫

Le sue labbra rosee si arricciarono in una smorfia, lasciando intravedere un canino appuntito. C'era una nota di orgoglio ferito in quella voce graffiante che strappò un sorriso a Izuku. ≪ Io credo di sì. Eri così arrabbiato... ≫

≪ Devi averlo sognato. ≫ replicò lui, soffiandogli in faccia e strappando dal fondo del suo petto una risata leggera. Il petto di Kacchan contro la sua schiena era caldo, le sue braccia muscolose gli avvolgevano il busto e dita leggere tormentavano i risvolti della sua veste mentre le dita di Izuku correvano sulla carta, tracciando linee fumose e ombre, impregnandosi di parole tracciate con cura.

Avvolto in quell'abbraccio si sentiva al sicuro. Amato e protetto. I raggi del sole gli scaldavano la pelle attraverso la seta del kimono e l'aria profumava di muschio e terra umida. Intorno a loro, gli uccelli cinguettavano e le lepri si muovevano fra felci fruscianti e cespugli di more selvatiche.

≪ Non posso credere che mi hai aspettato per mesi, quella volta. ≫ sussurrò, chiudendo gli occhi e respirando l'odore selvatico della pelle di lui. Quel misto di terra umida e vegetazione che gli si impigliava fra i capelli biondi e che riusciva quasi a vedere dietro le palpebre serrate. ≪ Mi sembra un sogno. ≫

Kacchan era silenzioso, la sua presenza percepibile solo dal corpo caldo e forte che l'avvolgeva in un pigro abbraccio. Quando parlò lo fece in un sussurro rauco che gli sfiorò la guancia con labbra fresche. ≪ Il tempo, piccolo piantagrane, scorre in modo diverso per me che vivrò per secoli. ≫ gli disse, avvolgendo le morbide code voluminose intorno alle sue gambe piegate. ≪ Quello che per te è un anno intero per me è poco più di un'istante... ≫

Ciocche bionde di capelli gli solleticarono la pelle, mescolandosi ai suoi riccioli scuri. ≪ Eppure, giurerei di averti aspettato per tutta la mia vita senza saperlo. ≫

Izuku quasi percepì il peso delle sue parole bisbigliate come una lama conficcata nel suo cuore. Le sue parole facevano male delle volte. Erano impregnate di quella sincerità dolorosa che sapeva di amarezza, della consapevolezza che mentre lui sarebbe invecchiato e appassito come un fiore, Kacchan avrebbe continuato a vivere ancora per molto tempo. Un giorno, Izuku sarebbe stato nulla più di un ricordo nella mente della kitsune. Ma non era la sua morte a spaventarlo e ferirlo, quanto la consapevolezza della solitudine in cui Katsuki avrebbe vissuto dopo.

Senza di lui, cosa ne sarebbe stato della sua volpe dagli occhi di fuoco che rideva dei suoi tentativi di inseguirla e l'aspettava ai margini di una foresta, perché lo raggiungesse. Cosa ne sarebbe stato del giovane uomo che gli sorrideva con strafottenza e che dava vita a mondi di luci e colori solo per lui.

Nell'aprire gli occhi, Izuku lo vide con la testa china e lo sguardo perso sulla carta. Le dita ruvide sfiorarono le linee scure dei griffi e delle parole, ricalcandole con cura e leggerezza. ≪ Che cosa stai facendo? ≫ gli domandò con una nota di stupore nella voce rauca. ≪ Cos'è questo? ≫

Le labbra di Izuku si tesero in un sorriso triste, gli occhi che indugiavano sui tratti mascolini del viso di lui, ornati da una lieve peluria dorata. ≪ Scrivo. ≫ sussurrò, sfiorandogli la mascella con la punta delle dita macchiate di china. ≪ La nostra storia. Tutta la nostra storia. ≫

Lo sguardo che gli rivolse Kacchan era indecifrabile. Le bionde ciglia gli ombreggiavano le iridi scalate, gettando un'ombra sui suoi zigomi. Izuku si chiese come si potesse essere così belli e allo stesso tempo dare l'impressione di essere totalmente fuori dal mondo. Un sogno destinato a perdersi nel tempo fino a sbiadire.

≪ È il mio dono per te. ≫ sussurrò con dolcezza, accarezzandogli il volto. Percepì la lieve tensione che gli montava dentro a ogni sua parola, lo sgranarsi dei suoi occhi brucianti fissi nei suoi e si sporse per cercare di contenerla, poggiando la fronte contro la sua nuca.

≪ Così anche quando non potrò più starti accanto con il corpo e dirti quanto tu sia speciale per me, continuerò ad esistere in una parte della tua mente. ≫

Il corpo della kitsune si tese contro il suo, i muscoli gonfi di preoccupazione e i tratti del suo volto tirati in un'espressione indecifrabile. Izuku lo guardò con un lieve sorriso a curvare le labbra e il cuore che batteva rapido nel petto. ≪ Vivrò per sempre nel tuo cuore e nei tuoi ricordi. Sarò al tuo fianco a ricordarti chi sei ogni volta che lo dimenticherai. ≫

Le dita gli accarezzarono il volto per scendere a sfiorargli la gola, dove il suo sangue pulsava al ritmo del suo stesso cuore e raggiunsero il petto ampio, la struttura dei muscoli celata fra le pieghe del suo chimono rosso ruggine. ≪ Anche quando sarò diventato polvere... la mia anima resterà al tuo fianco fino al giorno in cui ci rincontreremmo. ≫

Katsuki trattenne il fiato in silenzio, lo sguardo fisso sulla pagina decorata di miniature e dense di parole. Le studiò allungo, cogliendo la curva sinuosa delle sue code che le sfioravano con la bionda peluria e il tratto leggero della mano di Izuku stesso.

Ogni disegno, ogni parola, era stato tracciato con cura e portava in sé qualcosa del suo autore. Izuku avrebbe voluto poter legare all'inchiostro ogni tratto della propria personalità, trasportarvi la sua stessa voce così che un giorno, nel rileggerla, Kacchan si sarebbe ricordato di lui così com'era in quel momento.

Avrebbe sentito che era esistito e che non era solo un ricordo lontano nel tempo o un sogno sbiadito nella memoria. E anche se Izuku fosse stato polvere dispersa nella terra, la sua voce e la sua essenza avrebbero continuato a parlargli e mitigare la sua solitudine.

Le dita ruvide di Kacchan si fermarono sulle ultime parole con un tremito, i suoi occhi in quella luce avevano dei riflessi ambrati. Si sollevarono a incrociare quelli di lui con una serietà vecchia di secoli. ≪ Allora scrivila bene, questa storia. Ogni cosa. Scrivila in modo che un giorno leggendola senta ancora la tua voce. ≫

Izuku si trovò a sorridere come un bambino. ≪ È quello che sto facendo. ≫ sussurrò, avvicinando il viso a quello di lui senza distoglierne lo sguardo. Le labbra umide sfiorarono quelle di Katsuki che si schiusero a catturarlo in un bacio duro, quasi volesse trattenerlo lì con sé per il resto della sua vita. E Izuku sorrise contro la sua bocca calda che sapeva di mirtilli e more, di una promessa che forse non sarebbero riusciti a mantenere, ma per cui erano disposti a lottare.
 

🦊🦊🦊


Era lui per primo a non riconoscersi riflesso negli occhi di sua madre. Non si sentiva più lo stesso bambino che aveva lasciato la sua casa in lacrime per abitare in un luogo sconosciuto. Eppure, si sforzò di sorriderle e di non lasciar trasparire quel nocciolo di rabbia che l'essere mandato via gli aveva lasciato.

Era pieno dicembre. La neve cadeva lenta da un cielo plumbeo e l'aria tagliava come una lama a ogni respiro. Suo nonno l'aveva salutato dall'uscio della porta, con una pesante veste di lana grigia addosso e qualcosa di strano nello sguardo. Non dimenticare chi sei quando te ne sarai andato. gli aveva detto, stringendogli la mano e Izuku aveva pensato che fosse uno strano modo di salutarlo. Anche quando ti sembrerà che sia l'unico modo per sopravvivere, non dimenticare quello in cui credi. La vita ti strappa via le illusioni e i sogni, se glielo permetti. Ovunque andrai d'ora in avanti sii sempre fedele a te stesso.

Suo nonno aveva il viso segnato dalla stanchezza come se non avesse chiuso occhio per tutta la notte. La mano ruvida e calda che stringeva quella piccola di Izuku che forse non era più morbida come una volta, ma rimaneva più delicata della sua. Ci proverò. promise, il volto sollevato per guardare negli occhi il vecchio.

Nemmeno lui aveva dormito bene quella notte, ma per una volta non era stata né la nostalgia né il rumore del mare a tenere lontano il sonno. Gli sarebbe mancata quella vecchia casa e quello strano vecchio. Forse, gli sarebbe perfino mancata la persona che era lontano dalla dimora principale e dai suoi genitori.

Tornerò a trovarti. gli aveva promesso Izuku e in quel momento, si era sorpreso di quanto desiderasse farlo. La prima volta che aveva varcato quella porta voleva solo tornare a casa, ora un po' di quel mare burrascoso gli era entrato dentro e lasciarlo era come abbandonare una parte di sé.

Porterò la mamma con me.

Un sorriso triste curvò le labbra di suo nonno, l'ombra dell'amara consapevolezza che non si sarebbero più incontranti. La figlia che aveva amato era destinata a vivere solo nei suoi ricordi e nei segni del tempo, Izuku forse sarebbe potuto tornare da lui, ma sua madre mai. Sarebbe tornata nella sua terra natia solo quando suo nonno sarebbe già andato via da tempo.

È tutto quello che posso darti: ≫ gli aveva detto con voce graffiante, lasciandogli la mano. ≪ qualche vecchia parola da una vecchia persona. Forse a te serviranno più di quanto son servite a tua madre.

Era partito con il cuore pesante d'angoscia, cullando dentro di sé il desiderio di rimanere e quello di andare. Gli mancava la sua casa, ma se la decisione fosse spettata a lui, forse sarebbe rimasto dov'era. A prendersi cura di quello strano vecchio che non aveva nessun'altro al mondo. L'unica persona che sembrasse disposto a capirlo e ascoltarlo, che l'aveva trattato come un adulto anche se era solo un bambino.

Arrivò a casa che era mezzogiorno, dopo un lungo e scomodo viaggio. Un cielo plumbeo incombeva su di lui e sulla grande dimora dai tetti spioventi. Un vento freddo tagliava le strade, sollevando cristalli di neve che formavano una nebbia luccicante nella luce del giorno.

La prima cosa che lo colpì, scendendo dalla carrozza, non fu né la servitù disposta in fila ad attenderlo né la neve che si era accumulata sulle grondaie e sporcava il tetto della sua casa. Fu la voce del vento che scendeva dalle montagne. La voce dei suoi dèi che gli dava il bentornato, accogliendolo a casa, con lo stormire delle foglie e l'ululato dei venti che si incanalavano nelle strette strade della città.

Izuku restò fermo ad ascoltarla per un tempo così lungo che la neve si accumulò sulle sue spalle e sulla nuca, scivolandogli sulla schiena in un brivido gelido. "Sono a casa". Il significato di quelle parole lo colpì nel profondo, causandogli un dolore sordo che era felicità e sofferenza allo stesso tempo.

Riconobbe il legno di quercia lucida che formava la porta d'ingresso, gli infissi coperti di brina delle finestre e i volti della servitù che chinavano il capo al suo passaggio. Li saluto uno a uno, chiamandoli per nome. Ne toccò le mani ruvide e fredde, le maniche di lana pesante e il legno levigato conficcato nella porta d'ingresso.

Si fermò a chiedere notizie della loro salute, dei parenti lontani, delle faccende di casa e loro gli rivolsero sorrisi incerti e sguardi pieni di affetto. Gli risposero con voci sommesse, quasi temessero di essere uditi da qualcuno e puniti per aver osato parlargli liberamente. A volte, suo padre si comportava come se quelle persone non esistessero. Erano fantasmi che si muovevano nei corridoi della loro casa pronti ad esaudire ogni loro richiesta senza ricevere mai nemmeno uno sguardo di ringraziamento.

Pochi di loro godevano di abbastanza considerazione da essere chiamati per nome, ma questa era l'unica concessione che gli veniva fatta. Non erano degni di sedere al tavolo con loro o di essere guardati. Nessuno si chiedeva cosa si fossero lasciati alle spalle il giorno che avevano preso servizio nella dimora padronale.

Pochi passi portarono Izuku dall'aria aperta e dallo sportello della carrozza al portone di casa, dove i suoi genitori attendevano per dargli il benvenuto, lontano dai venti gelidi dell'inverno e dalla neve che bagnava i calzini di lana nelle scarpe.

≪ Sono a casa. ≫ annunciò, varcando la soglia insieme a una follata di vento che gli spinse i riccioli ribelli sul volto. Sua madre era vestita a festa per l'occasione, i lunghi capelli neri ornati da fermagli a forma di fiori di ciliegio gli liberavano il volto roseo. I suoi occhi verdi luccicavano di lacrime e le labbra si schiusero sorprese nello scorgere le ciocche scure dei suoi riccioli ricadere lunghe e ribelli intorno al viso abbronzato. La tinta nera con cui le aveva sempre mascherate si era consumata fino a lasciargli una chioma riccia priva di filtri.

La gente del mare l'aveva trovato interessante per qualche tempo, prima di perdere interesse per la cosa e dedicarsi ad altri scandali e curiosità. Era stato strano per Izuku non doversi più nascondere e fu ancora più strano entrare nell'androne della sua casa e rendersi conto che qualcosa in lui era cambiato tanto da farlo sentire fuori posto fra quelle mura.

C'era ancora l'odore di fiori e cera d'api che amava sulle pareti. Lo stesso arredo di sempre e gli stessi volti che conosceva e amava, ma qualcosa era cambiato in modo tanto sottile da non poter essere afferrato appieno. Sua madre nel vederlo alto e magrolino, un giunco cresciuto di colpo, si portò le mani al volto e rise di gioia. ≪ Sei cresciuto così tanto che quasi non ti riconoscevo. L'aria di mare ti ha giovato, tesoro mio. ≫

Lo sguardo di suo padre, in piedi al fianco della moglie, era spaventoso. Lo spinse a incassare la testa fra le spalle e ritrarsi. Tutta la sicurezza che aveva acquisito nei mesi d'assenza, si sciolse come neve al sole e dovette lottare contro sé stesso per ritrovarla.

≪ Izuku. ≫ lo chiamò sua madre, avanzando piano nell'atrio sotto il mormorio confuso della servitù e i loro sguardi spauriti. Lo strinse con tanta forza da levargli il fiato, nascondendo il viso contro la sua spalla ossuta e soffocando i singhiozzi che le risalivano dal petto. ≪ Ti ho aspettato così tanto... mi sei mancato da morire, bambino mio. ≫

Izuku aveva sentito il calore di quell'abbraccio fin dentro l'anima, ma non si era aspettato lo sguardo che lei gli aveva rivolto. Gli occhi verdi sgranati e le labbra rosee umide di lacrime socchiuse per lo stupore. Aveva sorriso con dolcezza, cercando di rassicurarla. Aveva lasciato andare un bambino immaturo e piagnucolone e lui era tornato indurito e meno infante. ≪ Sono tornato da te... con i saluti del nonno. ≫

≪ C'è solo da sperare che quel vecchio non ti abbia riempito la testa con le sue fantasie. ≫

La voce di suo padre era severa, gli occhi scuri lo scrutavano pensierosi. Izuku avvertiva la forza del suo sguardo sulla pelle e non ebbe il coraggio di ricambiarlo. Quando si avvicinò a lui e tese la grande mano per toccargli la spalla, un brivido gli corse lungo la spina dorsale. ≪ Bentornato a casa, bambino mio. ≫ gli disse, la voce profonda che tradiva un tremito di emozione. ≪ Bentornato al posto che ti spetta. ≫

≪ Grazie, padre. ≫ sussurrò, sollevando un poco il viso. Nel guardarlo da sotto le lunghe ciglia scure, Izuku provò un fremito di speranza e timore. Suo padre sembrava una figura imponente, le spalle larghe e muscolose sotto la veste severa, il viso che non lasciava intravedere alcuna emozione. La sua mano era leggera sulla sua spalla e salì a sfiorargli i riccioli accanto l'orecchio. ≪ Bisognerà sistemare questi capelli. Non riesco a credere che hai trascurato tanto il tuo aspetto. ≫

≪ È solo un bambino, mio signore. Non ne ha colpa. ≫ mormorò sua madre, raccogliendo le gambe sotto i fianchi morbidi e raddrizzando la schiena. I lunghi capelli scuri formavano delle onde sulla veste pregiata. ≪ Lasciate che mi occupi io di tutto. ≫

≪ Era una critica a tuo padre più che a lui. ≫ replicò, lanciando un'occhiata oltre la testa del figlio alla donna che lo guardava da sotto le lunghe ciglia. ≪ Anche se non è più così infante da non poterci pensare da solo. ≫

Izuku non rispose e mentre loro discutevano di feste, bagagli e l'interrogavano sul suo viaggio, provò a svicolare verso il giardino. La mano di sua madre strinse la sua e lo trattenne con ferma gentilezza. ≪ Izuku, mio tesoro, non ti vedo da così tanto tempo... non vuoi stare un po' con la tua mamma e raccontarmi della mia prima casa? ≫ mormorò suadente, conducendolo per corridoi che profumavano di cera d'api e aprendo porte ben oliate. ≪ Mio padre è stato gentile con te, mio tesoro? Ti ha parlato con durezza? Non risentirtene, è un uomo che può sembrare duro come ferro, ma è gentile come le onde del mare quando lo desidera. ≫

≪ Mi ha raccontato di te, dei nostri avi... ≫ provò a dirgli e a quelle parole sua madre si irrigidì. Una strana risata le fiorì alle labbra lenta e forzata, risuonando nella stanza che profumava di cera d'api. ≪ Sciocchezze. Sono solo sciocchezze. Non ti ho insegnato a non credere alle favole? ≫

≪ Gli yokai non sono favole e nemmeno la kitsune. ≫ replicò lui, la voce soffocata che conteneva una nota di rimprovero. La fronte si corrugò pensierosa nell'osservare il viso di sua madre. C'era un'ombra nel suo sguardo che non aveva mai notato, la faceva sembrare distante e malinconica come il padre che aveva lasciato. ≪ Tu l'hai vista. Sapevi cosa stavi guardando e lo so anche io... perché non vuoi più guardarla? ≫

Nel vederla mordersi il labbro carnoso, Izuku non riuscì a far combaciare l'idea che si era fatto di lei da ragazza con la donna elegante che aveva davanti. Sembrava giovane, ancora spensierata come lo era sempre, ma ora quell'indole appariva più una maschera ben calcata che la verità.

La mano che stringeva la sua era calda. Avrebbe voluto porle mille domande, ma la porta alle loro spalle si riaprì con un fruscio. ≪ Izuku. ≫ lo chiamò suo padre, comparendo sull'uscio con un servo alle spalle che reggeva una veste nuova di seta. Izuku lo guardò incedere nella stanza con il solito passo sicuro e capì che non sarebbe più riuscito a stare solo un attimo finché fosse rimasto in quella casa.

≪ Un dono per te. Per festeggiare il tuo ritorno. ≫ gli disse, suo padre, con un sorriso. Un gesto della mano bastò al servo alle sue spalle per farsi avanti e dispiegare una veste grigio perla ornata di disegni di foreste e monti avvolti dalle ombre. Il tessuto leggero scivolò fra le dita di Izuku come acqua. Suo padre infilò una mano nella propria veste e sorrise compiaciuto, guardandolo dall'alto con gli occhi scuri. ≪ Vorrei che l'indossassi alla festa che terremmo domani. ≫

Una festa.

Izuku sentì un velo di tristezza scivolargli dentro alla prospettiva di trovarsi la casa invasa da uomini chiassosi con le loro mogli e i figli più grandi al seguito, intenti a ingozzarsi con il loro cibo e a fare strage dei loro liquori. Di genere, i bambini venivano rilegati in una stanza a poca distanza dove potevano mangiare e giocare sotto lo sguardo attento delle balie. Ma lui non piaceva a nessuno di loro e l'idea di dover sopportare le loro attenzioni concesse di malavoglia lo disgustava.

≪ Credo che sia arrivato il momento che tu sieda al mio fianco ≫ La voce pacata di suo padre gli fece alzare di scatto il volto, il cuore che batteva rapido in petto. ≪ Devi conoscere i tuoi futuri alleati negli affari e stringere con loro legami di fiducia. Mi aspetto che li osserverai con attenzione e presterai orecchio a quello che ti dirò. ≫

Izuku avvertì la nota d'ammonizione nel fondo delle parole di suo padre come una minaccia velata. Se non si fosse mostrato degno, l'avrebbe rispedito nella stanza dei bambini o in esilio? L'aveva già fatto una volta. Cosa gli impediva di farlo ancora e ancora, finché Izuku non avesse avuto vita?

Il resto della giornata gli sfuggì dalle mani come acqua fra le dita, consumata dai suoi genitori che reclamavano i suoi racconti e la sua presenza, dai servi che si affaccendavano per la casa e gli rivolgevano sorrisi cauti quando lui li ringraziava con calore. Erano lieti del suo ritorno, quasi sollevati di vederlo. Sua madre non smetteva più di parlare e ridere, di alternare chiacchiere allegre a pezzi di canzoni che gli canticchiava sottovoce mentre gli accarezzava le guance piene.

Solo quando riuscì a sgattaiolare in cucina per rubare delle tartine al miele alla cuoca e incrociò Miruku, capì il perché. La ragazza aveva i capelli raccolti con un laccio e gli occhi vispi scintillarono nel vederlo. Si infilò nella dispensa con lui senza farsi vedere dalla cuoca e si portò un dito alle labbra.

≪ Grazie agli dèi siete tornato, signorino. ≫ gli sussurrò, tirando fuori dall'ampia tasca del grembiule alcuna tartine imbevute di miele che gli porse senza esitare. Izuku le sorrise nel prenderle dalle sue mani e se le mise tutte in bocca senza pensare. ≪ Perché? ≫ domandò con la bocca piena. ≪ Ti snfo mafato? ≫

Un sorriso divertito curvò la bocca di Miruku per un'istante prima di sciogliersi. ≪ Avete perduto le buone maniere là dove siete stato? Parola mia, se non vi ho mai visto più in salute e selvatico di ora. ≫

Nella luce fioca che filtrava dalla finestrella in alto, Izuku riusciva a vedere solo in parte i contorni del suo volto pieno. Eppure, c'era una certa tensione agli angoli della sua bocca che lo spinse a sollevare la testa e ingoiare il cibo che aveva in bocca, prima di chiederle. ≪ Miruku che cos'hanno tutti? Perché mi guardano come se fosse un miracolo? ≫

L'odore delle verdure bollite strisciava fin sotto la porta e impregnava l'aria nello sgabuzzino. Si mescolava al tanfo del formaggio stagionato e alle alghe lasciate a marinare in casseruola. Miruku esitava a guardarlo, come se ci fosse qualcosa che la turbasse ma non volesse dargli voce.

≪ Dimmelo. ≫ insistette Izuku, la voce soffocata venne quasi coperta dal trambusto della cucina alle loro spalle. Miruku si strinse nelle spalle, alcune ciocche le sfuggivano dall'acconciatura e le sfioravano le guance rosee. ≪ La Signora aveva nostalgia di voi, ecco tutto. Non è stata molto felice da quando ve ne siete andato e abbiamo temuto che non si sarebbe più alzata dal letto. ≫

Izuku trattenne il fiato, il sapore di miele sulla lingua gli parve farsi acido. Solo verso sera, l'armonia lasciò il posto alla tensione. Lo sguardo di suo padre si fece pensieroso, una ruga di irritazione gli segnava le sopracciglia. ≪ Quei capelli... per quanto ancora glieli lascerai così, moglie? ≫

La mano di sua madre che gli stava accarezzando la guancia si fermò con un tremito. L'ombra di un'esitazione le sfiorò gli occhi verdi e svanì, sostituita da un sorriso mite. ≪ Provvederò subito, mio caro. ≫ Ma Izuku non si alzò con lei, ormai aveva deciso. ≪ Non li voglio più tingere. Non mi voglio più nascondere. Perché dovrei? Perché mi dovrebbe importare? ≫

Forse fu la nota lamentosa nella sua voce o forse, fu il solo accenno a una ribellione a far inasprire l'umore di suo padre, spingendolo a trattarlo con durezza. Izuku odiava quando alzava la voce. Aveva paura di lui, ma quella decisione gli risuonava nella mente con l'assolutismo dei bambini.

Mai più.

Una promessa che riuscì a mantenere per meno di un'ora. Alla fine, andò a letto con gli occhi gonfi di lacrime di frustrazione, mano nella mano con sua madre che cantò per calmare i suoi singhiozzi rotti.

≪ Non è più venuta. ≫ gli disse in un sussurro, accarezzandogli la fronte con la mano calda e morbida. Izuku la guardò con gli occhi verdi pieni di ombre, sdraiato nel suo caldo futon tirò sul mento il piumone. La luce della lanterna disegnava spesse ombre su una metà del volto di sua madre, rendendo impossibile capire la sua espressione. ≪ La kitsune. Se n'è andata. ≫ sussurrò piano, chinandosi a baciarlo. ≪ Ora sei al sicuro, mio tesoro. ≫

Izuku non disse nulla. Aveva una gran voglia di piangere e urlare, invece stette in silenzio e chiuse gli occhi, trattenendo le lacrime che gli mozzavano il respiro nel petto. Alla fine, era un bene che non fosse riuscito a liberarsi dei genitori e a correre fuori. Sarebbe stato un dolore terribile cercarla invano e non trovarla.

≪ Mi dispiace. ≫ sussurrò sua madre e di cosa si stesse dispiacendo, Izuku non riusciva a immaginarlo. Tenne gli occhi serrati finché il sonno non giunse e lo portò via. L'ultima cosa che sentì fu il fruscio delle vesti di sua madre che abbandonava la stanza e il mormorio triste della sua voce che risuonava lieve nella notte.
 

🦊🦊🦊


All'inizio, pensò che fosse un sogno.

Sdraiato sotto strati di coperte di lana calda, intontito dal sonno, avvertì un lieve grattare alla finestra come se i rami più sottili della quercia avessero preso a sbattere contro il vetro. Il silenzio nella casa era assordante. Una luce dorata filtrava nella stanza e si rifletteva sul soffitto, una fiamma luminescente che bruciava senza combustibile, proiettando la sua luce all'interno.

Izuku fissò la strana luminescenza che si riversava sul parquet e i mobili senza capire cosa fosse. Si sollevò sui gomiti con gli occhi socchiusi e velati di sogni. C'era qualcosa fuori dalla sua finestra che si agitava e cercava di attrarre la sua attenzione. Un grattare soffuso che spinse la sua mente intontita a creare l'immagine di artigli sottili che raschiavano il vetro per richiamarlo.

La volpe.

Il pensiero lo colpì con tanta violenza da cancellare il velo di sonno che l'attanagliava. Si alzò di scatto, incespicando nelle coperte fuori dal letto caldo e il pavimento gelido gli ferì le piante dei piedi. Un brivido gli corse sulla pelle, risalendo dalle gambe fino ad esplodere sulla nuca, scorrendo sotto la veste di lana leggera che indossava.

Dietro i vetri della finestra, una fiamma danzava nella notte. Il silenzio era assordante e avvolgeva ogni cosa con il suo manto. L'aria fredda gli premette sulla pelle nell'aprire la finestra e filtrò attraverso la veste da notte. Oltre il telaio, il manto della notte si stendeva ornato di fuochi danzanti che baluginavano sulla neve candida, dipingendola di calde sfumature dorate.

Le foglie degli alberi sussultavano nell'aria gelida, sfiorate da un caldo bagliore. La neve tegole emanava un vapore gelido che feriva a ogni respiro. Izuku avvertì le labbra schiudersi e la meraviglia fiorì nel suo petto come un bocciolo. Non aveva mai visto nulla del genere prima. Una fiamma d'oro e rubino danzava nelle ombre, spandendo un alone di luce sulle tegole spioventi del tetto, oltre la sua finestra.

Il silenzio nella dimora risuonava del respiro sommesso dei suoi abitanti, le fiamme bruciavano in silenzio senza alcun sostegno o combustibile ad alimentarle e quando allungò la mano per toccarla, quella sfavillò viva nella notte e si esaurì in mille scintille ramate che si persero nelle ombre.

Una risata estasiata sfuggì dalle labbra di Izuku, spezzando il silenzio. La sua mano tiepida non bruciava là dove aveva sfiorato le fiamme, come se la luce che emanava fosse di pura aria fredda e non avesse calore. Gli occhi verdi scintillarono nello scorgere lo sfarfallio di un'altra fiammella sul ciglio del tetto, ammiccante nella notte sotto un cielo punteggiato di stelle.

Era il sogno più strano che avesse mai fatto. E di un sogno doveva per forza trattarsi. La notte divampava di quelle luci calde che non bruciavano, come se qualcuno avesse gettato su di essa una magia. La neve gli ferì i piedi, intorpidendoli. L'aria fredda filtrava attraverso la veste, insinuandosi dentro il suo corpo. Eppure, Izuku non esitò nell'arrampicarsi fuori dalla finestra e camminare sulle tegole taglienti, ondeggiando sotto la luce delle stelle.

La fiamma sul bordo del tetto, bruciò più intensamente prima di esaurirsi in una pioggia di scintille ramate che gli morse la pelle, audace e crudele. Nell'avvertire il dolore del fuoco sui palmi, per la prima volta, pensò che potesse non essere un sogno. L'aria fredda che gli sferzava il corpo sembrava fin troppo reale e gli fece scorrere un brivido lungo la spina dorsale. I piedi affondati nella neve dolevano, le dite rese insensibili dal freddo pulsavano.

Un'altra luce si accese sotto di lui, bruciando sulla neve che copriva il giardino. Era una fiamma piccola e guizzante che sembrava chiamarlo silenziosa, riflettendosi nella neve. C'era qualcosa di beffardo nella sua danza che gli ricordava l'ondeggiare pigro delle code della sua volpe prima che lei balzasse via. Un richiamo giocoso a cui non sapeva resistere.

Izuku trattenne il fiato e rabbrividì nell'aria fredda. Si guardò indietro, incerto. La finestra della sua stanza era spalancata, ma le altre erano buie e un velo di condensa le copriva. Sarebbe dovuto tornare indietro, ora che ne aveva ancora la possibilità, ma qualcosa glielo impediva.

La fiamma attendeva placida che lui decidesse, continuò a bruciare mentre esitava sul ciglio del tetto, avvolto dalle ombre. Era ancora lì quando Izuku si spostò di lato e protese le mani intorpidite dal gelo per afferrare il ramo di una quercia secolare che si protendeva sul tetto. La maggior parte delle sue foglie era bruciata dal freddo, alcune si erano coperte di ghiaccio e stallatiti pendevano dai rami più sottili, scintillando alla luce soffusa della luna.

L'aria era immobile. Izuku si mosse goffo sui rami, chiudendo le dita dei piedi sulla corteccia ruvida e scheggiata per non cadere. Gli occhi verdi corsero di tanto in tanto al sentiero di fuoco danzante che si stendeva nel giardino, sulla neve candida, sparendo all'interno della foresta. Era troppo strano per essere un sogno. La sensazione del legno sotto le piante dei piedi e sulle mani troppo realistica per poter essere frutto della sua immaginazione.

"È la cosa più bella e folle che abbia mai visto" pensò scivolando giù dall'alto tronco e poggiando i piedi nudi sulla neve. Il gelo gli morse la pelle, facendolo rabbrividire. Il silenzio nel giardino era diverso da quello che si respirava all'interno della dimora, era leggero e vibrante, rotto dal verso degli uccelli notturni a caccia e dal fruscio degli animali in movimento sotto i cespugli e gli alberi. Le acque del laghetto gorgogliavano all'ombra dei rami spogli del glicine, riflettendo il bagliore delle stelle.

La fiamma che provò a toccare sfavillò come oro e rubino nelle ombre, davanti i suoi occhi spalancati e spanse un bagliore caldo sulla pelle chiara del polso, prima di svanire. Avrebbe dovuto avere paura. Tutto ciò non era normale. Ma anche se il suo cuore batteva rapido nel petto, a tempo con il respiro che gli sfuggiva dalle labbra fredde, c'era una sottile euforia nella vista di quel sentiero di fuoco che si dispiegava nella notte.

Era una magia segreta di cui lui sembrava l'unico beneficiario. Nel silenzio della notte, i suoi passi erano un fruscio leggero e il raspare del suo respiro risuonava come un grido nel giardino. Ogni volta che tendeva la mano per toccare i fuochi danzanti nell'aria fredda e le sue dita avvertivano il gelo che emanava dalle fiamme, quelle sfavillavano e si spegnevano solo per ricomparire a qualche passo di distanza, beffarde e irrisorie. L'invitarono ammiccanti a prenderle e Izuku saltellò loro incontro, ridendo, scattando rapido per cercare di afferrarle e riuscendo solo a sfiorarle con le dita arrossate dal gelo.

Rami scheletrici si protendevano sopra la sua testa, ornati di cristalli di ghiaccio che rilucevano dei riflessi delle fiamme. La neve era un manto soffice su cui muoversi, celava rocce acuminate e rami spinosi che gli tagliavano la carne, scorticandogli i piedi. Il dolore era ghermito e ammansito dal gelo che gli addormentava la carne, rendendolo insensibile.

Pensò di tornare indietro al caldo tepore del suo letto, ma gli bastò un'occhiata alla vecchia dimora avvolta dalle ombre per perdere interesse. Le fiammelle che danzavano nell'aria gelida erano molto più strane e affascinanti di qualsiasi altra cosa avesse mai visto. Una magia fatta di luce e tepore che l'invitava a seguirle, senza però pretendere nulla.

Nel momento in cui varcò il confine che separava la sua casa dalla foresta, Izuku fu certo di essere entrato in un territorio selvaggio che apparteneva agli dèi più che agli uomini. Non si guardò mai indietro. Né si fermò mai a pensare a ciò che stava lasciandosi alle spalle. A ogni passo la casa padronale e il giardino svanivano dietro i tronchi degli alberi e i cespugli senza che Izuku gli desse peso. Le fiammelle dorate rapirono tutta la sua attenzione e si dispiegarono sempre più affondo nel bosco, attirandolo più lontano di quanto non avesse mai osato spingersi da solo.

Una dolce melodia, cristallina come il tintinnio del ghiaccio fra le foglie, si fece largo nella foresta e Izuku si fermò ad ascoltarla stupito. Aveva la stessa leggerezza della nebbia sulla neve e si fondeva con il fruscio delle foglie fra gli alberi. Non era fatta delle note a cui era abituato e non somigliava a nulla che avesse mai conosciuto. Era un suono nuovo e sottile al cui ritmo danzavano decine di fuochi dorati che sfavillavano nella notte giocosi.

La seguì quasi senza volerlo, ammagliato e attratto dalle luci e dalla musica che alleggiavano nell'aria gelida. Aveva la schiena madida di sudore e i riccioli ribelli scarmigliati quando l'ultimo fuoco si spense, un'istante prima che le sue mani riuscissero a racchiuderlo nei palmi arrossati. Una pioggia di scintille calò ai suoi piedi, colorando la neve doro e rubino prima di spegnersi.

Izuku si ritrovò avvolto dalle ombre, al chiarore della luna che dipingeva d'argento le rocce e rivestiva di ombre sinuose la neve sotto i suoi piedi pallidi. Senza più la musica e i fuochi a incantarlo, il gelo gli calò addosso di colpo e la stanchezza gli ghermì gli arti. A ogni respiro, un dolore acuto gli feriva il petto. Davanti a lui un fiume gorgogliava placido, trascinando rami e tronchi a valle e bagnando i cumuli di ghiaccio e neve sui margini.

≪ Ce ne hai messo di tempo... ≫ commentò una voce bassa, appena graffiante nell'aria gelida, attraendo la sua attenzione. Izuku si voltò e scorse un movimento nelle ombre della notte. Una nota cristallina risuonò nell'aria e un cerchio di fiamme sfarfallò improvvisa nella notte, circondandolo.

La luce improvvisa l'accecò, costringendolo a portarsi la mano al volto. Sbatté le palpebre diverse volte prima di riuscire a mettere a fuoco la figura minuta seduta su un masso con uno zufolo fra le piccole mani e una veste granata ad avvolgere il corpo.

Izuku si sorprese a trattenne il fiato. La luce delle fiamme si rifletteva sul viso infantile del bambino, dello stesso rosso scuro e mutevole delle sue iridi. I biondi capelli scarmigliati ondeggiarono alla brezza fredda e due lunghe e folte orecchie triangolari vibrarono, facendo capolino dalla cima della testa, cogliendo il verso strozzato che sfuggì dalle labbra schiuse di Izuku.

Un sorriso storto curvò le labbra della kitsune, mettendo in mostra i canini affilati. Gli occhi rossi scintillarono nelle ombre che gli lambivano il volto abbronzato. ≪ Tutti questi anni passati a inseguirmi ed ora che mi hai davanti non dici nulla? ≫

La sua voce era bassa e graffiante, appena un poco squillante, come se non fosse abituato ad articolare le parole a voce alta. Izuku abbassò la mano tremante e se la posò sul petto. Sotto la veste e i vari strati di pelle, carne ed ossa, il suo cuore batteva a un ritmo forsennato. Gli occhi verdi, spalancati nella notte, colsero il guizzare sinuoso di tre folte code nell'aria, gonfie come tarassaco dietro le spalle del bambino che lo guardava con gli occhi rossi socchiusi. ≪ Quindi? Il gatto ti ha mangiato la lingua? ≫

≪ Sei tu... ≫ mormorò Izuku con un filo di voce. Fu una sorta di shock realizzare che quel bambino seduto su una roccia piatta con le gambe incrociate e uno zufolo che ruotava fra le dita, era la stessa creatura che aveva intravisto nel bosco. La stessa che l'aveva guardato dell'alto dei rami del glicide, ridendo di lui.

≪ Sei tu ≫ ripeté con un filo di voce e le lacrime gli annebbiarono la vista, rotolando sulle guance fredde. La kitsune trasalì e sgranò gli occhi, il respiro bloccato in gola. ≪ C-cosa...? Ti proibisco di piangere! ≫ strillò con un soffio nella voce che lo fece sembrare un felino. I biondi capelli si rizzarono sulla nuca in sottili aghi del colore dell'oro bianco, ma Izuku non riuscì a trattenere i singhiozzi che lo scossero né le lacrime che caddero a bagnarli le guance.

≪ C-credevo te ne fossi andato. ≫ singhiozzò, tremando. La voce rotta dal pianto si inclinò fino a spezzarsi. ≪ Credevo che non ti avrei mai più visto. ≫ Le dita grattarono la stoffa della sua veste, scavando con le unghie dei solchi. La Kitsune lo guardò in silenzio con quei suoi occhi insoliti, il respiro sospeso sulle labbra. Sembrava spaventato o forse, solo sconvolto dalla forza con cui i singhiozzi si rompevano sulle labbra di Izuku e ne scuotevano il corpo.

≪ Sei tu che te ne sei andato lasciandomi da solo. ≫ lo sentì mormorare e Izuku si chiese se quell'espressione triste che intravide sul suo viso per un momento, fosse reale o se il velo instabile delle lacrime gliel'aveva lasciata immaginare. ≪ Però... ≫ gemette, la voce spezzata dai singhiozzi. ≪ però... ≫

Il petto gli faceva male, ma non sapeva se fosse per il freddo o il pianto. Se l'emozione che lo ghermiva come una marea scura fosse sollievo o tristezza. Se stesse piangendo perché stava male o se era solo così sollevato e felice di vedere la kitsune da non poterlo sopportare. Si sentiva come se qualcosa dentro di lui si stesse rompendo e i frammenti acuminati spingessero per disperdersi fuori dai confini del suo corpo.

Cadde a terra con un tonfo ovattato, in ginocchio nella neve che scricchiolò sotto le piante dei piedi nudi della Kitsune. Il pianto che gli risaliva dalla gola riempiva l'aria fredda fra di loro, smorzando ogni altro rumore, scuotendolo con tanta forza che Izuku pensò che si sarebbe rotto in mille pezzi.

≪ Sei proprio un buono a nulla. Un vero Deku. ≫ sussurrò la Kitsune, davanti a lui. La sua pelle aveva l'odore penetrante del bosco, sapeva di aghi di quercia e di terra scura, ma la sua mano era morbida e calda quando si posò sulla sua testa. Le piccole dita s'insinuarono fra i riccioli scarmigliati, scompigliandoli in un gesto pigro. ≪ Che bisogno c'è di piangere, piccolo piantagrane? ≫

Izuku trattenne un singhiozzo rotto, gli occhi verdi velati di lacrime calde che traboccavano sulle lunghe ciglia. ≪ I-io mi chiamo Izuku. ≫ gli disse in un soffio, la voce impastata e le guance gli bruciarono di uno strano calore quando sollevò lo sguardo e colse il sorriso storto della volpe. ≪ Lo so come ti chiami, Deku. ≫

C'era una nota divertita nel fondo di quella voce graffiante. Un bizzarro umorismo riflesso in quegli occhi rossi che fece contrarre la bocca dello stomaco di Izuku in una strana morsa. La mano sulla sua testa era calda nonostante il gelo dell'inverno e le sue dita si mossero rapide, colpendogli la fronte con tanta forza da farlo trasalire per il dolore.

≪ Non sai proprio niente, non è vero? ≫ gli disse la kitsune, guardandolo portarsi le mani alla fronte dolorante e sfregare con le dita fredde il punto che aveva colpito. ≪ Nemmeno che i kaji del tuo nome hanno un'altra lettura. ≫

Il sorriso sulle sue labbra aveva qualcosa di volpino che fece pensare a Izuku alla volpe dorata che scivolava fra i cespugli, ai margini del suo giardino. Anche se il suo aspetto fisico era diverso dalla fisionomia della volpe, non faticava a riconoscere nelle sue movenze la stessa grazia beffarda né quello sguardo sprezzante che era solita rivolgergli ogni volta che riusciva a ingannarlo.

≪ Un'altra lettura? ≫ ripeté incerto, corrugando la fronte. Il cerchio di fiamme dorate danzò nell'aria, riflettendo il guizzo irrisorio che accese lo sguardo del loro artefice. ≪ Si, piccolo buono a nulla. I kaji che tu leggi come Izu possono essere letti anche come De. Quindi il tuo nome potrebbe essere burattino. Fantoccio. Un nome che ti calza a pennello, oserei dire. ≫

Izuku tirò su con il naso, traendosi risentito. ≪ E tu che ne sai di quali kaji compongono il mio nome? ≫ Una punta di irritazione trasparì dalla sua voce tremante. La volpe gli era sempre sembrata dispettosa e capricciosa. Ogni volta che credeva di averla messa in trappola e scopriva che invece l'aveva ingannato, la vedeva scossa dalle risate con la bocca spalancata e gli occhi socchiusi, pieni di compiaciuto divertimento. Ma ora gli sembrava che esagerasse.

≪ Ti sei firmato. L'hai dimenticato? ≫ gli disse, storcendo la bocca in una smorfia derisoria. La piccola mano abbronzata scomparve nel risvolto della veste pesante, scivolando fuori con un rotolo di pergamena chiuso da un nastro rosso. ≪ Quelle scuse erano la cosa più pietosa che abbia mai sentito e io vivo da secoli! ≫

Izuku, seduto tremante nella neve, riconobbe subito il rotolo nella sua mano. I tratti d'inchiostro sulla carta erano famigliari, la sua calligrafia curata lo fece arrossire. Gli aveva riscritti dieci volte in dieci fogli diversi e quegli sgorbi erano il meglio che era riuscito a fare, eppure erano ancora stentorei e imbarazzanti. ≪ E-era... tu hai spaventato mia madre e... ≫ balbettò, incespicando nelle parole. Gli occhi verdi corsero sulla neve e sulle fiamme, evitando lo sguardo scintillante dell'altro. ≪ Era un modo per chiederti di non bruciare la nostra casa. ≫.

La kitsune rise. Un suono graffiante che si mescolò allo sfrigolare delle fiamme e al tremore che scuoteva il corpo di Izuku, facendogli battere i denti. La testa bionda ciondolò indietro e si piegò di lato, gli occhi rossi che scintillavano di riflessi ramati nella penombra della sera. ≪ Se avessi voluto bruciarla sarebbe bruciata già da tempo. Non aspetto il permesso di nessuno per fare quello che mi pare. Tanto meno quello degli umani. ≫

Il freddo pungente rendeva difficile per Izuku mantenere la concentrazione. I piedi dolevano, pulsando così forte da farlo tremare. La kitsune non sembrava sentire il freddo, avvolta dalla sua veste pesante di un granato più scuro di quello che gli cingeva il polso, al modo dei monaci. Ogni volta che la manica si spostava, Izuku intravedeva i grani catturare la luce delle fiammelle e scintillare sulla pelle.

≪ Quindi non sei arrabbiata perché ti disturbo sempre? ≫ gli chiese incerto. Suo padre sarebbe rimasto scioccato nello scoprire che aveva avuto tanta paura per nulla, sempre se gli avesse creduto e avesse voluto ascoltarlo. Izuku temeva che si sarebbe limitato a mandarlo via di nuovo. ≪ Non ci maledirai e non incendierai la nostra casa? Non corriamo il rischio di cadere in rovina? ≫

La volpe non rispose. Le folte code tagliavano l'aria alle sue spalle con movimenti languidi, gli occhi rossi si socchiusero e nella luce soffusa delle fiamme a Izuku parve di scorgere un velo di malinconia nel suo sguardo.

≪ Sei il piccolo piantagrane più irritante che abbia mai conosciuto... ≫ mormorò, arricciando le labbra in una smorfia. La voce ridotta a un soffio rauco che gli fece correre un brivido lungo la schiena incurvata. ≪ Ma se ti avessi voluto fermare l'avrei fatto tempo fa. ≫

Il respiro morì sulle labbra di Izuku senza fare rumore. Il suo cuore batteva a uno strano ritmo, componendo una melodia che gli risuonava fin dentro le vene. C'era qualcosa nel modo in cui la kitsune lo guardò che gli tolse le parole e allontanò il ricordo di quello che era successo.

Suo padre. Sua madre. La casa ai margini del bosco e perfino la scogliera su cui aveva vissuto con suo nonno gli parvero svanire dalla memoria. Esisteva solo la pace silenziosa del bosco a pochi passi da loro e il gorgoglio del fiume, solo il rosso vivo di quelle iride che lo studiavano da sotto l'ombra delle corte ciglia bionde.

≪ Solo... ≫ soffiò la kitsune e la sua voce si fece aspra e scocciata, rompendo l'incantesimo che era calato su Izuku come un velo. Le labbra si arricciarono a scoprire i canini aguzzi e le orecchie pelose ritte sulla testa, fremettero. ≪ lascia stare le mie code. Quello che è fastidioso. ≫

Izuku si sentì arrossire. Lanciò un'occhiata piena di rammarico alle voluminose code che ondeggiavano alle spalle della kitsune. Lo guardò alzarsi in piedi, i biondi capelli che gli sfioravano il viso. Sembravano così soffici viste da vicino, le punte pelose di un biondo tanto pallido da sembrare bianco. Voleva toccarle così tanto che le mani fredde gli formicolavano, ma si costrinse a rimandare. A lasciarsi il tempo di convincere la volpe a lasciarsi avvicinare tanto da avere il suo permesso.

≪ Cosa succede se le stringo? ≫ domandò incerto, la voce bassa che conteneva una nota cauta. Gli occhi verdi luccicarono di determinazione, spingendo la kitsune a balzare indietro di scatto. Fu un movimento fulmineo e Izuku si trovò da solo nella neve, la kitsune acquattata sul masso che lo fissava con gli occhi rossi socchiusi e i canini snudati in un sibilo di avvertimento. ≪ Stai attento a te, Deku. ≫ gli soffiò contro, la voce rauca ridota a un sibilò minaccioso. ≪ Se provi a toccare le mie code, te ne farò pentire. ≫

≪ Non lo farò se non vuoi, davvero. ≫ Il calore sul viso gli diede la spiacevole sensazione di essere arrossito, rivelando la sua colpa. Voleva così tanto toccarle... era certo di averlo desiderato fin dalla prima volta che l'aveva visto. Ma si costrinse a sorridere rassicurante, il corpo che tremava mentre si rialzava e i piedi doloranti affondarono nella neve mentre avanzava cauto.

≪ Non posso credere che tu sia qui. ≫ ammise, sopprimendo a stento il brivido di emozione che gli corse lungo il corpo teso e dolorante. ≪ Non farò nulla che possa spingerti ad andare via, ma tu... tu resta. Parla ancora un po' con me, ti va? Giochiamo insieme, ancora un po'. Nessuno sa dove sono e non ci verranno a cercare finché il sole non sorgerà. ≫

La Kitsune esitò. Una ruga comparve a segnare lo spazio fra le bionde sopracciglia, le sottili ciocche bionde che erano cadute a sfiorargli la fronte ondeggiarono nell'aria fredda. Le corte ciglia sfarfallarono nella luce mutevole del cerchio di fuochi fatui che danzava sospesi nell'aria.

Non disse una parola, limitandosi a guardarlo in silenzio con gli occhi rossi socchiusi e attenti che seguivano ogni suo movimento. Izuku trattenne il fiato, sforzandosi di ignorare il gelo che gli mordeva la pelle.

≪ Sei rimasta qui... per tutto questo tempo sei sempre stata qui ≫ sussurrò con un filo di voce e la volpe distolse lo sguardo, gli occhi rossi ombreggiati dalle corte ciglia bionde s'incupirono. ≪ Non ho altro posto dove andare e qui... è raro che qualcuno si spinga dentro la foresta. Posso fare quello che voglio senza che nessuno mi veda. ≫

C'era qualcosa in quelle parole che fece sentire Izuku triste. Lui aveva sempre amato la sua casa, il profumo di cera d'api che emanavano i pannelli di legno alle pareti, i mobili lucidi e il giardino fiorito. Amava la sensazione di sicurezza che provava a muoversi per i corridoi, sotto lo sguardo discreto della servitù. Le braccia calde di sua madre e le sue mani gentili che gli accarezzavano il volto. Ma in realtà, quello che aveva sempre amato era la sensazione di appartenere a tutto quello.

Era la sua casa, come ci si sentiva ad essere come la kitsune e non averne una?

Nel guardarla nella luce mutevole delle sue fiamme dorate, la veste pesante che le avvolgeva il corpo e le code voluminose che tagliavano l'aria nervose, si domandò per la prima volta, dove vivesse quando non era impegnata ad aggirarsi per il suo guardino. Da dove veniva e a chi era legato, chi era la persona che l'abbracciava quando era triste e gli mormorava parole dolci che sapevano di amore e conforto.

≪ Dove sono i tuoi genitori? ≫ La sua voce non fu più di un sussurro gentile, ma scosse il corpo della kitsune come se l'avesse sferzato con una verga. Si ritrasse, lanciandogli un'occhiata crudele con gli occhi rossi pieni di ombre e le labbra arricciate in un ringhio. ≪ Con chi credi di parlare? ≫ gli soffiò contro, la voce aspra che vibrava nell'aria fece guizzare le fiamme intorno a loro di una vampata iraconda. ≪ Io non sono un mortale come te. ≫

Le ombre intorno a loro si assottigliarono alla luce mutevole del fuoco, scaldando l'aria al punto che Izuku avvertì il pericolo di scottarsi nel toccare quelle scintille danzanti. La neve sotto i suoi piedi si ammorbidì, bagnandogli l'orlo della veste che gli sfiorava le caviglie doloranti. ≪ Ma ti sentirai solo... ≫

≪ Tu non mi lasci il tempo di sentirmi solo. ≫ La durezza di quella voce bassa lo sorprese, era mutevole come il guizzare delle fiamme nell'aria, come la forma con cui la kitsune poteva mostrarsi. Volpe o umana. Bloccata a metà fra le due, ma sempre sfuggente e rapida nei movimenti, tanto che se Izuku avesse detto la parola sbagliata, era sicuro che l'avrebbe vista sparire nel bosco.

≪ Ma tu... ce l'hai un nome? ≫

Era una domanda semplice, ma riuscì a mettere in crisi la kitsune. Lo capì dal modo in cui sgranò gli occhi e arricciò le labbra. Le orecchie volpine fremettero, curvandosi verso il basso come se stesse cercando di cogliere un suono lontano. ≪ Che domanda stupida. Certo che ho un nome. ≫ commentò sprezzante, ma c'era una nota incerta nella sua voce bassa che fece pensare a Izuku che stesse cercando di ingannarlo.

≪ E me lo dici come ti chiami? ≫ La veste leggera non era sufficiente a proteggerlo dal freddo, nemmeno stringendosi le braccia sul petto tremante. Il silenzio che gli avvolgeva era assordante. Un velo di tristezza ombreggiava le corte ciglia bionde della kitsune, come uno strato di brina leggera. ≪ Ka- ≫ sussurrò, corrugando la fronte. ≪ Ka-tsuki. ≫

Izuku lesse il sollievo sul suo viso, la certezza di aver ricordato il nome che cercava di sfuggirgli e si sentì triste come mai prima d'ora. Triste per quella creatura che non aveva nessuno al mondo che lo chiamasse per nome tanto da rischiare di dimenticarlo.

≪ Katsuki. Mi chiamo Katsuki. ≫ gli disse con un ghigno esultante, gli occhi rossi che scintillavano nel bagliore delle fiamme mutevoli. ≪ Katsuki, ≫ lo chiamò Izuku con dolcezza, la gola che già bruciava per il freddo che gli penetrava la pelle. ≪ giocheresti con me, Katsuki? ≫

Gli occhi rossi si sgranarono appena e un caldo rossore si rifletté sul viso abbronzato di lui. Il suono della sua risata era graffiante e selvaggia come quella dei venti fra i rami degli alberi, gli fece pensare agli dèi delle montagne e alle tempeste che scendevano a valle. ≪ Cominciavo a pensare che non me l'avresti mai chiesto. ≫ gli disse balzando giù dal masso con leggerezza e Izuku si trovò a ridere a sua volta, si scoprì a correre dietro di lui.

Gli occhi di Katsuki scintillavano nelle ombre come fuochi fatui, ramati e aranciati, scuri come il cuore puro di un rubino. Lo zufolo nella sua mano emetteva note graffianti che si perdevano sotto il fruscio delle foglie e il canto degli uccelli notturni. Ogni nota era una magia che prendeva forma intorno a loro, un gioco di luci e colori che piegava la realtà alla volontà della kitsune.

Izuku non riusciva a credere alla bellezza di quelle illusioni. Al potere che celavano. Nel guardarlo creare castelli di pietra bianca fra i tronchi degli alberi, città costiere in cui l'odore del mare si mescolava alle grida dei gabbiani, non faticò a credere che qualcuno potesse lasciarsi ingannare e dimenticare il mondo mortale per inseguire il sogno che la kitsune creava.

Sembrava così reale ciò a cui quelle note davano forma che si sorprese di non sbattere mai contro un albero. Il calore del fuoco gli scaldò la pelle, la neve si sciolse sotto i suoi piedi e il sole illuminò ogni cosa. La risata di Katsuki alleggiava nell'aria e un attimo dopo, era di nuovo notte.

≪ Puoi creare qualsiasi cosa? ≫ gli domandò Izuku, estasiato. Katsuki scrollò le spalle, un ghigno a curvare le labbra. ≪ Certo, se lo voglio posso farlo. In fondo, pochi yokai sono talentuosi quanto me. ≫

≪ E modesti. ≫ La risata di Izuku indugiò nell'aria, soffocando lo sbuffo canzonatorio del compagno. ≪ La modestia è per i falliti. ≫

Quella notte giocarono insieme sotto le luci cangianti dell'aurora che Izuku non aveva mai visto e delle stelle che si riflettevano sulla neve. Un susseguirsi di colori sgargianti che delineavano le forme di luoghi lontani e immaginari in cui loro erano gli unici abitanti. Vide castelli e città così magnifiche da mozzare il fiato, tracciate dal rosso e dal blu più raffinati, bordati di oro e argento. E ruscelli e foreste in cui le stelle formavano sentieri di luci fra le alte fronde e sulle acque cristalline.

Furono samurai che impugnavano spade argentee e danzavano nell'aria gelida. Avventurieri che scoprivano antiche dimore perse nel tempo, le esploravano tenendosi per mano e le conquistavano, diventandone gli unici re. Corsero fra gli alti alberi della foresta, inseguiti da eserciti immaginari che volevano catturarli e loro, coraggiosi eroi delle loro storie, sfuggirono e li batterono in astuzia.

Divennero re benevoli e poi, avidi pirati che solcavano mari immaginari delineati da mille sfumature di luci blu e dalle note cristalline dello zufolo che Kacchan faceva scivolare fra le dita con abile destrezza ogni volta che le sue illusioni sembravano sul punto di sfumare e svanire.

Izuku ridette così tanto quella notte da sentire male alle guance arrossate dal freddo, i piedi resi insensibili dal gelo dell'inverno e un velo di caldo sudore a imperlare la leggera veste da notte che indossava. Ma il freddo era solo un'illusione in confronto alla danza di colori e forme che Kacchan costruiva intorno a loro e che gli riempivano gli occhi. Il sorriso sghembo sul suo viso e il dardeggiare dei suoi occhi di fuoco erano l'unica cosa reale che gli faceva battere più forte il cuore.

Dimenticò il freddo e anche la sua casa, inseguendolo fra i tronchi che la luce delle stelle bordava d'argento. Le code bionde di Kacchan ondeggiavano davanti a lui, sempre troppo lontane per essere afferrate, ma visibili nella notte. Lo guidò su un tronco caduto che univa le due sponde del fiume e da lì a una valle segreta dove sorgeva una cascina dimenticata.

Là viveva Kacchan, senza nessuno che avesse cura di lui o gli facesse compagnia. Una piccola stanza dentro cui non bruciava nemmeno un fuoco caldo, era tutto ciò che la sua kitsune avesse mentre lui possedeva un'intera villa in cui tornare. Eppure, il tè caldo alle erbe che gli offrì era il più saporito che avesse mai saggiato. L'alba che ammirarono dalla finestrella della sua cascina, la più bella che Izuku avesse mai visto.

Il mattino dopo si svegliò nel suo letto con la febbre alta. La vista sfuocata e la sensazione di star bruciando. Dietro le palpebre tremanti, vedeva ancora le luci mutevoli dell'aurora e sentiva il tocco caldo della mano di Katsuki sulla sua. Ma accanto a sé, non c'era la kitsune. C'era invece sua madre, disperata e ansiosa per lo stato di semi coscienza in cui Izuku si muoveva.

Il mondo ondeggiava davanti ai suoi occhi senza che riuscisse a dargli un senso. Cosa accadde o quanto tempo vaneggiò, Izuku lo scoprì solo molto tempo dopo. Passò giorni relegato a letto, senza che potesse vedere nessuno che non fosse la guaritrice incaricata di sorvegliarlo. Sua madre sedette accanto a lui, ignorando le suppliche e gli ordini che le chiedevano di avere cura di sé stessa, ma lui non era abbastanza lucido da metterla a fuoco con la vista e non poté mai confortarla.

La gola gli bruciava tanto da non poter parlare. Ogni respiro era una sofferenza. La testa girava ogni volta che riusciva a raccogliere abbastanza energie da voltarsi. Eppure, nei suoi sogni correva insieme a Kacchan nel bosco e giocavano insieme fra le illusioni di città magnifiche e regni lontani. Gli sembrò un sogno quando la porta della sua stanza si aprì e una volpe dorata scivolò dentro, con le zampe sottili che ticchettavano sul legno massello.

Pensò che fosse un'allucinazione il suo muso freddo che gli sfiorava la fronte. ≪ Sei riuscito a beccarti una bella infreddatura. ≫ I baffi leggeri che gli fremevano sul muso affilato gli pizzicarono le guance. Le zampe leggere premettero sul suo petto quando saltò sul futon e le code sinuose si infilarono sotto le coperte, scavandosi uno spazio. ≪ Ma almeno si qui. Pensavo te ne fossi andato di nuovo. ≫ mormorò il suo muso di volpe, guardandolo con gli occhi rossi luccicanti nella luce del sole. ≪ che stupido, ti sei ammalato. Voi umani siete troppo delicati. ≫

≪ Non mi lasciare. ≫ tossì Izuku, la voce rauca ridotta a un lamento graffiante. Gli occhi verdi ondeggiavano incapaci di mantenere lo sguardo fermo, gli arti scossi da un tremito incontrollati. ≪ Non voglio restare da solo. ≫

Katsuki lo guardò, il muso affilato che fremeva nel cogliere ogni odore. Era scivolato dentro casa senza farsi vedere, spinto dalla curiosità feroce di capire e sapere se quel piccolo piantagrane insolente avesse avuto il coraggio di abbandonarlo di nuovo. La Signora non cantava più, ora piangeva e la sua voce si alzava in urla isteriche contro il suo Signore che in uno scatto d'ira aveva lanciato a terra un vassoio pieno di porcellane. Katsuki aveva sentito l'odore del cibo caldo e del saké sul tatami, ma si era guardato bene da avvicinarsi tanto da venire scoperto.

Nella luce del pomeriggio che filtrava dalla finestra chiusa, guardò il bambino delirante davanti a lui. Arrivare fin lì, senza farsi vedere dalla servitù, non era stato facile. Alla fine, scivolò sotto le coperte e si accoccolò contro il suo fianco, le pesanti coperte che rivestivano il suo corpo caldo e le folte code che si avvolgevano intorno alle gambe di lui, leggere come un sussurro.

Izuku ne avvertì il calore contro il corpo. La presenza silente che si aggrappava a lui e perfino nel delirio capì che non sarebbe più andato via. Accucciato contro il suo corpo, insieme in quel futon, ebbe la certezza che fossero diventati amici e che da quel momento non si sarebbero più separati.

Sarebbero cresciuti insieme negli anni, scavandosi uno spazio segreto che fosse solo loro. Un posto a metà fra illusione e realtà, in cui il mondo degli yokai incontrava quello degli uomini.

 

   
 
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