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Autore: pansygun    18/08/2023    2 recensioni
My first obsession is you.
My second is having sex with you.
• • •
DISCLAIMER: questa storia ha rating 🔞 per i contenuti espliciti in essa descritti (sesso).
A mio discapito, se siete sensibili vi invito a non affrontare questa storia.
• SPOILER per chi non avesse letto il fumetto o guardato l'anime! •
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{Deku x Bakugo}
Angst
Mild-spicy
• • •
Tutti i diritti riservati ©️ veciadespade | 2023
I personaggi originali di My Hero Academia sono di proprietà di Kōhei Horikoshi.
Genere: Comico, Erotico, Hurt/Comfort | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Izuku Midoriya, Katsuki Bakugou
Note: Lemon | Avvertimenti: Non-con, Spoiler!, Tematiche delicate
Capitoli:
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You’ll make me better than I've ever been


 

Portami un girasole impazzito di luce.
~ Eugenio Montale ~



 

30 giugno

 

Izuku era preoccupato per Katsuki.

Non era tanto perché non l’aveva visto per tutta la loro mattinata libera.

Avrebbe voluto chiarire quello che era successo quella notte, alle quattro, quando stava davvero per fargli esplodere il cervello. Sapeva di essere stato sopra le righe e avrebbe voluto rimediare, in qualche modo.

Non era neppure perché aveva saltato il pranzo col Prefetto o il brief alla Centrale, il primo una palla assurda (e forse un po’ lo invidiava per non esserci stato!), il secondo perché propedeutico alla loro ronda congiunta di quella sera. 

Nessuno s’era preoccupato che fosse assente. “Ah, sì. Ci ha avvisato che non sarebbe potuto venire”, aveva detto con tono distratto il Capo del Distretto, come se la mancanza di Dynamight fosse normale, come se non servisse a nulla.

Gli aveva dato fastidio quell’atteggiamento, perché senza Kacchan neppure lui ci sarebbe stato. Forse il mondo intero si sarebbe sgretolato se lui…

La preoccupazione di Izuku salì quando, alle quattro del pomeriggio, l’eroe Dynamight si presentò in tutta la sua fierezza alle porte della centrale di polizia di Urakawa, pronto per iniziare la ronda durante l’ultima serata del festival.

Non capì nulla di ciò che il poliziotto gli stava dicendo in quel momento perché era tutto preso dall’osservare l’amico e coinquilino annotare qualcosa sul suo telefono dopo un breve colloquio col Capo del Distretto.

Solo quando gli agenti se ne andarono assottigliò gli occhi verdi e incrociò le braccia al petto, gonfiando i muscoli mentre inspirava a fondo.

C’era qualcosa di strano in lui, che però non riusciva a comprendere bene. Gli avrebbe di sicuro parlato, se lui non l’avesse preceduto, avvicinandosi e porgendogli uno dei tablet in dotazione: «Oi! Memorizzati i turni. Io vado adesso a fare presidio per gli autografi, poi tocca a te. Quando hai finito abbiamo da fare il giro assieme nella strada principale… - allargò la mappa – Per poi andare giù di qua… Fino ai docs. Chiaro?».

Izuku rilasciò un sospiro: «Chiaro.», anche se il percorso non l’aveva minimamente imparato e l’unica cosa che aveva memorizzato era il suo orario di inizio e fine presenza allo stand.

Quando lo vide riconsegnare il tablet a uno degli agenti e allontanarsi, tentò la sorte: «Dynamight!» e gli rispose con un brontolio, voltandosi a malapena verso sinistra, osservandolo da sopra la spalla. «Stai… Stai bene?».

«Sì.», e allungò il passo per raggiungerlo ed uscire assieme dalle porte a vetri della centrale.

Sul piazzale antistante l’edificio Selkie parlava animatamente con Tsuyu e Hagakure, ma non ci diede peso

«Non ti ho visto per tutta la mattina… Mi sono preoccupato.».

Katsuki fermò i suoi passi per rivolgergli di nuovo uno sguardo sfuggente: «Preoccupato? – si accigliò – Nah. Non credo.», e portò i mignoli alle labbra, emettendo un fischio fastidioso. «Tsu-chan! Se davvero vuoi quel caffè ti conviene sbrigarti! Il mio turno inizia fra un quarto d’ora!».

Quando poi Katsuki tornò con l’attenzione rivolta a lui, Izuku poté notare lo sguardo stanco sotto l’espressione accigliata che aveva di solito. La voce era calma, ma le parole tradivano un profondo fastidio: «Se ti fossi davvero preoccupato mi avresti chiamato, dico bene?», disse, appena prima di venire raggiunto e salutato da Tsuyu, che si era sporta a salutare pure Izuku, sorridente come al solito, gracidando appena mentre seguiva il biondino verso la caffetteria a due passi dall’edificio.

Izuku era rimasto spiazzato dal tono, più che da quella domanda passivo-aggressiva che Katsuki gli aveva rivolto. Fu il tocco insistente di Hagakure sulla sua spalla a destarlo dalla sequenza di mugugni di disapprovazione che uscivano dalla sua gola: «Sembri una pentola di fagioli che borbotta! Che ti prende?».

«Kacchan è strano…».

«Avete litigato di nuovo?».

«Non che io sappia! Cioè… Ha fatto un sogno stanotte, probabilmente brutto, e se ne è andato via di casa dalle quattro di stamattina. Pensavo fosse andato a correre, perché di solito lo fa per sfogarsi… Ma non è rientrato. Erano dodici ore che non lo vedevo…».

«E l’hai chiamato?».

«No.».

Toru sbuffò e gli diede un piccolo pugno sul petto: «Allora sei un idiota.», e lo sfilò, lasciandolo di fronte alle porte della centrale di polizia a riflettere su quanto fosse stato poco attento nei confronti di Kacchan.

 

•••

 

Aspettava diligentemente il proprio turno, seduto sul bordo di una delle panchine provvisorie che avevano installato nel prato dove si sarebbe svolto l’inizio della parata.

I denti si strinsero contro la cannuccia, cercando sollievo al nervosismo con quel gesto infantile.

Reputava quasi miracoloso che nessuno fosse ancora venuto ad importunarlo per chiedergli una foto o un autografo, ma forse era meglio così.

Il sole era ancora alto, ma il cielo era coperto a tratti da sottili nuvole candide che smorzavano un po’ la luminosità e una brezza dolce e dal profumo salmastro limitava il caldo.

Da quella posizione poteva osservare Kacchan, seduto allo stand per i fan, tutto preso dal cellulare, curvo sul tavolo e con la testa sostenuta solo da un paio di dita.

Faceva ancora troppo caldo e pochi si avventuravano così presto lungo le strade assolate di quella domenica pomeriggio: la parata sarebbe cominciata solo all’imbrunire e si sarebbe concluso con uno spettacolo pirotecnico che tutti definivano come “assolutamente degno di nota”.

Ma a Izuku importava poco.

Gli importava di più capire perché stava sorridendo nel guardare il telefono e perché, a tratti, si mordeva il labbro inferiore, scuotendo capo e spalle.

Dio… Cosa avrebbe dato per sapere chi lo faceva sorridere in quella maniera!

Tirò su rumorosamente l’ultima goccia di bibita, dandosi dello stupido, perché magari era solo Kirishima e-

E se Kacchan e Kirishima… Non aveva collegato subito, ma in quel momento spalancò gli occhi al ricordo della cena di classe, alla premura che il rosso ci aveva messo per prendersi cura di Kacchan, allo sguardo che gli aveva rivolto… Ecco! E lui era il solito idiota che non era riuscito a far combaciare i pezzi!

Però… Però se la ricordava bene la faccia imbarazzata di Kacchan quella mattina, si ricordava bene della sua erezione e del suo culetto mezzo svestito che scappava in bagno… Che si fosse solo illuso di essere lui l’artefice di tutto quell’imbarazzo?

Poi vide Katsuki alzare la testa dal telefono e guardare verso di lui, aprire una mano e scuoterla appena, in segno di timido saluto.

Izuku aggrottò la fronte e strabuzzò gli occhi, interdetto da quel gesto e da quel… sorriso?

Kacchan gli stava davvero sorridendo?

«Katsuki mi aveva detto che ti avrei trovato qui, ‘kero!», fece una vocina rauca alle sue spalle, costringendolo a voltarsi di scatto, ancora con la cannuccia in bocca, solo per vedere Tsuyu alzare una mano e salutare con un gesto delle dita aperte proprio Kacchan, prima di prendere posto accanto a lui, sulla panchina.

Con la coda dell’occhio vide il biondo tornare con l’attenzione al cellulare, mentre Tsuyu riponeva il proprio in una taschina interna della sua casacca, sorridendogli come il suo solito, con la punta della lingua tra le labbra.

«Katsuki?», le chiese.

«Katsuki. - gli rispose, bevendo un sorso dalla bottiglietta d’acqua che si era portata appresso – Ho fatto male a chiedere a lui?».

«No. solo che è da stamattina che non lo vedo e mi sembra così strano…».

Tsuyu incrociò le gambe sulla panchina e osservò l’amico con attenzione: «Che intendi con strano, ‘kero?».

Izuku alzò le spalle e allargò le braccia sullo schienale della panchina: «Strano! Era lì col telefono che sorrideva. Sorrideva! E non nella sua solita maniera inquietante! – buttò la testa all’indietro con un verso esasperato – E prima… Prima mi ha risposto male, ma era stranamente calmo… Capisci che sono, come dire… Preoccupato?».

«Se sei così preoccupato, ‘kero, chiedigli che cos’ha.», fece lei, inclinando un po’ la testa e osservando il biondino a sua volta mentre posava con dei fan nella sua tipica mossa minacciosa, i palmi scoppiettanti di piccole esplosioni controllate.

Inspirò a fondo, incrociando le braccia al petto prima di esalare un sonoro sospiro.

«Tsuyu-chan? Stai bene?». Izuku l’aveva osservata, notandone l’espressione pensierosa, la faccia provata e delle occhiaie che non le aveva mai visto tanto pronunciate sul viso

«’kero?».

«Sembri stanca…».

Emise un gracidio e mosse il collo e le spalle: «Le cuccette di una nave sono un po’ scomode, ‘kero.».

«Perché non sei andata in hotel con Hagakure?».

«Perché la mia agenzia non può permettersi di pagare un hotel a tutto l’equipaggio. E abbiamo una nave apposta, ‘kero.».

La sveglia insistente sul telefono di Izuku suonò, a ricordargli che quelli erano i suoi ultimi cinque minuti di tranquillità prima di dover ripetere per l’ennesima volta quella recita fatta di sorrisi e strette di mano, di foto e pose imbarazzanti.

«Stai un’ora lì, giusto?», gli chiese la ragazza, prendendo un altro sorso d’acqua.

«Sì, perché?».

«Abbiamo tutti e quattro una mezz’ora libera prima di iniziare la ronda serale, ‘kero. Se ti va possiamo mangiare un boccone assieme, che ne dici?».

Provó a riflettere, ma si ritrovò ad annuire e basta mentre osservava Kacchan scompigliare i capelli ad un bambino con un sorriso. Ed era la cosa più adorabile che avesse visto nella sua vita fino a quel momento, tanto che addentò di nuovo con forza la cannuccia per non dover urlare tutto quel marasma di sensazioni che provava solo nel guardarlo da lontano, come una volta.

«Sei un caso perso, ‘kero!».

«Nh?», mugolò con la plastica tra i denti e gli occhi verdi spalancati e luccicanti e Tsuyu pensò che certe cose non cambiano mai per davvero e ne sorrise.

«’kero! Sei grande e grosso, ma con lui non sei cambiato di una virgola. - gli puntò l’indice sulla guancia morbida - È una cosa che non ho mai capito di te.».

«Che cosa?».

«Non ho mai capito come potessi ammirare uno come lui, che ti trattava malissimo e che non aveva per nessuno una parola dolce.». Tsuyu parlò con tono pacato, osservando anche lei il ragazzo biondo che finiva di salutare gli ultimi fan e sistemare qualcosa dentro una cartellina. «Poi, con la tua fuga, lui è cambiato. È cambiato tanto e credo che lo abbia fatto per te. È cresciuto bene in questo senso, è maturato. E forse tu eri l’unico tra di noi che era sempre riuscito a vederlo per ciò che era veramente. - fece una breve pausa e sorrise, gli occhi che si inumidivano - Katsuki è un ragazzone fragile che ha ancora bisogno di te, ‘kero.»

Izuku la fissava, pensieroso, ascoltando quelle parole con attenzione, come faceva sempre con lei, che non diceva mai una parola fuori posto e la apprezzava per quello.

Pure lei si ritrovò a guardarlo di rimando, gli occhi fissi nei suoi smeraldi, sospirando mentre provava a trovare le parole giuste: «Cerca di non romperlo più di così, ‘kero, o rischierai di non riuscire più a raccogliere i pezzi e perderlo per sempre.».

La metafora era corretta, si disse, perché erano l’uno lo specchio dell’altro. Uno specchio strano, di quelli delle fiere che un po’ ti distorcono, e a volte fanno vedere più i difetti che le forme perfette. E lei li aveva inquadrati così, loro due e aveva riflettuto sull’avvertimento da dare a Izuku-chan per buona parte della mattina, mentre accarezzava una a una le ciocche morbide di Katsuki che le dormiva addosso.

Izuku rimase ammutolito da quelle parole tenere e la sua bocca si mosse solo per lasciare un respiro lungo, senza che alcun suono lo accompagnasse. Non sapeva come rispondere e non ne aveva il tempo, perché l’oggetto di quel discorso s’era già avvicinato alla panchina, afferrando la bottiglietta che Tsuyu gli stava porgendo.

«Tocca a te, Deku. - e Izuku annuì con forza, scattando in piedi col suo solito cipiglio determinato - Tsu-chan ti ha detto della cena?».

Il suo sguardo era stranamente morbido e Izuku pensò che avrebbe dovuto essere così più spesso, perché era davverodavvero carino. Si morse l’interno della guancia ed annuì, confermando la sua presenza per quel pasto fugace, osservando poi Kacchan dare un buffetto in testa a Tsuyu, sorridendole. L’aveva chiamata con un diminutivo e questa cosa era strana e sospetta.

Perché Bakugō Katsuki aveva un’avversione atavica per i nomi delle persone e preferì e affibbiare i suoi nomignoli sgradevoli alla prima occasione utile. 

E Tsuyu era sempre stata per lui “Lingua” o, al massimo, “Ranetta”, ma solo se era in giornata estremamente buona!

«Passo un attimo in spogliatoio. - poi si rivolse a Izuku - Ci vediamo dopo, allora…», e si allontanò col solito passo pesante, lasciando Izuku a sbattere le palpebre in maniera innaturale per capire cosa fosse successo.

Solo quando Froppy si alzò dalla panchina, portando in alto le braccia e stiracchiandosi in un allungo, Izuku riversò su di lei la sua perplessità: «Lo vedi che è strano? Dimmi che hai visto anche tu quello che ho visto io!».

«’kero! É solo Katsuki!».

«Non è solo Katsuki! Hai visto? Ha sorriso! S O R R I S O! - indicò col dito il punto in cui il biondino era fino a poco prima - Per me è un clone! Non ho altre spiegazioni!».

Tsuyu dovette mantenere la sua faccia impassibile: non poteva permettersi di ridere o quel piano sarebbe andato in malora ancor prima di aver fatto effetto.

Perché le commedie di buona fattura vanno sempre recitate in due e lei non poteva di certo abbandonare un collega e amico che le chiedeva aiuto!

«Izuku-chan stai un po’ esagerando! Probabilmente è solo un po’ più rilassato…».

«No! Ma non ti sembra che stoni qualcosa?»

“L’eroe Deku allo stand 1!”

La voce gracchiante di un megafono lo fece sussultare, ma non voleva schiodarsi da lì prima di aver capito sotto che strano sortilegio fosse finito Kacchan!

“L’eroe Deku allo stand 1!”

«Spiegati, ‘kero, perché non capisco…», ma in realtà Tsuyu se la stava solo ridendo sotto i baffi, mascherando il tutto con un’espressione dubbiosa e una mano sotto il mento.

“L’eroe Deku allo stand 1!”

Si ritrovò a sbraitare contro l’agente che insisteva col megafono: «ARRIVO! ARRIVO! - poi, più concitato, si rivolse alla ragazza - È che sento che gli manca qualcosa. - gesticolò - Sai… Gli occhi no? Quello sguardo così… dolce? Non ha quella sua perpetua incazzatura… L'irritabilità… No, ok quella sí, ma meno…  Gli istinti omicidi…».

 

«La frustrazione sessuale…», aggiunse lei, raccogliendo la bottiglietta e voltandogli le spalle.

“Deku allo stand 1 per favore!”

«La frustrazione sess- ASPETTA! - Izuku sgranó gli occhi e fece un passo verso di lei, provando ad afferrarla -  COSA? COME? QUANDO? PERCHÉ?», s’impanicó, iniziando a tremolare.

 

“Deku! Allo stand 1! SUBITO!”

 

•••


«Questa cosa non me l’aspettavo da te.», sussurrò Katsuki all’orecchio di Tsuyu, mentre lei gli passava davanti e lui le scostava la sedia per farla accomodare al tavolo.

Avevano trovato uno stand defilato con cinque o sei tavolini e non avevano avuto alcuna difficoltà a farsi riservare un posto solo per loro quattro.

«L’hai già detto, ‘kero.».

Le si accomodò di fianco, sporgendosi un poco e osservandola con la coda dell’occhio, la voce bassa: «E porta il tuo livello di stronzaggine da top a super-top.».

«Ah-a.».

Le regalò un sorrisino accattivante, mentre alzava la mano per attirare l’attenzione di Deku, che però non l’aveva neppure visto.

«E da quando saresti così?»

«Da quando frequento Mina, ‘kero!.», disse, con nonchalance, mentre osservava Katsuki togliersi i guanti e osservarla di rimando con un sopracciglio alzato.

«E tu che ti lamentavi del mio cazzo! Lei ha quel coso e non dici n-», urlò sottovoce, prima che la ragazza gli tappasse la bocca con la mano.

«Sssshhh! - poi lasciò la presa e sussurrò, gli occhi scuri piantati nei suoi cremisi - Clitoride, Baku-chan. Il coso é un clitoride. Un po'  lungo del normale, ma sormonta una vagina… Zero rischi, infinite possibilità!».

Katsuki rimase accigliato anche quando arrivarono finalmente gli altri due e si unirono a loro, ordinando qualcosa di fresco da bere.

Concentrarsi sul menù lo aiutava a distogliere la mente da quel pensiero intrusivo che Tsuyu gli aveva insinuato.

Scorse in fretta i nomi dei piatti, puntando il dito su un nikuman, prima di sporgersi verso Tsuyu, l’espressione distesa e le labbra tirate in un debole sorriso: «Cosa prendi, Tsu-chan?».

All’udire di nuovo quel diminutivo Izuku quasi si strozzò con la birra che stava bevendo direttamente dalla bottiglia.

«Uh? Deku? Tutto bene?», Hagakure si era sporta verso di lui mentre gli assestava due sonore pacche al centro della schiena.

«S-sì! A meraviglia!», rispose, tossendo e agguantando il menù, portandolo in verticale a coprirsi buona parte della faccia. Tranne gli occhi. Quelli li usò per sbirciare di fronte a sè quei due che avevano un comportamento fin troppo sospetto.

Come sospetta era stata quell’uscita tagliente di Tsuyu, che l’aveva lasciato con una pungente curiosità per tutto il turno allo stand, lasciandolo distratto ed irritato pure con i fan.

Adesso, ad averli entrambi lì davanti ai suoi occhi, cercava di trovare una conferma a ciò che ipotizzava. O forse solo una smentita.

Perché, se davvero loro due…

«Prendi il katsudon?», gli chiese Hagakure, osservandolo mentre le ciglia lunghe e traslucide sfarfallavano su quei suoi occhioni chiari.

«No… Non ho molta fame in realtà…».

A quella frase laconica, Katsuki voltò appena il capo verso di lui, l’espressione indecifrabile nascondeva un velo di preoccupazione.

«Prendi un nikuman anche tu. È più leggero e bilanciato.».

Izuku mugugnò qualcosa, tornando a osservare quei due.

Forse Tsuyu lo aveva preso in giro: dai! Non era possibile che se la intendessero in quel senso perché tutti in classe loro sapevano che la ragazza aveva fatto coming out al terzo anno e che, attualmente, stava con Mina. 

Lo sapevano tutte le testate di gossip e Katsuki… Ci aveva fatto pure delle pubblicità assieme!

E poi… Da quando quei due erano così in confidenza?

«Signori! Cosa vi porto? - il cameriere bloccò le chiacchiere di tutti e le elucubrazioni di Izuku - Ovviamente è tutto offerto dalla casa!».

Hagakure ringraziò con un ampio sorriso e partí ad ordinare, seguita da Tsuyu, poi Katsuki alzò indice e medio: «Due nikuman al manzo,una porzione di patate fritte e una di verdure grigliate. Acqua liscia, due bicchieri. - si bloccò e sorrise al ragazzo moro che scriveva la comanda - Se quando torni mi lasci pure ill tuo numero ne sarei felice.». Il cameriere avvampò e balbettò un ringraziamento mentre indietreggiava e inciampava contro un altro tavolo, prima di corricchiare verso il proprietario del baracchino, trattenendo a stento l’agitazione.

Tsuyu giró di scatto la testa, sorridendo al biondo mentre Izuku lo guardava basito.

Ma da quando Kacchan era così sfacciato? Non era lui quello che non capiva nessuna battuta a doppio senso?

Tsuyu prese le guance di Katsuki e gliele strizzò con una mano, strofinandogli il naso contro il proprio, lasciandolo con le oreccchie rosse e le braccia incrociate al petto, mentre non staccava gli occhi di dosso dal cameriere.

«Waaaa! Cosa ho appena visto? - si agitò Hagakure, visibilmente su di giri - Oh questa sí che la devi raccontare ai bro!».

«Tu non farai un bel niente, fantasmina!», berciò Katsuki, provando la lanciarle un’occhiataccia, che risultò più supplichevole del previsto. Poi si sentì fare una ginocchiata da sotto il tavolo e Tsuyu che lo guardava in maniera eloquente. «Vediamo almeno se rimedio il numero, no? Magari non sono neppure il suo tipo.», aggiunse, portando le braccia dietro la testa, contraendo i muscoli e tornando ad osservare il povero cameriere vittima del suo assurdo giochetto.

Deku sbuffò, picchiettando le dita sul tavolo con insistenza, per poi afferrare la bottiglietta d’acqua fresca senza che il cameriere avesse tempo di posarla sulla superficie.

Non credeva che fosse davvero il Kacchan che conosceva, quello che sedeva di fronte a lui, tutto moine e sorrisi per uno sconosciuto che aveva visto sì e no trenta secondi.

«Sei patetico.», gli uscì senza alcun rimorso, attirando gli occhi cremisi su di sé, mentre Kacchan già salvava sul telefono il contatto di quel povero ragazzo, troppo in soggezione per dire di no all’eroe numero due.

«Come, prego?».

«Ho detto che sei patetico.», rimarcò, posando l’acqua sul tavolo.

«Ma davvero? - si sporse verso di lui, i gomiti appoggiati al tavolo e un ghigno malevolo sul volto - Credevo fosse più patetico strusciarsi su un cuscino che provarci direttamente con qualcuno, o sbaglio?».

Anche se patetico non era esattamente la parola corretta e Katsuki l’aveva trovato inquietantemente arrapante, ma non poteva certo dirlo. 

Izuku tentò di mantenere il respiro regolare mentre lo guardava negli occhi.

In quel momento lo stava odiando dal profondo del cuore, perché il ghigno era lo stesso di quando erano alle medie, anche se su quella faccia da schiaffi stava maledettamente bene.

Avrebbe voluto colpirlo, come un paio di giorni prima, metterlo a tacere per evitare che quella lingua tagliente dicesse altro. Ma rimase fermo e zitto nella sua incapacità di ribattere ad accuse pressoché vere.

Poi ci provò, ma gli uscì solo un misero: «Meglio un cuscino di una persona che fa di tutto per evitarmi.».

In tutto quello Hagakure non capiva nulla delle frecciatine che si lanciavano, mentre Tsuyu aveva incrociato le gambe sulla sedia e stava osservando la scena, divertita di quanto potesse essere infame Baku-chan senza realmente volerlo.

«Forse dovresti smettere di fare la puttana.», borbottò Katsuki, addentando il suo nikuman.

«Cosa?», si alterò Izuku.

«Cosa?», gli rispose calmo il biondo.

«Non sto capendo un cazzo!», piagnucoló Hagakure, addentando una pallina di takoyaki.

«Mi hai dato della puttana?», si sporse Izuku, un urlo serrato tra i denti.

«Lavati le orecchie perché io non ho detto un bel niente.», gli rispose Katsuki, tornando a mangiare come se nulla fosse, mentre gli occhi verdi del ragazzo cercavano una conferma o un aiuto in quelli di Tsuyu, che pian piano masticava la sua omelette e non sembrava badare nessuno in quel tavolo.

Izuku si risedette, guardando il suo nikuman ancora intonso, lo stomaco più chiuso di quando erano arrivati al tavolo.

«E tu ti dovresti levare il palo dal culo.», borbottò più a se stesso che a Kacchan, mentre decideva di alzarsi dal tavolo, prendendo e addentando di malavoglia la sua cena, mentre si allontanava, senza ribattere neppure all’ultima provocazione di Katsuki.

«Sì, bravo. Tanto sai solo scappare dai tuoi problemi, no?».


•••


Mutismo. Da entrambe le parti.

Così era cominciata quel turno in cui Izuku e Katsuki dovevano lavorare assieme e dare una parvenza di collaborazione.

Ma l’uno si sentiva offeso per le cattiverie gratuite che l’altro gli aveva rivolto e Katsuki, arroccato nel proprio orgoglio, non aveva chiesto scusa all’amico né aveva tentato di chiarire il perché di quelle frecciatine piccate.

Così avevano passato le ultime due ore a camminare con calma tra le vie della città, talvolta fianco a fianco, salutando i passanti, soccorrendo vecchie traballanti sui loro sandali di legno tradizionali o recuperando bambini che si erano allontanati troppo dalle loro madri.

«Pensi di andare avanti tanto?».

«Ah?».

«A non parlarmi… Pensi di continuare ancora per molto?».

«E tu? Hai da dire qualcosa tu?», e Katsuki lo superò con una spallata.

«Avrei delle cose da chiederti in effetti.».

«Se sono cose intelligenti…».

«Oh! Ma la pianti di fare il sostenuto?», alzò la voce Izuku, raggiungendolo con un paio di falcate.

L’occhiata che gli rivolse Katsuki lo fece ammutolire: «Vedi di non fare altre scenate. Non voglio un demerito sul curriculum per colpa tua e delle tue paturnie del cazzo!».

Izuku si morse la lingua, letteralmente, stringendo i pugni e seguendo il biondo tra la folla, mentre si dirigeva verso un capannello di persone che stava discutendo un po’ troppo animatamente attorno ad un piccolo chiosco.

«Oi!».

A quel richiamo basso e graffiato, quattro uomini si voltarono verso di lui, le espressioni incredule sulle facce arrossate più dall’alcol che dal caldo della serata.

La piccola folla assiepata che sbraitava si fece di colpo silenziosa e si divise al suo passaggio, qualcuno indietreggiando tanto da riuscire a svignarsela.

«Che sta succedendo qui?», chiese l’eroe, in maniera retorica, afferrando per il retro della maglietta uno degli uomini palesemente ubriachi, strattonandolo nello scostarlo dalla malcapitata vittima che ancora stava piegata a terra su se stessa, fintanto che il tocco leggero sulla spalla non lo fece trasalire. «Alzati, vecchio.».

Lo sguardo sollevato dell’uomo sulla sessantina si tramutò in una maschera di paura e balbettii sommessi gli uscirono dalle labbra a vedere sopra di sé la figura possente di un eroe dal volto sfigurato che conosceva bene e che ora lo stava sollevando di peso come se fosse una piuma, rimettendolo in piedi, tutto tremante, passandogli una mano sui pantaloni a togliere la polvere di dosso.

Katsuki non era mai stato un esempio di affabilità, neppure con i civili, e la nomea di eroe dal temperamento scoppiettante e poco incline al dialogo o ai gesti caritatevoli lo precedeva ovunque andasse. Anche se provava ad essere diverso, quei giudizi, come uno stigma o una pustola purulenta, lo accompagnavano e molti, moltissimi, preferivano non avere nulla a che fare con uno come lui.

Come quel malcapitato ometto, vittima innocente di quattro ubriaconi, che lo accusavano di aver saltato la fila al chiosco e avevano iniziato a prendersela con lui solo per il gusto di farlo.

«Va tutto bene? Nulla di rotto?», tentò di essere gentile Katsuki, prendendo dal venditore il cartoccio che l’uomo aveva ordinato, cacciandoglielo in mano con poca grazia, mentre allungava una banconota verso l’oste. 

«Va-a tu-tutto be-bene!», fece l’ometto, in tono avuto, prima di indietreggiare, ringraziando l’eroe a mezza voce, urtando contro un paio di persone nel fuggire via.

Katsuki guardó in alto, un respiro profondo lasciò le sue labbra, prima di tornare con la sua solita espressione dura e il dito puntato contro i quattro ubriaconi, che sghignazzavano per un motivo a lui sconosciuto: «Finitela di fare le teste di cazzo con i vecchi! - li redarguì - Mi ricordo bene le vostre facce: alla prossima cazzata vi spedisco dentro, intesi?», ma quelli trattenevano a stento le risatine, mentre le altre persone stavano ben a distanza da quel gruppo.

Il venditore gli allungò delle monete, ma il giovane eroe scosse il capo e, con un gesto della mano, lo invitò a tenersi il resto.

Compì pochi passi nella direzione di Deku, quando sentì qualcosa di gelido colpirlo forte in testa e bagnargli capelli e nuca.

Si portò una mano laddove era stato colpito, girandosi di scatto verso i quattro ubriaconi, che continuavano a ridere e a indicarlo, come dei mocciosi fastidiosi.

«Vi avevo avvisa-», ma non riuscì a schivare la seconda ciotola di kakigori che lo colpì direttamente al petto, schizzandogli sciroppo zuccherino verde fino in faccia.

«Ahahahah! Neppure con la granita diventi passabile, mostro!», udì distintamente uno degli uomini ridere sguaiatamente e camminare nella sua direzione, spremendogli contro del topping blu, continuando a schernirlo.

«Vattene da qui che spaventi pure i vecchi!», lo canzonò un altro dei quattro, poco più basso di lui, mentre gli girava attorno e lo colpiva alla nuca con un ventaglio chiuso.

Del suo lavoro odiava una cosa solamente: non poter reagire come voleva mentre era in mezzo ai civili.

Li guardò uno a uno, mentre la folla era incerta se rimanere e filmare quello spettacolo degradante in attesa che Dynamight scoppiasse di rabbia, o andarsene, principalmente per lo stesso motivo.

Izuku, a qualche metro di distanza, lo guardava stare fermo e immobile, gli occhi cremisi fissi su coloro che lo schernivano, i muscoli tesi nel trattenersi.

Perché non reagiva? Perché non diceva nulla e si lasciava prendere in giro in quella maniera?

Rimase con un vuoto nel petto e il respiro così affievolito da non avere neppure il petto che si muoveva, sospeso in quella specie di assurda bolla in cui si sentiva incapace di reagire a sua volta, atterrito dalla cattiveria gratuita delle persone verso quell’eroe che, per quanto deturpato potesse essere, non s’era mai tirato indietro. Mai.

I suoi piedi si mossero da soli. Forse era il senso di colpa che costantemente lo divorava dall’interno ogni volta che lo vedeva, ogni volta che lo osservava in viso.

«…e sai cosa è più patetico? Che il mostro non può fare niente!».

«Già! E non ha neppure i soldi per sistemarsi lo sfregio che ha sulla faccia!».

«Con che coraggio ti fai vedere ancora in giro?».

«L’ho pure visto fare le foto! Ah! Perché? Pensi che la gente voglia vedersi assieme alla tua brutta faccia?».

La gente attorno a loro mormorava, alcuni indignati, altri che lo incitavano a reagire, ma Katsuki si limitò a guardare quelle persone con disprezzo, girando i tacchi e provando ad andarsene.

Fu una mano a trattenerlo saldamente per la spalla, un formicolio che conosceva bene si propagò nel punto di contatto fin lungo tutto il braccio sinistro.

«Ehi! Non vi sembra di esagerare?», sbottó Izuku, intervenendo e zittendo per poco i mormorii.

«Deku non serve. Andiamo via.», lo esortò Kacchan, perentorio. Ma non lo ascoltò; se gli avesse sempre dato ascolto non sarebbe mai diventato eroe e, forse, starebbe marcendo sottoterra da almeno otto anni.

«Ah! Il ragazzino prodigio? - continuò uno dei quattro, forse il più vecchio del gruppetto - Ehi! Mostro! Sei talmente incapace che devi portarti dietro il cane da guardia?».

«Probabilmente l’hanno fatto Hero solo per tenerlo sotto controllo visto il carattere di merda!».

«Ah si! Il ragazzino col carattere da Villain! Ahahaha! Chissà a chi hai dovuto succhiare il cazzo per avere la licenza!».

«Se succhi bene anche il mio magari ti rimedi una gift card!», e continuarono a ridere senza che Katsuki muovesse un muscolo.

«O magari perché era davvero lui la spia! Ahahah! Si capiscono molte cose, vero, Hero?»

Katsuki si irrigidì a quelle parole e cercò disperatamente gli occhi di Deku che, sfuggenti, lo osservarono per un secondo o poco meno.

In tutti quegli anni nessun civile aveva saputo chi fosse davvero la spia della UA e le congetture si erano fatte dicerie, tanto che non era la prima volta che una storia del genere veniva fuori e la colpa ricadeva sempre su Bakugō e sul suo atteggiamento molto borderline. E lui ci ripiombava sempre nel senso di inadeguatezza, in quella sua spirale oscura di autocompatimento ogni volta che qualcuno gli muoveva quelle accuse; perché voleva gridare al mondo che lui s’era fatto il culo per tutti quegli ingrati del cazzo. Era lui ad aver sfiorato la morte, non loro! 

«Signori! - tuonò Deku con il timbro di voce più basso che poteva uscire dalla sua bocca - Disperdetevi! Non costringetemi ad intervenire!».

Tirare un calcio sui denti a tutti e quattro a Izuku avrebbe dato più soddisfazione di tutte quelle formalità da manuale operativo. Ma neppure lui voleva un demerito sul curriculum al suo primo incarico in patria.

«Uuuuhhh! Che paura eroe! - lo scimmiottò un altro, girandogli attorno come un pescecane - E come vorresti intervenire? Non ci puoi fare proprio nulla!».

Per quanto quelle parole lo ferissero, Katsuki provó ad ignorarle, come gli aveva insegnato la terapista, ripetendosi nella testa, come un mantra, che lui era più di un’impressione agli occhi degli altri. 

«Deku! - Kacchan gli poggiò una mano sulla spalla con fermezza - Lascia perdere questa feccia. Chiamo una volan-», ma fu qualcosa di tiepido ed umido che lo interruppe, facendogli chiudere gli occhi e la bocca a protezione di uno sputo improvviso sulla guancia destra.

«Mi sembra che l’unica feccia qui sia tu!».

«Vattene traditore!».

«Ti denuncio per diffamazione, brutta merda!».

Dynamight tolse con calma la saliva dalla guancia col dorso della mano, l’espressione schifata e carica di odio nei confronti del più basso dei quattro che gli aveva sputato addosso.

Fece un passo verso quell’ubriacone, determinato a far finire quella pantomima, ma un lampo verdastro lo precedette e vide Deku sollevare da terra i quattro malcapitati con Black Whip, mentre muovevano le gambe e tentavano invano di liberarsi.

«Questa rientra nelle offese a pubblico ufficiale e voi siete ufficialmente nei guai! - berciò, con lo sguardo cupo e luminescente che vagava su ognuno degli astanti assiepati attorno a loro, che riprendevano con i loro cellulari quell’avvenimento.

«E statemi bene a sentire perché non lo ripeterò una seconda volta! Questo festival… E voi, ingrati! Siete tutti vivi solo grazie a Dynamight! Se fosse per me non dovreste neppure essere degni di respirare la sua stessa aria! Siete vivi grazie a persone come lui, che hanno rischiato la vita per permettervi di tornare alle vostre patetiche esistenze! - alzò il tono di voce e strinse i pugni e, con essi, la presa sui quattro uomini che fluttuavano a un paio di metri da terra - Dove eravate tutto mentre il mondo crollava? Dove eravate tutti mentre lui salvava i vostri culi? Cosa avete fatto tutti voi mentre si spaccava la schiena a rallentare Shigaraki?».

I suoi occhi, di un verde brillante, emanavano piccole scintille e scie luminose ogni volta che muoveva la testa a osservare chi ancora non si era dileguato attorno a loro. «A giudicare, ecco dove eravate! A giudicare come fate adesso senza nemmeno sapere un cazzo! Avete giudicato me è state giudicando lui! Comodo, vero? Comodo giudicare quando tornate dalle vostre famiglie e il mondo non sembra poi così pieno di merda, giusto?».

A quelle parole molti abbassarono il capo, perfino uno degli uomini che avevano importunato Kacchan lo stava implorando sottovoce di lasciarlo andare, che aveva due figli piccoli a casa.

«Il prossimo ingrato che si permetterà anche solo di dire una singola sillaba contro questo eroe straordinario se la vedrà direttamente con me!», e strattonò per un braccio un ragazzo lì accanto: «Chiama la polizia e assicurati che prenda in custodia questi quattro pezzenti!», e li lasciò cadere a terra, doloranti e intontiti, mentre si volgeva a guardare ancora la gente attorno a loro: «Lo spettacolo è finito! - i suoi occhi tornarono gradualmente al loro colore naturale - Circolare!».

Non attese neppure che il ragazzo chiamasse qualcuno che già Izuku si stava allontanando da quel chiosco, le spalle rigide e il respiro trattenuto, mentre si osservava le mani che ancora formicolavano, aprendole e chiudendole mentre cercava di calmarsi.

C’erano poche cose che lo mandavano in bestia. Una su tutte i riferimenti a  All Might e qualsiasi allusione sulle sue decisioni passate. L’altra era Kacchan.

Forse perché il senso di colpa continuava a ribollirgli dentro e a corroderlo come acido dopo tutti quegli anni come se fosse ancora su quel maledetto prato.

Non s’era dato pace per mesi per entrambi quei sacrifici, di cui solo uno riusciva a respirare, a camminargli a fianco, chiamandolo con insistenza fino a voltarlo con forza e prenderlo per le spalle, scuotendolo dai suoi pensieri.

«Sei un coglione!».

«Lo so.».

Katsuki rimase spiazzato dal suo sguardo basso e sfuggente e da quel moto di fuga che lui ebbe appena lasciò la presa.

«Non serviva che tu intervenissi! E non in quel modo! - indicò un punto indefinito dietro di sé - Mi hai fatto passare per un deficiente!».

«Sei tu che non ti sei mosso! Cosa volevi? Che continuassero ad umiliarti? - alzò la voce - Dov’è finito il tuo amor proprio?».

Katsuki si guardó attorno, sperando che nessuno li sentisse, strattonando Deku verso un vicolo e sbattendolo contro il muro con rabbia.

«L’amor proprio non c’entra un cazzo! Dio… - si passò una mano tra i capelli, nervoso - Mi hai fatto passare per un patetico idiota! Non potevi startene zitto e lasciare che ci pensassi io? Ti ho detto che devi fare quello che dico! Mi sembrava di essere stato chiaro all’inizio!».

Izuku tolse con ferocia la mano che gli teneva la spalla ancorata al muro: «Non potevo lasciare che continuassero! Lo capisci? Non ci sono riuscito!».

Il mio corpo si è mosso da solo.

Fu un pensiero che li attraversò entrambi e le loro espressioni parvero distendersi un poco.

«Sta di fatto che hai combinato un altro casino! Cazzo!», e vide Kacchan camminare in tondo, le mani nei ciuffi biondi a tirarli, innervosito.

«È questo che ti da fastidio? Che abbia preso le tue difese?».

«Sì, cazzo! Non sono mica un moccioso, cosa credi? È tutta credibilità persa! Porca puttana! - si puntò l’indice al centro del proprio petto - Hai idea di quanto io abbia faticato, ah?», ma Izuku aveva quasi smesso di ascoltarlo, osservando il punto che lui stava indicando.

Lo sapeva. Oh, se lo sapeva!

«Kacchan… Ho capito. Mi… Mi dispiace, va bene? Ma non ce l’ho fatta! Non ce la faccio mai se ci sei di mezzo tu!».

Katsuki sgranó gli occhi a quelle parole.

«È stato più forte di me… Come quando ti ho colpito quando hai detto quella cosa su All Might… - abbassò il capo - Quando si tratta di voi due mi monta una rabbia dentro che non so come spiegare… Ed è come se ci sia un blackout. Li avrei fatti a pezzi. Li avrei fatti sparire dalla faccia della terra se avessero continuato…», confessò, osservandosi le mani, prima di alzare di nuovo la testa e guardare Katsuki con occhi liquidi e un sorriso tirato sul volto: «Mi rendo conto di aver esagerato e di averti mancato di rispetto, Dynamight.», e si piegò in un profondo inchino, mentre il biondo indietreggiava di un paio di passi.

Al di là del fastidio e della rabbia che aveva provato per essersi sentito debole e incapace per aver avuto qualcuno che prendesse le sue difese, a Katsuki quell’atteggiamento protettivo di Deku aveva fatto anche piacere.

No. Più che piacere in effetti.

Aveva sentito il suo cuore rattoppato battere stranamente più forte e un sorriso salire al volto senza che però si manifestasse sulle labbra.

Izuku aveva esternato pensieri dettati dalla sua rabbia, ma Katsuki ne aveva percepito la veridicità. Sapeva che ciò che aveva urlato era reale e veniva dal profondo del cuore. E questa cosa gli aveva chiuso la bocca dello stomaco, rendendolo incapace di reagire, forse ancora più delle offese, perché s’era reso conto di quanto Deku ci tenesse. A lui. E a quella strana amicizia fatta di allontanamenti e riappacificazioni.

E si sentiva uno stupido ad aver cercato aiuto al di fuori di loro due. Si sentiva un perfetto idiota ad averlo offeso e voluto allontanare ancora una volta, incapace di fare voce a ciò che realmente sentiva.

Così come era incapace di affrontare in quel momento tutta quella sincerità improvvisa, quell’apertura di anima che lo faceva tornare piccolo, che lo faceva rivivere di nuovo quegli occhi verdi, enormi, spalancati su di lui e carichi di aspettative che non voleva disattendere.

Allungò una mano e gliela posò, pesante, sul capo, muovendola lieve tra i suoi capelli morbidi e arruffati.

«Adesso alzati, stupido idiota.», e tolse la mano, come se si fosse bruciato col fuoco.

Izuku si raddrizzò, tirando su col naso nel vano tentativo di nascondere quella frustrazione che si tramutava sempre in lacrime e moccoli.

«Sei… Sei ancora arrabbiato?».

«Sono infastidito perché mi hai fatto fare la figura del coglione. Ma va bene così. In fondo non ho reagito, hai ragione tu.».

Izuku sbattè un po’ le palpebre mentre lo vedeva allontanarsi a passo lento da quel vicolo, la schiena ampia che creava una macchia scura contro i colori che si intravedevano alla fine della via.

«Datti una regolata, però. Non posso farti da babysitter ogni volta che perdi le staffe! - lo guardò da sopra la spalla - Ricomponiti e poi raggiungimi. Ti aspetto dal palco principale.», e si allontanò con un piccolo scoppio e un salto, inghiottito poi dalla fiumana di persone che percorrevano la via principale nell’ultimo giorno del festival.

E quella frase, per Izuku, aveva così tanto il sapore di tregua e di pace che si passò con foga la manica sugli occhi e sul naso, incespicando nei propri passi per raggiungerlo il più in fretta possibile.


I feel like you could save me now
I know I hurt you
I don't deserve you, no
~ James Arthur ~



 
   
 
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