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Autore: Biblioteca    22/08/2023    1 recensioni
E se Harry non fosse mai cresciuto con i Dursley?
Se la McGrannitt, Hagrid e Piton, di comune accordo (e con molti complici) avessero deciso di portare Harry a Hogwarts prima del tempo e di crescerlo al sicuro?
Harry Potter sarebbe sicuramente stato diverso, al primo anno come ai successivi. Ma come e quanto sarebbe cambiato? E perchè?
In questa prima storia (che inizia la notte prima dei suoi undici anni e finisce con il suo smistamento) voglio presentarvi un Harry Potter diverso e vedere, insieme a voi, se può diventare un personaggio interessante su cui lavorare o restare solo una fantasia di una storia diversa dalle solite...
Genere: Fantasy, Mistero, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Harry Potter, Minerva McGranitt, Rubeus Hagrid, Severus Piton | Coppie: James/Lily
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4
Capitoli:
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Sulla motocicletta accadde qualcosa che Harry proprio non si aspettava: una ventata di nostalgia.
Osservando dall’alto Londra illuminata dalle luci artificiali, Harry si rese conto che il motivo per cui il mondo babbano non gli mancava era il fatto che lo associava esclusivamente a Privet Drive. Ma se le cose fossero andate diversamente, se fosse stato cresciuto in una famiglia di tutori amorevoli, forse la realtà babbana non gli sarebbe dispiaciuta.
Le poche volte che era uscito insieme ai Dursley, il mondo esterno si era manifestato come più accogliente di loro, a patto che loro non si frapponessero come filtro, facendolo passare per ragazzo cattivo o disturbato (cosa a cui le persone a volte credevano, alle volte no ma accettavano per quieto vivere).
Londra in particolare gli era sempre apparsa come una possibilità lontana di fuga e riscatto, seppur consapevole che non avrebbe potuto infiltrarcisi fino alla maggiore età.
Superando la luminosità dei quartieri centrali, la moto di Hagrid cominciò a scendere di quota, atterrando infine nella strada del sobborgo, illuminata dai lampioni ma avvolta nel profondo silenzio della notte. La moto di Hagrid percorse mezzo viale prima di fermarsi e lasciar scendere Harry e Piton.
“Allora Hagrid: ripassiamo insieme cosa devi fare.” Disse Piton.
“Prima di tutto, torno a Hogwarts e mi faccio una bella dormita. Poi continuo il mio lavoro come se nulla fosse. Se tutto andrà bene, la lettera arriverà in pochissimo tempo. A quel punto, la McGrannitt si prenderà l’incarico di dire a me di andare a prendere Harry e io dovrò agire comunque come se fossi stupito e felice.”
Piton annuì e poi domandò: “Cosa devi fare se è Silente a volerti annunciare la cosa?”
“Devo prendere il talismano, recitare per tre volte ‘Harry è a Privet Drive’ e poi indossarlo.”
“Esatto. Nascondendolo.”
“Certo, nascondendolo.”
“Ti dirò Hagrid, il fatto che tu per due anni sia riuscito a seguire le mie istruzioni alla lettera è qualcosa che non mi aspettavo proprio. Sei stato l’aiutante migliore in cui potessi sperare.”
Hagrid arrossì e i suoi occhi si illuminarono.
“Oh Grazie! Grazie io..”
“Tuttavia” lo interruppe Piton “continuo a pensare che tu sia l’anello più debole della nostra catena di montaggio, anche più del ragazzo. Quindi ti chiedo per favore di tenere la guardia più alta che mai.”
L’espressione di Hagrid mutò in un attimo, passando dall’essere gioiosa all’essere offesa; il mezzogigante fece un profondo respiro e sembrava sul punto di sbottare in qualche commento feroce. Ma poi chiuse gli occhi e ripetè l’atto calmandosi.
“Prometto che lo farò.” Disse sibilante.
“Bene. Ora saluto il ragazzo.”
Hagrid riaprì gli occhi e si chinò verso Harry.
“Harry, non avere paura. Non stai tornando a casa, stai andando dai tuoi zii per una formalità e poi tornerai alla tua vera casa, che è Hogwarts.” Gli disse il gigante sorridendo.
Harry ricambiò il sorriso e lo abbracciò.
Poi lo osservò rimontare sulla moto e decollare verso il cielo.
Quando Privet Drive si immerse di nuovo nel silenzio, Piton si avviò a passo veloce verso la casa dei Dursley. Harry lo seguì, di nuovo tentato di prendergli la mano, ma reprimendo quel desiderio.
“Professor Piton, non riesco a capire ancora cosa devo fare… voglio dire, mi sembra di capire che non basta aspettare che arrivi la lettera.”
“Purtroppo no.” Mormorò Piton.
“Ma allora cosa devo fare?”
“Ogni cosa a suo tempo.”
Harry si domandò in silenzio se il tempo sarebbe mai arrivato. Quando con Piton salì i gradini della veranda della casa dei Dursley si scoprì meno spaventato di quanto immaginava.
“Non sto tornando… Sto andando… Non sto tornando…” Si ripetè nella tesa.
Anzi, si chiese quasi se l’esperienza non potesse essere divertente. Magari avrebbe potuto rinfacciare a zia Petunia, davanti a Vernon e Dudley, di aver cercato una volta di entrare in una scuola di magia.
“Pronto ragazzo?” La voce di Piton, che aveva chinato lo sguardo verso di lui, era profonda e stranamente preoccupata. I suoi occhi gelidi erano socchiusi e ansiosi.
Un ulteriore conferma che non avevano alcuna intenzione di lasciarlo lì.
Harry sorrise: “Pronto.”
Le dita ossute di Piton spinsero fino in fondo il campanello e un trillo si diffuse in tutta la casa. Dall’interno Harry udì dei rumori soffocati: parole e movimenti, capì che zio Vernon si era alzato dal letto e stava scendendo le scale.
Ed in effetti fu lui ad aprire la porta. Non era cambiato: i folti baffi c’erano ancora e il suo corpo continuava ad avere le dimensioni mastodontiche trasmesse anche al figlio; indossava un orribile pigiama a righe grigie che però sembrava sul punto di strapparsi.
Il volto era contorto in una espressione di rabbia bestiale che sparì, insieme al rossore, quando il suo sguardo incrociò quello di Harry, per lasciare posto al terrore puro.
Piton aveva tirato fuori la bacchetta.
“Buonasera signor Dursley. Scusi l’ora, ma vorrei conferire con lei e sua moglie in privato.”
Vernon Dursley emise un verso a metà tra un grugnito e un gemito continuando a fissare Harry. Questi sentì la mano libera di Piton poggiarsi sulla sua spalla.
“Non deve preoccuparsi: non ho intenzione di ridarvi in custodia il ragazzo. Perché una cosa del genere accada dovrebbe esserci di mezzo un qualche disastro che si elevi al di là della mia volontà. Dunque può stare tranquillo, la prego quindi di comportarsi da uomo e farci entrare, così che io e voi possiamo discutere con calma.”
L’accenno al “comportarsi da uomo” fece risalire la rabbia di Vernon che alzò l’indice pronto a sbraitare, salvo interrompersi quando la bacchetta di Piton si trovò a un palmo dal suo naso.
“Non-una-parola”
Certamente i Dursley non sapevano della regola di non fare magie fuori dalla scuola, pensò Harry. Regola che comunque era più ammorbidita nei confronti degli adulti, a cui piccoli interventi era concessi in casi di estrema necessità.
Vernon indietreggiò con passo incerto, lasciando entrare Harry e Piton. Harry vide la porta dello sgabuzzino e provò un brivido lungo la schiena.
“Cucina o salotto. Siete voi l’ospite, vi lascio decidere dove possiamo andare a parlare.” Disse Piton.
In quel momento la magrissima figura di Petunia Dursley, scesa dalle scale avvolta in una mostruosa vestaglia color rosa shocking, attirò l’attenzione di Harry.
La donna lo osservava in silenzio, occhi sgranati, sembrava essere più sorpresa che spaventata dalla sua presenza.
“Harry…?” quando lo chiamò, il tono sorprese il bambino, perché sembrava essere privo di odio.
“Ah ci sei anche tu” Piton invece non nascose il suo disprezzo quando si rivolse a lei “visto che tuo marito qui ha l’energia di un’ameba morta, gradirei che fossi tu a decidere dove possiamo andare a parlare.”
“Senta lei…!” Vernon era di nuovo paonazzo e aveva alzato la voce, ma Petunia lo interruppe con un secco “Vernon no!” Si avvicinò al marito e lo abbracciò “I ragazzi sono di sopra, meglio non fare rumore. Andiamo in cucina” si rivolse a Piton “Ci facciamo un tè e discutiamo da adulti NORMALI.” Scandì bene l’ultima parola fissando la bacchetta di Piton con sguardo rabbioso.
Piton annuì e fece un gesto per lasciarli passare avanti.
“Tu resta qui” disse a Harry. Poi aggiunse: “Fatti un giro e… prova a vedere se puoi combinare qualcosa.”
Mentre la porta della cucina si chiudeva, Harry si domandò cosa intendesse Piton con “combinare qualcosa”. La prima cosa che gli venne in mente fu di aprire la porta di quella che un tempo era stata la sua stanza. Non vi trovò nulla di sorprendente: lo sgabuzzino era ritornato a essere uno sgabuzzino, contendo scatole, scope, cianfrusaglie sparse e sei paia di scarpe da pioggia.
Chiuse la porta e andò in salone. Avevano un nuovo televisore, sicuramente voluto da Petunia dopo aver spiato nella casa di qualche vicino più ricco. Un orribile soprammobile a forma di bulldog stazionava sul tavolino da caffè, un dono probabilmente di zia Marge, la sorella di zio Vernon, un elemento orribile della sua vita passata che Harry aveva quasi rimosso dalla memoria.
Tornò nell’ingresso e alzando lo sguardo si rese conto di non essere più solo: dall’alto delle scale due paia di occhi lo fissavano sorpresi.
Li riconobbe subito, anche se erano passati due anni: erano Dudley, suo cugino e l’amico del cuore di quest’ultimo, Piers Polkiss. Il primo era molto più grosso di come Harry lo ricordava, mentre il secondo era rimasto pelle e ossa come quando era piccolo e teneva Harry per le braccia mentre Dudley lo colpiva allo stomaco. Ecco spiegata la frase di zia Petunia che aveva parlato di “ragazzi” al plurale.
Harry si stupì di non essere per nulla spaventato dalla loro presenza, ma al tempo stesso si sentì in imbarazzo perché si rese conto che non trovava le parole giuste per salutarli, magari in modo sarcastico.
Il primo a rompere il silenzio fu Piers che si rivolse a Dudley e disse: “Ma non l’aveva portato via gli assistenti sociali?”
Ecco cosa si erano inventati Petunia e Vernon per spiegare a conoscenti e vicini la non presenza di Harry.
“Avevi detto che era diventato pericoloso, e che era meglio tenerlo distante.” Proseguì Piers.
Dudley invece non schiodava gli occhi di dosso a Harry.
“Non sono tornato per restare, comunque.” Disse allora Harry.
“E allora che ci fai qui!?” Il tono di Dudley era secco e duro. Un brivido percorse la schiena di Harry. Gli sarebbe piaciuto avere una bacchetta per trasformarlo in qualche animale orribile.
“Sono venuto perché….” In realtà, e lo sapeva, non gli era davvero chiaro perché doveva essere lì “…perché ho bisogno di ritirare la posta.”
Dudley incrociò le braccia.
“Di lettere per te non ne arrivano. Chi ti scriverebbe mai?”
“Perché, a te arrivano?” Harry si pentì subito di averlo detto. Le narici di Dudley si dilatarono pericolosamente mentre inspirava come un torno pronto a caricare.
“Io gli mando sempre una cartolina quando vado in vacanza!” intervenne Piers “Le hai ricevute sempre, no?”
Dudley annuì. Sentendosi forte della sua posizione, Harry disse: “Le legge e poi le butta via. Non conserva mai di scritto degli amici, lo trova stupido.”
Dudley si irrigidì e sbiancò. Ma Piers non fece caso a quel cambiamento: “Bugiardo! Lo dici perché sei geloso di non riceverne neanche una!”
“Allora chiedigli di fartele vedere.” Disse Harry senza scomporsi.
Per Dudley quello fu il colmo e si lanciò verso di lui. Ma, forse per la sua mole, forse perché arrugginito dopo due anni di separazione dalla sua vittima prediletta, Dudley inciampò sui suoi stessi piedi proprio sulla soglia del primo gradino.
La scena, agli occhi di Harry, si svolse come a rallentatore: vide la gigantesca massa di Dudley sospesa mentre gli occhi strabuzzavano fuori e la bocca si spalancava in un urlo di sorpresa. Non ebbe dubbi che sarebbe caduto di testa per poi rotolare verso il basso di gradino in gradino. La paura che suo cugino morisse davanti ai suoi occhi, e che quella cosa potesse diventare una scusa per i Dursley per ucciderlo (era sicuro che neanche Piton avrebbe potuto fermare la furia di zia Petunia nella modalità “non toccate il mio Diddy!”) lo spinse a portare le mani in avanti, per afferrarlo alla prima occasione. Ma successe un’altra cosa: le scale, all’improvviso si trasformarono in un lungo scivolo rivestito di un pesante tessuto di tappeto morbido e in fondo, dove stava Harry, comparvero anche degli enormi cuscini.
Fu così che invece di cadere su un gradino, Dudley atterrò di petto sul morbido e scivolò dolcemente fino ai piedi di Harry.
Quando, di corsa, i tre adulti presenti in casa uscirono dalla cucina, si ritrovarono davanti la seguente scena: Dudley Dursley semidisteso che fissava Harry incantato in mezzo ai cuscini, Harry davanti a lui con le mani ancora tese e la bocca spalancata dallo stupore e Piers in cima allo scivolo aggrappato alla ringhiera, che ansimava.
“Diddy!” gridò zia Petunia gettandosi tra i cuscini e abbracciando forte il figlio “Diddy mio! Cosa è successo?”
Dudley non guardò la donna. Non tolse gli occhi da Harry neanche per un secondo.
Harry lesse nello sguardo del cugino tanti sentimenti diversi tra loro: incanto, paura, incredulità e perfino gratitudine.
“Che diavolo è successo qui!” esclamò zio Vernon avanzando.
“Sei stato tu?” domandò allora Dudley, sempre fissando Harry.
Harry allora realizzò che probabilmente era vero: non l’aveva fatto di proposito, ma gli era venuto spontaneo immaginare qualcosa che potesse non fare male a Dudley, in modo da essere lui stesso salvo. Era l’unica spiegazione possibile. A meno che non ci fosse sotto lo zampino di Piton. Si voltò a guardare il mago, che stava un passo indietro rispetto a zio Vernon ma lo scoprì stupito quasi quanto i suoi zii; no, non era stato lui.
“Signor Dursley! Ha visto!? Harry ha salvato Dudley con una magia!” esclamò allora Piers eccitato.
“Salvato?! CHE SIGNIFICA SALVATO!!” L’urlo di zio Vernon fu così forte e rabbioso che tutti per un attimo furono tentati di portare le mani alle orecchie. Tutti tranne Piers, che sembrava come in preda a una gioia selvaggia.
“Dudley è inciampato e stava cadendo e si vedeva che stava per rotolare giù per le scale e allora Harry ha allungato le mani e puf! Le scale sono sparite e è comparso questo!” il ragazzino indicò lo scivolo “Non l’ho immaginato! Ho visto la trasformazione! È stata velocissima! Un attimo erano lì e un attimo dopo erano questo!” Piers allora si sedette per terra e si lasciò scivolare fino giù tenendo le braccia alzate come se fosse sulle montagne russe “Ma è morbidissimo! Sentite anche voi signor Vernon! Non posso crederci! Ma che magia- “
“SILENZIO!” Questa volta l’urlo di zio Vernon riuscì a intimidire anche Piers “QUELLA ROBACCIA, LA MAGIA NON ESISTE! E NON CI RIGUARDA!”
“Signor Dursley” Piton si era avvicinato all’uomo e Harry notò che incredibilmente sorrideva “Quanto appena accaduto in verità volge a vostro favore. Se avrete la cortesia di lasciare la casa e tornare domani a sera inoltrata, le posso assicurare che io e Harry avremmo tolto il disturbo e lei avrà riavuto le sue scale.”
Piers si allungò per vedere meglio Piton.
“E tu chi sei?” chiese.
“L’assistente sociale che mi ha portato via.” Si affrettò a dire Harry.
Ma Piers, ormai non lo ascoltava più: “Sei un mago anche tu…?”
“BASTA! IN PIEDI TUTTI E DUE! TUTTI FUORI IN MACCHINA! ADESSO!”
Di solito, per quanto dure potessero essere dure le sue parole, Dudley aveva la tendenza a non obbedire al padre, se non iniziando a fare i capricci. Invece, quella volta si alzò senza fiatare ma continuando a fissare Harry, mentre zia Petunia lo spingeva verso la porta.
“Conosci altri incantesimi?” domandò Piers “Puoi trasformare altri oggetti? Puoi far apparire dei soldi?”
“PIERS POLLKISS! BASTA!” Vernon afferrò il ragazzo per un braccio e lo trascinò alla porta quasi sbattendolo fuori. Poi si rivolse a Piton “DOMANI NON VI VOGLIO PIU’ VEDERE! E RIVOGLIO LE MIE SCALE!”
“Le do la mia parola.” Rispose con tono annoiato Piton.
Vernon Dursley se ne andò senza salutare e sbattendo la porta. Il rumore della sua macchina che usciva dal vialetto e sfrecciava lungo la strada si udì poco dopo.
Harry, ancora impettito, rimase silenzioso mentre Piton sistemava quanto accaduto con un rapido giro di bacchetta. Non sapeva come sentirsi e fissò l’uomo in cerca di una risposta. Stava ancora, sorprendentemente, sorridendo.
“Che dire, Potter, sono piacevolmente sorpreso. Sei riuscito nell’impresa molto più rapidamente di quanto immaginassi.”
“Ma… Quale impresa?”
“Credi che per entrare a Hogwarts basti essere iscritti? No signor Potter, non funziona così. C’è bisogno delle capacità magiche perché una persona possa entrare a Hogwarts. E che essa esprima tali capacità al massimo della loro potenza, in modo spontaneo, almeno una volta durante l’infanzia.”
Harry ancora non capiva.
“In parole povere, c’era bisogno che tu facessi una magia, Harry. E che tu la facessi qui, in modo che la lettera risultasse a questo indirizzo.”

 
  
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