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Autore: _Agrifoglio_    26/08/2023    15 recensioni
Una missione segreta, un’imboscata vicino al confine austriaco e il corso degli eventi cambia. Il senso di prostrazione dovuto al fallimento, il dubbio atroce di avere sbagliato tutto, un allontanamento che sembra, ormai, inesorabile, ma è proprio quando si tocca il fondo che nasce, prepotente, il desiderio di risorgere. Un incontro giusto, un’enorme forza di volontà e, quando tutto sembrava perduto, ci si rimette in gioco, con nuove prospettive.
Un’iniziativa poco ponderata della Regina sarà all’origine di sviluppi inaspettati da cui si dipanerà la trama di questa storia ricca di colpi di scena, che vi stupirà in più di un’occasione e vi parlerà di amore, di amicizia, di rapporti genitori-figli, di passaggio alla maturità, di lotta fra concretezza e velleitarismo, fra ragione e sogno e della difficoltà di demarcarne i confini, di avventura, di duelli, di guerra, di epos, di spirito di sacrificio, di fedeltà, di lealtà, di generosità e di senso dell’onore.
Sullo sfondo, una Francia ferita, fra sussulti e speranze.
Davanti a tutti, un’eroica, grande protagonista: la leonessa di Francia.
Genere: Avventura, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Nuovo Personaggio, Oscar François de Jarjayes, Quasi tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Il resto è silenzio
 
La vita di Napoleone nelle Americhe si era svolta, in parte, secondo quanto da lui progettato e, in parte, in modo differente.
Durante la traversata dell’oceano, l’ex Imperatore aveva iniziato una burrascosa liaison con Jeanne de Valois, ma la storia, favorita nel suo nascere dalle molte affinità caratteriali fra i due, non aveva retto alla differenza d’età e, soprattutto, all’indole da prima donna di entrambi. Arrivati a New York, il loro amore era già finito, tanto che, mentre lui era sbarcato, lei se ne era tornata in Europa con il figlio, a consolarsi col saldo del lauto compenso promessole dalle organizzatrici della fuga.
Subito dopo il suo arrivo nel nuovo mondo, Napoleone aveva iniziato ad accumulare denaro con l’industria del legname che fioriva soprattutto nello Stato di Washington e si era, presto, esteso al settore dell’edilizia, diventando, in pochi anni, uno degli uomini d’affari più ricchi degli Stati del nord. Grazie alla borsa e alla speculazione finanziaria, aveva ulteriormente accresciuto il suo già cospicuo patrimonio che si era sommato a ciò che aveva in deposito nelle banche europee.
Disponendo di risorse praticamente illimitate, aveva armato, in Pennsylvania, una flotta con la quale commerciava qualsiasi genere, eccettuati gli schiavi, con l’Europa e con l’Asia. Fu quando l’Imperial Eagle Company si impose come una delle flotte commerciali più potenti del mondo che la Compagnia delle Indie, Orientale e Occidentale, iniziò a tremare. Innumerevoli furono gli stratagemmi e le scorrettezze per estromettere Napoleone dal mercato, ma egli rispondeva con stratagemmi e scorrettezze dieci volte maggiori. Di intraprendere un secondo conflitto contro l’America, dopo la rovinosa guerra d’indipendenza americana e le campagne napoleoniche, l’Inghilterra non se la sentiva e fu così che Bonaparte crebbe indisturbato.
I monarchi europei intuirono, allora, che difficilmente Napoleone si sarebbe accontentato di rimanere un ricchissimo e borghesissimo magnate americano (il nome stesso della compagnia di cui era l’armatore ne tradiva il disegno finale) e iniziarono nuovamente a temere per i loro troni. Furono inviati diversi sicari a ucciderlo, ma fallirono tutti.
Questo avveniva, più o meno, in concomitanza del processo che era costato la vita a Julien Sorel.
Col crescere della sua ricchezza, Napoleone aveva deciso di armare una milizia privata il cui addestramento era stato affidato ai Marescialli e ai Generali che, come Ney, Bertrand e Soult, lo avevano raggiunto in America.
Contemporaneamente, aveva ottenuto l’elezione a Senatore della Pennsylvania dove aveva dato il via a molte opere di grande importanza e utilità sociale. Nella veste di Senatore, era riuscito a fare approvare varie leggi a favore delle sue attività imprenditoriali e aveva perorato la causa dell’abolizione della schiavitù, circondandosi di molti attivisti, alcuni dei quali erano fuggiti da Stati come la Georgia, la Virginia, la Carolina, la Florida, il Mississipi e la Louisiana. Sperava, in tal modo, di conquistare la riconoscenza degli schiavi liberati e di arruolarli nella sua milizia, in modo da renderla potente oltre ogni dire. Il progetto di abolizione della schiavitù, però, non divenne legge, perché troppi erano gli interessi economici coinvolti e gli Stati del sud, che basavano la loro ricchezza sulla coltivazione del cotone alla cui raccolta provvedevano gli schiavi, erano estremamente potenti.
Napoleone, allora, si candidò alla Presidenza degli Stati Uniti, ma gli Stati del sud lo ostacolarono ed egli perse le elezioni per una manciata di voti. Allorché Andrew Jackson fu eletto Presidente, Napoleone divenne il capo della fronda e cercò tutti i pretesti per screditare l’avversario. Quando, il 30 gennaio 1835, il pittore inglese Richard Lawrence attentò alla vita di Jackson, più di una persona pensò che la mano dell’uomo fosse stata armata da Bonaparte.
A Washington, in Campidoglio, alcuni Senatori accusarono Napoleone di avere attentato alla vita del Presidente. Egli andò su tutte le furie, minacciò di scatenare una guerra civile e tale fu la rabbia che lo agitò che fu colto da un colpo apoplettico che lo uccise nel giro di poche ore.
Così, finì la vita di colui che era riuscito a dominare due continenti, creando scompiglio in entrambi, ma risvegliando gli uomini dal torpore e portando un vento di cambiamento e di modernità di cui la società odierna è ancora debitrice.
 
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Reggia di Versailles, marzo 1835
 
La Principessa Elisabetta aveva sposato il Duca di Reichstadt nella primavera del 1832 e Luigi XVII aveva concesso al genero il Ducato di Berry che, un tempo, era appartenuto al giovane Luigi Augusto, costituendo il titolo più importante di cui il Principe aveva potuto fregiarsi, prima che la morte del padre e del fratello maggiore, Luigi Giuseppe Saverio, ne facessero il successore del Re Beneamato.
Il loro si era rivelato un matrimonio tutto sommato felice. Grazie al buon carattere e all’intelligenza di entrambi, i due sposi erano subito andati d’accordo, evitando le occasioni d’attrito, concentrando l’attenzione sui reciproci pregi e pazientando sui difetti. Fra di loro, si era instaurata, sin dall’inizio, un’amicizia fatta di rispetto e di cortesia, ma l’amore, quello vero, non era mai nato. Lei sapeva che il marito, fisicamente, le era fedele, ma sentiva che, col cuore, era distante, probabilmente ancora in Austria. Lui apprezzava in lei la donna forte e determinata che era, ma i molteplici impegni della Delfina li tenevano spesso lontani. Il giovane aveva, fin da principio, capito che sarebbe stato estromesso da ogni forma di potere e che avrebbe ricoperto il ruolo che, per tradizione, spettava alle consorti reali. Essendo stato, per tutta la vita, l’ombra del padre e del nonno Imperatori, si rassegnò a essere quella della moglie erede al trono e si trovò dei compiti da svolgere e dei passatempi da coltivare.
Malgrado l’assenza di passione, l’unione fu rallegrata, dieci mesi dopo la celebrazione delle nozze, dalla nascita di un bel bambino, Luigi Francesco Carlo Augusto Giuseppe, per il quale entrambi i genitori stravedevano. Nell’anno successivo, il 1834, nacque una Principessa, Maria Antonietta Elisabetta Margherita Luisa, ugualmente amata.
Fu nel marzo del 1835, quando la Delfina era incinta per la terza volta, che la coppia principesca fu raggiunta dalla notizia della morte di Napoleone, avvenuta il mese prima, a Washington.
Bisognosa di consigli, la Delfina convocò Oscar alla sua presenza, per illustrarle la situazione.
– Il Duca di Berry ha espresso il desiderio che il padre riposi in Francia, Madame Oscar e sta già prendendo accordi con le autorità statunitensi per il trasporto della salma che, probabilmente, giungerà qui a maggio. I funerali saranno celebrati subito dopo l’arrivo.
– Capisco, Altezza – disse Oscar, pensierosa – Non c’è molto tempo per i preparativi.
– Il Re, pur approvando la sepoltura in Francia che accontenterebbe i bonapartisti, pensa che sia meglio che questa vicenda si concluda al più presto. Se i funerali avvenissero fra qualche mese o, addirittura, fra un anno, ci sarebbe più tempo per i preparativi, ma l’evento diventerebbe, per lunghi mesi, il fulcro di ogni conversazione, di ogni articolo di giornale, di ogni commemorazione e noi non vogliamo che sia così.
– E’ giusto, Altezza – rispose Oscar.
– Ci vediamo costretti, pertanto, a organizzare tutto in breve tempo e ancora non abbiamo deciso che tipo di funerali celebrare e in quale luogo avverrà la sepoltura. Per ora, una sola cosa è certa: il Re vieta categoricamente che Napoleone riposi nell’Abbazia di Saint Denis.
Luigi XVII non aveva mai dimenticato la lunga prigionia patita per opera di Napoleone e, pur essendo disposto ad accoglierne le spoglie mortali per il bene della Francia e per un riguardo al genero, mai avrebbe tollerato che esse riposassero accanto a quelle dei Re di Francia, fra i quali anche lui, un giorno, sarebbe giaciuto.
– Si potrebbe seppellirlo all’Hôtel des Invalides – suggerì Oscar, ricordando la prima volta che aveva visto Napoleone, nella primavera del 1788, incrociandolo fugacemente all’uscita dell’Hôtel – Si tratta di un luogo ove sono ricoverati i militari anziani e invalidi. I funerali dovrebbero essere solenni. In fin dei conti, si tratta, pur sempre, del consuocero del Re. Sono sicura che gli esperti di cerimoniale metteranno a punto ogni dettaglio.
– Sono delle buone proposte, Madame Oscar, tanto più che Napoleone, nel suo testamento, ha espresso il desiderio di riposare davanti alle rive della Senna – rispose la Principessa – Voi, invece, dovreste scortare la bara e guidare il corteo funebre.
– Vostra Altezza, mi rincresce – obiettò Oscar, tutta contrita – ma, a dicembre di quest’anno, compirò ottant’anni e non me la sento di intraprendere un viaggio così lungo, come quello di andata e ritorno dall’America!
– Oh, no, Madame Oscar! – si affrettò a rassicurarla la Principessa – Sarà il Principe di Joinville a recarsi in America. Voi dovreste soltanto scortare il feretro lungo la Senna, dall’Atlantico al porto di Parigi e, poi, guidare il corteo funebre.
– Sarà fatto, Altezza – rispose Oscar, confortata da quella precisazione che sottraeva migliaia di miglia al compito di cui sarebbe stata gravata e pronta, come sempre, a mettere se stessa a disposizione della Francia e del Re. Non sapeva per quanto tempo avrebbe potuto servirli, perché sentiva le sue forze diminuire di giorno in giorno, ma, finché fosse stato possibile, l’avrebbe fatto con devozione e ardimento, come in gioventù.
 
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Porto di Cherbourg e Parigi, maggio 1835
 
Le spoglie mortali di Napoleone arrivarono sulle coste francesi a bordo della fregata La Belle Poule che attraccò al porto di Cherbourg.
Sul ponte della nave, era stato montato un catafalco vegliato da quattro aquile dorate che guardavano i quattro punti cardinali. Il corpo del grande Corso era stato adagiato in sei sarcofagi. C’era una prima bara di stagno, una seconda di mogano, una di piombo, un’altra di mogano, una quinta cassa di rovere impiallacciata di ebano e guarnita d’argento e, infine, una bara di quercia, il tutto per un peso di milleduecento chili.
Dal molo, Oscar vide arrivare la nave col suo carico bene in vista. Si accorse anche che la fregata era stata adornata con scuri drappi ricamati con delle grandi N e che, per l’occasione, i gigli di Francia avevano ceduto il passo alle api napoleoniche.
Ricordò di quando, trent’anni prima, erano attraccati al porto di Le Havre, dopo avere liberato il Re dalla prigionia in Corsica e avere circumnavigato la Spagna e la Francia occidentali, perché i porti del Mediterraneo erano in mano a Napoleone. Ripensò alla battaglia di Trafalgar a cui avevano assistito da lontano, a bordo della nave che procedeva lentamente, in abbrivio, a causa dell’assenza di vento e a quando, nel porto di Le Havre, avevano salvato Lisimba, oggi Avvocato cinquantenne, sostenitore della causa abolizionista. Le tornarono alla mente il viaggio lungo la Senna, su un battello a vapore, l’arrivo al porto di Parigi, all’alba, lo stupore degli uomini di fatica alla vista di Lisimba, il commovente incontro fra il Re e la madre e le figure dei genitori, ormai morti da diciotto anni, che stavano fermi al molo, ad attenderla.
Come sembra tutto diverso, ora che è passato tanto tempo! – pensò Oscar con dolce nostalgia – E quante persone che c’erano allora, oggi, non ci sono più!
Le parve strano che, adesso, a trent’anni di distanza, avrebbe dovuto fare un identico viaggio per riportare a casa il corpo di colui che aveva fatto rapire il giovane Re.
Il mio più grande nemico è morto tre mesi fa e io sono giunta alla fine della mia esistenza – pensò Oscar – Com’è simmetrica la vita!
I pensieri di Oscar furono interrotti da una vigorosa salva di cannoni che accolse l’arrivo della nave.
Oscar e le Guardie Reali resero gli onori militari al feretro e accolsero il Principe di Joinville che aveva guidato la spedizione. Presiedettero, poi, alle operazioni di trasbordo del sarcofago, perché anche la parte finale del viaggio di Napoleone, così come del loro, trent’anni prima, avrebbe avuto luogo su un battello a vapore, visto che la fregata che aveva attraversato l’oceano non aveva la stazza adeguata alla navigazione fluviale.
A Parigi, un’immensa processione sfilò per la città e milioni di persone si riversarono nelle strade ad assistervi. Le sei bare dell’ex Imperatore erano state poste su un’enorme carrozza dorata, alta dieci metri, quasi come un palazzetto, larga cinque virgola otto e lunga tredici. Pesava tredici tonnellate e ci vollero sedici cavalli riccamente adorni di finimenti dorati, disposti in gruppi da quattro, per trainarla. Ai lati della carrozza, erano stati legati due grandi drappi viola, ciascuno con un’enorme N ricamata. Sopra questa monumentale vettura, svettavano, a mo’ di torre, delle gigantesche cariatidi, anch’esse dorate, che sorreggevano un sarcofago coperto da un velo nero. Curiosamente, il sarcofago era vuoto e la vera bara di Napoleone (anzi, le sei bare) era stata collocata alla base della carrozza, dove nessuno poteva vederla. Dato il peso dei sei sarcofagi, infatti, la sistemazione in cima sarebbe stata impossibile.
Il passaggio del feretro fu salutato da numerosi colpi di cannone e dall’entusiasmo della folla, a tratti abbagliata dal riflesso del sole sull’oro della carrozza.
Una sola parola poteva descrivere quello spettacolo: grandioso, come grandiosa era stata l’esistenza di quell’uomo controverso, ma indubbiamente straordinario.
Oscar guidava il corteo e tutti notarono la dignità e lo stoicismo di quel vecchio Maresciallo di Francia che, all’indomani dell’uccisione di Luigi XVI, aveva offerto la sua vita in garanzia della promessa di proteggere e migliorare la Francia e che, nel corso della battaglia di Waterloo, ci aveva quasi rimesso un polmone, trafitto da una lancia. Nei decenni, avevano imparato ad ammirarla e ad amarla e lei, con la sua unicità di donna allevata come un uomo e incardinata in un ruolo maschile, aveva conquistato i cuori di tutti. La vedevano come una sorta di grande vecchia, come una nonna nazionale che li guidava e li amava, come una Regina guerriera a cavallo che affiancava il Re sul trono.
Oscar, sul suo cavallo bianco, ultimo di una dinastia di valenti e fedeli destrieri, percorreva la strada lentamente, schiacciata dal peso degli anni e sinceramente commossa. Quel nemico che l’aveva impegnata e sfidata, che le aveva dato più filo da torcere di chiunque altro, che l’aveva intellettualmente affascinata fino al punto di suscitare la gelosia di André, se ne era andato per sempre e, con lui, se ne era andata una parte importante della vita di lei. Anche i giorni da leonessa erano finiti. Rivolse al Cielo una muta preghiera, invocando per l’anima di quell’uomo inquieto il perdono divino e augurandogli di avere finalmente trovato la pace, dopo una vita trascorsa fra guerre, ambizioni divoranti e pulsioni frenetiche.
Il maestoso corteo giunse all’Hôtel des Invalides alle due del pomeriggio. Ad attendere il corpo dell’ex Imperatore, c’era il Re, con a fianco la Regina, la Delfina e il Duca di Berry che tratteneva a stento la commozione. Davanti all’Hôtel, erano schierati vari reduci napoleonici, alcuni dei quali molto anziani. Alain aveva ritenuto opportuno stare fra loro, perché, nonostante i dubbi e i dissapori finali, Napoleone aveva, pur sempre, avuto un ruolo fondamentale nell’esistenza di lui. In un settore dedicato alle autorità, c’era anche André.
Le rappresentanze diplomatiche dei vari Stati disertarono i solenni funerali e si radunarono all’Ambasciata britannica a Parigi, data l’antipatia provata per Napoleone.
Le migliori voci dell’Opera di Parigi eseguivano il Requiem di Mozart.
Appena fu giunto davanti al Re, il Principe di Joinville disse:
– Sire, Vi presento il corpo dell’Imperatore Napoleone.
– Lo ricevo nel nome della Francia – fu la risposta di Luigi XVII.
Non è chiaro se il Re lo avesse perdonato o se l’atteggiamento che tenne fosse stato ispirato al più alto senso istituzionale, ma il risultato fu comunque impeccabile.
Successivamente, il Re incaricò il Generale Bertrand, un fedelissimo di Napoleone, di deporre la spada dell’Imperatore sul feretro, ma questi, per la commozione, non vi riuscì e fu sostituito dal Generale Gourgaud che adagiò sulla bara pure il cappello di Bonaparte.
La cerimonia funebre ebbe luogo nella Chiesa dell’Hôtel des Invalides che fu lasciata aperta al pubblico negli otto giorni successivi, affinché la gente comune potesse rendere omaggio alla bara.
Successivamente, Giuseppe Bonaparte inviò il gran collare, il nastro e le insegne della Legion d’onore che il fratello aveva indossato.
Venti anni dopo, l’Imperatore fu definitivamente tumulato in un maestoso monumento commissionato all’Architetto di origini italiane Louis Tullius Joachim Visconti. L’enorme sarcofago in porfido rosso fu collocato sotto la cupola della Cappella Reale della Cattedrale di Saint Louis des Invalides.
Il giorno successivo ai solenni funerali del suo antico avversario, Oscar rassegnò le dimissioni da Comandante Supremo delle Guardie Reali e da Ministro della Difesa, dopo aver assicurato al Re e a tutta la famiglia reale che sarebbe rimasta a disposizione per qualsiasi necessità. Contemporaneamente, anche André si dimise dalla carica di Ministro di Giustizia. L’attuale nemico, la vecchiaia, era spietato e suggeva via le forze. Era giunto il tempo di dedicarsi a se stessi e alla famiglia.
 
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Versailles, Palazzo Jarjayes, giugno 1835
 
Trascorsero delle giornate particolari a Palazzo Jarjayes, all’insegna della passione archeologica e della curiosità intellettuale.
La bella Hélène, la figlia di Antigone e di Grégoire Henry de Girodel, era una ragazza assai singolare per l’epoca in cui viveva. Non aveva alcuna intenzione di sposarsi e, dopo la laurea, si era unita a un gruppo di archeologi che visitavano i principali siti dell’antichità. L’inverno e la primavera precedenti, avevano trascorso sei mesi in Mesopotamia e avevano già in programma, per l’anno a venire, di recarsi in Egitto. Nell’anno in corso, invece, erano stati in Grecia ed era dei vari scavi a cui aveva preso parte nella patria di Omero che la giovane Contessina parlava con enfasi tutta pervasa di spirito pionieristico e di sete di avventura.
Spirito pionieristico e sete di avventura che avrebbero fatto di lei una donna eccentrica e carismatica, uno dei pilastri dell’alta società europea e un membro di spicco dell’Accademia francese delle Scienze, della Royal Society e della neonata National Geographic Society.
Spirito pionieristico e sete di avventura che l’avrebbero spinta, in vecchiaia, a stupire la corte francese, pilotando da sola un aeroplano a vapore e scegliendo come pista d’atterraggio il grande viale dei giardini di Versailles. Quando i reali, interdetti e increduli, si erano precipitati, seguiti dalla corte, davanti alla fontana di Latona, avevano visto l’arzilla vegliarda balzare acrobaticamente a terra dalla fiancata del velivolo, togliersi uno strano copricapo con grandi occhiali e due lunghe “orecchie” e salutarli col pollice in alto.
La bella Hélène de Girodel era una fonte inesauribile di narrazioni e, sentendola parlare, sembrava davvero di essere con lei, sotto il sole a picco, con gli stivali sporchi di terra e la polvere degli scavi in gola e nelle narici. Pareva sul serio di affondare la vanga sopra il sito di un’antica tomba o di usare un delicato pennellino su una lucerna senza manico, su un cratere sbeccato o sui mille frammenti che, rimessi insieme, avrebbero ridato vita a un grande piatto dipinto.
Narrava di Micene e della Porta dei Leoni, di Delfi con l’anfiteatro e il tempio di Apollo, di Tebe dalle sette porte e, naturalmente, dell’acropoli di Atene.
Migliaia di suggestioni si impadronirono di Oscar, legate agli studi dell’infanzia e della prima adolescenza. Ripensò alle Pizie sui crateri, avvolte da fumi sgorganti da chi sa dove (“E per forza che davano risposte bislacche!” celiava sempre André), all’uccisione di Agamennone e Cassandra, alle travagliate lotte dei discendenti di Edipo, alle vele nere di Teseo e al dolore di Egeo.
Pensava che le sarebbe piaciuto fare un viaggio in quei luoghi, che si sarebbe potuto organizzare qualcosa per la prossima primavera, ma fu quando Hélène parlò degli scavi del tempio di Poseidone a Colono che un’associazione di idee la riportò alla realtà. Alcuni mesi prima, un improvviso appannamento alla vista aveva fatto scivolare André mentre saliva sulla torre del palazzo. Si erano accorti che la caduta era da attribuirsi non soltanto al malore, ma anche a un gradino ormai sconnesso e la vetustà di Palazzo Jarjayes le era, d’improvviso, balzata agli occhi. Le facciate erano annerite e in parte fessurate, le travi di legno tarlate, i tetti da rifare in più punti e gli scalini della torre pericolanti. Il palazzo era vecchio come chi lo abitava e avrebbe dovuto farlo restaurare per lasciare ai suoi eredi una dimora degna di questo nome. Da alcune settimane, decine di operai erano al lavoro e sarebbe stato un azzardo lasciarli lì da soli. Difficilmente, poi, un viaggio così lungo sarebbe stato tollerato da due vecchi leoni.
Oscar fu sopraffatta da un senso di stanchezza e di oppressione e l’immagine di una clessidra che lentamente si esauriva si sovrappose a quella dei fasti, ormai passati, della Grecia.
 
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Versailles, Palazzo Jarjayes, 26 agosto 1835
 
Una grande festa, fortemente voluta dai figli per celebrare l’ottantunesimo compleanno di André, riunì parenti e amici a Palazzo Jarjayes. Persino Oscar si decise ad accantonare momentaneamente la sua proverbiale ritrosia e ad aprirsi ai festeggiamenti.
C’erano proprio tutti, anche il Conte di Canterbury e Sir Percy Blakeney con le mogli e i figli, dall’Inghilterra e Bernadette e famiglia, da Lille. Rosalie era, ormai, una vecchia signora che faceva rigare i nipoti e, in quel carattere determinato, quasi tutti rivedevano la compianta Marie Grandier.
Giselle e il consorte, il Marchese d’Amiens, avevano viaggiato insieme a Geneviève e al secondo marito di lei e sedevano vicini a Diane e famiglia, ma erano soprattutto lo zio di Giselle, che non ha bisogno di presentazioni e la vecchissima nonna del Marchese d’Amiens, la madre di Geneviève, che tenevano banco coi loro continui battibecchi. Più diversi di così i due non sarebbero potuti essere e litigavano vivacemente tutte le volte che si incontravano.
La festa fu anche l’occasione per presentare a tutti un neonato di appena un mese, il primogenito del ventunenne figlio di Honoré e di Élisabeth Clotilde de Girodel, che aveva reso bisnonni Oscar e André, ma anche la Regina Maria Antonietta (già bisnonna dei figli della Delfina) e il Conte di Fersen. Il piccolo sonnecchiava in mezzo al padre e alla madre, una bionda e aggraziata ventenne, cugina di secondo grado di Madame de Girodel e parente alla lontana del secondo marito di Geneviève che, a sua volta, era imparentato col Vescovo de Talleyrand.
A un certo punto, André si alzò in piedi e, prendendo il primo calice di champagne della giornata che il valletto gli aveva portato e levatolo in alto, fece il suo discorso da festeggiato:
– Amici, abbiamo vissuto insieme a lungo, condividendo gioie e dolori, speranze e paure, vittorie e sconfitte, progetti e sconforto, ma sono i momenti belli come questo che, alla fine, restano nel cuore. Amici carissimi, io sarei nulla senza di Voi e senza mia moglie che mi siede accanto e alla quale dedico tutti i miei pensieri. Per tale motivo, questa festa, più che a me che sono vecchio, appartiene a Voi, a coloro che mi hanno accompagnato fino a qui dalla nostra comune giovinezza e specialmente alle nuove generazioni che dovranno raccogliere il testimone e lottare al posto nostro che non ne abbiamo più la forza. Il mondo, adesso, è vostro, giovani amici e lotterete, ma, alla fine, chi ha ben vissuto approderà al suo porto sicuro e troverà un albero frondoso alla cui ombra riposare. Non vi auguro un’ininterrotta felicità, giovani amici, perché sarebbe come augurarvi di incontrare un unicorno o l’araba fenice. Vi auguro, invece, di essere coerenti, onesti, saldi e forti nelle vostre idee, perché, al termine dell’avventura, raccoglierete i frutti e questi allieteranno la vostra vecchiaia. Vi ringrazio, amici, vecchi e giovani e a tutti voi dedico questo brindisi! Che il Signore dia speranza alle vostre mattine, forza ai vostri mezzogiorni, perseveranza ai vostri pomeriggi e riposo alle vostre sere!
Un lungo applauso esplose al termine del discorso e tutti gli intervenuti annuirono, scambiandosi segni di approvazione.
Oscar e André si guardarono con infinito amore.
Il silenzio si era da poco riappropriato della sala quando Alain, con la sua imperitura guasconeria, disse:
– Amico mio, capisco il tuo dovere di festeggiato, ma non è che l’hai menata tanto per le lunghe perché il vino scarseggia nelle vostre cantine? Tirate fuori lo champagne!
Tutti risero di gusto tranne la vecchia Marchesa d’Amiens che alzò gli occhi al cielo.
 
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Versailles, tenuta intorno a Palazzo Jarjayes, settembre 1835
 
André e Antigone passeggiavano per la tenuta di Palazzo Jarjayes, con in testa dei grandi cappelli di paglia dalle ampie tese. In quei primissimi giorni di settembre, il cinguettio degli uccelli e il frinire dei grilli e delle cicale accompagnavano gli ultimi scampoli di una calda estate che si sarebbero presto sfilacciati nei piacevoli tepori del finire di stagione.
Oscar era tutta intenta a seguire il lavoro degli operai e, in un accesso di nervosismo, li aveva, non troppo gentilmente, esortati a levarsi di torno per non darle fastidio. Abituati ai malumori della donna che l’età aveva reso cronici e ravvicinati, padre e figlia si erano defilati in una tiepida mattina.
Avevano legato i cavalli a uno degli alberi vicini al laghetto, in modo che le bestie trovassero ristoro sotto le fronde, cibo nell’erba e refrigerio nelle acque mentre loro si concedevano un’ora di passeggiata, prima che le lancette dell’orologio si avvicinassero a mezzogiorno e l’aria si arroventasse troppo.
– Quest’autunno, faremo allestire “La bisbetica domata” di Shakespeare in onore di mia madre – scherzò Antigone, ripensando all’umore nero di Oscar.
– Nessuno l’ha mai domata tua madre e ti ricordo che tu non hai un carattere migliore – le rispose André, facendo seguire facezia a battuta.
Parlarono amabilmente del più e del meno, Antigone si informò sulla salute dei genitori e André si complimentò per i primi successi militari di Victor Clément e per le spedizioni archeologiche di Hélène.
– Una ragazza dalla tempra tutta particolare – disse allegramente André – Mi ricorda qualcuno – concluse, con occhi sorridenti e voce amorevole.
Quando giunsero in un boschetto, André avvertì una fitta acuta al capo e iniziò a barcollare.
– Cosa c’è, Padre?! – esclamò Antigone, sorreggendolo – Vi sentite male?!
– Non vedo nulla, Antigone, sono cieco… – gemette André – Vai a cercare soccorso…
– Non posso lasciarVi solo! Dobbiamo tornare dove sono i cavalli – disse la donna mentre si guardava nervosamente intorno in cerca di qualcuno, ma la campagna estiva, nelle vicinanze, era deserta e gli alberi del boschetto recavano soltanto il lento stormire delle fronde, il canto degli usignoli e il verso dei grilli e delle cicale.
Si mossero per alcuni minuti nel boschetto, André sempre più stanco e Antigone che sorreggeva e guidava il padre cieco, finché il peso di lui non si fece eccessivo.
– SedeteVi su questa roccia, Padre – disse, infine, Antigone, stremata dalla fatica – Io andrò subito a recuperare i cavalli e a vedere se c’è qualcuno nelle vicinanze.
Mentre finiva di parlare, un villico, provvidenzialmente, si avvicinò al padre afflosciato sul masso e alla figlia afflitta e li guardò con aria interrogativa e preoccupata.
– Andate a Palazzo Jarjayes a cercare aiuto, buon uomo! – lo esortò Antigone, sfinita e agitata – Prendete uno dei cavalli legati vicino al lago, per fare prima!
– Ma io non so andare a cavallo, Signoria… – balbettò il poveretto, tormentando nervosamente, fra le dita grosse e nodose, il cappello che si era tolto in segno di rispetto.
– Allora, restate a fare compagnia a mio padre, Ve ne prego e a cavallo ci andrò io! Mi raccomando, non lo abbandonate!
– Non temete, Signoria – rispose il villico, con un inchino mentre Antigone si era già allontanata di molti passi.
 
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Versailles, Palazzo Jarjayes, settembre 1835
 
Provocò un grande stupore la vista di Antigone che, scarmigliata come una menade e veloce some una saetta, era entrata in groppa al cavallo nell’atrio di Palazzo Jarjayes.
Fu immediatamente inviata una carrozza nel luogo indicato dalla donna e, contro il parere di tutti, Oscar insistette per precipitarsi lì a cavallo.
Le condizioni di André apparvero subito molto gravi. Dopo qualche ora, l’uomo recuperò la vista, senza, tuttavia, riuscire a muovere gli arti inferiori mentre quelli superiori li spostava a fatica. Aveva, però, mantenuto l’uso della parola ed era lui a confortare gli altri, soprattutto la moglie.
L’Archiatra di corte, seppur con riluttanza, esortò i familiari a non farsi illusioni, ma Oscar era sorda a quelle parole e rifiutava, con ogni fibra del suo essere, l’ineluttabile.
I figli e i nipoti, giunti al capezzale del malato, erano preoccupati e scuri in volto mentre i servitori piangevano senza ritegno, come dei bambini. Alain, accorso anche lui non appena era stato avvertito, non riusciva a credere a ciò che stava accadendo. Avrebbe voluto dare forza a Oscar, ma egli stesso non sentiva la forza dentro di sé.
Oscar era frastornata, respirava a fatica, i suoni le sembravano distanti e le rimbombavano nelle orecchie come l’eco in una caverna. Non si capacitava di quello che stava loro succedendo e non riusciva a immaginare una vita senza di lui. Più che altro, non riusciva a pensare né ad articolare una sillaba.
Dopo avere ricevuto l’estrema unzione, André si accomiatò dai figli e dai nipoti, dando loro la sua benedizione. Salutò con il sorriso Alain che tentava di darsi un contegno, riuscendoci malissimo.
Oscar, a quel punto, si avvicinò al letto del malato e gli prese una mano, stringendogliela forte.
– André… – mormorò, con le labbra aride e la gola asciutta, senza riuscire ad andare oltre.
– Il sole sta tramontando, non è vero, Oscar? – le chiese André, con la voce ridotta a un rantolo.
– Sì, André, il sole sta tramontando – rispose lei, piangendo – Ricordi i tramonti e le splendide albe che abbiamo visto ad Arras, da ragazzi? Io vorrei tornarci e vederne altri, noi due insieme…
– Perché stai piangendo, Oscar? Io sono felice, ho vissuto pienamente la mia vita… Sposarti è stata la cosa più bella che mi sia capitata… Insieme, abbiamo formato una splendida famiglia… Insieme, abbiamo lottato per costruire un mondo migliore… L’amore ci unisce, Oscar e nulla potrà dividerci…
Null’altro disse e, in un sorriso, esalò l’ultimo respiro. Con quel sorriso beato, lo videro tutti, parenti, amici e servitori e ne furono quasi sollevati, pensando che quell’uomo buono stesse già in cielo, lieve come una nuvola e splendente come un angelo.
– André! – urlò Oscar, disperata – Non avresti dovuto lasciarmi sola!
Vide intorno la sua famiglia e i suoi amici, ma percepiva una barriera che la separava da tutti e che le impediva di provare la consolazione del contatto umano. La morte le aveva portato via il compagno di una vita, un legame sublime e speciale. Nulla, d’ora in poi, avrebbe più avuto senso e nulla l’avrebbe restituita alla vita. Insieme, avevano vinto mille battaglie e sconfitto tanti nemici, ma l’ultima battaglia era stata vinta dall’ultimo nemico, la morte.
 
Spezzato un nobil cuore! Dolce principe, benevola ti sia l’eterna notte e possa un volo d’angeli cantando accompagnarti all’ultimo riposo! (William Shakespeare, Amleto)







Il rientro delle spoglie di Napoleone in Francia avvenne nel 1840 anziché nel 1835.
La fregata La Belle Poule, partita da Sant’Elena anziché dall’America, attraccò al porto di Cherbourg il 2 dicembre 1840, esattamente trentasei anni dopo l’incoronazione di Napoleone mentre i funerali solenni si svolsero a Parigi il successivo 15 dicembre.
Questo capitolo inizia con una morte e finisce con un’altra. A entrambi i personaggi ho concesso del tempo in più, ma mi rendo conto che il boccone è ugualmente amaro.
Come al solito, grazie a chi vorrà leggere e recensire.
   
 
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