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Autore: Biblioteca    27/08/2023    1 recensioni
E se Harry non fosse mai cresciuto con i Dursley?
Se la McGrannitt, Hagrid e Piton, di comune accordo (e con molti complici) avessero deciso di portare Harry a Hogwarts prima del tempo e di crescerlo al sicuro?
Harry Potter sarebbe sicuramente stato diverso, al primo anno come ai successivi. Ma come e quanto sarebbe cambiato? E perchè?
In questa prima storia (che inizia la notte prima dei suoi undici anni e finisce con il suo smistamento) voglio presentarvi un Harry Potter diverso e vedere, insieme a voi, se può diventare un personaggio interessante su cui lavorare o restare solo una fantasia di una storia diversa dalle solite...
Genere: Fantasy, Mistero, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Harry Potter, Minerva McGranitt, Rubeus Hagrid, Severus Piton | Coppie: James/Lily
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4
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Seduti sulla veranda, Harry e Piton osservavano il cielo terso del primo giorno d’agosto.
Harry aveva dormito un po' sul divano, mentre Piton aveva preferito restare sveglio e vigile in cucina, insieme al tè rimasto dalla riunione con i Dursley
Quando Harry si era svegliato, l’aveva trovato seduto su una poltrona davanti a lui, per nulla stanco.
“La colazione è in cucina Potter.” Gli aveva detto calmo.
Harry aveva mangiato solo nella cucina dei Dursley, prendendosi il posto di Dudley a capotavola. Per preparargli la colazione, Piton aveva quasi svuotato il frigorifero lasciandogli ampia scelta: tante varietà di biscotti, frittelle, uova sode, bacon, pudding, yougurt, cheesecake… Harry aveva mangiato domandandosi se fosse stato il caso di chiedergli se era stato in grado di preparare tutto da solo, o se aveva avuto bisogno della magia (Ovviamente escludendo tutti i prodotti confezionati come i biscotti e la cheesecake). Quando finì mise in ordine gli avanzi e raggiunse Piton che lo invitò ad uscire fuori.
“So che non hai dormito molto, Potter, ma spero che tu avrai energie per oggi.” Disse Piton “La lettera dovrebbe essere in arrivo, forse a portarla a te sarà direttamente Hagrid, chissà. Subito dopo, ci recheremo insieme in un posto dove mi trovo costretto ad andare, anche se preferirei di no, e infine ci divideremo: io proseguirò verso la passaporta più vicina, mentre tu e Hagrid andrete in un luogo chiamato ‘Il paiolo magico’.”
Del “Paiolo magico” punto di contatto e confine tra il mondo dei maghi e il mondo babbano, Harry aveva sentito parlare tante volte da Hagrid. Mentre non aveva idea di cosa fosse una passaporta. Non ebbe però il coraggio di chiedere spiegazioni a Piton, da sempre il più reticente a esprimersi su qualunque argomento (escludendo pozioni e arti oscure, di cui però era Harry a non avere alcun piacere a parlare), anche perché lo vedeva teso e nervoso, mentre seduto sugli scalini fissava il cielo, rovinato giusto da qualche nuvola vagante.
“Professor Piton?”
“Che c’è Potter?”
“Se non fossi riuscito a fare una magia…”
“Impossibile Potter. Hai fatto diverse cose già mentre eri a Hogwarts. Avevi solo bisogno degli stimoli giusti per fare qualcosa di più grande e percettibile. Ogni magia libera energia, Potter, e questa energia viene avvertita nel mondo magico. Ci sono ovviamente maghi specializzati nell’individuare chi lancia magie ma in generale: la magia unisce tutti noi maghi, rendendoci, volenti o nolenti, partecipi anche delle altrui faccende.”
Anche se non era molto sicuro di aver capito, Harry annuì.
“Ma allora sapranno che sei stato tu a rimettere a posto le scale?”
“Solo se vorranno indagare.”
Un rumore li colse di sorpresa rompendo il silenzio del viale: una motocicletta.
Hagrid, invece che dal cielo, arrivava dalla strada. Mossa obbligata dalla luce del giorno.
Piton si alzò e Harry lo seguì in silenzio.
Hagrid sembrava fuori di sé dalla gioia.
“Filato tutto liscio come l’olio! Non ho neanche visto Silente! Sembra sia ancora in Germania! Anche se non ho capito cosa è andato a fare.”
“La lettera.” Disse laconico Piton.
“Ah certamente! Ecco Harry!” Hagrid sembrava ancora più emozionato di Harry quando consegnò la piccola busta di carta color seppia che recitava l’indirizzo di casa (specificando pure lo sgabuzzino) e portava come sigillo rosso lo stemma di Hogwarts.
 
“Il grifone è per i Grifondoro. Casa sotto la mia direzione. La casa del coraggio, dell’esplorazione dell’ignoto. Incoscienza a volte, ma anche sagacia. E capacità di adattamento. Non c’è miglior compagno d’avventura di un Grifondoro, dicevamo sempre noi studenti.”
Harry aveva sorriso provando a immaginarsi la McGrannitt più giovane nei panni di un’avventuriera temeraria, come quelle che aveva avuto modo di sbirciare nelle televisioni babbane.
“Il Tasso è di Tassorosso. La casa del lavoro duro, ma anche dell’accoglienza, della calma, della lealtà. Ammiro molto la figura di Tosca Tassorosso, maga di umili origini ma sempre con un sorriso sulle labbra, sempre pronta a intervenire per difendere i suoi studenti. Era anche molto amica di Godrig Grifondoro e ha fatto la base della sua casa vicino alle cucine, per essere sicura che ai suoi studenti non mancasse nulla. Non c’è persona più leale di un Tassorosso.”
Harry si era intenerito al pensiero. Gli sembravano dei bellissimi principi.
“Poi c’è il corvo di Corvonero. La casa della mente aperta, dello studio, della ricerca continua, degli enigmi. Detto tra noi Potter, io avrei potuto finire in quella casa, ma il Cappello Parlante fece un’altra scelta per me. Quando capita così il fenomeno è detto ‘testurbante’. Comunque, per qualsiasi domanda o enigma, magico o meno che la vita presenta, non c’è migliore aiutante di un Corvonero.”
Harry ce la vedeva tantissimo la McGrannitt in una casa dedicata allo studio. Mentre sentiva che non era assolutamente fatta per lui.
“Infine il serpente per Serpeverde. La casa del professor Piton e di mago Merlino. Ambizione e disciplina dominano i suoi studenti. Abnegazione e distacco. Purtroppo è la casa con più maghi oscuri al suo interno e sembra che anche per ciò che concerne i sentimenti i Serpeverde hanno scarsa fortuna. Tuttavia, se devi arrivare fino in fondo a una questione, qualunque essa sia, non troverai indagatore più ossessivo di un Serpeverde. Anche se probabilmente lo farà per un ritorno personale.”
“Perché hanno così tanti maghi oscuri in Serpeverde?”
“Probabilmente Potter, dipende dall’ambizione, sentimento e desiderio che corrode profondamente le anime fin quasi a trasformarle in qualcosa di così distaccato dal loro io originale da spingerle a fare cose malvagie. L’ambizione può diventare sete di potere. Un’analoga problematica la incontrano i Corvonero, quando nelle loro ricerche scelgono di oltrepassare dei limiti in nome del sapere, o si elevano al di sopra degli altri peccando di arroganza e vanità. I Grifondoro, dal canto loro, posso sfociare nella totale noncuranza della propria vita e di quella degli altri, arrivando a mettersi in pericolo, abbandonando il buonsenso che a volte la paura infonde. I Tassorosso hanno il minor numero di maghi oscuri, ma quelli che venivano da tale casa hanno spesso dimostrato una pericolosità anche superiore, almeno secondo il mio modesto parere, degli altri. Questo perché la dedizione e la lealtà possono trasformarsi in ossessioni tremende, spingendo il mago ad autodistruggersi nei modi peggiori possibili. Ma non aggiungo altro.”
A quel puntò la McGrannitt gli aveva messo in mano il volume dedicato alla “Storia di Hogwarts”.
“Questa lettura potrà aiutarti Potter.”
“Grazie mille.” Aveva detto Harry carezzando la copertina, mentre la McGrannitt si era allontanata.
“Ah! Una cosa, Potter!” aveva poi detto la maga voltandosi “Su quella questione delle storie sentimentali sfortunate dei Serpeverde… vorrei che non ne facessi parola con Piton.”
Harry aveva notato che la donna parlava seriamente e si era trattenuto dal ridere immaginando un possibile battibecco tra lei e Piton su un argomento che gli appariva tanto buffo.
“Avete la mia parola professoressa.”
 
La lettera era dello stesso materiale della busta ed era scritta con inchiostro verde smeraldo, firmata dalla McGrannitt.
 
Caro signor Potter,
 
Siamo lieti di informarLa che Lei ha diritto a frequentare la scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts….

 
Bastò quella riga ad Harry per sentire il grosso nodo allo stomaco sciogliersi: ora che era uno studente, nessuno lo avrebbe mai più separato dalle mura di Hogwarts. Ora quella scuola era la sua casa e non come clandestino.
“C’è scritto che devo mandare la conferma entro il 31!”
“Certo! Hai fatto appena in tempo! Sei stato bravissimo!” Hagrid aveva tirato fuori da sotto il cappotto un piccolo gufo e vi aveva allegato un messaggio.
“Non vuoi farlo leggere a me?” chiese Piton “Non si sa mai abbia fatto qualche errore.”
Hagrid sbuffò e porse il biglietto a Piton.
Caro professor Silente,
Ho consegnato la lettera a Harry senza intoppi. Il ragazzo ha subito accettato e lo accompagnerò seduta stante a comprare quello che serve. A Privet Drive tutto bene, nonostante i Dursley .
 
“Può andare.” Piton riconsegnò il biglietto ad Hagrid che lo riaffidò al piccolo gufo, il quale spiccò subito il volo e sparì nel cielo.
“Prossima fermata?” aveva domandato Hagrid rinforcando gli occhiali.
“C’è una farmacia babbana a tre chilometri da qui. Ti dirò la direzione strada facendo.” Aveva detto Piton montando sul sidecar insieme a Harry.
“Perché una farmacia babbana?” aveva chiesto Harry.
“Perché gli orologi rotti segnano l’ora giusta due volte al giorno.” Aveva risposto criptico il professor Piton.
La farmacia si trovava a pochi passi da un parco con dei giochi per bambini, semivuoto nonostante fosse una mattina serena di piena estate.
Piton volle entrare da solo, lasciando Harry e Hagrid seduti all’esterno su una panchina.
Harry, ancora emozionato per la lettera e stanco per la notte quasi in bianco che aveva passato, si era quasi addormentato quando una strana sensazione lo fece svegliare di soprassalto.
Harry si accorse solo allora del bambino che era a pochi passi da lui e fissava Hagrid come incantato, con la bocca spalancata e gli occhi quasi di fuori dalle orbite.
Era un bambino molto piccolo, dalla pelle scura e i capelli neri e ricci. Gli occhi marroni fissavano il mezzogigante pieni di stupore. Indossava degli abiti semplici: una maglietta di cotone rossa e un paio di jeans. Sottobraccio teneva un pallone da calcio che di calci ne aveva visti anche troppi.
Harry tirò la manica di Hagrid (intento a osservare un piccione che tubava sul marciapiede), che appena si voltò sobbalzò sorpreso.
“B-Buongiorno…” balbettò.
“Hai una barba bellissima!” disse il bambino senza smettere di fissarlo.
Harry, ha sentire quelle parole, si sentì stranamente più leggero. Hagrid invece arrossì e sembrò gonfiare il petto inorgoglito.
“Oh, grazie mille giovanotto!” disse l’uomo con voce allegra.
“Volevo chiedere a tuo figlio se poteva giocare a palla con me!”
Hagrid arrossì ancora di più.
“Oh, Harry dici… beh, in realtà…”
“Sono suo nipote.” Si affrettò a dire Harry “E sì, vorrei giocare a palla con te, ma non so se stiamo per andare…”
Harry guardò Hagrid e vide che gli occhi dell’altro si erano velate di lacrime dall’emozione.
“Oh ma certo che puoi andare! Io sto qui, aspetto lo zio Piton e mi soffio il naso che questa allergia mi sta uccidendo.” Tirò fuori un fazzoletto e si asciugò una lacrima che era colata lungo la guancia.
Harry si allontanò con il bambino.
“Ho visto che mi guardavi prima, perché non mi hai chiesto subito di giocare?” chiese diretto il bambino a Harry.
“Scusa è che a palla non sono molto bravo.”
“A me piace e basta! Non mi importa se sono bravo! Io mi chiamo Robin! Tu Harry, giusto?”
“Sì. Harry Potter.”
“Anch’io voglio la barba come quella di tuo zio!” Il bimbo calciò il pallone, con molta forza, ma Harry riuscì a parare e a rilanciarlo.
Per un po' rimasero a lanciarsi il pallone in silenzio e Harry scoprì, con grande gioia, che sapere che non gli veniva scagliato con violenza contro la faccia per fargli male, rendeva il gioco più divertente, e lui stesso più abile. Arrivò a chiedersi se non avrebbe potuto giocare a calcio anche a Hogwarts…
“Hai due zii?” gli domandò ad un certo punto il bambino.
“Ne ho tre, in realtà… anzi… cinque, ma con i Dursley… non ci vediamo spesso…” rispose Harry, ripensando alla McGrannitt che lo aspettava insieme all’unicorno.
“Che bella famiglia che hai! É bello essere tanti!”
“Sì…”
Harry di tanto in tanto buttava un occhio verso il negozio, ma vedeva solo Hagrid sulla panchina che lo guardava. L’aria era fresca, nonostante il sole e il parco risplendeva di un verde chiaro acceso e bello. Sì, non era affatto male stare lì.
“Noi siamo solo in tre! Io, mamma e papà! Una noia a volte. Ma presto andrò in una scuola nuova e voglio farmi tanti amici!” disse Robin passandogli la palla.
“Anch’io spero di farmi degli amici nella mia nuova scuola.” Disse Harry tentando di calciare il pallone sul ginocchio.
“Ah! E dove vai a scuola? Magari finiamo in classe insieme!”
Harry si bloccò. Si sentì sinceramente triste di non poter parlare di Hogwarts e di poter condividere con quel bambino tanto amichevole la gioia dell’ammissione.
“In realtà, ancora non abbiamo deciso… cioè, ho delle idee, ma… Devo ancora iscrivermi.”
“Beh, spero davvero di averti in classe con me! Sembri simpatico!”
Harry si sentì felice all’improvviso. Non sapeva chi fosse Robin e immaginava che dopo quell’incontro non si sarebbero visti mai più. Ma era così bello pensare che potesse stare simpatico a qualcuno anche nel mondo babbano. Chissà quante cose belle si era perso a causa dei Dursley…
Quando lanciò il pallone, notò che il bambino lo fissava.
“Ti sei fatto male?”
Harry non capì subito, poi però realizzò: “Ti riferisci a questa?” disse toccando la cicatrice “No, questa… è di molto tempo fa. È capitato in un incidente che…” sentì all’improvviso il fiato mancargli in gola.
Robin continuò a fissarlo in attesa. Ma Harry si limitò a scrollare le spalle: “In realtà non lo ricordo neanche, comunque è capitato quando ero molto molto piccolo.”
“Mi dispiace. Ti fa male?”
“No… Cioè a volte sì, ma…”
“Robin!”
Una donna dai capelli biondi e la carnagione pallidissima si avvicinò al bambino.
“Robin mi dispiace, ma papà ha finito, dobbiamo tornare a casa adesso.”
“Non posso stare cinque minuti con Harry? Almeno finchè i suoi zii non hanno finito le commissioni.”
La donna sospirò e sorrise: “E va bene, ma non essere troppo assillante. E tu ragazzo” fece rivolgendo il suo sorriso a Harry, che ricambiò “appena devi andare, vai tranquillo, non sentirti sotto pressione.”
Harry vide la donna allontanarsi e sedersi su una panchina insieme a un signore dalla pelle scura e dai capelli neri.
“Lei è la mia mamma, ma quando lo dico in giro non ci crede mai nessuno.” Bisbigliò il bambino a Harry con un sorriso sornione “Perché io ho preso tutto da papà.”
Harry annuì e continuò a giocare con il bambino. Fu colto all’improvviso da uno strano senso di angoscia per lui.
E se fosse andato nella stessa scuola di Dudley? Basso com’era sarebbe stato sicuramente preso di mira, forse anche per il colore della sua pelle.
Aveva sentito a volte dei commenti di zia Petunia e zio Vernon su una coppia di loro vicini e sulla scelta della loro figlia di sposare uno “di colore”.
E se ricordava bene, a Dudley era sfuggito un commento stupidissimo del genere “Allora uscirà un dalmata” alla quale i genitori avevano riso allegramente.
“Sei bravo!”
“Grazie Robin.”
“Quello che sta uscendo è il tuo altro zio?”
La scura sagoma di Piton emergeva a metà dalla porta del negozio, mentre parlava con Hagrid.
“Sì.”
“E il terzo non è con voi?”
“Mia zia Minerva” Harry si rese conto che gli faceva veramente strano chiamarla così in realtà “è rimasta a badare a Quercia.”
“Quercia?”
“Sì è un… un cucciolo di cane che ho trovato.”
“Ti hanno permesso di tenerlo?”
“Diciamo… che dovrò occuparmene almeno finchè non cresce un po'.”
“Anche a me piacerebbe un cane! Però casa nostra è troppo piccola…”
Harry non voleva che quel bambino fosse invidioso di lui: “Anche la nostra in realtà. Non possiamo tenerlo. Dobbiamo svezzarlo e poi… Poi sappiamo già a chi portarlo.”
“Aaah…”
Continuarono a calciare il pallone finchè Piton non comparve alle spalle di Harry.
“Dobbiamo andare…”
Harry, che in quel momento aveva appena parato un tiro, prese in mano il pallone e lo restituì al bambino.
“Grazie per avermi fatto giocare.”
“Grazie a te! Ci rivediamo qui anche con Quercia, sì? Lo dovrai portare a spasso, no?”
“Beh… Non so.”
“Comunque è stato un piacere conoscerti Harry!”
“Anche per me Robin…”
Il bambino corse dai genitori che si alzarono dalla panchina e rivolsero un gesto di saluto verso Harry e Piton.
Harry alzò la mano e salutò a sua volta, mentre Piton esitò prima di fare un timido cenno con la mano destra.
Ad un certo punto, mentre si allontanavano, Harry vide il papà di Robin prenderlo in braccio di sorpresa, tanto da fargli cadere il pallone, mentre la sua mamma bionda rideva a crepapelle. Lo stesso Robin rideva tantissimo e stringeva forte il padre.
La donna, dopo aver recuperato il pallone, si unì all’abbraccio.
Harry osservò tutto da lontano e sentì un tuffo al cuore.
Se i suoi genitori fossero stati ancora vivi, probabilmente anche loro sarebbero stati così. Tutti e tre insieme abbracciati. Magari al posto del pallone ci sarebbe stato un altro oggetto, tipo una scopa volante….
“Che me ne faccio io della magia… se non ho più i miei genitori? Che se ne fa uno senza famiglia né amici di un dono così grande?”
Harry deglutì. Perché gli era venuto in mente quel pensiero così triste?
La magia era ciò che aveva in comune con i suoi genitori, la loro eredità. Non doveva disprezzarla! E poi lui una famiglia ce l’aveva! E anche grande, proprio come aveva detto Robin!
“Potter! Mi stai ascoltando?!”
Harry ritornò alla realtà con la voce dura di Piton.
“Hai detto a quei babbani di Quercia!?”
Si accorse che l’uomo lo fissava arrabbiato, mentre Hagrid appariva preoccupato.
“No, ho detto che Quercia era un cucciolo di cane abbandonato che sto svezzando.” Si affettò a dire Harry. Entrambi gli adulti tirarono un sospiro di sollievo.
“Meglio comunque non socializzare Potter.” Piton gli tese la mano che il bambino fu ben felice di stringere. Ogni tanto si girava per osservare Robin mentre si allontanava con i suoi genitori.
“Perché il mago che ha ucciso i miei genitori odiava i babbani?”
Piton si immobilizzò e così Hagrid. Entrambi si guardarono negli occhi come per cercare la risposta nell’altro. Alla fine, entrambi sospirarono e Piton disse: “Ci sono cose, signor Potter, che purtroppo nemmeno la magia può spiegare.”

 
  
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