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Autore: _candyeater03    05/09/2023    0 recensioni
[Chrono Trigger]
{Lucca, Magus}{OneShot; 5606 parole}
***
Dal testo:
Poi alza lo sguardo e ricorda la pistola appesa al muro, trofeo di una gloria passata, solo destinata ora ad accumulare granelli di polvere. Ricorda l’elmetto, casualmente appeso nel suo armadio come se dovesse indossarlo oggi stesso, la promessa di un “domani” mai mantenuta. Ricorda l’armatura che da anni giace nell’oscurità della cantina, e le sovviene un sentimento, una considerazione, che mai formula chiaramente nei suoi pensieri, percependo la dannosa amarezza del suo retrogusto.
A ventidue anni, non è nulla di più dell’ombra delle sue gesta passate.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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 Truce, 4 febbraio 1004
 
Buongiorno Magus,
Sono passati circa quattro anni dal giorno in cui le strade di noi sette si sono separate definitivamente, dal giorno in cui siamo riusciti a preservare il futuro dalla rovina e dalla distruzione.
Non è bizzarro quanto possa sembrare infinito anche un periodo di tempo così breve?
Immagino che si tratti di un sentimento da attribuire alla mia età, oppure ai nostri numerosi viaggi attraverso la storia. Magari ad entrambi. In ogni caso, resta incredibile quante cose siano cambiate da quella notte alla Fiera del Millennio.
Temo di dover passare immediatamente al vero motivo di questa lettera. Mi dispiace apparire così diretta, ma ho bisogno di parlarti di una questione molto importante. Si tratta di Schala.
Mi spiego meglio. Ieri mattina mi trovavo in un bosco poco lontano da casa mia, quando mi sono imbattuta in una neonata che dormiva tra le radici di un albero.  È un posto che apprezzo per la sua quiete, infatti non accade frequentemente di incontrarvi altre persone.
L’aura magica che la bambina emanava era inoltre inusuale, se non unica. Aveva qualcosa che la rendeva estremamente simile a tua sorella, ma ho creduto che si trattasse soltanto di una nostalgica impressione.
Tuttavia, avvicinandomi, non ho avuto dubbi nel notare che portava al collo il suo stesso pendente. Brillava di una forte luce celeste, e lo stemma di Zeal era inciso sul retro.
Ho dovuto fermarmi per riflettere. Il mio intuito mi conduceva a una sola soluzione, che invece non potevo giustificare razionalmente. Come avrebbe potuto quella bambina avere qualcosa a che fare con lei? Mi sembrava privo di senso.
Nonostante stessi per abbandonare le mie supposizioni, ho visto un foglio di carta che la bimba teneva tra le mani. Era un messaggio di Belthasar, il Guru della Ragione.
Non so come sia riuscito a entrare in contatto con me, come non so perché l’abbia fatto. Tuttora mi è difficile pensare ad una spiegazione logica plausibile.
Ma adesso ne ho la conferma. Quella bambina è Schala.
Il messaggio garantiva ulteriori dettagli in un futuro prossimo, quindi ti informerò nuovamente appena sarò in grado di capire qualcosa di più.
A presto
 
Lucca Ashtear
 
 
 
La ragazza solleva la penna dal foglio per una frazione di secondo, prima di posarla nuovamente, tracciando una croce assertiva sul suo contenuto. Senza riflettere si impegna a piegare la pagina in due metà esatte, solo per poi gettarla nel cestino che si trova accanto a lei.
In un solo gesto, libera la caotica scrivania dalla moltitudine di fogli accartocciati senza cura che la occupano, privi di scopo: tentativi deposti per una grafia disordinata, un errore di grammatica, una cancellatura sgraziata, una frase abusiva, una frase omessa. Prende il blocco note, ancora intatto per metà, e lo ripone nel primo cassetto.
Posando le mani sulle tempie, Lucca inspira profondamente.
 
Ha impiegato minuti solo per individuare il grado di formalità appropriato, ore per sentirsi soddisfatta delle prime due righe.
Ha provato a imprimere in ogni frase, ogni parola, ogni virgola il significato voluto, ad utilizzare in ogni contesto quel solo termine un poco più indicato degli altri, ad essere sintetica ma sufficientemente esplicativa.
La scrittura non è mai stata un problema per lei, e ha sempre ritenuto la propria eloquenza sufficientemente degna di fiducia. Tuttavia, rileggendo rapidamente il contenuto della lettera, le è sembrato fin disordinato ed approssimativo.
 
D’un tratto si chiede per quale motivo abbia avuto la sprovveduta idea di scriverla, e soprattutto in che modo abbia pensato di poterla inviare.
Per quanto ne sa, al momento il destinatario si trova non meno di tredici mila anni prima della sua epoca.
 
“Posso aiutarti in qualche modo?”
 
La giovane si volta rapidamente verso la soglia della sua camera da letto, dove gli occhietti robotici di Ava la scrutano apprensivi. Anche il fiero nastro verde smeraldo che spesso indossa pare ora afflosciarsi timidamente lungo il viso metallico, consono alla sua espressione.
Lucca porta l’indice davanti alla bocca, accennando con il capo alla culla in cui, poco lontano, dorme la bambina.
 
Ricorda di averla progettata alla Fine del Tempo, colta da ispirazione improvvisa. La spedizione appena terminata si era rivelata un grande successo, e i restanti membri del gruppo stavano già pianificando la missione successiva. Nonostante gli occasionali, rumorosi litigi tra chi desiderava di far parte dell’impresa, era riuscita a completare l’opera senza che nessuno ne disturbasse eccessivamente il processo, o ne dubitasse l’utilità.
Nella sua visita a Geno Dome era rimasta colpita dal design adorabile e sbarazzino di Atropos XR, che, seppur con colorazioni leggermente più vivaci, era stato fortemente ripreso nel progetto di Ava.
 
Anche solo guardarla evoca nella mente della ragazza ricordi così vividi da trasportare nel presente le sue meravigliose avventure.
Talvolta Lucca chiude gli occhi per un solo istante, e può quasi convincersi di essere ancora lì.
 
Poi alza lo sguardo e ricorda la pistola appesa al muro, trofeo di una gloria passata, solo destinata ora ad accumulare granelli di polvere. Ricorda l’elmetto, casualmente appeso nel suo armadio come se dovesse indossarlo oggi stesso, la promessa di un “domani”  mai mantenuta. Ricorda l’armatura che da anni giace nell’oscurità della cantina, e le sovviene un sentimento, una considerazione, che mai formula chiaramente nei suoi pensieri, percependo la dannosa amarezza del suo retrogusto.
 
A ventidue anni, non è nulla di più dell’ombra delle sue gesta passate.
 
“Dovrei spedire una lettera…” la ragazza rotea gli occhi, sussurrando con aria pensierosa.
Pensando di poter essere utile, lo sguardo di Ava si illumina istantaneamente. Si avvicina alla sua creatrice, mantenendo le braccia aperte nell’usuale gesto che esibisce quando ha in mente una soluzione.
 
“Una lettera? Dovrebbe essere molto semplice”, dice lei, lanciando un breve sguardo verso la culla, come per accertarsi che l’impeto di entusiasmo non abbia influito sul volume della sua voce. “Se hai altro da fare, pensa solo a scriverla. Io posso occuparmi del resto…vediamo…sarà aperto domani l’ufficio postale?”
 
“…nel passato.”
 
“Oh…” Ava la squadra con espressione impregnata di una tristezza confusa, cercando di compatire la giovane, che ancora una volta si ostina nostalgica ad ignorare una nozione come l’inflessibilità del tempo.  “Mi dispiace, ma temo che questo non sia possibile, Lucca.”
 
“Non preoccuparti, lo immaginavo. Grazie lo stesso.”
 
La ragazza le rivolge un sorriso brillante, nel patetico tentativo di celare il suo evidente disappunto.
Osserva Ava allontanarsi lungo la rampa di scale che conduce al piano terra, prima di focalizzarsi di nuovo sulla rivoluzione permanente che regna sulla sua scrivania.
Un turbinio di carta, e parole, ed emozioni, e delusioni. Tutte vane e tutte vuote, maturate nell’illusione e consumate nella solitudine.
Quale rivoluzione non sfocia poi in una guerra civile?
 
Lucca lancia un breve sguardo verso l’estremità destra del ripiano, su cui le ultime lettere di Crono e  Marle giacciono riposte in una pila ordinata. Nonostante il dinamismo della vita al castello non permetta loro di farle visita frequentemente, la loro amicizia è rimasta pressoché intatta.
Certo, non avevano potuto unirsi a lei per festeggiare insieme l’ultimo Natale, certo, la loro corrispondenza è divenuta recentemente più sporadica e sbrigativa. Ma la ragazza sa di non aver motivo di dispiacersi, trattandosi di cause esterne ed incontrollabili.
 
Il loro matrimonio è avvenuto poco più di due anni fa.
Lucca ricorda quel giorno perfettamente. Era la damigella d’onore, ruolo che le spettava naturalmente. Si era recata al castello per vedere Marle, con un bellissimo vestito che avrebbe usato per un giorno solo in tutta la sua vita, indossando a sua volta un bellissimo vestito che avrebbe usato per un giorno solo in tutta la sua vita, ma che custodiva molto meno significato simbolico. Aveva seguito la cerimonia dalla prima fila, e aveva distribuito a tutti gli invitati del riso con cui cospargere gli sposi. Era riuscita ad afferrare il bouquet, seppur quasi stappandolo di mano ad una signora anziana, che probabilmente non avrebbe avuto in ogni caso bisogno della sua benedizione. Alla festa aveva improvvisato un discorso, includendo forse qualche dettaglio imbarazzante e totalmente evitabile. Non aveva bevuto tanto da perdere il controllo, ma abbastanza per abbandonare la tipica attitudine eccessivamente composta.
Non vi è una fotografia di quel giorno di cui sia soddisfatta – che si tratti di occhi rossi, chiusi, o cause simili – ma non ha potuto fare a meno di incorniciarne un paio e appenderle alla parete alle sue spalle, semplicemente per ricordare la calorosa gratitudine che aveva provato nell’assistere a una così grande esibizione di felicità non sua, e a lei incomprensibile.
 
Dopo poco meno di un anno, il regno era stato allietato dalla notizia della nascita della loro primogenita. Alla principessina, che aveva una chioma rossiccia come quella del padre e gli occhi vispi e celesti della madre, era stato dato il nome di Sadie.
Gli abitanti del regno avevano immediatamente avuto il piacere di conoscere la sua sprizzante energia e la sua imprevedibile sfera umorale.
 
Se il ruolo di monarchi di Guardia occupa ora la maggior parte della vita dei suoi genitori, la sua esuberanza ne divora certamente il resto.
 
Lucca sorride ricordando tutte le serate trascorse ad intrattenerla, mentre Crono e Marle si trovavano a cene ed eventi.
La bambina ama da sempre gattonare attraverso i meandri più remoti dello spazio attorno a lei e, apparentemente, toccare qualsiasi oggetto sconosciuto, incurante del fatto che possa essere fragile o pericoloso. Nonostante i suoi genitori si ritirino sempre ad orari piuttosto tardi, quando passano per riportarla al castello la bimba è sempre euforica e sveglia.
La ragazza non fatica ad immaginare quante notti insonni abbiano trascorso i suoi amici, durante gli ultimi mesi.
 
Lucca lancia un breve sguardo verso l’estremità destra del ripiano, e subito ricorda di non aver parlato nemmeno a loro della sua attuale condizione. Si ripromette di scrivere a Marle domani stesso, sperando che Ava non provi con esasperante compassione a verificare che il destinatario appartenga al suo stesso periodo storico.
Prende un momento, poi, per decidere chi altri dovrebbe informare. I suoi genitori le faranno visita alla fine della settimana, quindi avrà modo di spiegare la situazione di persona. Spedire loro una lettera sarebbe uno spreco, dato che probabilmente non arriverà in ogni caso prima di quel giorno.
 
Crono, Marle, i suoi genitori.
Anche se la sua innata estroversione le ha sempre permesso di stringere amicizie con facilità, la lista delle persone realmente importanti per lei è tuttora limitata a questi quattro membri. Lucca conosce persone che troverebbero insostenibile una cerchia di affetti così ristretta, ma allo stesso tempo ne conosce altre che la riterrebbero invidiabile. In fin dei conti, sapersi relativamente solitaria non è per lei causa di troppo dispiacere.
Certo, l'elenco potrebbe teoricamente estendersi ad altri quattro elementi, che non sono però in questo momento più reali di una fotografia, o di un sogno. E a cui non potrebbe scrivere affatto, in ogni caso.
 
A causa di uno sbadiglio leggermente forzato, la ragazza decide che farebbe meglio ad annegare nel sonno la morsa di nostalgia che le stringe l'anima. Spinge la sedia in avanti, stringendo il torace tra lo schienale e il bordo della scrivania, per raggiungere l’interruttore. In un istante, vede la luce artificiale gradualmente risucchiata dalle due lampade gemelle, che per qualche secondo restano brillanti di un barlume triste. Nella penombra barcolla verso la finestra per accostare le tende, lasciando tuttavia che uno spiraglio di luce notturna si rifranga sulla parete opposta. Non ama dormire nel buio totale.
 
Un raggio di luna si posa dolcemente sulla culla in cui riposa la bambina, illuminandone il viso pallido. Pochi ciuffi biondi e ondulati le ricadono ai lati della fronte, le piccole labbra rosee leggermente socchiuse. Le profonde iridi zaffiro sono celate nel sonno dalle sue palpebre sottili, ornate a loro volta da ciglia lunghe e chiare. Il pendente che porta ancora al collo riluce di un bagliore celeste, custodendo il segreto di un antichissimo potere nelle rune incise su di esso, nella preziosa magia di cui è impregnato.
 
Kid.
 
Era così che Belthasar l’aveva chiamato. Il Progetto Kid.
E così Lucca chiamerà lei.
 
La sua mente la strappa violentemente alla realtà, per accompagnarla ancora una volta tra i corridoi del passato. E ad un tratto è di nuovo lì, nel magico regno di Zeal.
Può vedere le imponenti librerie colme di volumi finemente decorati d’argento, gli stravaganti giardini adiacenti ai lati della strada di ciottoli rosa che collegano le città, le fresche cascate di acqua cristallina che si riversano nel nulla sottostante, le paffute, candide nuvole che sono separazione ultima di quel luogo da ciò che è reale, vero trono della regina delle civiltà. Può ancora sentire quel dolce profumo floreale che galleggia soffice lungo il cammino, quel sonoro eco che si spande melodico ad ogni passo.
Incontra di nuovo i sereni incantatori dalle toghe violette, che parlano con linguaggio aulico e con voce soave. Incontra medici, commercianti, ricercatori, tutti ugualmente ebbri della stessa fantasia, tutti esattamente funzionanti nella loro utopia perfetta.
Vede ancora una volta la principessa dalla bellezza eterea, con una postura regale, lo sguardo basso, e un sorriso timido in volto. Lei, avvolta dalla brillantezza di una magia meravigliosa, come dalla stridente oppressione di un male in cui è stata costretta. Lei, un'aura splendente di pace e di mitezza, ma macchiata dal germe di un terrore represso. Lei, che parla i dolci discorsi di chi ama l’umanità, trattenendo a denti stretti le dolorose parole di chi, per l’umanità, è destinato a soffrire.
E accanto a lei vede un bambino dai grandi occhi verdi e le sopracciglia tese in aria corrucciata, che ripetutamente si volta a controllare che il suo gatto lo stia seguendo, per sfuggire al fastidioso disagio della folla. Un bambino ferito nel suo orgoglio infantile, violato nella sua fatale debolezza. Un bambino dal padre defunto e dalla madre perduta, che nel mondo ha solo sua sorella. Un bambino che nella sua esile anima reca le cicatrici di una vita intera.
 
La ragazza si stende sul letto, scossa da un brivido di dolore empatico.
Il soffitto è ora dipinto dalle ombre caricaturali degli oggetti presenti nella stanza, che si ingigantiscono in forme spaventose. Lo scorrere del tempo è scandito dal meccanico ticchettio dell’orologio a pendolo a cui ha imparato negli anni ad abituarsi, come dal respiro regolare della neonata poco distante. Uno, due, tre, quattro.
 
Forse in questo stesso istante Magus sta per addormentarsi, da qualche parte nello spietato gelo dell’Antichità. Domani si sveglierà con la cieca determinazione nel trovare qualcosa che, nel profondo, sa essere irreversibilmente scomparso. Una persona trascinata anzi tempo in un luogo irraggiungibile, divorata da un’entità dall’incomprensibile natura.
Un uomo solo sul mondo, per sempre devoto a una missione che non sarà mai in grado di portare a termine. Perché Schala era l’unica persona che gli era rimasta.
 
Anche solo nel formulare in pensieri emozioni simili, la giovane si sente soffocata da un’oscurità velenosa, come da un pungente senso di colpa.
Lucca conosce la verità, custodisce l’unica soluzione. Finalmente ha ricevuto la chiave che potrebbe liberarlo dal suo passato, la medicina contro il morbo ossessivo che lo sta lentamente consumando. Ma la crudele barriera fisica del tempo li ha segregati nei vaghi ricordi l’uno dell’altra, senza possibilità di contatto.
E lui cercherà invano per tutta la sua vita.
 
Tra questi pensieri la ragazza abbassa le palpebre, abbandonandosi a un inquieto dormiveglia popolato da figure deformate nelle ombre dai propri demoni, da fotogrammi di rimorsi passati, da venti neri in burrasca. Perché non riesce ad addormentarsi?
 
Cinquantanove.
Sessanta.
Uno, due, tre, quattro.
 
 

 
* 
 
 

Tutto inizia con un fremito.
Una disagevole sensazione estranea, seppur originatasi dalla medesima profondità del suo essere, si solleva gelida e silente dai polmoni alle pareti del cranio, rimbombando leggera. Vibra debole attraverso le ossa, tra le membra si spande calma e oleosa, il sangue ossigenato che scivola nutriente lungo le arterie ne rimane infetto. Una brezza leggiadra che timidamente presagisce la tempesta, diffondendo l’impressione di un lieve malessere.
Un sibilo crescente si insinua nelle orecchie, riecheggia vitreo nel costante muoversi da un’estremità all’opposta. Sulla lingua si deposita un amaro retrogusto metallico, viscido e invadente come il sapore del sangue. Angoli opachi si rannidano attorno alle innaturali iridi scarlatte, per qualche momento indistinte macchie scure danzano al centro della sua visuale.
In quello stesso istante, in cui l’intorpidimento dei sensi si allaccia ad una debolezza degli arti, e le tempie pulsano incontrollabili di un doloroso disorientamento, le nubi della sua anima si gonfiano di un nero temporalesco, soffiando venti funesti tra i rami della sua coscienza.
E la sua percezione diviene succube di un caos assordante, un pungente ruggito di rumori privi di senso, che la mente tenta invano di riporre ai margini dei sensi. Quando la nauseante dissonanza riesce a lacerare qualsiasi barriera repressiva e penetra veemente nello spirito, forzando la ragione ad immergersi completamente in essa, le frequenze oscillano, si ammorbidiscono, si fondono, creano una successione di suoni completamente nuova.
Una melodia.
 
Aveva sei anni quando il suo intuito profetico si era manifestato per la prima volta.
A giudicare dal pallore verdognolo di cui il suo volto si era tinto, come dal malessere generale che accusava, i medici del regno avevano supposto che si trattasse di influenza, e lo avevano semplicemente mandato a letto con un paio di benedizioni curative. Avevano ritenuto uno scherzo di cattivo gusto la confessione del suo terribile presentimento riguardo al malato governatore di Kajar, una macabra coincidenza la notizia del decesso dell’interessato, qualche ora più tardi.
Nonostante la dolorosa vergogna che accompagnava ogni tentativo di verbalizzare il presagio, il bambino aveva raccontato l’episodio a suo padre nei minimi dettagli. Si era curato di descrivere ogni pensiero ed emozione con la precisione massima concessa dal suo ridotto vocabolario, di fischiettare con la migliore intonazione il motivo che riecheggiava nella sua mente dal principio della giornata. Re Zeal aveva tranquillamente ascoltato le sue parole, senza che l’ombra di un singolo giudizio si dipingesse sulla sua espressione cordiale, prima di illuminare il proprio volto in un sorriso confortante.
 
“Quando si ha una melodia nella testa bisogna sapere come tirarla fuori”, aveva esordito con una cadenza soave, le pupille brillanti di una delle sue allegre idee. “Ti va di imparare a suonare uno strumento?”
 
Il bimbo aveva annuito con esaltazione, quasi dimentico della grave malinconia di pochi istanti prima. Il mattino seguente era stato accompagnato da suo padre in una sala del palazzo parzialmente nascosta e a lui sconosciuta, dalle alti pareti marmoree e le decorazioni elegantemente ricche. Dentro vi era uno sbalorditivo tripudio di creatività, spartiti e leggii giacevano caotici in punti differenti della stanza, innumerevoli libri erano stipati nei larghi scaffali che costeggiavano le pareti, pronti ad insegnare il rigore della tecnica classica a chiunque avesse desiderato sfogliarli. A completare il quadro erano gli archi, e i fiati, e le percussioni, quieti in attesa di un artista che li rendesse magici, in un vero e proprio trionfo della musica nella sua forma più pura.
Lui aveva scelto un caratteristico strumento a corde simile ad una chitarra, di cui tuttavia faticava a ricordare il nome, poiché strimpellare gli era parsa una prospettiva divertente. Allora il re gli aveva insegnato con pazienza a leggere e distinguere le note, a trasferire sullo strumento i primi accordi, a determinare e seguire un ritmo costante.
Quello di quel giorno era sempre rimasto il più intenso tra i suoi ricordi felici.
 
Aveva sette anni quando suo padre era morto.
Si era svegliato con la perfetta consapevolezza di ciò che sarebbe accaduto quel giorno, dopo aver cercato invano di ignorarla il giorno prima, e il giorno prima, e il giorno prima ancora. Da qualche tempo il re stava sfidando un morbo ostinato e seccante, ma nessuno si sarebbe aspettato un peggioramento così drastico ed improvviso. Nessuno, tranne lui.
Si era svegliato e lo aveva salutato come se niente fosse. Aveva lasciato che trascorresse il suo ultimo giorno come se fosse un giorno qualsiasi.
Quello era stato il suo tradimento finale.
 
Nonostante l'uomo abbia presto imparato a dominare quasi completamente queste reazioni fisiche, la turbolenza emotiva a cui sono legate si presenta sempre invariata, con una violenza e confusione tali da destarlo dal sonno, costringendo la sua mente in amari circoli viziosi.
 
I primi raggi di una gelida alba di febbraio sono da poco emersi oltre l’orizzonte, quando le campane della Cattedrale di Manolia battono le sei in una limpida armonia.
Forse sono passate ore da quando le sfarzose tende purpuree sono state scostate, le ampie finestre dischiuse. Ore che egli ha trascorso immobile, appoggiato al parapetto riccamente decorato dello stretto balcone, lo sguardo assente nell’eterno della penombra. Ore che egli ha trascorso immobile, vagando tra i meandri della propria psiche, nel vano tentativo di abbandonare la melodia infausta che lo ha brutalmente accolto nella veglia. Ore che egli ha trascorso immobile, rimirando dalla privilegiata altitudine della sua camera da letto le rovine del castello nella loro interezza, ultima sventura inflittagli dalla vorace devastazione di Lavos.
 
Un principio d’ira si genera nel suo spirito, al solo ricordo della diabolica creatura. Sebbene il parassita sia stato definitivamente annientato da alcuni anni, l’uomo rimpiange ancora il fatto di non aver avuto l’opportunità di infliggergli personalmente la propria offesa. Per colpa degli sciocchi capricci di un gruppo di ragazzini, era stato derubato della battaglia che da sempre aveva bramato, indotto a desistere dall’obiettivo di una vita.
Da un punto di vista razionale non potrebbe dirsi totalmente insoddisfatto, incoronato come eroe dalla stessa Storia che gli ha voltato le spalle, consapevole di aver offerto un inestimabile contributo nel salvare le generazioni future. Tuttavia, pur essendo tali risultati sufficienti alla sua ben inclinata natura, nascosta e avvelenata da anni di solitario rancore, nel profondo egli sente che non saranno mai abbastanza, se non accompagnati dalla vuota euforia della vendetta.
 
Lontani campanili si animano a loro volta seguendo l’indicazione della cattedrale, sovrapponendosi dissonanti. Il motivo che regna persistente nella sua testa s’innalza nel tentativo di imporsi su ogni rumore esterno, costringendolo a ritirarsi nella stanza.
 
Magus distende con precisione le candide lenzuola sul materasso, troppo grande per una sola persona, troppo freddo per averne mai ospitate di più. Indugiando per qualche istante con le dita sulla maniglia della porta, lancia un sorriso beffardo al drappo nero che ora copre lo specchio, per dissimulare i rimorsi che lo hanno spinto a celare la spaventosa trasparenza del proprio riflesso. Uscendo gira tre volte la chiave nella serratura, come se nella fortezza dimorasse effettivamente qualsiasi altra persona a cui negare l’accesso.
 
Questa mattina non riesce a distogliere la mente da Lucca, la giovane inventrice con cui ha viaggiato attraverso il tempo per salvare il pianeta, non troppi anni fa. Non perché la ricordi con particolare affetto, anche se la destrezza magica e il carattere non eccessivamente fastidioso la rendevano forse più tollerabile dei restanti membri della squadra. Spesso tendeva a peccare di orgoglio, ma lui non è certo nella posizione di giudicare le manie di onnipotenza altrui.
 
Ricorda perfettamente la spedizione compiuta insieme alla ragazza verso il Picco della Morte, nel vago e speranzoso tentativo di riportare in vita il suo amico.
Ricorda come, durante la prima delle battaglie contro le letali larve di Lavos, lei fosse stata l’unica a dedurre il rischio che sferrare attacchi alla corazza avrebbe comportato. Era riuscita a fermare il mago prima che terminasse di pronunciare il suo incantesimo più offensivo, nonostante l’apparente seccatura di lui riguardo all’energico tentativo di dissuasione.
“Evita se non vuoi un contrattacco antipatico”, aveva risposto allo sguardo irritato dell’uomo, sparando cautamente un paio di proiettili. “Quel guscio sprizza tensione magica."
Tale impressione era stata confermata pochi istanti dopo, quando Marle, avendo inconsciamente colpito il dorso, era stata travolta di rimando da una pioggia di aculei.
 
Ricorda il momento in cui Crono aveva aperto gli occhi, e la principessa si era impulsivamente gettata tra le sue braccia. Il tempo si era immobilizzato tra le loro carezze, su quella sommità che rappresentava la calma totale della distruzione.
Lucca si era voltata verso di lui con occhi luminosi, le labbra incurvate in un sorriso sereno.
Non sei anche tu felice per loro? pareva che l’orgoglio nel suo sguardo volesse dire.
Non aveva mai visto nessuno più contento di essere la terza ruota.
 
Ricorda la notte trascorsa al riparo di una spaziosa caverna, brulicante di mostri ma almeno in grado di schermare parzialmente la bufera che ululava all’esterno. Nonostante la fiamma magica che avevano acceso sulle ceneri di quella fisica, rivelatasi se possibile ancora più inefficiente, l’intollerabile temperatura aveva costretto i tre a rannicchiarsi in uno degli angoli, trovando un minimo di calore solo nella vicinanza ai corpi infreddoliti degli altri.
 
Le due ragazze avevano già preso sonno.
Marle giaceva, indisturbata dal gelo, sul terriccio umido, emettendo respiri regolari. Lucca, al contrario, aveva le gambe strette al petto per riscaldarsi, e le maniche tirate fin sui palmi delle mani. La testa, ancora riparata dall’elmetto che aveva scelto di non togliere, era timidamente appoggiata sulla spalla sinistra del mago.
 
La vista della sua borsetta a tracolla, totalmente indifesa, aveva suscitato la curiosità di lui. Qualcuno gli aveva raccontato di come, durante la sua prima visita nella Preistoria, la ragazza fosse stata derubata nel sonno della Chiave dei Portali. Prima ancora che la sua mente potesse formulare il desiderio di scoprire, per semplice sperimentazione, quanto fosse effettivamente facile compiere una tale impresa, le sue mani stavano già armeggiando caute sulla cerniera metallica, muovendosi il meno possibile.
 
"Cosa vuoi fare?" aveva esordito la giovane improvvisamente, le palpebre ancora serrate. Un brivido di sorpresa era scivolato lungo la schiena dell’uomo, che aveva richiuso la zip con tranquilla noncuranza, nel tentativo di non apparire sospetto.
 
"Pensavo stessi dormendo."
 
"Con questo freddo?" Lucca si era voltata a guardarlo con una smorfia. Nonostante stesse indossando abiti più coprenti rispetto a quelli dei compagni, sembrava tra i tre quella a soffrire maggiormente la temperatura. I suoi denti battevano di un incontrollabile tremore ad ogni parola pronunciata, e il viso si era tinto nella penombra di un innaturale pallore verdognolo.
In seguito alla risposta non verbale del mago – una volontariamente indifferente alzata di spalle – le sue palpebre si erano assottigliate in un penetrante sguardo inquisitorio.
 
"Questo potrebbe coprirci tutti", aveva osservato in tono di rimprovero, prendendo tra le dita un lembo del lungo mantello di lui. Il proprietario si era limitato a strapparlo con severità dalla stretta, non essendo in grado di effettivamente indietreggiare a causa del muro alle sue spalle.
 
"Non pensarci nemmeno."
 
"Quanto sei generoso."
 
"Da che pulpito…"
 
"Lo dici perché non mi piace quando mi apri la borsa senza permesso?" la ragazza aveva sollevato sarcastica un sopracciglio, in chiara attesa di una giustificazione plausibile.
 
In condizioni normali lui non si sarebbe minimamente preoccupato di nascondere le proprie intenzioni. Avrebbe direttamente confessato il disegno nel suo tono più neutro, forse per gusto di esasperare il proprio interlocutore più che per indifferenza reale. Tuttavia riconosceva che essere colto in un atto così ostile nei confronti dei suoi nuovi compagni non sarebbe stata una mossa molto saggia, e aveva quindi scelto di optare per una scusa.
 
Cercavo il libro che leggevi stamattina", dopo qualche istante di silenzio l’uomo si era letteralmente arrampicato sulla prima spiegazione che gli fosse saltata in mente, controbilanciando la sua mancanza di credibilità con la totale compostezza del proprio tono di voce.“Mi pareva di averlo già visto e volevo sapere che cosa fosse. Tutto qui."
 
Per qualche secondo la ragazza aveva sgranato gli occhi con innocenza, prima di giungere apparentemente alla conclusione che si trattasse di una menzogna. In risposta alla sua espressione sospettosa, il mago aveva alzato gli occhi al soffitto, fingendo impazienza.
 
Allora?" sul suo viso era scivolato un barlume di recitato fastidio. "Ho il tuo permesso, oppure..?"
 
Lucca aveva aperto la bocca per contestare, ma alla fine era rimasta in silenzio. Realizzando forse che si trattasse di una battaglia persa, aveva affogato le proprie obiezioni in un basso sospiro.
"Fai pure. Io ho un braccio bloccato."
 
Lanciando un breve sguardo in direzione della principessa, che nel suo sonno profondo era strettamente avvinghiata al gomito sinistro della sua vicina, lui aveva tolto dalla borsa un vecchio volume.
La rigida copertina color porpora era ornata da brillanti decorazioni, ogni carattere al suo interno sfarzosamente abbellito da inutili ghirigori. Nella lingua antica del suo popolo, che restava oramai in vita solo nelle formule magiche, il titolo dell’opera dava bella mostra di sé al centro del frontespizio. Storia di Zeal.
 
"Certo che l'hai già visto", aveva iniziato a spiegare Lucca. "L'ho preso a Enhasa."
 
"Lo hai rubato?" in seguito al quesito dell’uomo, il cui tono era risultato decisamente più rimproverante di quanto desiderasse, la ragazza aveva ostentato un sorrisetto beffardo.
 
"Tu, tra tutti, non mi puoi dire niente", aveva detto, il commento fin troppo veritiero per poter risultare in qualsiasi modo offensivo.
 
Lucca aveva respirato profondamente, lasciando fuoriuscire dalle labbra una nuvoletta di vapore.
“Ho iniziato a leggerlo e sembrava più un manifesto politico che un libro di storia. Non esattamente credibile…” i suoi occhi si erano posati curiosi sulla figura del mago accanto a lei. “Tu hai vissuto a Zeal. Potresti dirmi qualcosa."
 
“Io ho studiato su questi libri”, aveva risposto lui freddamente, distogliendo appena lo sguardo. “Temo di non poterti essere di aiuto.”
 
La ragazza si era aggiustata gli occhiali sul naso, senza smettere di osservarlo.
"Secondo me sei più intelligente di così."
 
L’uomo non comprendeva tale insistenza, né il motivo per cui conoscere la storia di Zeal sarebbe stato in qualsiasi modo utile alla missione. Tuttavia, per quanto detestasse ammetterlo, sarebbe riuscito ad annientare Lavos solo con l’aiuto della sua nuova compagnia. Non era una persona lontanamente remissiva, eppure sapeva che avrebbe dovuto sforzarsi di mostrare collaborazione, poiché quei ragazzini avevano un saldo controllo sulle redini del tempo.
"Va bene", aveva risposto a denti stretti, lo sguardo ancora fisso sul muro alla sua destra.
 
"Davvero? Beh, grazie!" il volto della giovane si era illuminato di curiosa esaltazione. "Magari domani, però. Ora vorrei provare a dormire."
Evidentemente interpretando la mancanza di risposta da parte del mago come un segno di assenso, Lucca si era leggermente spostata in una posizione di maggior comodità, abbassando le palpebre. Tuttavia i suoi occhi si erano nuovamente aperti qualche istante dopo, come se un ricordo improvviso le avesse fatto cambiare idea.
 
"Comunque," aveva esordito, riappropriandosi di Storia di Zeal per poi riporlo nuovamente nella borsa, “non so perché volessi prendere la Chiave, né ti chiederò di dirmelo. Sappi solo che la Grande Lucca non si fa mai ingannare due volte."
 
Pur appellando tutto il proprio autocontrollo nel tentativo di non lasciar trasparire reazioni all’improvvisa accusa, lui stesso aveva sentito un leggero brivido di sgomento scorrergli sul viso. La ragazza, accorgendosi di aver centrato il bersaglio, gli aveva rivolto un sorriso fiero.
"Buonanotte, Magus."
 
Il suo intuito gli suggerisce ora che il destino della ragazza sarà in futuro colpito da tragiche circostanze.
Anche se tale consapevolezza non lo tocca da vicino, né influenza il suo umore in qualsiasi modo, forse un poco gli dispiace.
 
Discendendo lungo la vertiginosa scala a chiocciola, che un tempo collegava le altezze della torre settentrionale alle altre ali del castello, l'uomo allunga lo sguardo oltre una delle strette fessure che ad intervalli regolari si aprono sull’esterno.
Immediatamente oltre la recinzione naturale che separa la sua fortezza dal resto del mondo, sta bivaccando un gruppo di mostri variegato e numeroso. Il mago li ha osservati con cautela nei giorni scorsi, ma la loro apatia organizzativa gli ha impedito di prevederne le mosse o dedurre qualsiasi strategia. Restano immobili, gli occhi rivolti al cielo in una strana riluttanza.
 
Molti avevano servito in queste stesse stanze, pronti ad assalire qualsiasi umano che avesse avuto la scellerata idea di sfidare il loro signore. Erano stati testimoni del crollo di un potere che rappresentava protezione e tanto agognato trionfo, avevano osservato la distruzione di ogni speranza di vincere sugli umani, che per secoli e secoli li avevano spietatamente oppressi. Ora si trovano sulla soglia dell’edificio che un tempo avevano chiamato casa, decisi a ritornarvici, ma sempre timorosi dei venti neri che spalancano i portali decadenti, danzano nei solitari atrii.
Il viso dell’uomo si contrae in una smorfia di fastidio. Ora sa che, nel corso di quattro secoli, i discendenti dei mostri sopravvissuti fonderanno sulle rovine del luogo la città di Medina.
In questa linea temporale lui non è diventato un martire per la loro causa, ma un insulso traditore, fuggito come un codardo per appoggiare gli umani. Considerando che il loro numero è tale da poter rendere quasi inefficienti anche i suoi migliori incantesimi su larga scala, il mago teme che, al momento dello scontro, non gli risponderanno con obbedienza.
 
L'uomo prosegue il suo cammino silenzioso, un solo pensiero formulato chiaramente dentro di lui.
Di tutte le ere che il mondo abbia attraversato, il Medioevo resta la più orribile e spietata.
 
Bruta, incolta, oscura età di transizione!
Falsa seguace della meraviglia antica, vigorosamente estirpata dalle memorie del futuro. Febbricitante e timorosa ed isolata, la cui grandiosa eredità culturale ristagna in un salmastro di costumi villani. Madre di turbolenze intestine, mai incanalate verso un obiettivo reale, ma sfogate rozzamente per mezzo di lamenti bassi e puerili tradizioni. Culla di un ideale distorto, che concede prestigio alla spada piuttosto che alle arti, al sapere. In essa vi è la fede per il terrore, la devozione per l’ipocrisia, vi sono libertà snaturate in funzione di nuovi valori privi di senso.
Epoca che lui stesso ha rovinato, ma che per prima lo ha squadrato con beffarda diffidenza.
Epoca ferita, ferita dal nulla, epoca iraconda, epoca che non perdona.
 
Borbottando in termini simili contro il destino, Magus si perde per ancora un altro giorno nei meandri del suo castello, cominciando tra i soliti pensieri eccessivi l’ennesima giornata vuota.







NdA:
Buonsalve!
Non penso di star parlando con qualcuno, visto che, ahimé, di Chrono Trigger nemmeno c'è una sezione, ma farò comunque finta, lol. La serie Chrono (e Cross in particolare, ma non diciamolo a voce troppo alta ^.^) rappresenta secondo me il pinnacolo dell'arte videoludica, e quella di Crono&co è una storia che avrò sempre cara. Questa oneshot doveva in origine rappresentare i primi due capitoli di una long che avevo iniziato intorno al 2018, che avrebbe riempito il buco temporale tra Trigger e Cross. Poi ho abbandonato il progetto, sono cambiati i miei headcanon (nella mia mente, post finale 1 con Epoch integra, ad un certo punto Crono, Lucca e Marle si sono portati Magus nella loro epoca, essendo più probabile ripescare Schala dai meandri del multiverso con la tecnologia dell'anno 1000 piuttosto che dell'anno 12000 avanti Cristo), ma qualche settimana fa ho ritrovato questo file, e ho deciso di pubblicarlo comunque. Volutamente incompiuta, è uno spaccato brevissimo di due vite intrecciate ma parallele :)
Il mio sogno proibito sarebbe un giorno di scrivere veramente una long che riempia questa trilogia che mai fu (magari chiamandola anche Chrono Break for good measure xD), ma chissà. Io ho un problema con le long purtroppo, HAHA.
Ci vediamo!

Candy<3
   
 
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