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Autore: _candyeater03    05/09/2023    0 recensioni
{Generale}{OneShot; 6956 parole}
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Tra dubbi, adolescenza e pensieri intrusivi, Chiara impara a vivere dentro sé stessa. O almeno ci prova.
La strada fuori dall'Inferno inizia in cima, e poi va giù.
Genere: Generale, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Come si fa a capire di aver toccato il fondo?
 
Chiara apre gli occhi: subito un terrore disgustoso s’impossessa di lei. Ecco, è successo di nuovo.
La ragazza si alza a sedere, come nauseata, si mette gli orecchini, va a sollevare la serranda. Si rifà il letto in fretta, corre in cucina, mette su il caffè. Nemmeno il calore amaro che le scivola in gola riesce a lavare via quel disgusto, quell’afflizione che si agita nelle sue membra.
Molti non lo raggiungono nemmeno, il fondo dell’Inferno. Quasi pare che non esista, che si possa sempre continuare, giù, giù, che il salto nel buio non finisca mai. Il fondo vero e proprio non si trova per sbaglio: lo si scoperchia con speranza, di proposito, scavando e cercando dentro di sé. Ma molti non inizieranno mai a cercare.
Alcuni sprecano il proprio tempo a scendere sempre più a fondo, poi risalire, scendere di nuovo: la loro vita scorre veloce, senza che abbiano mai toccato il limite. Altri nemmeno per questo fanno in tempo, terminano da sé quest’esistenza tanto intollerabile. Altri ancora gonfiano il proprio esofago di alcol, la propria bocca di pillole, i propri polmoni di fumo, offuscano la propria mente, prima che possa cadere così in basso. Sono scarsi e fortunati quelli che riescono a distrarsi.
Per la maggior parte è un’abitudine, una fosca selva che imbriglia i loro sonni e soffoca le loro veglie. Anche per Chiara è un’abitudine: questa mattina è uguale a tutte le altre mattine. Ha già visto questa scena, molte volte. Ora va a pettinarsi, a lavarsi i denti, a mettere il mascara. Non appena incrocia nello specchio gli occhi del proprio riflesso, come sempre, non riesce a credere di star guardando sé stessa. Lo sgomento le risale violento in gola, come sempre. Vorrebbe solo scoppiare in lacrime.
Non devi sorprenderti, sussurra qualcosa dentro di lei. Lo sapevi di essere una persona orribile.
 
È una sensazione che le rimane incollata al petto, per tutto il giorno.
Del resto poteva aspettarselo: l’ha già visto. Si tratta di una di quelle giornate che si mettono a tacere solo tornando a letto. Quanto vorrebbe, pensa mentre si sciacqua il viso, poter ritornare a dormire e basta! Una volta qualcuno, probabilmente il nonno, le aveva citato una certa frase di Macbeth, secondo cui il sonno era l’unica tranquillità, il balsamo della vita. Quanta verità.
È una sensazione che le rimane incollata al petto, anche mentre passeggia con i suoi migliori amici verso l’ultimo giorno di scuola. Loro camminano ridacchiando per qualche battuta stupida, lei rimane dietro a rimuginare. È dalle elementari che la trattano come la terza ruota, da quando Marta era una ragazzina agitata che parlava solo di cavalli, e Alessio un bimbo saccente che intavolava orazioni inutili per ogni minima sciocchezza, eterno avvocato del diavolo. Da quando Chiara era ancora una bambina senza complessi, ma che comunque a ricreazione stava sempre sola, a mangiare una mela. L’hanno sempre utilizzata per fare numero, quando litigavano tra di loro, oppure per mediare, quando volevano fare pace. Due o tre anni fa si sono addirittura messi insieme, per due mesetti scarsi. Anche per la loro separazione in buoni termini lei ha agito da mediatrice.
Chiara li guarda e vede quanto sono cambiati, quanto sono cresciuti. Perché lei non ci è riuscita?
È una sensazione che le rimane incollata al petto, quando si siede nella prima fila di quella classe di estranei. È dalla quarta ginnasio che vede quei diciotto volti ogni giorno, eppure può a malapena dire di conoscerne i proprietari. Quando l’ultima campanella suona, non sente niente di diverso.
È una sensazione che le rimane incollata al petto, mentre di pomeriggio suo padre passa a prenderla in macchina per portarla dal dottore. È da qualche giorno che ha una brutta tosse, chissà perché. Addirittura quella sua solita nausea si acuisce nel momento in cui lui la saluta, con un sorrisone solare. Chiara sorride a sua volta, ma vorrebbe scoppiare a piangere. Le vogliono davvero bene, lui e la mamma. Le hanno prenotato una visita dal dottore perché sperano che lei possa guarire, che possa stare meglio. Questo pensiero la intristisce immensamente: le si contorce lo stomaco, le gira la testa.
Qualcosa l’ha convinta che una persona come lei non merita una cura, di nessun tipo, mai.
 
Quando arriva a casa sono le sei e mezza: ancora non c’è nessuno.
Chiara si chiude in camera sua, tira le tende, si siede con le spalle contro il calorifero spento. Poi si mette a pensare, pensare, ricordare, cercare nella propria mente, cercare su Google.
È successo ancora una volta. Ha avuto lo stesso sogno ancora una volta. Quasi le viene da vomitare. È questo il sogno da cui tutto è iniziato, in effetti. Un sogno che la terrorizza, perché forse è anche un ricordo. Ma come potrebbe saperlo? Venderebbe l’anima per esserne sicura.
Ricorda il giorno in cui era comparso per la prima volta, intorno ai nove anni. Ritraeva la sé stessa di forse un annetto prima, mentre insegnava a sua sorella Emma ad andare in bici. Ritraeva la sé stessa di forse un annetto prima, che, presa d’un tratto da un guizzo di fastidio, di macabra curiosità, lasciava andare la bambina di proposito, la spingeva giù dalla bicicletta.
Si era svegliata madida di sudore. No che non l’aveva fatto apposta, le era sfuggita per sbaglio. Ma, aveva sussurrato la sua mente, puoi forse esserne sicura? Così era iniziato il suo Inferno.
Alla fine Emma non si era fatta niente, solo una piccola cicatrice sotto il mento. Ma a lei non importava. Alla fine conta sempre l’intenzione. C’era stata intenzione, oppure no? Allora?
Lì erano cominciati i pensieri. Imperativi, immagini, sensazioni senza senso che ad ogni respiro le consumavano la mente. Immaginava di ferire chi aveva attorno, i propri genitori, gli amici. Immaginava di spintonarli, di piantare le unghie nel loro braccio, di afferrare il loro collo con entrambe le mani. Lei non lo voleva, naturalmente. Voleva solo che le immagini andassero via, perché la disgustavano, la terrorizzavano, la facevano piangere. Tentava di bloccarle, di respingerle, eppure ad ogni momento felice erano di nuovo lì, dietro l’angolo, a morderle il cranio con i loro dubbi. Forse sei una persona cattiva, terribile. Devi pensarci, pensaci, pensaci tutto il tempo!
Da piccola stilava ogni giorno una lista di tutti i pensieri della giornata, per confessarli alla mamma la sera. Non poteva scordarne nessuno, di certo. E se fosse stato quello, a renderla una cattiva persona? Crescendo i suoi pensieri erano diventati più macabri, più disturbanti, e lei aveva smesso.
Per prima cosa aveva iniziato ad evitare le biciclette. Il che era un peccato, perché prima lei e papà pedalavano ogni domenica. Più avanti, poi, anche gli oggetti appuntiti. Infine le persone, in generale. Qualche volta ancora sente le mani tremarle, un brivido correrle lungo i nervi, sente di stare per colpire qualcuno, senza controllo. Allora rigetta indietro le lacrime, stringe forte i pugni finché non le resta il segno delle unghie impresso sui palmi. Oppure ci sono i sogni, come quello di oggi, i sogni che la riportano lì, che sembrano così veri, vividi, familiari, finché non deve svegliarsi con la tachicardia, nella cruda realizzazione. Potrebbe farlo davvero. Sei una persona orribile.
Chiara cerca su Google: ha bisogno di validazione, di conforto immediato. Non trova nulla, accidenti, proprio nulla, solo qualche frasetta motivazionale che per qualche motivo con lei non funziona. Mentre sta per richiudere il telefono, per ritornare a pensare, intravede per caso un video che prima non aveva notato. La sua mente traduce all’istante dall’inglese: Pensieri Intrusivi e Sogni nel DOC.
Chissà perché, Chiara decide di fare un ultimo clic.
 
Nella penombra della sera solo la cucina resta illuminata, oltre a camera sua.
Con discrezione Chiara sporge il capo dentro la porta scorrevole, per accertarsi che sua madre non sia al telefono. Sembra di no: eccola intenta a rigirare gli spaghetti, il cellulare capovolto sul tavolino.
“Che ti ha detto Parodi alla fine?” le domanda senza nemmeno voltarsi, riconoscendola chissà come. Nella mente di Chiara qualcosa inizia a sussurrare, qualche scena vaga s’insidia come sempre nella sua immaginazione. Ma lei la mette a tacere, è troppo contenta ora per perdersi in simili sciocchezze.
“Nulla”, risponde, “non tossisco da che sono entrata lì.”
“Classico”, commenta sua madre con un sorriso, regolando la fiamma.
Chiara entra nella stanza, richiude la porta dietro di sé. Prende un bel respiro.
Non ha nemmeno pensato alle parole da usare, a come poter spiegare questi suoi ultimi minuti. Come si potrebbe trasmettere una così carica realizzazione? Chissà come, sa di aver appena vissuto il momento più importante della propria vita. Di aver trovato la soluzione a qualsiasi cosa.
Non ha nemmeno pensato alle parole da usare, perché anche nella sua mente quasi si sciolgono l’una nell’altra. Non capisce come sia successo, o perché. Il pensiero che sia avvenuto tutto per caso le suscita un riso insensato, le fa girare la testa. Ha avuto fortuna. Una fortuna sfacciata.
Magari è una conclusione sbagliata, esagerata, fuori luogo. È possibile, lei non lo sa. Sa solo che la persona di quel video su cui ha cliccato per caso stava parlando a lei, lei di persona, come se leggesse dentro la sua mente, dentro quella parte oscura che di giorno le sussurra all’orecchio e di notte la tormenta. Che stava disvelando senza sforzo tutti i suoi soliti ragionamenti contorti, ridendoci su come se fossero senza senso. Che le stava dicendo di non preoccuparsi, perché c’erano tante persone come lei. Come me! Tutto ha un senso ora!
“Sai, prima stavo guardando un video”, esordisce la ragazza, guardando il pavimento, “era una terapista che parlava del disturbo ossessivo-compulsivo, pensieri intrusivi…tutta quella roba lì.”
Chiara aveva continuato a navigare sul suo canale per più di un’ora, dopo quel video. Si muoveva saltellando senza sosta da un video all’altro, frammento dopo frammento, perché tutto le sembrava così surreale, così vero, così importante. Voleva solo imparare, apprendere il più possibile. Quella donna sconosciuta la capiva nel profondo, più a fondo di chiunque altro prima.
“È assurdo, mi ci sono ritrovata un sacco”, continua lei a bassa voce, “cioè, non che pensi di essere…”
“Cosa, ossessiva-compulsiva?” la interrompe sua madre, con un sorrisino allarmato. “Certo che no, ci mancherebbe!”
La guarda con quegli occhi amorevoli e pietosi di sempre, di tutti, quelli che di solito la fanno stare male, le contorcono lo stomaco. Adesso le danno solo una grandissima frustrazione.
“Guarda che sei perfettamente normale, tu”, dice sua madre con tutta la cura del mondo, poi posa il cucchiaio sulla pentola, la stringe in un abbraccio, “ti preoccupi troppo e basta. Stai tranquilla.”
Sei normale, tu, ti preoccupi e basta.
Va bene.
 
“La Gaia scende tra dieci minuti”, dice sua sorella, non appena arrivano sotto casa dei nonni.
Chiara annuisce, richiudendo la portiera della macchina. Giusto il tempo di posare la roba.
Prima di andare verso il portone la ragazza inspira forte, si ferma ad ammirare intorno. Sono anni che passa le estati qui: tutto giugno, luglio e settembre, dalla domenica sera al venerdì pomeriggio. Ecco la piazzetta della sua infanzia, il recinto dei cacti, l’ufficio chiuso, l’albero di corbezzoli. Man mano che negli anni quel luogo ha accumulato ricordi si è colmato di una certa poesia.
Subito Chiara si affretta a seguire gli altri, ma li raggiunge quando già hanno chiamato l’ascensore. Appena scende al quarto piano la nonna la accoglie, con un abbraccio stretto stretto. Chiara sorride, ma un poco si scosta: le è venuto un altro pensiero dei suoi. E certo. Non ora, si ripete nella mente, riformulando quel pensiero ancora una volta, due, tre. Non ora. Non lo pensi davvero, è solo un pensiero intrusivo. Ne sei sicura? Sì. Sicurissima? Sì, e ora basta.
“Che mani fredde!” dice la nonna.
“È che oggi fuori fa freschino”, risponde lei.
L'aria fresca della sera”, interviene il nonno dalla poltrona, richiudendo la rivista delle parole crociate, “è il respiro del vento che si addormenta placido tra le braccia della notte.
Chiara va ad abbracciare anche lui, poi posa le borse in camera sua. Forse non aveva bisogno di tutte queste cose, ma pazienza. Ora ha solo il tempo di correre con Emma giù per le scale, giusto in orario.
Gaia è già lì ad aspettare, munita di carte da gioco, fogli e pennarelli. I suoi nonni, con cui trascorre tutto giugno e luglio, vivono al piano terra del palazzo lì affianco. Piuttosto conveniente, dato che lei ed Emma sono da sempre compagne di classe e migliori amiche.
Ha pure portato un pallone morbido, anche se c’è già buio, anche se non lo usano più da molto tempo. In effetti è proprio appostata sotto la targhetta che vieta il gioco della palla, ma di quella non si è mai curato nessuno.
Emma propone una partita a cirulla, nessuna obiezione. Se non che, dopo quindici minuti, Chiara si ritrova già sotto di dieci punti. Mai una bussata a me, oh!
Solo che a stare lì, chissà come, le si stringe il cuore. Non riesce a guardarsi intorno senza ricordare la banda della piazzetta di così tanti anni fa, composta da loro tre insieme ai bambini del palazzo di fronte. Senza ricordare le riunioni di ogni pomeriggio alle quattro, e ogni sera alle nove. Con Luca, e qualche volta suo fratello. Con Anna di ritorno dal centro estivo, e Nicola che era ancora piccolo. Con Sara Rossi, con le gemelle. Con tutti quanti.
Con il tempo si erano dispersi, uno alla volta, fino a rimanere solo loro tre. Addirittura nelle estati più recenti, quando Emma usciva in centro oppure al mare, finivano spesso per vedersi in due. Tanto lei e Gaia erano sempre lì, perché a entrambe il mare non piaceva. E nemmeno uscire in generale.
Quante volte si sono sedute sul muretto davanti ai cacti, a parlare poco, guardando avanti, a rimpiangere i tempi passati! Ma cosa potevano fare? Certo non di punto in bianco andare a suonare al citofono del 101, come se non fosse passato un giorno.
“Ohi Chia’!” la scuote Emma, risvegliandola dalle sue fantasticherie. “Vuoi giocare o no?”
 
Primule 2, Campanule. È così che si chiama la fermata sotto casa dei nonni.
Chiara osserva il cartello con occhi vacui, le guance umidicce di crema e un borsone sulla spalla. Sposta il peso da un piede all’altro, quasi saltellando, molto più nervosa di quanto non dovrebbe essere.
Il 512 arriva tra cinque minuti. Le basta prenderlo fino al liceo, per poi salire sul 513 che va nella direzione opposta. Più volte negli ultimi giorni ha pensato al percorso, per essere sicura di non sbagliare. Addirittura dovrebbe forse arrivare con un certo anticipo.
Però non troppo. Ha calcolato anche questo. Cosa dovrebbe fare se arrivasse in spiaggia troppo presto? Appostarsi? Vagare per i giardini in attesa? E se incontrasse qualcuno che la conosce? Magari a questo punto sarebbe meglio prendere l’autobus dopo, e arrivare in ritardo. Ma probabilmente nemmeno in questo caso saprebbe come comportarsi. Che cervello difficile.
Perché poi ha accettato, se la situazione la mette tanto a disagio? Complice è stata Marta, con tutta la sua insistenza. Sapeva di avere poche speranze, con una persona tanto avversa alla spiaggia. Però Alessio era al campo scout, e le serviva qualcuno con cui fare coppia a briscola. Alla fine Chiara aveva acconsentito, oltre ogni aspettativa, e si erano accordate. Alle tre e mezza davanti al chiosco.
Tutto la mette a disagio. Il costume, le persone, pure la briscola. È un gioco a cui fa abbastanza pena. Eppure cerca di non pensarci, di accettare la sfida di buon grado. L’ha fatto per mettersi alla prova. In verità sono giorni che la agita anche la sola vista di una bicicletta. Sono giorni che i pensieri sono ritornati, forti come prima. Non le basta più cacciarli via, dirsi che si tratta solo di un errore della propria mente, solo di pensieri intrusivi che il proprio cervello partorisce senza senso. Ora non ci crede più allo stesso modo, sente di doverselo ripetere di continuo. In queste settimane ha imparato che anche questa è una compulsione.
Chiara ha continuato ad esplorare il canale di quella terapista, e il forum allegato. Ci vuole molto più impegno per guarire, apparentemente. Molte lacrime, molta costanza, molte ricadute. Quelli del forum hanno addirittura stilato una lista di titoli di autoaiuto, che rappresentano le basi fondamentali.
A vedere tutta la fatica necessaria quasi le viene da vomitare. Non è certa di avere fede a sufficienza. Sicuro dovrà procurarsi quei libri, prima o poi, e in qualche modo incominciare a lavorare. La ragazza sa di non essere pronta a scavare nel cuore della propria ossessione peggiore, non ancora, non adesso. Quindi nel frattempo cercare di essere più socievole le è sembrata un’adeguata alternativa.
Ecco l’autobus. Chiara fa una volta cenno all’autista, poi saluta la nonna, che la osserva dal balcone del quarto piano. Dopo aver timbrato il biglietto va a prendere posto sul suo sedile preferito.
Comunque prima o poi le toccherà, pensa, mentre il 512 richiude le porte. Dissotterrare tutto quanto.
La strada fuori dall’Inferno inizia sulla cima, e poi va giù.
 
Alla fine non c’è stata nessuna briscola. Hanno giocato a Uno.
Chiara contrae le labbra in un sorriso compiaciuto, ripensando alla schiacciante vittoria. Non che ci volesse poi molto, in verità. Tutte quante erano abituate a giocare senza criterio, con regole assurde. No che non si possono fare le triplette! Quasi ne era nata una discussione.
Mentre attende alla fermata il 512 di ritorno, Chiara riflette sulla giornata. Alla fine è andata bene. Certo, nonostante il perenne nervosismo. Lei e Marta erano arrivate più o meno allo stesso tempo, grazie a Dio, ma subito si erano imbattute in cinque delle loro compagne di classe. Chiara riesce ancora a sentire la vampata di disagio che le pulsava in gola durante il fortunato incontro, quasi fosse ancora lì. Ricorda di aver pensato a quanto non avesse senso provare ansia alla vista di persone che incontri tutti i giorni. Lo comprendeva bene, eppure non poteva farci nulla.
Almeno un poco era riuscita a sciogliersi, nel corso del pomeriggio. La partita a carte era stata piuttosto divertente. Grazie al cielo Alice aveva portato il mazzo da Uno.
Tutto era andato bene, ma non era stata una giornata semplice. Per qualche motivo i pensieri avevano iniziato ad attaccare con forza, allacciandosi a chiunque. Lei continuava a zittirli, ci provava. Siete solo pensieri intrusivi, si ripeteva, non vi voglio qui. Ma non funzionava, non funzionava affatto. Quindi era rimasta lì, in preda a quella massa di pensieri neri che le si accalcavano sul cranio, in preda alla paura, in preda al solito senso di colpa. Cercando di dare nell’occhio il meno possibile.
Certo però, aveva imputato questo cattivo umore solo a sé stessa. Per il resto era andato tutto bene. Marta le aveva detto che in genere andava al mare una o due volte a settimana. Le aveva detto che se avesse voluto aggiungersi le avrebbe fatto molto piacere. Sicuro, aveva risposto Chiara, scrivimi tu.
Adesso lei è lì, alla fermata davanti alla scuola, ancora reduce di quella paura, di quel solito senso di colpa. Conosce bene questa sensazione tanto familiare, questo angoscioso tedio: appartiene a chi è costretto a vivere con sé stesso, quando ormai è una persona terribile. A chi ora non sa cosa fare.
Eppure per un istante, uno solo, il suo cuore si solleva. Nemmeno sa di cosa si tratti, sul momento: sfugge lontano prima che possa accorgersene.
Solo quando è sull’autobus ricorda di aver notato il modo in cui i raggi bruni del tardo pomeriggio si rifrangevano sulla figura azzurra del liceo. Per un attimo aveva ricordato che esistono altri colori.
 
E nel fine settimana lei torna a casa, fino alla domenica. In queste sere studia, mentre tutto è fermo.
Prima di uscire mette sempre un maglioncino, e i pantaloni lunghi, perché quest’estate le notti non sono calde abbastanza. Va in cucina e riempie la sua borraccia: qualche volta aggiunge due cucchiai di sciroppo di rosa, quello del supermercato, dal gusto strano, che è comunque meglio di nulla. Poi va a rannicchiarsi sul balcone, mette l’acqua per terra, il portatile sulla sedia davanti a lei, incastrata chissà come in quello scarso metro quadrato.
Su quel balcone Chiara divora, sottolinea, impara da cima a fondo tutti i libri della lista. Alcuni non si trovano tradotti, nemmeno in digitale, e lei è costretta a leggerli in inglese. Anche solo a comprendere il senso generale fa fatica, ma non demorde. Vorrebbe davvero stare meglio.
Di notte vede sempre le stesse persone. Nel palazzo di fronte, quello che ostruisce la vista mare, la luce è spesso accesa su una cucina arancione, all’ultimo piano, dove l’anziano proprietario siede fino a tardi a fare le parole crociate. Qualche volta, un poco più in basso, si vede una ragazza con gli occhiali rovistare con foga dentro ad un grosso armadio, organizzato in una moltitudine di scatole di plastica colorata. Chiara sorride, le piace immaginare che contengano chissà quali costumi di scena. In un palazzo più lontano, verso i monti, vede in un appartamento il televisore sempre acceso, anche a notte inoltrata, ma mai nessuno che lo guarda. Che sia uno smemorato? Una casalinga? Un uomo d’affari? Ritrovare queste stesse luci ogni fine settimana le scalda il cuore, come un incontro sperato. Si lascia pervadere da questa sensazione, inspira a pieni polmoni lo spirito della città addormentata, di lei sola che osserva.
Ogni tanto s’intrude il pensiero dell’altezza, dell’aria, del malanno. Non riuscirebbe a dormire per due notti, se si prendesse un raffreddore dei suoi! E se invece cadesse proprio? Se per qualche motivo perdesse l’equilibrio e precipitasse dal secondo piano? Non sarebbe spaventoso? Quanto ci metterebbe a morire? Quando troverebbero il suo corpo? E poi? Finisce anche per immaginare il balcone stesso crollare, o magari uno di quelli di sopra. Però finché si trova lì la preoccupazione non la tocca, per qualche motivo. È come se si sentisse più al sicuro, sotto il cielo stellato.
È quando richiude la serranda dietro di sé che il suo cuore ha un tuffo, si ripromette domani di fare più attenzione.
 
I libri della lista insegnano ad accettare gli altri senza condizioni. Ma questo non era un problema. Con i suoi genitori va d’accordo, con sua sorella anche. Non ha davvero nessuno da perdonare.
Almeno non fino a una sera di fine luglio, quando per caso s’imbatte in una foto di Marta e Alessio al mare. Non si fanno vivi da settimane e poi escono solo tra loro due? Erano giorni che aspettavo un messaggio, e invece niente. E senza nemmeno la delicatezza di bloccarmi le storie? Perché hanno dovuto farlo, non è giusto! Perché mi ignorano? Perché non vogliono uscire con me?
Ma non ha senso, si dice Chiara, arrabbiarsi così. Non è normale che gli umani sbaglino, qualche volta? Che si feriscano a vicenda, anche senza volerlo? Il risentimento aggiunge solo altro dolore.
E poi loro due non hanno nemmeno sbagliato. È lei, si rende conto, la prima ad ignorarli, a non invitarli mai. Ha così tanto timore di infastidirli che non lascia trasparire nulla, diventa distaccata, quasi se fosse lei a non volerli vedere. E invece vorrebbe vederli di più.
Alla fine si tratta solo di questo, si dice Chiara. È forse l’amicizia una gara a chi è più richiesto, desiderato? Certo che no! Non deve aver timore di scrivere a qualcuno, se ha voglia di uscire.
Ripete la stessa cosa a Gaia, la sera dopo, sul muretto davanti ai cacti. Con Emma hanno litigato: sua sorella si è addirittura rifiutata di scendere in piazzetta. Chiara l’ha lasciata in soggiorno che piangeva, chiedendosi perché gli altri la trattassero a quel modo, quando per loro avrebbe dato qualunque cosa, avrebbe voluto solo il meglio. Nemmeno sembravano confortarla quelle frasi sagge sull’amicizia che il nonno le stava ripetendo, di Seneca o chissà chi.
Gaia si stringe nelle spalle, lo sguardo a terra. In breve le spiega che sì, certo, magari ha parlato male di lei con la Giorgia, ma questo perché Emma la ignora sempre, sempre, non la considera mai. Addirittura una volta sono uscite insieme tutte le ragazze della classe, ed Emma ha insistito affinché a lei non lo dicessero. O almeno questo le è stato detto. La fa davvero arrabbiare.
“Non credo che farebbe mai una cosa del genere”, risponde Chiara con un sorriso, “è una persona meravigliosa, e ti vuole davvero bene. Sicuro è stato un malinteso.”
Gaia allora solleva lo sguardo, la guarda negli occhi. Righe di lacrime iniziano copiose a scivolarle lungo le guance, mentre le dice che ad Emma tiene veramente, più che a chiunque altro, che sente di starsi allontanando da lei, di stare rimanendo da sola. Dice che le manca quando giocavano insieme da bambine, quando facevano i lavoretti o si inventavano le recite, che le mancano tutte quelle cose che solo loro due capivano, che per lei erano davvero casa. Dice di non volerla perdere mai, mai.
Chiara ha un sussulto. Da fuori suona così stupido, ma lei comprende alla perfezione.
Allora la abbraccia, la rassicura, le dice che sicuro faranno pace. E le dice anche di mostrare, qualche volta, quanto ci tenga a lei. Perché alle persone importanti bisogna dirlo, senza avere paura.
Non appena rientra in casa la ragazza impugna il telefono, scorre all’indietro fino a trovare la chat di gruppo con Marta e Alessio. Chiede se siano liberi martedì per andare al mare, o in centro, o dove preferiscono loro.
Dopo dieci minuti hanno risposto entrambi. Certo, dicono, martedì è perfetto.
 
I libri della lista insegnano ad accettare la vita senza condizioni. Però non è facile, quando talvolta le notti si fanno troppo buie, e le domande troppo grandi. Non è facile accettare rannicchiati in un angolo della stanza, le spalle contro il calorifero spento, chiusi nella propria mente, non è facile accettare tra le lacrime silenti che scivolano nella penombra.
La morte la terrorizza, da sempre. Come si può accettare del tutto la fine inevitabile? Come può accettare di svanire un giorno, smettere di esistere, di non svegliarsi mai più da nessuna parte per tutta l’eternità? La ragazza prova ad immaginare il nulla, non ci riesce, si controlla il battito. Le lacrime continuano copiose ed insensate a scorrerle sulle guance, bagnandole il pigiama, cadendo sul parquet.
Imparerai prima o poi, ripete a sé stessa, ancora e ancora, con tutta la forza che ha.
 
I libri della lista insegnano ad accettare sé stessi senza condizioni. Ecco il vero problema.
Dal primo libro Chiara impara un trucco, un gioco d’intelligenza. È un compito che ripete ogni sera. Dopo aver spento le luci, ma prima di dormire, lei chiude gli occhi. Nell’oscurità familiare lascia correre la propria mente, immagina ogni scenario, anche il più sventurato, anche il più terribile. Individua a poco a poco tutte le sue convinzioni senza senso, tutti i suoi sentimenti esagerati, tutte le parole cattive che ripete di continuo a sé stessa, ancora e ancora. E tenta di disputarle.
Subito trova difficile anche solo pensarci. Le prime settimane scoppia in lacrime incontrollabili, non appena si addentra anche solo un poco più a fondo: finisce per addormentarsi senza concludere nulla.
Solo dopo impara a comunicare con il proprio cervello nel modo più giusto, più efficace. Inizia a guardarlo come un sistema di protezione, piuttosto che come un nemico: un alleato troppo sospettoso, che non vede l’ovvio. Chiara impara a mostrargli che non ha bisogno di allarmarsi, in ogni caso.
E se in realtà, in maniera inconscia, desiderassi davvero fare del male a qualcuno?
L’inconscio, risponde lei, chissà come funziona. È condizionamento totale, che non dipende da me, e serve solo per proteggermi. Magari è solo paura di essere davvero così, magari è altro. Non lo so. Ma oltre all’inconscio ci sono io. Sono io a decidere.
E se perdessi il controllo e ferissi qualcuno che ti è caro?
Spero che non accada, risponde lei, dato che non lo vorrei per nulla al mondo. Ma se così fosse mi prenderei le mie responsabilità, e cercherei di crescere. Ricorderei che sono una persona fallibile, e che aver fatto del male a qualcuno non significa essere una persona orribile. Significa solo essere una persona che una volta ha commesso una brutta azione.
E se finissi in prigione?
Che esagerazione! Comunque nel caso anche lì potrei trovare il modo di crescere ed imparare. Ci sono persone che addirittura in prigione scrivono libri, risponde lei.
Perché ti sforzi a fare tutto questo? Non meriti di essere felice.       
Non si può misurare il valore di una persona, risponde lei, in maniera oggettiva. Quindi il concetto di merito è arbitrario. So che tutti possono essere felici, e ciò include me.
 
È domenica. Tra due giorni si parte per le vacanze, finalmente.
Anche se domani dovrà svegliarsi presto Chiara è sempre sul balcone, a studiare rannicchiata sulla sedia. Ormai si tratta solo di una rilettura: ha ripreso in mano il secondo libro proprio tre giorni fa.
Oggi però richiude la scheda in fretta. È da qualche tempo che forse si sente bene, meglio di quanto non sia mai stata. Per adesso vuole solo restare lì con la sua musica, ad osservare.
Ecco di nuovo tutti, ancora qui. Il signore delle parole crociate nella sua cucina arancione, che discorre con un ragazzo più giovane. La costumista con gli occhiali che culla un neonato, mentre il marito scrive al computer, all’altra finestra. La persona che teneva il televisore acceso, ora con le serrande sbarrate: dev’essere già partita. Del resto siamo alla fine di agosto.
Chiara osserva le luci, i camini, le stelle, sente il proprio battito accordarsi al cuore pulsante della notte. Tutt’a un tratto le si formula nella mente un pensiero strano, un pensiero nato dal nulla, ma che le risuona vero come la vita stessa. Della morte temi il non essere più tu.
La ragazza sorride. Della morte non si cura più di tanto, per adesso. Per quanto sia una soluzione poco elegante, lei ha imparato a ricordare, ogni volta che il terrore le esplode in petto, che avrebbe potuto morire tutti i giorni, da quello della propria nascita, e che invece non è ancora successo. Non crede ogni giorno di avvicinarsi, ma sempre di fuggire. Forse non è giusto, ma a lei va bene così.
Ma in effetti forse è vero quello che ha pensato. Forse in fondo le è sempre piaciuto, essere sé stessa.
Che ironia! Mai l’avrebbe detto, qualche mese fa. Eppure forse era vero anche allora.
Sempre più, tra questi ragionamenti, Chiara si sente avvolta, trascinata dalla quieta energia della notte. Vede dispiegarsi davanti a sé il flusso del grande mare dell’essere, e vi vede anche sé stessa, il proprio volto, la propria anima. Lei scorre nel tutto, e tutto in lei, nella sua infinita piccolezza.
Questa sensazione l’atterrisce, ma l’attira. Cosa dovrebbe fare di questo sentimento, che la eleva e la spaventa, che le batte nel cuore e le appiattisce il respiro, che le spalanca gli occhi e le trema sulla pelle?
Cosa fare? In un momento, Chiara inventa questo piccolo teorema.
Le passioni da arginare sono quelle che ti fanno sentire minuscolo. Ve ne sono altre, invece, dai volti differenti, che rendono il tuo cuore grande, grande come tutto l’Universo. Quelle vanno vissute.
 
È il primo di settembre: la vacanza è finita due giorni fa.
Per una settimana sono stati nella casa al mare, quella degli altri nonni, ma Chiara è tornata in spiaggia già oggi. Per qualcuno a cui non piace uscire, quest’anno si è piuttosto abbronzata.
Lì sulla spiaggia ha incontrato tutti i suoi compagni di classe, eccetto forse uno o due. Prima non le era mai accaduto di trovarli tutti quanti insieme. Si è sentita più a suo agio di quanto non pensasse.
Ricorda di averli guardati tutti in volto, uno per uno. Di aver visto in ognuna di quelle iridi una gioia vivace, una fiamma di speranza incorrotta, il riso candido dei buoni. Ricorda di aver pensato che era stato un peccato non averli conosciuti prima, non essersi sforzata. Perché restava ancora un anno solo, e un anno solo non basta. Perché uno raccoglie ciò che ha seminato, e lei non aveva mai seminato molto. Comunque va bene anche così, ricorda di aver pensato, sono contenta di aver compreso ora. Che sono delle belle persone. Che siamo una bella classe, il fiore della gioventù.
Oggi è venerdì, Chiara ritorna a casa propria. Dal nulla, le balena in mente un’idea.
La ragazza cammina verso il garage, subito sente il fiato corto. Gira la chiave, solleva la serranda. Eccola immobile, fredda, impolverata. La sua bicicletta è rimasta per anni nella stessa posa, in attesa.
Con timore accarezza il manubrio, sente il cuore martellarle in gola. Una parte di lei le consiglia di tornare indietro, di non provarci neanche: puoi farlo domani, sussurra, oppure un altro giorno. Ma Chiara inspira forte, espira, afferra il manubrio con entrambe le mani. Non le costa nulla. Il parcheggio è largo abbastanza per fare un giro o due.
Si accorge che la sua bicicletta è troppo piccola, quindi la rimette a posto, prende quella di Emma. Subito non ricorda come si faccia: ha bisogno di alcune prove per riprendere la memoria muscolare. Ma dopo due minuti è lì a pedalare di nuovo, come se non avesse mai smesso.
Mentre percorre il parcheggio avanti e indietro la sua gola è serrata in una morsa, il suo respiro si fa più inquieto, affannoso, lo stomaco gorgoglia di una nausea antica. Ricordi e pensieri di periodi più bui le affollano d’un tratto la mente, la disorientano, le riempiono gli occhi di lacrime.
Allora Chiara riporta alla mente tutto il lavoro di questi ultimi mesi, tutta la fatica, i pianti, le notti insonni, ricorda gli esercizi, e le dispute, e i piccoli traguardi. Ricorda che ama sé stessa, ama sé stessa nell’intero, nel suo percorso, nella sua vita da eroina imperfetta. Ricorda che si può accettare.
E se l’avessi davvero spinta di proposito?
Ah, magari l’ho fatto, risponde lei. I bambini sono strani, a volte. Però adesso la proteggerei ad ogni costo. Le voglio bene, bene, un bene dell’anima.
Con gli occhi colmi di lacrime Chiara ride, ride, ride più forte del vento.
 
E un altro giorno è terminato. Primule 2, Campanule.
Chiara scende dal bus e solleva lo sguardo. Non vede nessuno: la nonna sarà ancora fuori.
S’incammina in fretta lungo la salita, il borsone sulla spalla, i capelli pregni di salsedine. Ma prima di rientrare decide di fare un giro per la piazzetta, di abbandonarsi per qualche istante ancora a quella luce meravigliosa. Ne è inondata la facciata del 101, e così la lucida vetrina dell’ufficio ancora aperto, la targhetta che vieta il gioco della palla, il recinto dei cacti su cui da piccola infilzava i corbezzoli.
La ragazza trova il portone già aperto: oggi c’è la ditta di pulizie. Appena si accorgono della sua presenza i due uomini al piano terra le rivolgono un saluto amabile, invitandola a passare. Lei sorride di rimando in maniera come istintiva, chissà perché. Quindi si fa strada verso l’ascensore, curandosi di non scontrare il grosso secchio fucsia all’interno, e schiaccia il pulsante del quarto piano.
La nonna non è ancora in casa, appunto. Ma il nonno è lì, con una scacchiera davanti: cerca di risolvere uno di quei problemi di matto in due sull’ultima pagina della Settimana Enigmistica.
La vede, la saluta, la chiama a sé. Chiede se vuole provare anche lei a guardare quel problema.
Lei dice che non è capace. Non sa neanche cosa voglia dire matto in due. Bisogna muovere pure il nero?
“Sì”, dice lui, “devi pensare anche a come risponde l’avversario.”
Poi prende in mano il suo taccuino, e in fretta le spiega come ha risolto quello del numero precedente, e di quello precedente ancora.
“Ho capito”, risponde Chiara, “allora ci provo.”
Il nonno sorride quando lei gli mostra la propria soluzione: a lui è venuto uguale. Non resta ora che controllare a pagina 46. In effetti è giusto così.
Continuano con il numero seguente. Questo è più difficile, richiede uno sforzo combinato.
In qualche modo, mentre pensano ai problemi di scacchi, iniziano a discutere della vita. Senza pensarci Chiara racconta tutta la sua infanzia, tutte le sue sfide, tutta la sua estate: senza sforzo la sua voce scorre fluida sempre avanti, come se parlasse di cose qualsiasi. Dice che sta bene oggi, sta bene finalmente, dice che vorrebbe stare sempre così. Ma ha paura. Ha paura che possa arrivare una preoccupazione nuova, qualche pensiero ignoto, oppure antico, ma con diversa forza. Ha paura di ritrovarsi di nuovo all’inizio, di ricadere ancora tra brutali ossessioni come se nulla fosse successo. Non sarebbe spaventoso? Terribile? Non vuole più dover soffrire così. Non ora.
Nel ciel che più de la sua luce prende fu’ io, e vidi cose che ridire né sa né può chi di là su discende”, cita il nonno con semplicità, spostando in diagonale la regina, “ci tocca ogni tanto ritornare sulla terra. Però almeno adesso sai la strada.”
Forse è questo l’ultimo insegnamento che le serve, almeno per oggi. Cadrà di nuovo, magari, e andrà bene così. Perché sarà stata felice almeno una volta. E sicuro potrà esserlo ancora, come prima.
“Sai”, dice lei, “hai perfettamente ragione.”
 
C’è ancora luce quando Chiara esce sul balcone.
Si siede sulla sdraio di fronte alla bouganville, subito fuori dal soggiorno. Ormai è rientrata anche la nonna, mentre il nonno si è dato alle parole crociate. Lei si è fatta una doccia, come al solito ora aspetta che le si asciughino i capelli al sole. È una delle ultime volte in cui può farlo, del resto.
Alle sue spalle si può vedere il mare, in lontananza, e gli splendidi colori dell’orizzonte. Eppure lei quasi non se ne cura, perché piuttosto osserva le casette colorate tutt’intorno, i camini, i vasi sui terrazzi. Sui balconi del 101 le persone si affrettano ad apparecchiare per la cena, entrano ed escono con cestini e posate in mano. Alcuni stanno al parapetto ad osservare quella vista che lei ignora, altri giocano, scherzano. Lì c’è la mamma di Anna e di Nicola che annaffia i gerani. Quello seduto lassù a rilassarsi è il fratello di Luca, che ha un anno in più di lei. Ancora più in alto ecco un ometto baffuto che discute con la moglie: Chiara immagina sia Pescetto, quello scorbutico signore che una volta aveva gridato a lei e sua sorella di smettere di giocare con la palla, perché era vietato. Anche se era di gommapiuma.
La ragazza si alza e va a guardare di sotto, verso la piazzetta. Un gruppetto di una decina di bambini è arrivato a giocare, si rincorrono l’un l’altro cercando di passare il ce l’hai. Tra di loro c’è anche Nicola, che però questa volta è il più grande. Ecco la nuova generazione.
Chiara non può che sorridere. Ora le si riempie il cuore a ricordare i pomeriggi, le serate passate là sotto, come questi ragazzini adesso. Le estati intere trascorse a divertirsi con i loro giochi inventati, da squalo a gatta pelosa, in sottofondo i tormentoni di qualche anno fa. E ancora la sua memoria ritorna più indietro, indietro, a quando lei ed Emma giocavano su quel balcone alle Winx, o al fioraio, o all’università, quando gridavano ai bambini del campetto lì vicino di urlare meno, santo cielo, quando osservavano quel signore del palazzo di fronte addestrare il proprio cane sul tetto.
Una nostalgia forte e piena si espande in lei, mentre ricorda la vita ormai volata e immagina quella che verrà. Ma è una nostalgia che non manca di nulla, che è anche lenta speranza, gioia profonda, una sensazione che per la prima volta sente del tutto sua. Questa è la felicità, pensa. È tutto perfetto.
E tra i raggi dorati di questo momento perfetto cresce rapido in lei il bisogno di catturare tutto quello che sta provando, di lasciare a sé stessa un’ultima testimonianza di questo istante, di questi mesi. Forse non troverà le parole giuste, ma va bene così. Vuole solo poter ricordare.
Quindi Chiara prende un foglio, e inizia a scrivere.
 
12 settembre 2019
Tra una settimana ricomincia la scuola. È quasi bello trovarsi sul confine dell’estate, per qualche motivo lo si apprezza di più. Come se la sensazione di infinito che un periodo del genere ti dà fosse arricchita proprio dal suo essere temporanea. Ha senso?
Non è solo questo, però. Mi sento quasi su un margine più unico, più importante, più duraturo, quello che separa l’infanzia e l’età adulta. Ho lasciato molto indietro in questi mesi, e molto di nuovo ho acquisito. Sono diventata una me diversa, una me più autentica.
Ho imparato ad ammettere di non essere nata cortese, gentile, altruista come vorrei. Ma va bene così, perché essere cortese, gentile, altruista per esercizio vale quanto esserlo per natura.
Ho capito che non si può conoscere tutto, che spesso più si pensa più ci si confonde. Che ci vuole coraggio ad essere umani, a reggersi in equilibrio sull’incertezza, ma che alla fine ne vale la pena.
Ho capito che la mia intuizione qualche volta mente, specie se tende a pregiudicare.
Ho capito che non serve essere accettati dagli altri per essere una brava persona, e che non serve nemmeno essere una brava persona per accettare sé stessi.
Paesaggi che per tutta la vita ho considerato familiari mi appaiono ora nuovi, esotici, quasi immaginari. Sono piena di una nostalgia agrodolce, bellissima, nostalgia di sentimenti ancestrali mai provati, di sogni d’infanzia non ancora realizzati. Una nostalgia che insieme è una carezza dal passato e una promessa per il futuro. I doveri, le responsabilità che verranno mi appaiono insieme eccitanti e tediosi, così lontani ma vicinissimi. Per qualche motivo non riesco a vederne il lato negativo. Mi sento bene senza condizioni, percepisco l’atmosfera nella sua pienezza perfetta.
Oggi ho un cuore grande come tutto l’Universo.







NdA:
Salve a tutti!
Ho scritto questo racconto in realtà nel 2021 (nonostante la data nella nota finale, che anticipai al tempo per non dover gestire la questione pandemia xD), per un concorso a tema Dante a cui partecipavo con la scuola. Non ha vinto nulla, ovviamente, ma l'altro giorno ho ritrovato il file e ho pensato che sarebbe stato carino sistemarlo un po' e pubblicarlo anche qui. Quindi eccoci :)
Penso che questo racconto sia la cosa più autobiografica che abbia mai scritto. Era quasi imbarazzante farlo leggere ad amici/famiglia, visto che, a loro modo, erano quasi tutti inclusi, sebbene a volte modificati un po'. Nella mia vita c'è una Emma, una Gaia, una Marta, un Alessio. Chiara sono io, anche se in realtà mi chiamo Giulia. Gli ambienti sono più veri dei personaggi, così dolcemente genovesi :)
Ora forse non sarei così dogmatica e bianco/nero, nell'affrontare i miei drammi, però questa storia è stata un po' il mio modo di congelare un periodo molto vero a cui sono andata incontro. Spero che questo piccolo racconto vi sia piaciuto :D
Alla prossima!

Candy, aka Giulia<33
   
 
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