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Autore: _Alcor    12/09/2023    2 recensioni
Quando Ashley riceve la possibilità di tornare indietro nel tempo per impedire la morte della sua migliore amica, la afferra senza esitazione. Ma deve riuscirci nei minori tentativi possibili, perché ogni reset le strapperà una parte della sua umanità.
Eppure, si dice, diventare un demone pur di salvare quella ragazza non sembra così male.
{ho un debito creativo enorme verso il kagepro | e per la cover di fight song di Izuru | angst&loop temporali}
Genere: Angst, Horror, Hurt/Comfort | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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VIII.
[Ashley Sterling]




La statua di Rothschild che pianta la spada a terra è illuminata dal sole del mattino, gli occhi aggrottati puntati verso l’entrata della sala d’esposizione fissa. Rimango sulla porta con il portatile stretto al petto e i cavetti neri che sbordano dalle braccia.

Le mura sono tappezzate dai foderi appartenenti a nove dei centotre schermitori che han combattuto durante la fioritura degli aster, ognuno corredato da una teca piena di tutti gli effetti personali che siamo riusciti a recuperare dagli scantinati della città. Lettere, mantelli… Di Ardens sono stati trovati i dadi con cui si dice che si sia giocato la spada.

Eppure ogni volta che entro qui i miei occhi tornano a Rothschild Caelum.

Non è caduto a terra neanche quando gli hanno tagliato i tendini delle caviglie. Si è rifiutato di inginocchiarsi anche dopo aver trucidato l’ultimo traditore. Leggende dicono che la Guardiana l’abbia dovuto trascinare all’altromondo.

Chissà se è la verità…

Yelena piroetta tra gli espositori e piazza le chiappe su una scrivania appartenente a uno dei primi reggenti, accavalla le gambe. Zero rispetto per l’ambiente e zero rispetto per le reliquie dei tempi andati. Rivolge uno sguardo nostalgico alla statua, un debole sorriso le increspa le labbra rosse.

Attacco lo spinotto alla presa accanto all’entrata e mi accuccio, apro il portatile scassato. Lo schermo è coperto da un dito di polvere. «Vecchia conoscenza, immagino.»

«Il buon Cael? Era un caro amico.»

Mi congelo. Cael. Non Caelum, non Rothschild ma Cael. Il dubbio che abbiano avuto una tresca mi artiglia la schiena, clicco più volte il tasto di accensione del pc per levarmelo dalla mente. Non vorrei che il flash di loro due avvinghiati mi inquinasse la tesi.

Yelena schiocca le dita, un cellulare ricoperto da una cover rossa mi cade sul grembo. È sbeccato in cima a destra, esattamente come quello che avevo… prima di lanciarlo in bocca al mostro della settimana. Lo sblocco, il salvaschermo è un paesaggio in inchiostro su seta della vecchia Welt.

È il mio telefono!

Niente nuove chiamate, solo una notifica da Yelena Shaw. «Figo.»

«Vedi quel che riesco a fare quando sono riposata? Ci ho persino messo il mio numero.»

Clicco sulla notifica, la propic mostra una castana spalmata contro una mora infastidita, davanti al duo un tavolino con un gatto rosso spaparanzato a pancia in sù tra due spritz a godersi il sole. Strizzo gli occhi, la castana ha le iridi color galassia.

Fatico a credere che la Guardiana sia una mutaforma.

Digito di che colore avevi gli occhi, prima che diventassero così? Invio.

Un trillo arriva dalla tasca di Yelena, dà un’occhiata allo schermo. «Sai che non lo ricordo più?»

«Certe cose si possono davvero dimenticare?»

«Girl, hai idea di quanti anni ho–»

Le porte del piano di sotto si spalancano. Passi rapidi salgono, mi affretto a digitare la password per accedere al profilo da ospite. La dea sparisce come una bolla di sapone. Clicco l’icona a forma di telescopio del motore di ricerca ancora prima che il computer finisca di caricare le applicazioni in background.

La responsabile del servizio cultura fa capolino nella stanza, gli occhi nascosti da due lenti spesse e le rughe di espressione accentuate da come contrae la mascella. Liam Brionac la segue, in uniforme da poliziotto, un paio di borse marcate gli segnano gli occhi.

Non ha dormito, e non me ne stupisco.

Tengo lo sguardo sulla finestra del motore di ricerca. «Ciao?»

«Ehi, Palo.» La voce di Liam è debole e roca. Adora sua figlia, e sa che non è tipa da assentarsi senza aver avvisato genitori, nonni e fratelli. Starà pensando al peggio. «Devo farti un paio di domande.»

Appoggio il computer a terra. «Certo.»

La responsabile agita la mano. «Vai ora.» È spiccia come al solito. «Il lavoro è meno importante.»





Liam apre la porta, un tappeto a rettangoli alternati ricopre il pavimento. C’è un tavolino di vetro, con supporti dorati, un paio di divanetti e un mobiletto con una pianta grassa, un paio di infiorescenze rosate tappezzano la foglia.

Non mi aspettavo che ci fosse una stanza del genere in una stazione di polizia.

Liam si passa una mano sulla barbetta incolta, sottobraccio ha un enorme fascicolo marrone. «Prego.»

Annuisco, incerta. C’è un quadro alla parete, una rana snella nascosta tra le lame d’erba. Un residuo di quando era la mascotte della città secoli fa. È una stanza stranamente innocua, mi aspettavo di essere rinchiusa nel primo stanzino bianco ad attendere senza fine una sentenza.

Siedo a uno dei divanetti, Liam mi fa un cenno con la mano. «Tra un istante arriva, ah eccolo–»

Mi torturo i pollici, dalla porta fa capolino un uomo dall’aria assonnata. Il ricamo sulla spalla non è l’ibisco della polizia locale, ma un leone rampante in oro. L’ho visto solo nei film. Forze speciali?

Un ricciolo castano gli ricade sulla fronte, sorride. «Piacere.»

Liam lo indica con la mano. «Ti presento l’agente Rivas.»

Rivas prende il fascicolo da Liam e gli batte una mano sulla spalla. «Vatti a riposare.» Si scambiano convenevoli, probabilmente si conoscevano già. L’uomo entra e mi stringe la mano. «Tu devi essere l’amica di Ronye.» Mi rivolge un sorriso rassicurante e si siede, senza staccare il contatto visivo.

«Sì.»

Poggia il fascicolo all’ombra del vaso. Un paio di fogli sbordano e rischiano di cadere. «Sarai scossa, ma ogni secondo è essenziale.»

No, quello scosso è il padre che hai appena mandato a riposare. Mi accarezzo il collo e tengo gli occhi fissi sui sandali, conto i rettangoli nel tappeto. «Sapete qualcosa?»

«Stai sicura che stiamo facendo il possibile, tornerà in un batter d’occhio a casa.»

Mi mordo la guancia. «Dimmi– mi dica cosa posso fare.»

«Non c’è bisogno che mi dai del lei.» Si mette la mano sotto il mento e si sporge avanti. «Facciamo un riepilogo dell’ultima volta che vi siete sentite, non risparmiare nulla.»

«Ecco, a dire la verità l’ultima volta che l’ho sentita…» Faccio scorrere gli occhi dal tavolino al fascicolo, è enorme. Che informazioni si sarà portato dietro? «È stato a inizio settimana, ci eravamo messe d’accordo per uscire ieri sera insieme. Una chiamata parecchio lunga, le ho dovuto cavare fuori con le pinze il fatto che fosse stata licenziata.»

Passo la mano dal collo ai capelli, c’è qualcosa di piccolo e rigido alla base della mia nuca. Sembra un tubicino rigido lungo quanto un polpastrello, è attaccato alla pelle. L’uomo continua a fissarmi, ha gli occhi scuri e limpidi. Si aspetta di sentire di più?

Riprendo. «Rho ha sempre avuto questo vizio di mettersi in mezzo ogni volta che vede delle ingiustizie, anche a scapito di sé stessa.»

«Liam me ne ha parlato, sembra che Ronye avrebbe dovuto prendere il nostro stesso campo di lavoro.»

«Davvero. Ma lei pensa di avere troppo i noodle arms per permetterselo. Io dico che il primo squilibrato che non la prende sul serio si trova una pedata nel ginocchio e yeetato giù per la scogliera.»

Ride. «Magari le facciamo cambiare idea, non appena tornerà a casa.»

Stringo i polpastrelli sul tubicino strano che ho tra i capelli e tiro, brucia ma lo stacco. Chiudo gli occhi e porto il pugno chiuso al grembo. Dischiudo il palmo, c’è una piuma. Era attaccata alla mia pelle, una piuma.

Respiro.

Va tutto bene, tanto finirò tutto con il prossimo reset.

Non c’è problema se ho una piuma tra i capelli.

«Ash.»

Mi irrigidisco, stringo il pugno e alzo gli occhi verso Rivas.

Tamburella le dita sulla gamba. «Pensi che Rho sia scappata per la frustrazione di essere stata licenziata?»

Scuoto la testa, infilo la piuma in tasca. «Non è il tipo, non ho ancora avuto il modo per chiederlo ma penso davvero che si siano liberati di lei perché non scende a compromessi quando si tratta di fare la cosa giusta.»

Il battere ritmico sulla coscia cresce. «Sapevo che foste molto legate, come mai non l’hai incontrata prima?»

«Volevo lasciarle i suoi tempi.»

Si ferma, piega la testa di lato e si avvicina un po’ di più sulla sedia. «Non sei stata un gran supporto…»

Serro le labbra. La rana nel quadro alle sue spalle quasi riesce a convincermi che sia una chiacchierata informale, questa. Sprofondo con la schiena nel divanetto per mettere un po’ di distanza da lui. «Ha…» La parola è acido sulle mie labbra. «…ha ragione.» Faccio una risata debole.

Quando la salverò, si rimangerà quello che ha detto.

Lui intreccia le dita. «Ti sarai accorta che Ronye non è l’unica persona scomparsa.»

«Ah, davvero?» Non so che tono dovrei avere.

«Beh, Seth Temperance non è venuto al lavoro oggi, ci siamo sorpresi che tu non l’abbia neanche segnalato alla tua responsabile… Per dire la verità, sembra che non sia stato visto nemmeno ieri lavorare.»

«Credevo avesse preso un paio di giorni liberi.»

«Due persone che non si conoscono scompaiono lo stesso giorno, sai cosa è normale che pensiamo?» Mi faccio piccola, ma lui continua. «Che l’unico punto di contatto tra i due sia coinvolta.»

Prende il fascicolo e lo lascia cadere sul tavolino, spalanca la prima pagina. Una foto dall’alto di me che stringo Ronye sull’entrata del Granaio, Seth è a malapena visibile con le braccia cariche di cataloghi. Viene dalle telecamere di sicurezza. Preme il dito sulla foto. «Non ho bisogno di dirti che giorno è datata.»

Sapeva già tutto fin dall’inizio.

Sono finita. La lampadina della stanza sfarfalla e sfrigola, deglutisco l’ansia a forza. Le distorsioni si interrompono.

Rivas non mi toglie gli occhi di dosso per un attimo. «Ripartiamo da capo, ma questa volta non mentire.»

«Non ho–»

«Vuoi negare davanti alla foto?» Chiude il fascicolo. «Ashley, abbiamo già un quadro chiaro della situazione, vogliamo solo darti la possibilità di parlare per prima per rispetto verso i tuoi genitori.»

Non possono sapere tutto.

Non–

«Non hai mai combinato niente di male in ventidue anni di vita, stai per laurearti. Sei sempre stata un’ottima figlia e amica, perché vuoi rovinare tutto così?»

Sto facendo quello che un’ottima amica farebbe. Sto sopportando, mi sto impegnando e mi assicurerò che non capiti questa cosa ad altre persone.

La sto aiutand–

«Non aiuti nessuno così.»

La lampadina salta. Frammenti incandescenti di vetro ci cadono addosso, Rivas si copre la testa e geme. Il buio inghiotte il suo sguardo accusatore. Sono stata io? Alzo gli occhi, scintille elettriche azzurre illuminano la lampadina rotta, un olezzo di plastica bruciata riempie la stanza.

Rivas si alza. «Era comunque il caso di spostarsi.»





La stanza degli interrogatori è bianca e piccola, un solo tavolino e due sedie. Non ci sono finestre. Rimango seduta a terra con la schiena al muro, una moneta stretta al palmo. Ho perso la concezione del tempo dopo che mi hanno piazzato qua.

Rivas aveva tanta fretta di parlarmi ma credo siano passate ore.

Va bene così, stanno facendo il loro dovere di poliziotti e io il mio di amica. Non gliene faccio una colpa, tanto tutta questa cosa sparirà con il prossimo reset e non importerà più a nessuno.

Faccio rotolare una monetina sulle nocche, la lieve sensazione di prurito sottopelle è l’unica indicazione che sto usando il magnetismo per muoverla. Il movimento è quasi più naturale di quando la facevo rotolare senza sostegno.

Ho tempo per migliorare la mia precisione mentre Yelena riposa.

Abbiamo un piano solido, è una sfiga non aver sfruttato del tempo per impratichirmi con l’auto ma faccio bene le cose sottopressione. Credo. Non lo so. La porta si apre, c’è un’agente donna con i capelli raccolti e un sorriso amabile oltre la soglia. Tiene due tazze bianche fumanti con una mano.

«Non è scomodo stare laggiù?» chiede, con un leggero sorriso. Sulla spalla ha i fiori di ibisco tipici della nostra polizia, ma è la prima volta che la vedo. Ha un tono gentile e conciliante eppure anche lei pensa che io abbia aiutato Rho e Seth a sparire.

Sapesse che li ho condotti entrambi alla loro morte, consapevolmente.

La luce sfarfalla.

Lei alza gli occhi. «Scintilla, dici che sarà stato il terremoto di ieri a danneggiare tutto?» Faccio girare la monetina, più veloce. Più precisa.

Si siede e poggia le tazze. «È un po’ caldo per la cioccolata calda, ma ti aiuterà un po’ con l’umore. Hai ancora il vizio di dimenticare di fare colazione?»

Faccio scorrere la monetina lungo il palmo.

«Ash.» La voce rimane paziente. «Dai un attimo retta a tua zia, sono preoccupata per te.»

Zia?

La monetina si ferma. La guardo negli occhi, ma non riconosco niente di questa persona. Batte una mano sulla sedia, nella maniera in cui incoraggi una bestiolina ad avvicinarsi.

Yelena ha detto che un einheri funzionante ricorda, se metto che la funzione di una di quelle stelle è immagazzinare informazioni quando la rompi… è normale immaginare che le perda? Sto dimenticando?

Stendo le labbra in un sorriso tremante, non è una cosa che mi posso permettere se voglio salvare Rho e Seth. Devo stamparmi a fuoco nella mente il piano per salvarli prima del reset. Stringo la monetina e mi alzo.

Se riesco a salvarli con il prossimo loop, non ci sarà problema.

«Scusami, zia… questa situazione è davvero incasinata.»

Lei sospira e tira indietro la sedia per lasciarmi spazio. «Parliamo.»

Prima l’accontento, prima posso imprimermi direttamente nell’anima cosa devo fare per dare un lieto fine a tutti. Se riesco almeno a salvare per la prossima timeline l’informazione “salvali”, tutto il resto andrà in ordine.





[.note a margine]

Con la premessa che sono pienamente consapevole che non sono poliziotti realistici, eiyoo, ho finalmente fatto fruttare il guardare video di JCS. E messo il payoff dei foreshadowing iniziati a capitolo 4.

La vita è good.

  
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