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Autore: Placebogirl_Black Stones    12/09/2023    4 recensioni
- E a te fa male? - le chiese a bruciapelo.
- Cosa? - rispose, non capendo.
Le fece un cenno al braccio, dove una girandola e un mandarino si intrecciavano in un tatuaggio che cercava di mascherare la cicatrice lasciata da un altro tatuaggio, cancellato per sempre dalla sua pelle.
- Da morire - gli rispose, copiando le sue stesse parole.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nami, Roronoa Zoro | Coppie: Nami/Zoro
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CICATRICI
 
 
A Onda nel silenzio e a LadyAle
 

Seduta sugli scalini in legno della casa di Genzo, osservava i suoi compaesani ballare, danzare, gridare di gioia e mangiare, finalmente liberi dagli anni di tirannia che li avevano tenuti ostaggi. Sorrideva, tenendo fra le mani uno di quei mandarini che tanto amava. Anche lei era finalmente libera, ma nonostante ciò non riusciva a dimenticare. Arlong era stato sconfitto, ma questo non le avrebbe ridato indietro Bellmere e nemmeno la sua infanzia rubata. Già, proprio a lei, che era una ladra, era stata rubata la cosa più importante.
 
- Non vai a festeggiare con gli altri? -
 
La voce profonda dello spadaccino che si era appena seduto accanto a lei la distrasse da quei pensieri. Reggeva in mano un calice di birra, l’ennesimo della serata. Lo conosceva da poco, ma si era chiesta spesso se fosse un essere umano o una botte, tanto era la quantità di alcol che riusciva ad ingurgitare.
 
- Potrei farti la stessa domanda - replicò.
- Sto già festeggiando - rispose lui, ghignando e mostrandole fiero il bicchiere colmo di liquido ambrato.
 
Sospirò: era proprio incorreggibile. Istintivamente il suo sguardo scorse giù, lungo il petto bendato dell’amico, sotto il quale si nascondeva quella profonda cicatrice ancora sanguinante appena ricucita dal medico del villaggio. Probabilmente avevano sentito le urla anche nel mare occidentale. Era sorprendente come potesse essere ancora vivo dopo un taglio del genere, eppure per lui sembrava già acqua passata.
 
- Ti fa male? - gli chiese, accennando alla bendatura.
- Da morire- rispose – Ma ciò che non ti uccide ti fortifica, giusto? -
- Così dicono-
 
Dopo quel breve scambio di battute, calò il silenzio fra di loro: lei non era in vena di chiacchiere e lui non era mai stato un tipo loquace. Restarono per qualche minuto così, a fissare la gente in festa, fino a quando non fu lui, sorprendentemente, a rompere quel mutismo.
 
- E a te fa male? - le chiese a bruciapelo.
- Cosa? - rispose, non capendo.
 
Le fece un cenno al braccio, dove una girandola e un mandarino si intrecciavano in un tatuaggio che cercava di mascherare la cicatrice lasciata da un altro tatuaggio, cancellato per sempre dalla sua pelle.
 
- Da morire - gli rispose, copiando le sue stesse parole.
 
Di certo la sua cicatrice non era paragonabile a quella di Zoro, il dolore non poteva essere lo stesso, ma non era certo un male fisico quello che stava provando. Il suo era un altro tipo di dolore, capace di fare così male da sentirsi realmente morire.
Lo spadaccino non rispose, ma lei sapeva che aveva capito. Non c’era bisogno di troppe parole fra loro.
 
 
********
 
 
Se ne stava affacciata al parapetto, godendosi la brezza della sera mentre il vento le accarezzava la pelle e faceva svolazzare i suoi capelli diventati ormai lunghissimi. Non c’era nessuno sul ponte, i suoi compagni erano dentro in attesa di scoprire cosa avesse preparato Sanji per cena. Le piaceva qualche volta ritagliarsi quei momenti per sé, in cui poteva rilassarsi dopo aver passato ore a disegnare cartine e lasciarsi andare ai suoi pensieri.
 
- Che ci fai qui? Come mai non sei dentro con gli altri? -
 
Sussultò, voltandosi verso l’unico della ciurma che a quanto pare non aveva ancora sentito il richiamo della fame, preso dai suoi allenamenti quotidiani. Dove trovasse la voglia di sollevare quintali e sudare ogni giorno restava tuttora un mistero per lei.
 
- Volevo prendere un po’ d’aria prima di cena, sono stata chiusa nel mio studio tutto il pomeriggio -
- Capisco -
 
Lo osservò mentre anche lui si avvicinava al parapetto ad osservare le prime stelle che si mostravano timide nel cielo ancora troppo luminoso per loro. Era senza maglietta, come ogni volta che si allenava, mettendo in mostra il suo fisico scultoreo. Lo sguardo le cadde istintivamente sulla grossa cicatrice ormai rimarginata che gli divideva a metà il petto. La sua memoria tornò a quella notte di due anni prima, al suo villaggio natale, quando avevano avuto quella breve ma intensa conversazione. Senza rendersene contò, si ritrovò a fargli una domanda che probabilmente lo avrebbe colto come un fulmine a ciel sereno.
 
- Posso farti una domanda? -
- Dimmi - 
- Ti fa ancora male? La cicatrice - indicò con un cenno il suo torace.
- Eh? Ma cosa ti viene in mente adesso?! - rispose lui, stranito da quel quesito apparentemente senza senso.
- Hai ragione, è solo una stupidaggine - sorrise, troncando il discorso.
 
Come le era saltato in mente di tirare fuori l’argomento così, dal nulla? Era ovvio che Zoro non comprendesse. Era passato tanto tempo, aveva collezionato nuove cicatrici e forse quella aveva finito col dimenticarla.
 
- Ormai è guarita, non fa più male - le rispose infine.
- Non intendevo quel genere di male -
- E cosa intendevi allora? -
 
Poteva davvero chiederglielo? Poteva davvero far uscire quelle parole come un coniglio dal cilindro, davanti a colui che sicuramente un giorno avrebbe sconfitto l’uomo che lo aveva sfregiato a vita?
 
- Ti vergogni mai di quella cicatrice? -
 
Ecco, lo aveva fatto. Ora non poteva più tornare indietro e rimangiarselo.
Lo spadaccino la fissò sorpreso con l’unico occhio che gli era rimasto, come se cercasse di scrutarle nell’animo per capire le motivazioni che l’avevano spinta a fargli quella domanda. Poi si fece serio e le rispose ribaltando le carte in tavola.
 
- E tu? Ti vergogni mai della tua cicatrice? -
 
Non gli chiese a cosa si stesse riferendo, sapeva perfettamente che parlava del suo braccio. Zoro aveva capito.
 
- Ogni volta che la guardo riflessa nello specchio - ammise, abbassando lo sguardo.
 
Ci fu uno di quegli apparentemente interminabili minuti di silenzio che si creavano sempre nelle loro conversazioni serie, dove sembrava che uno dei due cercasse le parole giuste per porre fine al tutto nel migliore dei modi.
 
- E fai male - la rimproverò - Una cicatrice non è qualcosa di cui vergognarsi, ma un segno di forza. Significa che non sei solo un sopravvissuto, ma anche un guerriero. Chi non lotta non potrà mai avere cicatrici, ma non potrà nemmeno dire di averci provato. Questa cicatrice mi ricorda ogni giorno che ho tentato di realizzare il mio sogno. Forse sono stato incosciente a farlo quando non ero ancora pronto, ma almeno ho tentato. E lo stesso vale per te: quella cicatrice sul braccio serve a ricordarti che hai lottato per riavere la tua libertà e quella del tuo villaggio, non è solo il marchio lasciato da uno spregevole uomo pesce. Perciò smettila di vergognartene e sii orgogliosa piuttosto - concluse.
 
Lo fissò con gli occhi sbarrati e la bocca aperta, come se avesse appena pronunciato una profezia troppo grande per il mondo. Non aveva mai visto le cose sotto questo punto di vista e solo in quel momento si rendeva quanto di quanto avesse sbagliato a non farlo. Diamine, Zoro aveva ragione.
Una lacrima sfuggì al suo controllo e si spense sull’angolo della bocca, incurvato in un sorriso.
 
- Grazie, Zoro -
   
 
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