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Autore: fiore di pesco    16/09/2023    3 recensioni
Erika è una donna di trent'anni che nella sua vita ha messo la carriera davanti a qualsiasi altra cosa.
Resta coinvolta in un incidente d'auto e si risveglia su un treno dall'aspetto insolito: è composto da un unico vagone che non ha né un inizio né una fine, ogni cabina ha un aspetto diverso dalle altre, alcune sono illuminate, altre sono spente e dai finestrini non si scorge il paesaggio esterno, bensì un cielo stellato.
I passeggeri le riveleranno chi sono e il triste motivo per il quale si trovano lì... la priorità è fuggire e trarre in salvo i suoi amici, ma come?
Una storia che unisce scenari reali a soprannaturali, onirici, viaggi e fatti storici. Adatto a chi apprezza la lore pagana, il mistero e l'investigazione.
Genere: Mistero, Sovrannaturale, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 8, Il risveglio

“Vado a cercare le altre, resta pure se vuoi.” Dico a Frank, alzandomi. Lui annuisce restando seduto e volge lo sguardo verso il mio finestrino. L’occhio cade lì anche a me e in una parte lontana della mia mente penso che vi siano molte meno lucine di quanto ce ne fossero al mio risveglio.

Non è il caso di indugiare oltre, ma la curiosità è forte e quindi mi volto ancora verso di lui. “L’altro giorno, quando ho visto quella cosa, ho chiesto a Gesabette e Clara se avessero mai visto qualcosa del genere. Tu sei l’unico che dice di aver avvertito la presenza di qualcuno quando attraversa il buio, e soprattutto sei l’unico ad aver visto nel finestrino qualcosa di diverso dai comuni ricordi che vedono tutti.”

Frank sospira e inarca la schiena all’indietro, come a stiracchiarsi, prima di rispondere. “So di aver lasciato il mio corpo ormai da diversi anni, ma prima di morire ho passato oltre due anni in un ambiente talmente ostile che non penso basterebbero due vite per dimenticare ciò che ho vissuto. Certe esperienze ti segnano nell’anima, nel vero senso della parola. Era uno stato di vigilanza continua e non ho mai dormito per più di due ore di seguito per mesi e mesi, riesci a immaginarlo?”

Scuoto la testa delicatamente e torno a sedermi di fronte a lui perché parlare di queste cose a due livelli visivi differenti mi fa sentire a disagio, preferisco avere il suo volto all’altezza del mio.

“Non ricordavo cosa volesse dire essere completamente asciutti, riposati e sfamati. C’era sempre a rotazione qualcosa di sbagliato. Quando avevi la pancia piena, avevi i piedi bagnati e gelidi, quando non pioveva, eri fradicio di sudore, quando riuscivi a dormire, ti pioveva addosso e le zanzare di avevano succhiato anche il midollo. Ma questo è niente…” fa una pausa sporgendosi in avanti e incrociando le mani. Abbassa lo sguardo e la sua espressione si fa un po’ vacua, come se in questo momento non fosse più davanti a me, bensì in guerra, ed è come se invecchiasse di nuovo e tornasse ad avere una cinquantina d’anni. Adesso sono pienamente cosciente e so che non l’ho immaginato, il suo aspetto cambia per davvero. Vorrei chiedergli quanti anni abbia, ma non è il momento. “La cosa che ricordo con più intensità è l’ossessione per… i dettagli, potremmo chiamarli così. A volte, quando dovevamo spostarci presso un altro accampamento, non tutti potevano utilizzare l’elicottero, eravamo obbligati ad attraversare i boschi e lì dovevi stare attento al movimento di ogni foglia, pozzanghera e rametto. Qualsiasi rumore poteva essere l’ultimo che udivi. Ma i peggiori erano quelli che non sentivi, e man mano che la guerra andava avanti, non eravamo gli unici a diventare sempre più disperati… i Viet erano sempre più determinati a scacciarci e sempre più abili a nascondersi e mimetizzarsi nel loro habitat.”

“Sì, ho sentito storie riguardo alla loro capacità di diventare praticamente invisibili nella giungla…” dico piegandomi leggermente in avanti anche io.

Sul viso di Frank per un momento passa un moto di disgusto, ma non credo sia rivolto a me perché guarda un punto fisso in basso a sinistra, è un ricordo. “Una volta ne calpestai uno per errore. Non lo vidi minimamente finché non gli misi un piede addosso. Era già morto comunque, lo aveva morso una vipera. Io notavo qualsiasi cosa, ma non riuscii a percepire quel singolo cadavere. Comunque, quel posto non era pericoloso solo per noi… ma io sono forse quello che ha attraversato più boschi di tutto il mio plotone, non solo perché sono durato a lungo, quanto perché avevo un talento naturale per percepire il pericolo. Infatti rimasi particolarmente impressionato quando non mi accorsi di averne uno sotto i piedi. Anche se non emettevano alcun rumore, io mi avvicinavo e li sentivo. Sapevo che c’erano. Questa capacità devo averla mantenuta ancora adesso, perché quando entro nel buio, anche se non temo quello che mi osserva, io so di essere osservato.” Calca la voce in alcuni punti del suo discorso e torna a guardarmi negli occhi stringendo leggermente i muscoli del viso, in un moto di frustrazione. “La voce che parla nella tua testa sembra la tua, ma non lo è, è come se viaggiasse su una strada parallela. E più ti addentri nell’oscurità, più diventano forti. Se stai alla luce, loro non hanno potere.”

Questa informazione è molto utile, io stessa ho avuto lo stesso pensiero quando ho visto quella figura sulla soglia dell’oscurità. Era chiaramente ostile, ma non ha osato allungare nemmeno un passo nella parte illuminata del corridoio. Con una mano mi massaggio la spalla sinistra, ho avuto la sensazione di averla indolenzita e sento le dita formicolare…

“I ricordi che vedi nel tuo finestrino risalgono a quel periodo?” gli chiedo notando che ha sviato alla mia domanda precedente, o forse se n’è dimenticato ripensando alla guerra. Probabilmente ha omesso la risposta volutamente, perché fa una smorfia tra il divertito e l’infastidito, quando gliela ripropongo, e il viso gli torna giovane di almeno quindici anni.

“Si vede che sei crucca, non ti sfugge niente.” Borbotta con un ghigno sardonico.

“Sono svizzera.” Sto al gioco beffarda anche io.

“Ancora peggio, se possibile.” Ribatte incrociando le braccia. Non me ne vuoi parlare, eh?

“Stai di nuovo aggirando la mia domanda.” Gli dico inclinando leggermente il capo verso destra. “Se vuoi il mio aiuto dovresti essere più collaborativo.”

Ride sguaiato e si scompone un po’ sul sedile, poi si batte le mani sulle gambe senza troppa forza e mi risponde. “Non penso che sia niente di utile, ma se ci tieni tanto te lo dirò. Però, se ne parli con qualcuno, giuro che ti trattengo nella parte buia del corridoio per due giorni.” Abbassa la voce pronunciando l’ultima frase e non ride più. Nel frattempo io comincio a stringere le mani a pugno a più riprese perché il formicolio alle dita è sempre più intenso.

“Te lo prometto. E poi, se tutto va bene, domani dovrebbero provare a svegliarmi, quindi me ne andrò presto con il tuo segreto.” Bisbiglio sorridendo ironica, ma l’informazione sembra preoccuparlo. Mentre ho parlato ho sentito una strana sensazione in gola, come quando ti si blocca un boccone e d’istinto provo a deglutire a vuoto e faccio un colpo di tosse.

Frank stringe lo sguardo e aggrotta la fronte mentre mi osserva con aria interrogativa “Hai detto che ti avrebbero svegliato l’indomani?”

“Se stai provando un’altra volta ad evitare la mia domanda…”

Fa un movimento stizzito. “Principessa, torna alla realtà: hai detto che ti avrebbero svegliato il giorno dopo?”

“Sì.” rispondo corrucciata.

“Non ti resta più tempo per le chiacchiere. Se devi parlare con le civette fallo subito perché qualcosa sta cambiando, lo sento. Sei stata via molto a lungo e non ho idea di quante ore siano passate dall’altra parte.” Si alza e torna a guardare il mio finestrino. Le lucine sono sempre più rade. È già domani? Devo muovermi.

Mi alzo ed esco dalla porta in fretta, dirigendomi verso la cabina di Gesabette, ma è vuota, quindi mi sposto in direzione di quella di Clara. La porta è aperta e sento dalle loro voci provenire dall’interno. Mi accingo ad entrare ma penso che non sia corretto escludere Camille da queste informazioni, così faccio dietrofront e busso alla porta chiusa di Camille. Vedo dallo spioncino che sta ancora guardando fuori dal finestrino. Sospiro poggiando la fronte sulla porta metallica d’ottone quando noto che Frank è uscito dalla mia stanza.

Gli faccio un cenno e si ferma a guardarmi. “Riesci a svegliare Camille? Deve saperlo anche lei.”

“Come se avessi di meglio da fare... vuoi svegliare tutto il treno o lei ti basta?” borbotta mentre mi si avvicina e si sporge sullo spioncino della porta, per controllare all’interno. La porta è bloccata perché Camille è persa nei ricordi, resterà sigillata fino al suo risveglio. Chissà perché invece quando io ho guardato la luce viola, gli altri sono potuti restare al mio fianco… vorrei dargli una rispostaccia per la sua domanda passivo aggressiva, ma è come se avessi la gola secchissima e preferisco evitare.

“Sempre a piangersi addosso, ‘sta ragazzina! Spostati.” abbaia Frank allargando un braccio nella mia direzione, io mi faccio a lato e sobbalzo quando comincia a tirare calci alla porta di Camille. “Svegliati, mangiaformaggio!”

Mi massaggio le palpebre chiuse con le dita, per sorvolare su ciò che ho appena sentito.

Sento dei passi alle mie spalle, Gesabette e Clara fanno capolino dalla cabina di quest’ultima. Quando i nostri sguardi si incrociano, mi sorridono, e vedo che Clara apre la bocca per dire qualcosa ma alzo la mano con il palmo aperto in segno di stop. “Ora vi racconto tutto, stiamo cercando di svegliare Camille.” Alzo la voce con sforzo per comunicare con loro, anche se si trovano a meno di dieci metri, perché Frank per tutto il tempo non smette un secondo di calciare la porta.

A distanza di una ventina di metri si apre un uscio e vedo uscirne un uomo di mezza età abbastanza emaciato, con gli occhiali e i lineamenti cascanti che comincia a lamentarsi. Frank interrompe la sua carica delle valchirie contro la camera di Camille e si volta a guardarlo.

“…casino! Per colpa tua adesso si è interrotto un ricordo importantissimo e non so se riuscirò a ritrovarlo!” sbraita il tizio con l’indice alzato in direzione di Frank.

“Ma sta zitto! Se vengo lì ti scasso di botte! Torna al tuo finestrino a crogiolarti nella tua vita sfigata, qui siamo impegnati!” ruggisce furioso Frank, indicandogli l’ingresso della sua cabina con un gesto brusco.

Il tipo perde tutto il suo vigore e torna dentro, chiudendosi velocemente la porta alle spalle. Frank si abbassa a guardare all’interno dello spioncino per stabilire se le sue azioni barbare abbiano avuto successo.

“Chi era quello?” Chiedo schiarendomi la voce, approfittando della pausa che Frank si è preso dall’assalto alla porta di Camille.

“È uno dei nuovi arrivati.” Gesabette si è avvicinata a me mentre osservavo la scena tra i due uomini. “La sua luce si è accesa qualche ora dopo che tu hai cominciato a guardare dal tuo finestrino, ma è uno dei tanti che non ha minimamente voglia di collaborare con noi. Dopo qualche episodio di incredulità e rabbia, si è rassegnato. Si è chiuso nella sua cabina e non ne è più uscito. Non possiamo costringere nessuno a lottare, lui non vuole e la sua scelta va rispettata.”

Scrollo le spalle e sento una fitta all’omero sinistro, istintivamente una mano va a massaggiarlo. Ma che cazzo succede? Annuisco cercando di ignorare il braccio sinistro e mettendomi le mani sui fianchi “E comunque Frank, chi è che vorresti scassare di botte? Quello lì potresti gonfiarlo per ore senza che senta nemmeno la brezza dei tuoi schiaffi!”

“È vero… ma lui ancora non lo sa.” Sorride sornione e stavolta opta per dare pugni alla porta.

Finalmente sortisce effetto, perché vediamo la maniglia muoversi, e Camille apre la porta con aria confusa e stordita. “Cosa sta succedendo?”

“Buongiorno mangiaformaggio, sei richiesta.” Esordisce Frank trascinandola fuori per un braccio mentre lei cerca di puntare i piedi a terra lamentandosi con uno sguardo scioccato.

“Camille, siamo noi, tranquilla. Volevo solo parlare con tutti voi insieme perché ho delle notizie importanti.” Mentre parlo avverto una strana sensazione sulla spina dorsale, come un brivido.

Mi volto e i miei occhi vengono attirati dalla mia cabina come se non potessi fare altrimenti. Ho meno tempo di quanto pensassi, non c’è modo per accomodarci da qualche parte, meglio cominciare subito. “Penso di non essere morta.”

Camille spalanca gli occhi, Clara si copre la bocca con entrambe le mani e Gesabette, se possibile, si irrigidisce ancora di più, ma non posso permettere loro di cominciare un discorso. “Quando prima ho guardato dal finestrino, non ho visto il mio passato, ma il presente. Ho potuto interagire con il mio ricordo, di cui però non conservavo memoria. Mi sono vista in stato comatoso in un letto di ospedale, Lukas era al mio fianco e ha detto che ho fatto un incidente in cui il mio cuore si è fermato per qualche minuto. Tecnicamente sono morta per poco, poi però i medici sono riusciti a recuperarmi in qualche modo e ancora non so in che condizioni sarò al mio risveglio né se riuscirò a svegliarmi, ma se dovessi farcela farò il possibile per non tornare mai più su questo treno e ho giurato che farò il possibile anche per tirare fuori voi.”

“Come riuscirai a lasciare questo posto?” Gesabette ha lo sguardo colmo di una nuova energia che non ho mai visto prima e fa altri due passi verso di me. Barcollo leggermente, ho una strana sensazione alle gambe. Mi appoggio alla parete e continuo. “Non so come farò, ma anche adesso sento come se dovessi tornare nella mia cabina. Il problema è che non siamo soli. Ho visto una creatura nelle tenebre del corridoio, credo che sia una sorta di guardiano o comunque un’entità non umana che sta facendo il possibile per trattenermi qui.”

“Di cosa stai parlando?” non credo di aver mai visto Gesabette più allarmata di così, è incredibile come riesca ad apparire così nobile anche con quell’espressione atterrita in volto.

“L’altro giorno o boh, vabbè, prima, quando sono venuta nella cabina di Clara ed eri lì anche tu, ho visto una figura nel buio. Sembrava un uomo, ma era totalmente nero e aveva degli arti lunghi e ossuti. Non so cosa sia e cosa voglia, ma quando mi sono avvicinata al mio corpo nella visione, è comparso nella visione e ha tentato di trascinarmi di nuovo qui. È chiaro che non voglia che io mi svegli.”

Nel parlare faccio cenno agli altri di seguirmi nella mia cabina. La luce del corridoio emette uno sfarfallio e si spegne per una frazione di secondo. È incredibile come tutto cada nell’oscurità più profonda quando viene a mancare. Le luci delle cabine però non si spengono e dagli spioncini si intravedono le lampade che sembrano non avere la forza di diffondersi sul corridoio. La luce torna quasi immediatamente.

Odo una donna che urla, penso sia Gesabette, Clara si copre gli occhi e sento che bisbiglia qualcosa di cui non capisco il senso. Camille, che prima cercava di divincolarsi da Frank, ora gli è saldamente ancorata al braccio e ha gli occhi ben spalancati e il labbro inferiore che trema.

La soglia dell’oscurità che stava ad una cinquantina abbondante di metri, sembra essersi fatta terribilmente più vicina dopo quel momento di tenebra.

Vedo che stanno tutti bene, quindi barcollo in direzione della mia cabina e odo i loro passi concitati alle mie spalle. “Se riuscirò a svegliarmi andrò a cercare tutte le persone di cui mi avete parlato e chiederò loro scusa da parte vostra e per te Gesabette, giuro che farò il possibile per dire al mondo la verità.”

Sono arrivata davanti alla mia porta, che in autonomia scorre di lato aprendosi velocemente. Gesabette, la più vicina a me, sobbalza e torniamo a guardarci negli occhi. Noto che sono di una sfumatura grigio chiaro.

Farò di tutto per ricordarmi di voi. La luce sfarfalla ancora una volta, sento Gesabette afferrarmi un braccio, so che ha paura del buio ma non intende scappare. “Tornate nelle vostre cabine, qui non siete al sicuro.”

“No!” Frank si fa avanti minaccioso. “So che sono qui, lo senti anche tu? Li sentite?”

Mi volto verso l’oscurità in fondo al corridoio, sembra essere sempre più vicina e non è una mia impressione perché nel suo buio ora si vedono degli spioncini luminosi, quindi ha chiaramente raggiunto la parte di corridoio che doveva essere illuminata. Non riesco ancora a scorgere niente e non voglio farlo perché so che se dovessi incrociare il suo sguardo, non riuscirei più a muovermi.

“Cos’è?” Clara fissa il fondo del corridoio e vedo come la sua espressione si tinge di orrore. So che ha visto qualcosa ma temo che se le chiedessi di descrivermelo, mi mancherebbe il coraggio per affrontarlo. Camille deve pensarla come me perché si rifiuta di guardare verso il buio e stringe maggiormente il braccio di Frank.

“Hanno paura della luce, andate nelle vostre cabine. Nella luce non riescono ad essere agili, e comunque voi non gli interessate o vi avrebbero già infastidito in passato.” Noto una smorfia indecifrabile sul viso di Frank alla mia ultima frase, ma non posso indugiare. Li guardo in viso uno ad uno, opponendo per un attimo resistenza a quella attrazione che mi spinge verso l’interno della mia stanza.

“La camera di Clara è la più vicina.” La voce di Gesabette è tremante, dovrebbe fare solo dieci metri per raggiungerla ma non sembra intenzionata a fare un altro passo da sola.

“Andate lì tutti quanti. Adesso. Non voglio scoprire cosa potrebbero farvi se riuscissero a toccarvi.” Il buio sta avanzando lentamente, come qualcosa che striscia sulle pareti, ma le cabine non ne restano coinvolte.

“Non ho paura.” Sibila Frank guardando verso il corridoio con uno sguardo così truce che non pensavo ne fosse capace.

Schiocco le dita per attirare la sua attenzione e muove leggermente solo gli occhi nella mia direzione per indicare che mi ha sentito, e che probabilmente il mio gesto non gli è piaciuto. “Non me ne frega un cazzo di quanto sei coraggioso, ti devi salvare perché hai un’ultima missione: fai in modo che la loro luce non si spenga prima che io riesca a portare a termine il mio compito. Non permettere loro di guardare fuori dal finestrino.”

Frank cerca di ribattere ma lo gelo con lo sguardo e continuo. “Non so se questo è un addio o se un giorno ci rivedremo, ma dovrete resistere. Non so quanto ci metterò e quanto dovrete aspettare, ma dovrete portare pazienza.” Clara si riprende a malapena, mi si butta contro e sento il suo abbraccio forte, io invece sono intorpidita. Camille sembra sull’orlo di una crisi di pianto, cui non potrà mai dare sfogo finché si troverà qui.

“Non so per quale motivo la luce delle cabine sembra immune a queste creature. Se è vero, solo lì siete al sicuro e anche io sarò al sicuro nella mia.” Faccio mente locale per l’ultima volta mentre percepisco la sensazione di avere la mandibola incredibilmente rigida. Le luci sbaluginano un’altra volta e quasi perdo l’equilibrio. Clara mi tiene saldamente e resto in piedi. Volgo lo sguardo oltre la mia spalla e mi rendo conto che il mio finestrino è completamente buio, non ci sono più luci che scorrono al suo interno.

“Vi ringrazio per tutto ciò che avete fatto per me, grazie per essere stati al mio fianco e non aver permesso che io mi arrendessi. Non so quanto tempo ho passato insieme a voi, mi sembra tanto e molto poco allo stesso tempo, eppure vi porto tutti nel cuore.”

Gesabette annuisce e sorride con sforzo, i suoi occhi sempre mesti e pacati ora sono sconvolti ma determinati. Clara si stacca e mi passa le mani sul viso. “Anche tu sarai sempre nel mio cuore.”

“E se non ti ricorderai? Se al tuo risveglio ci avessi dimenticato?” la voce di Camille è angosciata. A questo non avevo pensato, ma è una prospettiva su cui non voglio soffermarmi. Le gambe stanno per cedermi e mi appoggio allo stipite.

“È vero, non posso promettervi che una volta sveglia mi ricordi di voi, ma non posso immaginare di aver vissuto questa esperienza e di tornare ad essere la persona che ero prima. Farò il possibile per ricordarmi di Gesabette Van Meyer, Olanda. Frank Howard, Vietnam. Clara Castelli, Italia. Camille De Martin… a Chambéry, in Francia” le sorrido e lei ricambia strofinandosi gli occhi istintivamente.

Riesco a cogliere un leggero odore alcolico che non riconosco subito e noto che più che una brezza, è una forza di gravità che mi spinge verso l’interno della mia cabina. Il buio si sta avvicinando, non hanno ancora molto tempo per ripararsi nella cabina di Clara, che si trova più vicina all’oscurità rispetto alla mia. “Andate, presto! Anche tu!” spingo via Frank e faccio un altro passo indietro verso la mia cabina, restando con un piede dentro e uno fuori.

Li scorgo correre verso la cabina di Clara e fiondarsi dentro chiudendosi la porta alle spalle quando l’ombra è giunta a qualche metro da essa. Adesso posso andare. Come mi ritiro all’interno della mia, la luce del corridoio si spegne di nuovo e la porta si chiude con violenza davanti al mio viso.

Mi avvicino al finestrino ormai oscurato. No, non è del tutto nero… lì c’è una piccola luce viola, come un puntino baluginante, color pervinca.

Do un ultimo sguardo alla mia cabina con le sue tinte rosso scuro e mi avvicino al vetro. Vengo distratta da qualcosa che sta raschiando contro la mia porta, e darle le spalle per guardare il finestrino va contro il mio istinto di conservazione, ma non ho intenzione di farmi prendere. Torno a guardare il vetro e l’unica luce presente su di esso.

Sento di essere calamitata verso quel viola come quando si cade nel vuoto durante un sogno.

 

Rumori bianchi e soffusi ed un beep ritmato intorno a me. Non capisco dove mi trovo, ho la mente offuscata e il corpo rattrappito. Non riesco a muovermi come vorrei, anche aprire gli occhi è faticoso. Non capisco dove sono, sono molto confusa. Ricordo un bagliore pervinca e l’adrenalina di voler scappare da qualcosa, ma non riesco ad organizzare un filo logico.

Finalmente il mio corpo comincia a dare qualche segnale di collaborazione, sento che le mie dita si muovono, provo ad aprire le palpebre ma sono pesanti.

Dopo un tempo che mi pare interminabile, sento il rumore di una porta che si apre e di passi. Qualcuno si sta avvicinando, lo sento. Provo a parlare ma riesco ad emettere solo un mugugno. I passi si fermano, poi sento delle voci concitate. "Sta dando una risposta all’epinefrina, avvisate il dottor Kierker!"

Dopo qualche minuto in cui avverto che qualcuno mi sta toccando il polso e stanno spostando dei mobili, sento aprirmi le palpebre una ad una e vedo una luce fortissima. Vorrei chiudere gli occhi al suo passaggio ma non ci riesco.

"Pupilla reattiva, ha l'occhio un po' secco: collirio e fatele un'altra fisiologica." È una voce maschile. "Qui le disposizioni per diminuire le dosi progressivamente, dovrebbe svegliarsi gradualmente entro dodici ore, per allora sarò di nuovo in turno per la visita. Avvertite i familiari più prossimi."

"Possono visitarla solo la nonna e il padre, la nonna viene a trovarla tutti i giorni, era qui fino a due ore fa. "

"Sì, ma non ditele di venire ora. Per il momento meglio che riposi. Potete stubarla e procedere alla medicazione della tracheotomia... I battiti sono in aumento, ma non dovrebbe ancora essere cosciente, è sicuramente il cardiostimolatore... rimuovetelo ma prestatele grande attenzione. Chiudete le tende, lasciatela riposare ancora un po'."

Le voci si affievoliscono l'oblio mi avvolge.

 

Deve essere passato del tempo, sento qualcosa di diverso nel mio corpo. Respiro meglio e sento maggiore reattività. Odo qualcuno che piange. Il suono mi disturba.

"Erika, mi senti? Tesoro mio, mi riconosci?"

Chi sei? La tua voce con la ruvidezza tipica degli anziani mi è familiare, però faccio fatica a capire a chi appartiene. Forse so chi sei... Provo a muovermi, l'unico dito che mi ubbidisce davvero è l'indice destro, totalmente inutile ora come ora, ma cerco di aprire gli occhi. La luce è tenue, faccio fatica a mettere a fuoco, mi sembra di essere in un sogno, riesco a muovere gli occhi e lievemente anche il collo. Comincio a percepire il mio corpo, ma sono completamente insensibile dal petto in giù. Vedo un soffitto fatto di pannelli bianchi quadrati, le pareti sono bianche, le lenzuola che mi coprono fino al petto sono bianche, è tutto bianco. È da parecchio che non vedo tanto bianco in una volta.

Poi, la vedo. "Nonna..."

Un singulto strozzato in risposta, nonna Elza mi prende la mano destra e se la porta alla bocca e la riempie di baci. Questo non è un sogno, anche se ancora vedo offuscato e ho la mente confusa non mi sembra un sogno. Cosa diavolo...

"Buongiorno." È la voce di un uomo. "Sono il dottor Kierker, ha parlato?"

"Sì! Sì, dottore, mi riconosce!"

Il dottore si avvicina e rifà il giochetto del puntarmi la luce negli occhi. Se avessi forza a sufficienza, saprei dove infilargli quella lampadina.

"Ha la temperatura ancora un po' bassa, ma questa finestra di risveglio è un ottimo inizio. Tra qualche ora sarà ancora più cosciente e per domani dovrebbe essere totalmente presente. Ora è meglio che dorma un po'. Erika, se mi sente, provi a riposare. Non si faccia allarmare da questa sensazione, è una cosa temporanea. Ha avuto un incidente e ora si trova in ospedale ma sta bene, tra qualche ora starà ancora meglio, ma non deve agitarsi."

Sì, ho avuto un incidente… Mi assopisco ancora.

 

Stavolta mi sento decisamente meglio. Apro gli occhi, la stanza è in ombra però riesco a mettere a fuoco molto più che nelle volte passate.

Cerco di muovere la testa, faccio fatica. Provo a muovere le braccia e sento che la mano sinistra non è molto collaborativa. La destra mi va al collo e sento la presenza di un collare. Ho la gola secca e il corpo intorpidito. Provo a muovere le gambe ma non vogliono ubbidirmi ed è una sensazione mai provata prima, che genera un’ansia terribile. Le sento, sono lì, ma non si muovono… cerco di alzare il collo per vederle. Oddio non posso aver perso le gambe… non mi sembra, dai rilievi sulle coltri direi che la dimensione è corretta…

Entra una donna con un camicie rosa. "Si è svegliata, non si preoccupi, chiamo subito il dottore."

Continuo a palparmi il collare... Ero convinta di avere dei tubi, ma non ne sento. Qualcosa fa da ostacolo nella piega del mio gomito, l’infermiera mi prende il braccio e lo riporta al mio fianco. “Si rilassi, non si muova con questa forza, rischia di farsi ancora più male.”

Provo ad articolare qualche parola ma sento la voce secca e soffocata. "Acqua..."

"Ora arriva il dottore valuterà lui cosa darle. Mi spiace non poterla aiutare subito." Scappa fuori dalla stanza e meno di un minuto dopo vedo entrare un uomo che avrà quarantacinque anni, capelli corti sale e pepe, è molto alto e indossa un camice bianco aperto sul davanti.

"Signora Grusser buongiorno, come sta?"

Provo a parlare ma sento la voce gracchiante. "Sono stata meglio."

Il dottore sorride. "Non avevo dubbi. Ha dolori?"

Sento tutto ovattato e la sensazione è molto sgradevole, ma l'unica cosa che mi fa un po' male è la gola e sento le corde vocali vibrare quando parlo, tutto sommato non duole granché. Scuoto la testa in diniego, collare permettendo.

"Io sono il Dottor Kierker e sono stato il suo medico durante la sua degenza qui in ospedale. Si trova a Zurigo, all'ospedale universitario. È stata portata qui il 24 aprile in seguito ad un incidente stradale. Riesce a seguirmi?"

Annuisco leggermente. Il medico si siede su una delle poltroncine alla mia sinistra e prende la cartella clinica che portava sotto al braccio e dopo una breve lettura prosegue. "Bene, ora fa un po' fatica a parlare perché è stata sottoposta ad una tracheotomia d'urgenza, abbiamo dovuto praticarle un foro sulla trachea per permettere la respirazione assistita. Adesso non necessita più di un respiratore, quindi è stato rimosso. Abbiamo preferito agire così perché durante l'impatto lei ha subito un grave trauma cranico, ha incrinato due vertebre cervicali, rotto l'omero sinistro, la clavicola e quattro costole, lesionato alcuni tendini e legamenti della cuffia dei rotatori sinistra e ha lussato la rotula destra. Ha purtroppo subito anche una lesione dell'articolazione temporo-mandibolare, quindi abbiamo preferito praticarle una tracheotomia piuttosto che intubarla per via orale, per cui adesso potrebbe avere qualche difficoltà a parlare... sappia che abbiamo già provveduto a tutte le operazioni per ripristinare la locomotilità delle articolazioni e alla ricostruzione dei tendini.” Alza lo sguardo per vedere se sono ancora sveglia, soddisfatto del fatto che sto ricambiando il suo sguardo, continua a parlare. “Valutiamo che nell'arco di due mesi lei avrà riacquistato la maggior parte delle funzioni motorie e nell'arco di sei mesi, con l'ausilio di molta fisioterapia e di un osteopata, dovrebbe tornare perfettamente in forma.”

Incrocia le gambe e sfoglia qualche pagina della cartella clinica. “Quando ha sbattuto contro la plancia dell'auto, l'airbag l'ha protetta da gran parte del danno, ma risultava essere in una posizione anomala e alcuni danni sono stati inevitabili. La sua situazione era particolarmente grave e abbiamo dovuto operarla d'urgenza, quindi abbiamo optato per un coma farmacologico al fine di evitarle maggiori ripercussioni. È stata in coma per quindici giorni. Oggi è il 9 maggio 2018. Se lei se la sente, adesso che abbiamo assolto agli obblighi informativi, vorrei farle qualche domanda per verificare che non abbia subito danni cerebrali. È riuscita a capire tutto ciò che ho detto?"

Dato che ora so di aver spaccato tutta la testa e avere la gola tagliata, opto per non l'opzione di alzare il pollice destro in risposta.

"Bene, è ancora un po' rischioso per lei bere e mangiare, ma prenda un sorso d'acqua. Ecco... piano… Basta così. Ricomincerà a bere e mangiare normalmente tra qualche giorno. Ricorda di aver fatto un incidente?"

Pollice in su.

Dopo alcune domande in cui mi sforzo di rispondere con sibili, il dottore sembra molto soddisfatto.

"A parte qualche momento di confusione, sono contento di dire che la memoria a breve termine è in ottimo stato, il che è la rende molto fortunata. Per quanto riguarda il resto, potrebbe avere problemi di percezione degli arti per qualche giorno. Non si faccia prendere dal panico, quando il cervello riacquisterà le sue normali facoltà, torneranno funzionali anche le sue estremità.”

“C’era un treno…” sussurro cercando di fare mente locale.

“Treno? Ricorda di aver avuto un incidente ferroviario?” il dottore si allarma e impugna subito la cartella e la penna dal taschino.

“No… ricordo l’auto. Ma poi… mi sono svegliata su un treno. C’erano altre persone… eravamo tutti morti.” Sto biascicando, vedo che il dottore ha l’espressione corrugata e dubbiosa si è avvicinato molto al mio viso per sentire cosa sto dicendo, ma dopo un attimo si solleva e mi poggia una mano sul braccio ingessato. “Credo di aver capito, Signora Grusser. Non deve preoccuparsi, a volte può capitare di fare brutti sogni durante il coma farmacologico. È raro, ma è sintomo che il suo cervello non si è mai fermato del tutto. Per quanto possano essere state terribili le sue visioni, lei è sempre stata qui in buone mani e si riprenderà. È riuscita a capire cosa ho detto?”

“Sì… ma era molto reale.”

“Sì, sono effetti collaterali dati dalle medicine che inducono il coma. Cerchi di non pensarci più, tra qualche ora potrà rivedere la sua famiglia più stretta e tra qualche giorno anche gli amici. Per oggi ha fatto già abbastanza fatica.” Sorride il dottore alzandosi e voltandosi.

“Il mio cuore si è fermato. Ero morta… ero all’inferno.” Bisbiglio muovendo le dita nella sua direzione un’ultima volta.

Il dottore si volta lentamente, non sorride più, il suo sguardo è turbato anche se cerca di non darlo a vedere. “Era solo un incubo. Resterà sotto osservazione ancora per qualche giorno, ora mi scusi, devo andare dagli altri pazienti.” Esce dalla stanza a passo veloce, come se volesse fuggire.

Chiudo di nuovo gli occhi e come una cantilena sento nella testa Gesabette, Camille, Clara, Frank

 

Ho rivisto mia nonna. È venuto a trovarmi anche io padre, che non vedevo da parecchi mesi.

Non è molto bravo a consolare, non mi ha toccato nemmeno una volta e ha parlato dell'incidente, dicendo che l'auto è da rottamare. Non avevo dubbi in proposito ma in fondo non mi interessa troppo. Non contento, ha aggiunto una cosa che mi ha un po’ turbato e che ha fatto arrabbiare il dottore, che gli aveva chiesto di evitare di parlarne finché non fossi stata meglio. A quanto pare avevo ragione, il mio cuore si è davvero fermato… per due volte! La prima volta in seguito alle ferite dell’incidente, la seconda volta quasi inspiegabilmente quando hanno tentato di risvegliarmi. Ora il cardiologo ha detto che sono fuori pericolo e che devo restare in osservazione e fare un’ecocardiografia ogni sei mesi per un paio d’anni e monitorare il cuore per una latente predisposizione a disturbi cardiaci.

Nonna Elza invece è stata praticamente una cozza sullo scoglio e spesso l'ho dovuta avvertire che mi stava facendo male, ma una parte di me era felicissima di rivederla. Mi sembra di non parlarci da anni. Mi ha fatto vedere delle foto sul suo telefono con lo schermo tutto rotto perché continua a caderle di mano.

Nonna Elza in fondo non è così giovane, ha settantacinque anni ma non sembra intenzionata a farsi seppellire dalla tecnologia. Riconosco in lei un po' della mia ostinazione quando mi applico a nuovi progetti. Alza troppo la voce quando manda i vocali su WhatsApp, tenendo il telefono con la mano destra e schiacciando il pulsantino fermamente con l'indice, convinta che se non ci urla dentro, il microfono non possa registrare.

Una domanda mi sta rodendo dentro fin da quando li ho visti entrare in camera e adesso che sono finiti i convenevoli, vuoto il sacco. "Nonna... Lukas lo sa?"

La nonna sorride contenta, mio padre scuote la testa con uno sbuffo ironico. "Sì, glielo abbiamo detto... Una volta è pure venuto qui, ma ora non può più entrare." 

Cosa?!

"È stato qui?" Prendo fiato. "Cosa è successo?"

Mio padre scambia un'occhiata con la nonna, sua suocera, prima di dire. "Quel disgraziato ha portato un cane nel reparto di terapia intensiva."

Laika!

"Non è un disgraziato!" Gli risponde nonna con un gesto stizzito. "È un povero ragazzo innamorato. Ha portato qui il vostro cane, ti ricordi Lasha, Miska..."

"Laika."

"Ecco, Laita. Ma la povera bestiola quando ti ha visto ha fatto un po' di casino e lo hanno trovato. L'ha fatta entrare dentro ad un borsone e ..."

Mio padre la interrompe bruscamente. "Infatti, che incoscienti anche loro! Guardarci dentro?! Poteva esserci un'arma!"

Chiudo gli occhi ripensando di aver fatto un sogno che ricalcava proprio quella scena. In fondo chi vorrebbe entrare in terapia intensiva per ammazzare gente che ha già un piede nella fossa? Nemmeno io avrei dato troppa importanza alla borsa, se non per un eccesso di zelo. 

"Come ha fatto ad entrare? Non è un mio parente" bisbiglio con voce graffiata.

Papà si volge verso la nonna, fulminandola con lo sguardo. Lei si sente tirata in causa e confessa sottovoce. "Ho detto che era tuo fratello, quindi non smentirmi davanti ai dottori, se no vado nei casini anche io."

Sento un brivido caldo lungo le braccia. Quindi piacere, sono tuo fratello.

Il dottore ha detto che era solo un incubo indotto dalle medicine... Oddio, mi gira la testa.

"Sono un po' stanca adesso... Potreste chiedere voi al dottore quando posso andare via?"

Mio padre emette un fischio incrociando le braccia. "Complimenti Erika, ti svegli dal coma e dopo nemmeno ventiquattro ore già vuoi tornare a lavorare! Se non mi somigliassi direi che sei la figlia di Rambo. Se ti tagliassero via un braccio in guerra saresti capace di ricucirtelo col filo spinato..." 

Nonna lo spinge con una manata. "Ma stai zitto, chi è che vuole stare qui in questo posto che puzza di alcool etilico?" 

Faccio per intervenire ma cominciano un battibecco che alla fine attira l'attenzione delle infermiere, che si affacciano alla stanza chiedendo loro di abbassare la voce.

"Nonna..."

Genero e suocera riducono i toni ma continuano a cantarsele. Che famiglia...

"Nonna, cazzo!"

Si voltano sconcertati dal mio linguaggio. Non ho mai usato parolacce davanti a loro e devo averli davvero stupiti, ma non so perché sinceramente non mi dà più fastidio l'idea di usarle.

"Voglio andare a casa, non voglio stare qui più di quanto sia strettamente necessario."

Nonna si appropinqua sorridendo e mi stringe l'avambraccio destro delicatamente. "Tesoro... Riguardo a casa tua..."

Papà si mette dall'altro lato del letto e borbotta. "Ho provato ad entrare per prendere i tuoi documenti, quali medicine prendevi e altre cose che mi avevano chiesto in ospedale, è saltato l'allarme ed è arrivata la polizia. L'intera faccenda costerà parecchio perché non credevano che fossi tuo padre."

Se potessi sbattermi una mano in faccia lo farei volentieri. "Nonna, il tuo numero era tra quelli da chiamare in caso di effrazione... Potevi evitare l'arrivo della polizia."

La nonna abbassa lo sguardo. "Sì... Ma io non rispondo mai ai numeri che non conosco."

Oh, bontà divina! Ringraziate che sono allettata e senza fiato perché se potessi vi prenderei le teste per sbattertele una contro l'altra! Inspiro ed espiro... Calma, calma... "Non intendevo tornare a casa mia, pensavo di stare da te per un po', se posso. Nella mia vecchia camera."

La nonna ha di nuovo gli occhi lucidi... Ma che avrò detto? 

"Sì, certo che puoi. Vado a chiedere subito."

Nonna esce come una tempesta, restiamo soli io e mio padre. Lui sembra imbarazzato. "Beh, allora ti lascio riposare. Ah guarda, mi hanno lasciato il tuo telefono. Io non ci capisco niente, chiedeva numeri e facce... Continuava a illuminarsi e vibrare... l'ho spento."

Mi porge il mio cellulare. Noto che incredibilmente è integro, complimenti alla casa produttrice... Io e la Porsche siamo da buttare, invece lo smartphone nemmeno un graffio. Almeno tu vali quello che ho pagato.

Lo ringrazio e noto la nonna di ritorno. "Hanno detto che dipende da come affronterai la prossima settimana. Hanno paura che sviluppi delle trombettosi o delle ricadute." Trombosi... Sì vabbè, ho inteso. "E devi ancora fare tutti i test con il necrologo." Neurologo? Nefrologo? Di sicuro non con il becchino, nonna... Le mostro il pollice in su in affermazione, mi salutano e la nonna dice che mi scriverà sul telefono per metterci d'accordo. Papà mi attacca il caricatore del cellulare vicino al letto ed escono, la loro ora di visita è terminata. Non so se esserne felice o dispiaciuta. 

C'è una cosa che devo fare.

Accendo il cellulare, una marea di notifiche lo fa vibrare e ringrazio il cielo di averlo tenuto sempre silenzioso perché altrimenti a quest'ora questa stanza avrebbe suonato come il Carnevale di Rio.

Noto chiamate perse e messaggi di almeno quindici persone diverse, ma nella lista delle chat uno in particolare spicca ai miei occhi, ed è il primo che apro. Non ci sono messaggi precedenti a quelli non letti, ho cancellato quella chat in passato.

 

Lukas Keller, 25 aprile 2018, 12:36

Mi hanno detto che hai fatto un incidente. Dimmi che è uno scherzo.

 

Lukas Keller, 25 aprile 2018, 16:57

Erika rispondi per favore

 

Prendo un profondo respiro. Comincio a scrivere. Uso solo la mano destra, è abbastanza difficoltoso, il cellulare mi scivola di mano ricadendomi sul petto un paio di volte e sinceramente non so da dove come cominciare. Forse con un ciao? No, banale. Come stai? Mah, sicuramente sta meglio di me... Scrivo e cancello, scrivo e cancello finché non mi rendo conto che è online. Da quanto? 

Sta scrivendo... 

Oddio, oddio!

 

Erika sei tu?

Ti sei svegliata? Stai bene?

Mi sono svegliata. Sto meglio, grazie. Tu?

Sono venuto a trovarti due giorni fa, ho portato anche Laika e mi hanno scoperto. Mi dispiace non poter venire lì a salutarti di persona

Non fa niente, faccio fatica a parlare. Tra due settimane forse esco e se vuoi potremmo vederci

Sì volentieri... Dimmi tu dove e quando.

 

Non so perché sto sorridendo tanto. Mi tira tutta la faccia e mi fa male il braccio con cui sto scrivendo, ma non ci faccio caso. Noto che sta scrivendo ancora.

 

Sono felice che ti sia svegliata. Ci sentiamo presto, tienimi aggiornato per favore

Certo

 

Sospiro, poi aggiungo

Anche io sono contenta di averti sentito.

 

Torno a riposare, devo fare di tutto per tornare in sesto il prima possibile. Blocco la tastiera del telefono e cerco di riposare ma sento una strana sensazione di ansia dentro di me. Riprendo il telefono, apro le note, comincio a scrivere parole apparentemente senza senso.

Treno infinito, oscurità

Olanda, Leida, pittore Van Meyer

Vietnam 1968 Frank, Meredith anno 1960, Kansas

Cielo stellato

Avvocato a Macerata, Italia, Castelli

Cari ragazzi, buongiorno!

Questo capitolo è stato abbastanza complicato da mettere giù. Tuttavia vi confermo che lo standard, da adesso in avanti, si alzerà.

Ritengo che una persona che si è ferita in un incidente del genere non possa balzare giù dal letto e cominciare una crociata in quelle condizioni. Anche perché (non è spoiler) nella cultura pagana un’anima errante vive esperienze e può conservare ricordi, ma una volta rientrata nel proprio corpo, tende a non ricordare nulla o ad avere solo immagini confuse, come se avesse vissuto un sogno. Il fatto è che questi ricordi non vengono cancellati, vengono sepolti molto in profondità e riemergono di tanto in tanto sottoforma di sensazioni di dejavù, a meno che… il resto lo scoprirete tra qualche capitolo, ma non c’è fretta!

Penso inoltre che sotto quei sedativi, nessuno avrebbe immediatamente le idee chiare.

Grazie come sempre a chi legge, commenta e segue la storia, vi abbraccio.

A settimana prossima!

  
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