“Vado
a cercare le altre, resta
pure se vuoi.” Dico a Frank, alzandomi. Lui annuisce restando
seduto e volge lo
sguardo verso il mio finestrino. L’occhio cade lì
anche a me e in una parte
lontana della mia mente penso che vi siano molte meno lucine di quanto
ce ne
fossero al mio risveglio.
Non
è il caso di indugiare oltre,
ma la curiosità è forte e quindi mi volto ancora
verso di lui. “L’altro giorno,
quando ho visto quella cosa, ho chiesto a Gesabette
e Clara se avessero
mai visto qualcosa del genere. Tu sei l’unico che dice di
aver avvertito la
presenza di qualcuno quando attraversa il buio, e soprattutto sei
l’unico ad
aver visto nel finestrino qualcosa di diverso dai comuni ricordi che
vedono
tutti.”
Frank
sospira e inarca la schiena
all’indietro, come a stiracchiarsi, prima di rispondere
“So di aver lasciato il
mio corpo ormai da diversi anni, ma prima di morire ho passato oltre
due anni
in un ambiente talmente ostile che non penso basterebbero due vite per
dimenticare ciò che ho vissuto. Certe esperienze ti segnano
nell’anima, nel
vero senso della parola. Era uno stato di vigilanza continua e non ho
mai
dormito per più di due ore di seguito per mesi e mesi,
riesci a immaginarlo?”
Scuoto
la testa delicatamente e
torno a sedermi di fronte a lui perché parlare di queste
cose a due livelli
visivi differenti mi fa sentire a disagio, preferisco avere il suo
volto
all’altezza del mio.
“Non
ricordavo cosa volesse dire
essere completamente asciutti, riposati e sfamati. C’era
sempre a rotazione
qualcosa di sbagliato. Quando avevi la pancia piena, avevi i piedi
bagnati e
gelidi, quando non pioveva, eri fradicio di sudore, quando riuscivi a
dormire,
ti pioveva addosso e le zanzare di avevano succhiato anche il midollo.
Ma
questo è niente…” fa una pausa
sporgendosi in avanti e incrociando le mani.
Abbassa lo sguardo e la sua espressione si fa un po’ vacua,
come se in questo
momento non fosse più davanti a me, bensì in
guerra, ed è come se invecchiasse
di nuovo e tornasse ad avere una cinquantina d’anni. Adesso
sono pienamente
cosciente e so che non l’ho immaginato, il suo aspetto cambia
per davvero.
Vorrei chiedergli quanti anni abbia, ma non è il momento.
“La cosa che ricordo
con più intensità è
l’ossessione per… i dettagli, potremmo chiamarli
così. A
volte, quando dovevamo spostarci presso un altro accampamento, non
tutti
potevano utilizzare l’elicottero, eravamo obbligati ad
attraversare i boschi e
lì dovevi stare attento al movimento di ogni foglia,
pozzanghera e rametto. Qualsiasi
rumore poteva essere l’ultimo che udivi. Ma i peggiori erano
quelli che non
sentivi, e man mano che la guerra andava avanti, non eravamo gli unici
a
diventare sempre più disperati… i Viet erano
sempre più determinati a
scacciarci e sempre più abili a nascondersi e mimetizzarsi
nel loro habitat.”
“Sì,
ho sentito storie riguardo
alla loro capacità di diventare praticamente invisibili
nella giungla…” dico
piegandomi leggermente in avanti anche io.
Sul
viso di Frank per un momento
passa un moto di disgusto, ma non credo sia rivolto a me
perché guarda un punto
fisso in basso a sinistra, è un ricordo. “Una
volta ne calpestai uno per
errore. Non lo vidi minimamente finché non gli misi un piede
addosso. Era già
morto comunque, lo aveva morso una vipera. Io notavo qualsiasi cosa, ma
non
riuscii a percepire quel singolo cadavere. Comunque, quel posto non era
pericoloso solo per noi… ma io sono forse quello che ha
attraversato più boschi
di tutto il mio plotone, non solo perché sono durato a
lungo, quanto perché
avevo un talento naturale per percepire il pericolo. Infatti rimasi
particolarmente impressionato quando non mi accorsi di averne uno sotto
i
piedi. Anche se non emettevano alcun rumore, io mi avvicinavo e li sentivo.
Sapevo che c’erano. Questa capacità devo averla
mantenuta ancora adesso, perché
quando entro nel buio, anche se non temo quello che mi osserva, io so
di
essere osservato.” Calca la voce in alcuni punti del suo
discorso e torna a
guardarmi negli occhi stringendo leggermente i muscoli del viso, in un
moto di
frustrazione. “La voce che parla nella tua testa sembra
la tua, ma non
lo è, è come se viaggiasse su una strada
parallela. E più ti addentri
nell’oscurità, più diventano forti. Se
stai alla luce, loro non hanno potere.”
Questa
informazione è molto
utile, io stessa ho avuto lo stesso pensiero quando ho visto quella
figura
sulla soglia dell’oscurità. Era chiaramente
ostile, ma non ha osato allungare
nemmeno un passo nella parte illuminata del corridoio. Con una mano mi
massaggio la spalla sinistra, ho avuto la sensazione di averla
indolenzita e
sento le dita formicolare…
“I
ricordi che vedi nel tuo
finestrino risalgono a quel periodo?” gli chiedo notando che
ha sviato alla mia
domanda precedente, o forse se n’è dimenticato
ripensando alla guerra.
Probabilmente ha omesso la risposta volutamente, perché fa
una smorfia tra il
divertito e l’infastidito, quando gliela ripropongo, e il
viso gli torna
giovane di almeno quindici anni.
“Si
vede che sei crucca, non ti
sfugge niente.” Borbotta con un ghigno sardonico.
“Sono
svizzera.” Sto al gioco
beffarda anche io.
“Ancora
peggio, se possibile.”
Ribatte incrociando le braccia. Non me ne vuoi parlare, eh?
“Stai
di nuovo aggirando la mia
domanda.” Gli dico inclinando leggermente il capo verso
destra. “Se vuoi il mio
aiuto dovresti essere più collaborativo.”
Ride
sguaiato e si scompone un
po’ sul sedile, poi si batte le mani sulle gambe senza troppa
forza e mi
risponde “Non penso che sia niente di utile, ma se ci tieni
tanto te lo dirò. Però,
se ne parli con qualcuno, giuro che ti trattengo nella parte buia del
corridoio
per due giorni.” Abbassa la voce pronunciando
l’ultima frase e non ride più.
Nel frattempo io comincio a stringere le mani a pugno a più
riprese perché il
formicolio alle dita è sempre più intenso.
“Te
lo prometto. E poi, se tutto
va bene, domani dovrebbero provare a svegliarmi, quindi me ne
andrò presto con
il tuo segreto.” Bisbiglio sorridendo ironica, ma
l’informazione sembra
preoccuparlo. Mentre ho parlato ho sentito una strana sensazione in
gola, come
quando ti si blocca un boccone e d’istinto provo a deglutire
a vuoto e faccio
un colpo di tosse.
Frank
stringe lo sguardo e
aggrotta la fronte mentre mi osserva con aria interrogativa
“Hai detto che ti
avrebbero svegliato l’indomani?”
“Se
stai provando un’altra volta
ad evitare la mia domanda…”
Fa
un movimento stizzito “Donna, torna
alla realtà: hai detto che ti avrebbero svegliato il giorno
dopo?”
“Sì.”
rispondo corrucciata.
“Non
ti resta più tempo per le
chiacchiere. Se devi parlare con le civette fallo subito
perché qualcosa sta
cambiando, lo sento. Sei stata via molto a lungo e non ho idea di
quante ore
siano passate dall’altra parte.” Si alza e torna a
guardare il mio finestrino.
Le lucine sono sempre più rade. È già
domani? Devo muovermi.
Mi
alzo ed esco dalla porta in
fretta, dirigendomi verso la cabina di Gesabette, ma è
vuota, quindi mi sposto
in direzione di quella di Clara. La porta è aperta e sento
dalle loro voci provenire
dall’interno. Mi accingo ad entrare ma penso che non sia
corretto escludere
Camille da queste informazioni, così faccio dietrofront e
busso alla porta chiusa
di Camille. Vedo dallo spioncino che sta ancora guardando fuori dal
finestrino.
Sospiro poggiando la fronte sulla porta metallica d’ottone
quando noto che Frank
è uscito dalla mia stanza.
Gli
faccio un cenno e si ferma a
guardarmi “Riesci a svegliare Camille? Deve saperlo anche
lei.”
“Come
se avessi di meglio da fare...
vuoi svegliare tutto il treno o lei ti basta?” borbotta
mentre mi si avvicina e
si sporge sullo spioncino della porta, per controllare
all’interno. La porta è
bloccata perché Camille è persa nei ricordi,
resterà sigillata fino al suo
risveglio. Chissà perché invece quando io ho
guardato la luce viola, gli altri
sono potuti restare al mio fianco… vorrei dargli una
rispostaccia per la sua
domanda passivo aggressiva, ma è come se avessi la gola
secchissima e
preferisco evitare.
“Sempre
a piangersi addosso, ‘sta
ragazzina! Spostati.” abbaia Frank allargando un braccio
nella mia direzione,
io mi faccio a lato e sobbalzo quando comincia a tirare calci alla
porta di
Camille. “Svegliati, mangiaformaggio!”
Mi massaggio le palpebre chiuse
con le dita, per
sorvolare su ciò che ho appena sentito.
Sento dei passi alle mie spalle,
Gesabette e Clara
fanno capolino dalla cabina di quest’ultima. Quando i nostri
sguardi si
incrociano, mi sorridono, e vedo che Clara apre la bocca per dire
qualcosa ma
alzo la mano con il palmo aperto in segno di stop “Ora vi
racconto tutto,
stiamo cercando di svegliare Camille.” Alzo la voce con
sforzo per comunicare
con loro, anche se si trovano a meno di dieci metri, perché
Frank per tutto il
tempo non smette un secondo di calciare la porta.
A distanza di una ventina di
metri si apre un uscio e
vedo uscirne un uomo di mezza età abbastanza emaciato, con
gli occhiali e i
lineamenti cascanti che comincia a lamentarsi. Frank interrompe la sua
carica
delle valchirie contro la camera di Camille e si volta a guardarlo.
“…casino!
Per colpa tua adesso si è interrotto un
ricordo importantissimo e non so se riuscirò a
ritrovarlo!” sbraita il tizio
con l’indice alzato in direzione di Frank.
“Ma sta zitto! Se vengo
lì ti scasso di botte! Torna
al tuo finestrino a crogiolarti nella tua vita sfigata, qui siamo
impegnati!”
ruggisce furioso Frank, indicandogli l’ingresso della sua
cabina con un gesto
brusco.
Il tipo perde tutto il suo vigore
e torna dentro,
chiudendosi velocemente la porta alle spalle. Frank si abbassa a
guardare
all’interno dello spioncino per stabilire se le sue azioni
barbare abbiano
avuto successo.
“Chi era
quello?” Chiedo schiarendomi la voce,
approfittando della pausa che Frank si è preso
dall’assalto alla porta di
Camille.
“È uno dei
nuovi arrivati.” Gesabette si è avvicinata
a me mentre osservavo la scena tra i due uomini. “La sua luce
si è accesa
qualche ora dopo che tu hai cominciato a guardare dal tuo finestrino,
ma è uno
dei tanti che non ha minimamente voglia di collaborare con noi. Dopo
qualche
episodio di incredulità e rabbia, si è
rassegnato. Si è chiuso nella sua cabina
e non ne è più uscito. Non possiamo costringere
nessuno a lottare, lui non
vuole e la sua scelta va rispettata.”
Scrollo le spalle e sento una
fitta all’omero
sinistro, istintivamente una mano va a massaggiarlo. Ma che
cazzo succede?
Annuisco cercando di ignorare il braccio sinistro e mettendomi le mani
sui
fianchi “E comunque Frank, chi è che vorresti
scassare di botte? Quello lì
potresti gonfiarlo per ore senza che senta nemmeno la brezza dei tuoi
schiaffi!”
“È
vero… ma lui ancora non lo sa.” Sorride sornione e
stavolta opta per dare pugni alla porta.
Finalmente sortisce effetto,
perché vediamo la
maniglia muoversi, e Camille apre la porta con aria confusa e stordita
“Cosa
sta succedendo?”
“Buongiorno
principessa, sei richiesta.” Esordisce
Frank trascinandola fuori per un braccio mentre lei cerca di puntare i
piedi a
terra lamentandosi con uno sguardo scioccato.
“Camille, siamo noi,
tranquilla. Volevo solo parlare
con tutti voi insieme perché ho delle notizie
importanti.” Mentre parlo avverto
una strana sensazione sulla spina dorsale, come un brivido.
Mi volto e i miei occhi vengono
attirati dalla mia
cabina come se non potessi fare altrimenti. Ho meno tempo di quanto
pensassi,
non c’è modo per accomodarci da qualche parte,
meglio cominciare subito. “Penso
di non essere morta.”
Camille spalanca gli occhi, Clara
si copre la bocca
con entrambe le mani e Gesabette, se possibile, si irrigidisce ancora
di più,
ma non posso permettere loro di cominciare un discorso
“Quando prima ho
guardato dal finestrino, non ho visto il mio passato, ma il presente.
Ho potuto
interagire con il mio ricordo, di cui
però non conservavo memoria. Mi
sono vista in stato comatoso in un letto di ospedale, Lukas era al mio
fianco e
ha detto che ho fatto un incidente in cui il mio cuore si è
fermato per qualche
minuto. Tecnicamente sono morta per poco, poi però i medici
sono riusciti a
recuperarmi in qualche modo e ancora non so in che condizioni
sarò al mio
risveglio né se riuscirò a svegliarmi, ma se
dovessi farcela farò il possibile
per non tornare mai più su questo treno e ho giurato che
farò il possibile
anche per tirare fuori voi.”
“Come riuscirai a
lasciare questo posto?” Gesabette ha
lo sguardo colmo di una nuova energia che non ho mai visto prima e fa
altri due
passi verso di me. Barcollo leggermente, ho una strana sensazione alle
gambe.
Mi appoggio alla parete e continuo. “Non so come
farò, ma anche adesso sento
come se dovessi tornare nella mia cabina. Il problema è che
non siamo soli. Ho
visto una creatura nelle tenebre del corridoio, credo che sia una sorta
di
guardiano o comunque un’entità non umana che sta
facendo il possibile per
trattenermi qui.”
“Di cosa stai
parlando?” non credo di aver mai visto
Gesabette più allarmata di così, è
incredibile come riesca ad apparire così
nobile anche con quell’espressione atterrita in volto.
“L’altro
giorno o boh, vabbè, prima, quando
sono venuta nella cabina di Clara ed eri lì anche tu, ho
visto una figura nel
buio. Sembrava un uomo, ma era totalmente nero e aveva degli arti
lunghi e
ossuti. Non so cosa sia e cosa voglia, ma quando mi sono avvicinata al
mio
corpo nella visione, è comparso nella visione e ha tentato
di trascinarmi di
nuovo qui. È chiaro che non voglia che io mi
svegli.”
Nel parlare faccio cenno agli
altri di seguirmi nella
mia cabina. La luce del corridoio emette uno sfarfallio e si spegne per
una
frazione di secondo. È incredibile come tutto cada
nell’oscurità più profonda
quando viene a mancare. Le luci delle cabine però non si
spengono e dagli
spioncini si intravedono le lampade che sembrano non avere la forza di
diffondersi sul corridoio. La luce torna quasi immediatamente.
Odo una donna che urla, penso sia
Gesabette, Clara si
copre gli occhi e sento che bisbiglia qualcosa di cui non capisco il
senso.
Camille, che prima cercava di divincolarsi da Frank, ora gli
è saldamente
ancorata al braccio e ha gli occhi ben spalancati e il labbro inferiore
che
trema.
La soglia
dell’oscurità che stava ad una cinquantina
abbondante di metri, sembra essersi fatta terribilmente più
vicina dopo quel
momento di tenebra.
Vedo che stanno tutti bene,
quindi barcollo in
direzione della mia cabina e odo i loro passi concitati alle mie
spalle. “Se
riuscirò a svegliarmi andrò a cercare tutte le
persone di cui mi avete parlato
e chiederò loro scusa da parte vostra e per te Gesabette,
giuro che farò il
possibile per dire al mondo la verità.”
Sono arrivata davanti alla mia
porta, che in autonomia
scorre di lato aprendosi velocemente. Gesabette, la più
vicina a me, sobbalza e
torniamo a guardarci negli occhi. Noto che sono di una sfumatura grigio
chiaro.
Farò di tutto per
ricordarmi di voi. La luce sfarfalla ancora
una volta, sento Gesabette afferrarmi un braccio, so che ha paura del
buio ma
non intende scappare. “Tornate nelle vostre cabine, qui non
siete al sicuro.”
“No!” Frank
si fa avanti minaccioso “So che sono qui,
lo senti anche tu? Li sentite?”
Mi volto verso
l’oscurità in fondo al corridoio,
sembra essere sempre più vicina e non è una mia
impressione perché nel suo buio
ora si vedono degli spioncini luminosi, quindi ha chiaramente raggiunto
la
parte di corridoio che doveva essere illuminata. Non riesco ancora a
scorgere
niente e non voglio farlo perché so che se dovessi
incrociare il suo sguardo,
non riuscirei più a muovermi.
“Cos’è?”
Clara fissa il fondo del corridoio e vedo
come la sua espressione si tinge di orrore. So che ha visto qualcosa ma
temo
che se le chiedessi di descrivermelo, mi mancherebbe il coraggio per
affrontarlo. Camille deve pensarla come me perché si rifiuta
di guardare verso
il buio e stringe maggiormente il braccio di Frank.
“Hanno paura della
luce, andate nelle vostre cabine.
Nella luce non riescono ad essere agili, e comunque voi non gli
interessate o
vi avrebbero già infastidito in passato.” Noto una
smorfia indecifrabile sul
viso di Frank alla mia ultima frase, ma non posso indugiare. Li guardo
in viso
uno ad uno, opponendo per un attimo resistenza a quella attrazione che
mi
spinge verso l’interno della mia stanza.
“La camera di Clara
è la più vicina.” La voce di
Gesabette è tremante, dovrebbe fare solo dieci metri per
raggiungerla ma non
sembra intenzionata a fare un altro passo da sola.
“Andate lì
tutti quanti. Adesso. Non voglio scoprire
cosa potrebbero farvi se riuscissero a toccarvi.” Il buio sta
avanzando
lentamente, come qualcosa che striscia sulle pareti, ma le cabine non
ne
restano coinvolte.
“Non ho
paura.” Sibila Frank guardando verso il
corridoio con uno sguardo così truce che non pensavo ne
fosse capace. Schiocco
le dita per attirare la sua attenzione e muove leggermente solo gli
occhi nella
mia direzione per indicare che mi ha sentito, e che probabilmente il
mio gesto non
gli è piaciuto “Non me ne frega un cazzo di quanto
sei coraggioso, ti devi
salvare perché hai un’ultima missione: fai in modo
che la loro luce non si
spenga prima che io riesca a portare a termine il mio compito. Non
permettere
loro di guardare fuori dal finestrino.”
Frank cerca di ribattere ma lo
gelo con lo sguardo e
continuo “Non so se questo è un addio o se un
giorno ci rivedremo, ma dovrete
resistere. Non so quanto ci metterò e quanto dovrete
aspettare, ma dovrete
portare pazienza.” Clara si riprende a malapena, mi si butta
contro e sento il
suo abbraccio forte, io invece sono intorpidita. Camille sembra
sull’orlo di
una crisi di pianto, cui non potrà mai dare sfogo
finché si troverà qui.
“Non so per quale
motivo la luce delle cabine sembra
immune a queste creature. Se è vero, solo lì
siete al sicuro e anche io sarò al
sicuro nella mia.” Faccio mente locale per l’ultima
volta mentre percepisco la
sensazione di avere la mandibola incredibilmente rigida. Le luci
sbaluginano
un’altra volta e quasi perdo l’equilibrio. Clara mi
tiene saldamente e resto in
piedi. Volgo lo sguardo oltre la mia spalla e mi rendo conto che il mio
finestrino
è completamente buio, non ci sono più luci che
scorrono al suo interno.
“Vi ringrazio per tutto
ciò che avete fatto per me,
grazie per essere stati al mio fianco e non aver permesso che io mi
arrendessi.
Non so quanto tempo ho passato insieme a voi, mi sembra tanto e molto
poco allo
stesso tempo, eppure vi porto tutti nel cuore.”
Gesabette annuisce e sorride con
sforzo, i suoi occhi
sempre mesti e pacati ora sono sconvolti ma determinati. Clara si
stacca e mi
passa le mani sul viso “Anche tu sarai sempre nel mio
cuore.”
“E se non ti
ricorderai? Se al tuo risveglio ci avessi
dimenticato?” la voce di Camille è angosciata. A
questo non avevo pensato, ma è
una prospettiva su cui non voglio soffermarmi. Le gambe stanno per
cedermi e mi
appoggio allo stipite.
“È vero, non
posso promettervi che una volta sveglia
mi ricordi di voi, ma non riesco a immaginare di aver vissuto questa
esperienza
e di tornare ad essere la persona che ero prima. Farò il
possibile per
ricordarmi di Gesabette Van Meyer, Olanda. Frank Howard, Vietnam. Clara
Castelli, Italia. Camille De Martin… a Chambéry,
Francia” le sorrido e lei
ricambia strofinandosi gli occhi istintivamente.
Riesco a cogliere un leggero
odore alcolico che non
riconosco subito e noto che più che una brezza, è
una forza di gravità che mi
spinge verso l’interno della mia cabina. Il buio si sta
avvicinando, non hanno
ancora molto tempo per ripararsi nella cabina di Clara, che si trova
più vicina
all’oscurità rispetto alla mia. “Andate,
presto! Anche tu!” spingo via Frank e faccio
un altro passo indietro verso la mia cabina, restando con un piede
dentro e uno
fuori.
Li scorgo correre verso la cabina
di Clara e fiondarsi
dentro chiudendosi la porta alle spalle quando l’ombra
è giunta a qualche metro
da essa. Adesso posso andare. Come mi ritiro all’interno
della mia, la luce del
corridoio si spegne di nuovo e la porta si chiude con violenza davanti
al mio
viso.
Mi avvicino al finestrino ormai
oscurato. No, non è
del tutto nero… lì c’è una
piccola luce viola, come un puntino baluginante, color
pervinca.
Do un ultimo sguardo alla mia
cabina con le sue tinte
rosso scuro e mi avvicino al vetro. Vengo distratta da qualcosa che sta
raschiando contro la mia porta, e darle le spalle per guardare il
finestrino va
contro il mio istinto di conservazione, ma non ho intenzione di farmi
prendere.
Torno a guardare il vetro e l’unica luce presente su di esso.
Sento di essere calamitata verso
quel viola come
quando si cade nel vuoto durante un sogno.
Rumori
bianchi e soffusi ed un
beep ritmato intorno a me. Non capisco dove mi trovo, ho la mente
offuscata e
il corpo rattrappito. Non riesco a muovermi come vorrei, anche aprire
gli occhi
è faticoso. Non capisco dove sono, sono molto confusa.
Ricordo un bagliore
pervinca e l’adrenalina di voler scappare da qualcosa, ma non
riesco ad
organizzare un filo logico.
Finalmente
il mio corpo comincia
a dare qualche segnale di collaborazione, sento che le mie dita si
muovono,
provo ad aprire le palpebre ma sono pesanti.
Dopo
un tempo che mi pare
interminabile, sento il rumore di una porta che si apre e di passi.
Qualcuno si
sta avvicinando, lo sento. Provo a parlare ma riesco ad emettere solo
un
mugugno. I passi si fermano, poi sento delle voci concitate. "Sta dando
una risposta all’epinefrina, avvisate il dottor Kierker!"
Dopo
qualche minuto in cui
avverto che qualcuno mi sta toccando il polso e stanno spostando dei
mobili,
sento aprirmi le palpebre una ad una e vedo una luce fortissima. Vorrei
chiudere gli occhi al suo passaggio ma non ci riesco.
"Pupilla
reattiva, ma ha
l'occhio un po' secco: collirio e fatele un'altra fisiologica."
È una voce
maschile. "Qui le disposizioni per diminuire le dosi progressivamente,
dovrebbe svegliarsi gradualmente entro dodici ore, per allora
sarò di nuovo in
turno per la visita. Avvertite i familiari più prossimi."
"Possono
visitarla solo la
nonna e il padre, la nonna viene a trovarla tutti i giorni, era qui
fino a due
ore fa. "
"Sì,
ma non ditele di venire
ora. Per il momento meglio che riposi. Potete stubarla e procedere alla
medicazione della tracheotomia... I battiti sono in aumento, ma non
dovrebbe
ancora essere cosciente, è sicuramente il
cardiostimolatore... rimuovetelo ma
prestatele grande attenzione. Chiudete le tende, lasciatela riposare
ancora un
po'."
Le
voci si affievoliscono l'oblio
mi avvolge.
Deve
essere passato del tempo,
sento qualcosa di diverso nel mio corpo. Respiro meglio e sento
maggiore
reattività. Odo qualcuno che piange. Il suono mi disturba.
"Erika,
mi senti? Tesoro
mio, mi riconosci?"
Chi
sei? La tua voce con la
ruvidezza tipica degli anziani mi è familiare, ma faccio
fatica a capire a chi
appartiene. Forse so chi sei... Provo a muovermi, l'unico dito che mi
ubbidisce
davvero è l'indice destro, totalmente inutile ora come ora,
ma cerco di aprire
gli occhi. La luce è tenue, faccio fatica a mettere a fuoco,
mi sembra di
essere in un sogno, ma riesco a muovere gli occhi e lievemente anche il
collo.
Comincio a percepire il mio corpo, ma sono completamente insensibile
dal petto
in giù. Vedo un soffitto fatto di pannelli bianchi quadrati,
le pareti sono
bianche, le lenzuola che mi coprono fino al petto sono bianche,
è tutto bianco.
È da parecchio che non vedo tanto bianco in una volta.
Poi,
ti vedo. "Nonna..."
Un
singulto strozzato in
risposta, nonna Elza mi prende la mano destra e se la porta alla bocca
e la
riempie di baci. Questo non è un sogno, anche se ancora vedo
offuscato e ho la
mente confusa non mi sembra un sogno. Cosa diavolo...
"Buongiorno."
È la voce
di un uomo "Sono il dottor Kierker, ha parlato?"
"Sì!
Sì, dottore, mi
riconosce!"
Il
dottore si avvicina e rifà il
giochetto del puntarmi la luce negli occhi. Se avessi forza a
sufficienza,
saprei dove infilargli quella lampadina.
"Ha
la temperatura ancora un
po' bassa, ma questa finestra di risveglio è un ottimo
inizio. Tra qualche ora
sarà ancora più cosciente e per domani dovrebbe
essere totalmente presente. Ora
è meglio che dorma un po'. Erika, se mi sente, provi a
riposare. Non si faccia
allarmare da questa sensazione, è una cosa temporanea. Ha
avuto un incidente e
ora si trova in ospedale ma sta bene, tra qualche ora starà
ancora meglio ma
non deve agitarsi."
Sì,
ho avuto un incidente… Mi
assopisco ancora.
Stavolta
mi sento decisamente
meglio. Apro gli occhi, la stanza è in ombra ma riesco a
mettere a fuoco molto
più che nelle volte passate.
Cerco
di muovere la testa, faccio
fatica. Provo a muovere le braccia ma sento che la mano sinistra non
è molto
collaborativa. La destra mi va al collo e sento la presenza di un
collare. Ho
la gola secca e il corpo intorpidito. Provo a muovere le gambe ma non
vogliono
ubbidirmi ed è una sensazione mai provata prima, che genera
un’ansia terribile.
Le sento, sono lì, ma non si muovono… cerco di
alzare il collo per vederle.
Oddio non posso aver perso le gambe… ma non mi sembra, dai
rilievi sulle coltri
direi che la dimensione è corretta…
Entra
una donna con un camicie
rosa "Si è svegliata, non si preoccupi, chiamo subito il
dottore."
Continuo
a palparmi il collare...
Ero convinta di avere dei tubi, ma non ne sento. Qualcosa fa da
ostacolo nella
piega del mio gomito, l’infermiera mi prende il braccio e lo
riporta al mio
fianco “Si rilassi, non si muova con questa forza, rischia di
farsi ancora più
male.”
Provo
ad articolare qualche
parola ma sento la voce secca e soffocata. "Acqua..."
"Ora
arriva il dottore
valuterà lui cosa darle. Mi spiace non poterla aiutare
subito." Scappa
fuori dalla stanza e meno di un minuto dopo vedo entrare un uomo che
avrà quarantacinque
anni, capelli corti sale e pepe, è molto alto e indossa un
camice bianco aperto
sul davanti.
"Signora
Grusser buongiorno,
come sta?"
Provo
a parlare ma sento la voce
gracchiante "Sono stata meglio."
Il
dottore sorride "Non
avevo dubbi. Ha dolori?"
Sento
tutto ovattato e la
sensazione è molto sgradevole, ma l'unica cosa che mi fa un
po' male è la gola
e sento le corde vocali vibrare quando parlo, ma tutto sommato non
duole
granché. Scuoto la testa in diniego, collare permettendo.
"Io
sono il Dottor Kierker e
sono stato il suo medico durante la sua degenza qui in ospedale. Si
trova a
Zurigo, all'ospedale universitario. È stata portata qui il
24 aprile in seguito
ad un incidente stradale. Riesce a seguirmi?"
Annuisco
leggermente. Il medico
si siede su una delle poltroncine alla mia sinistra e prende la
cartella
clinica che portava sotto al braccio e dopo una breve lettura
prosegue "Bene, ora fa un po' fatica a parlare
perché è stata
sottoposta ad una tracheotomia d'urgenza, abbiamo dovuto praticarle un
foro
sulla trachea per permettere la respirazione assistita. Adesso non
necessita
più di un respiratore, quindi è stato rimosso.
Abbiamo preferito agire così
perché durante l'impatto lei ha subito un grave trauma
cranico, ha incrinato due
vertebre cervicali, rotto l'omero sinistro, la clavicola e quattro
costole,
lesionato alcuni tendini e legamenti della cuffia dei rotatori sinistra
e ha
lussato la rotula destra. Ha purtroppo subito anche una lesione
dell'articolazione temporo-mandibolare, quindi abbiamo preferito
praticarle una
tracheotomia piuttosto che intubarla per via orale, per cui adesso
potrebbe
avere qualche difficoltà a parlare... ma deve sapere che
abbiamo già provveduto
a tutte le operazioni per ripristinare la locomotilità delle
articolazioni e
alla ricostruzione dei tendini.” Alza lo sguardo per vedere
se sono ancora
sveglia, soddisfatto del fatto che sto ricambiando il suo sguardo,
continua a
parlare. “Valutiamo che nell'arco di due mesi lei
avrà riacquistato la maggior
parte delle funzioni motorie e nell'arco di sei mesi, con l'ausilio di
molta
fisioterapia e di un osteopata, dovrebbe tornare perfettamente in
forma.”
Incrocia
le gambe e sfoglia
qualche pagina della cartella clinica. “Quando ha sbattuto
contro la plancia
dell'auto, l'airbag l'ha protetta da gran parte del danno, ma risultava
essere
in una posizione anomala e alcuni danni sono stati inevitabili. La sua
situazione era particolarmente grave e abbiamo dovuto operarla
d'urgenza,
quindi abbiamo optato per un coma farmacologico al fine di evitarle
maggiori
ripercussioni. È stata in coma per quindici giorni. Oggi
è il 9 maggio 2018. Se
lei se la sente, adesso che abbiamo assolto agli obblighi informativi,
vorrei
farle qualche domanda per verificare che non abbia subito danni
cerebrali. È
riuscita a capire tutto ciò che ho detto?"
Dato
che ora so di aver spaccato
tutta la testa e avere la gola tagliata, opto per non l'opzione di
alzare il
pollice destro in risposta.
"Bene,
è ancora un po'
rischioso per lei bere e mangiare, ma prenda un sorso d'acqua. Ecco...
piano…
Basta così. Ricomincerà a bere e mangiare
normalmente tra qualche giorno.
Ricorda di aver fatto un incidente?"
Pollice
in su.
Dopo
alcune domande in cui mi
sforzo di rispondere con sibili, il dottore sembra molto soddisfatto.
"A
parte qualche momento di
confusione, sono contento di dire che la memoria a breve termine
è in ottimo
stato, il che è la rende molto fortunata. Per quanto
riguarda il resto,
potrebbe avere problemi di percezione degli arti per qualche giorno.
Non si
faccia prendere dal panico, quando il cervello riacquisterà
le sue normali
facoltà, torneranno funzionali anche le sue
estremità.”
“C’era
un treno…” sussurro
cercando di fare mente locale.
“Treno?
Ricorda di aver avuto un
incidente ferroviario?” il dottore si allarma e impugna
subito la cartella e la
penna dal taschino.
“No…
ricordo l’auto. Ma poi… mi
sono svegliata su un treno. C’erano altre persone…
eravamo tutti morti.” Sto
biascicando, vedo che il dottore ha l’espressione corrugata e
dubbiosa si è
avvicinato molto al mio viso per sentire cosa sto dicendo, ma dopo un
attimo si
solleva e mi poggia una mano sul braccio ingessato “Credo di
aver capito, Signora
Grusser. Non deve preoccuparsi, a volte può capitare di fare
brutti sogni
durante il coma farmacologico. È raro, ma è
sintomo che il suo cervello non si
è mai fermato del tutto. Per quanto possano essere state
terribili le sue
visioni, lei è sempre stata qui in buone mani e si
riprenderà. È riuscita a
capire cosa ho detto?”
“Sì…
ma era molto reale.”
“Sì,
sono effetti collaterali
dati dalle medicine che inducono il coma. Cerchi di non pensarci
più, tra
qualche ora potrà rivedere la sua famiglia più
stretta e tra qualche giorno
anche gli amici. Per oggi ha fatto già abbastanza
fatica.” Sorride il dottore
alzandosi e voltandosi.
“Il
mio cuore si è fermato. Ero
morta… ero all’inferno.” Bisbiglio
muovendo le dita nella sua direzione
un’ultima volta.
Il
dottore si volta lentamente,
non sorride più, il suo sguardo è turbato anche
se cerca di non darlo a vedere
“Era solo un incubo. Resterà sotto osservazione
ancora per qualche giorno, ora
mi scusi, devo andare dagli altri pazienti.” Esce dalla
stanza a passo veloce,
come se volesse fuggire.
Chiudo
di nuovo gli occhi e come
una cantilena sento nella testa Gesabette, Camille, Clara,
Frank…
Ho
rivisto mia nonna. È venuto a
trovarmi anche io padre, che non vedevo da parecchi mesi.
Non
è molto bravo a consolare,
non mi ha toccato nemmeno una volta e ha parlato dell'incidente,
dicendo che
l'auto è da rottamare. Non avevo dubbi in proposito ma in
fondo non mi
interessa troppo. Non contento, ha aggiunto una cosa che mi ha un
po’ turbato e
che ha fatto arrabbiare il dottore, che gli aveva chiesto di evitare di
parlarne finché non fossi stata meglio. A quanto pare avevo
ragione, il mio
cuore si è davvero fermato… per due volte! La
prima volta in seguito alle
ferite dell’incidente, la seconda volta quasi
inspiegabilmente quando hanno
tentato di risvegliarmi. Ora il cardiologo ha detto che sono fuori
pericolo, ma
devo restare in osservazione e fare un’ecocardiografia ogni
sei mesi per un
paio d’anni e monitorare il cuore per una latente
predisposizione a disturbi
cardiaci.
Nonna
Elza invece è stata
praticamente una cozza sullo scoglio e spesso l'ho dovuta avvertire che
mi
stava facendo male, ma una parte di me era felicissima di rivederla. Mi
sembra
di non parlarci da anni. Mi ha fatto vedere delle foto sul suo telefono
con lo
schermo tutto rotto perché continua a caderle di mano.
Nonna
Elza in fondo non è così
giovane, ha settantacinque anni ma non sembra intenzionata a farsi
seppellire
dalla tecnologia. Riconosco in lei un po' della mia ostinazione quando
mi
applico a nuovi progetti. Alza troppo la voce quando manda i vocali su
WhatsApp, tenendo il telefono con la mano destra e schiacciando il
pulsantino
fermamente con l'indice, convinta che se non ci urlasse dentro, il
microfono non registrerebbe.
Una
domanda mi sta rodendo dentro
fin da quando li ho visti entrare in camera e adesso che sono finiti i
convenevoli, vuoto il sacco "Nonna... Lukas lo sa?"
La
nonna sorride contenta, mio
padre scuote la testa con uno sbuffo ironico. "Sì, glielo
abbiamo detto...
Una volta è pure venuto qui, ma ora non può
più entrare."
Cosa?!
"È
stato qui?" Prendo
fiato "Cosa è successo?"
Mio
padre scambia un'occhiata con
la nonna, sua suocera, prima di dire "Quel disgraziato ha portato un
cane
nel reparto di terapia intensiva."
Laika!
"Non
è un disgraziato!"
Gli risponde nonna con un gesto stizzito "È un povero
ragazzo innamorato. Ha
portato qui il vostro cane, ti ricordi Lasha, Miska..."
"Laika."
"Ecco,
Laita. Ma la povera
bestiola quando ti ha visto ha fatto un po' di casino e lo hanno
trovato. L'ha
fatta entrare dentro ad un borsone e ..."
Mio
padre la interrompe
bruscamente "Infatti, che incoscienti anche loro! Ma guardarci dentro?!
Poteva esserci un'arma!"
Chiudo
gli occhi ripensando di
aver fatto un sogno che ricalcava proprio quella scena. In fondo chi
vorrebbe
entrare in terapia intensiva per ammazzare gente che ha già
un piede nella
fossa? Nemmeno io avrei dato troppa importanza alla borsa, se non per
un
eccesso di zelo.
"Come
ha fatto ad entrare?
Non è un mio parente" bisbiglio con voce graffiata.
Papà
si volge verso la nonna,
fulminandola con lo sguardo. Lei si sente tirata in causa e confessa
sottovoce
"Ho detto che era tuo fratello, quindi non smentirmi davanti ai
dottori,
se no vado nei casini anche io."
Sento
un brivido caldo lungo le
braccia. Quindi piacere, sono tuo fratello.
Il
dottore ha detto che era solo
un incubo indotto dalle medicine... Oddio, mi gira la testa.
"Sono
un po' stanca
adesso... Potreste chiedere voi al dottore quando posso andare via?"
Mio
padre emette un fischio
incrociando le braccia "Complimenti Erika, ti svegli dal coma e dopo
nemmeno ventiquattro ore già vuoi tornare a lavorare! Se non
mi somigliassi
direi che sei la figlia di Rambo. Se ti tagliassero via un braccio in
guerra
saresti capace di ricucirtelo col filo spinato..."
Nonna
lo spinge con una manata
"Ma stai zitto, chi è che vuole stare qui in questo posto
che puzza di
alcool etilico?"
Faccio
per intervenire ma
cominciano un battibecco che alla fine attira l'attenzione delle
infermiere,
che si affacciano alla stanza chiedendo loro di abbassare la voce.
"Nonna..."
Genero
e suocera riducono i toni
ma continuano a cantarsele. Che famiglia...
"Nonna,
merda!"
Si
voltano sconcertati dal mio
linguaggio. Non ho mai usato parolacce davanti a loro e devo averli
davvero
stupiti, ma non so perché sinceramente non mi dà
più fastidio l'idea di usarle.
"Voglio
andare a casa, non
voglio stare qui più di quanto sia strettamente necessario."
Nonna
si appropinqua sorridendo e
mi stringe l'avambraccio destro delicatamente "Tesoro... Riguardo a
casa
tua..."
Papà
si mette dall'altro lato del
letto e borbotta "Ho provato ad entrare per prendere i tuoi documenti,
quali medicine prendevi e altre cose che mi avevano chiesto in
ospedale, è
saltato l'allarme ed è arrivata la polizia. L'intera
faccenda costerà parecchio
perché non credevano che fossi tuo padre."
Se
potessi sbattermi una mano in
faccia lo farei volentieri. "Nonna, il tuo numero era tra quelli da
chiamare in caso di effrazione... Potevi evitare l'arrivo della
polizia."
La
nonna abbassa lo sguardo
"Sì... Ma io non rispondo mai ai numeri che non conosco."
Oh
grazia divina! Ringraziate che
sono allettata e senza fiato perché se potessi vi prenderei
le teste per
sbattertele una contro l'altra! Inspiro ed espiro... Calma,
calma... "Non intendevo tornare a casa mia, pensavo di stare
da te
per un po', se posso. Nella mia vecchia camera."
La
nonna ha di nuovo gli occhi
lucidi... Ma che avrò detto?
"Sì,
certo che puoi. Vado a
chiedere subito."
Nonna
esce come una tempesta,
restiamo soli io e mio padre. Lui sembra imbarazzato "Beh, allora ti
lascio riposare. Ah guarda, mi hanno lasciato il tuo telefono. Io non
ci
capisco niente, chiedeva numeri e facce... Continuava a illuminarsi e
vibrare...
l'ho spento."
Mi
porge il mio cellulare. Noto
che incredibilmente è integro, complimenti alla casa
produttrice... Io e la
Porsche siamo da buttare, ma lo smartphone nemmeno un graffio. Almeno
tu vali
quello che ho pagato.
Lo
ringrazio e noto la nonna di
ritorno. "Hanno detto che dipende da come affronterai la prossima
settimana. Hanno paura che sviluppi delle trombettosi o delle
ricadute."
Trombosi... Sì vabbè, ho inteso. "E devi ancora
fare tutti i test con il
necrologo." Neurologo? Nefrologo? Di sicuro non con il becchino,
nonna... Le
mostro il pollice in su in affermazione, mi salutano e la nonna dice
che mi
scriverà sul telefono per metterci d'accordo.
Papà mi attacca il caricatore del
cellulare vicino al letto ed escono, la loro ora di visita è
terminata. Non so
se esserne felice o dispiaciuta.
C'è
una cosa che devo fare.
Accendo
il cellulare, una marea
di notifiche lo fa vibrare e ringrazio il cielo di averlo tenuto sempre
silenzioso perché altrimenti a quest'ora questa stanza
avrebbe suonato come il
Carnevale di Rio.
Noto
chiamate perse e messaggi di
almeno quindici persone diverse, ma nella lista delle chat uno in
particolare
spicca ai miei occhi, ed è il primo che apro. Non ci sono
messaggi precedenti a
quelli non letti, ho cancellato quella chat in passato.
Lukas
Keller, 25 aprile 2018,
12:36
Mi
hanno detto che hai fatto
un incidente. Dimmi che è uno scherzo.
Lukas
Keller, 25 aprile 2018,
16:57
Erika
rispondi per favore
Prendo
un profondo respiro.
Comincio a scrivere. Uso solo la mano destra, è abbastanza
difficoltoso, il
cellulare mi scivola di mano ricadendomi sul petto un paio di volte e
sinceramente non so da dove come cominciare. Forse con un ciao?
No,
banale. Come stai? Mah, sicuramente sta meglio di
me... Scrivo e
cancello, scrivo e cancello finché non mi rendo conto che
è online. Da
quanto?
Sta
scrivendo...
Oddio,
oddio!
Erika
sei tu?
Sì
Ti
sei svegliata? Stai bene?
Mi
sono svegliata. Sto meglio,
grazie. Tu?
Sono
venuto a trovarti due
giorni fa, ho portato anche Laika e mi hanno scoperto. Mi dispiace non
poter
venire lì a salutarti di persona
Non
fa niente, faccio fatica a
parlare. Tra due settimane forse esco e se vuoi potremmo vederci
Sì
volentieri... Dimmi tu dove
e quando.
Non
so perché sto sorridendo
tanto. Mi tira tutta la faccia e mi fa male il braccio con cui sto
scrivendo,
ma non ci faccio caso. Noto che sta scrivendo ancora.
Sono
felice che ti sia
svegliata. Ci sentiamo presto, tienimi aggiornato per favore
Certo
Sospiro,
poi aggiungo
Anche
io sono contenta di
averti sentito.
Torno
a riposare, devo fare di
tutto per tornare in sesto il prima possibile. Blocco la tastiera del
telefono
e cerco di riposare ma sento una strana sensazione di ansia dentro di
me.
Riprendo il telefono, apro le note, comincio a scrivere parole
apparentemente
senza senso.
Treno
infinito, oscurità
Olanda,
Leida, pittore Van
Meyer
Vietnam
1968 Frank, Meredith
anno 1960, Kansas
Cielo
stellato
Avvocato
a Macerata, Italia, Castelli
Cari
ragazzi, buongiorno!
Questo
capitolo è stato abbastanza complicato da mettere
giù. Tuttavia vi confermo che
lo standard, da adesso in avanti, si alzerà.
Ritengo
che una persona che si è ferita in un incidente del genere
non possa balzare giù
dal letto e cominciare una crociata in quelle condizioni. Anche
perché (non è
spoiler) nella cultura pagana un’anima errante vive
esperienze e può conservare
ricordi, ma una volta rientrata nel proprio corpo, tende a non
ricordare nulla
o ad avere solo immagini confuse, come se avesse vissuto un sogno. Il
fatto è
che questi ricordi non vengono cancellati, vengono sepolti molto in
profondità
e riemergono di tanto in tanto sottoforma di sensazioni di
dejavù, a meno che…
il resto lo scoprirete tra qualche capitolo, ma non
c’è fretta!
Penso
inoltre che sotto quei sedativi, nessuno avrebbe immediatamente le idee
chiare.
Grazie
come sempre a chi legge, commenta e segue la storia, vi abbraccio.
A
settimana prossima!