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Autore: Neamh Moonstar    17/09/2023    1 recensioni
Bene e Male non possono toccarsi, letteralmente. Se angeli e demoni provassero ad avvicinarsi gli uni a gli altri, si ferirebbero a vicenda fino a consumarsi: è un dato di fatto. Per questo i Regni del Bene e del Male - con le loro rispettive armate - vivono e lavorano a distanza di sicurezza, affidando a gli umani il compito di combattersi a vicenda in una serie infinita di battaglie.
In questo mondo nettamente diviso e basato su tali certezze - un guardiano distratto, una bestia casinara e un gruppo di umani poco convinti, scopriranno cosa significa stare giusto nel mezzo.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Aziraphale/Azraphel, Crowley, Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Crowley non avrebbe saputo spiegarlo. Fu come ricevere un colpo dritto al petto: una pugnalata che pungeva e doleva come non mai. Sentì la sua aura oscura iniziare a ribollire sempre più forte, sempre più insistente.

Le righe scintillanti, copiose e brillanti che scesero dalla scapola di Aziraphale parvero accecarlo. Erano fin troppo visibili in mezzo al grigiore, troppo evidenti su quegli abiti beige e crema. Spostò lo sguardo su Raphael e lo vide quasi soddisfatto, quasi contento del suo operato. I suoi occhi erano ancora color del sangue, i suoi capelli boccoluti ancora color del rame e le sue ali erano ancora bellissime, intatte e dorate come il sangue della sua vittima.

Il rosso strinse i pugni. Quel grandissimo stronzo era ancora in piedi. Aveva osato tagliare un'ala all'angelo, all'unico angelo con la testa apposto, al suo angelo.

Non poteva permetterlo. Fanculo la Guerra, e l'Arma, e il Paradiso, e l'Inferno. Il suo ipotetico cuore gli sbatteva nel petto, il respiro gli si era fatto pesante, poteva sentire tutto il suo essere bruciare.

Se con Adam aveva deciso di mostrarsi in una delle sue forme peggiori, adesso era stato invaso da un istinto primordiale che stava tirando fuori qualcosa di molto molto peggio.


Tutti gli angeli e tutti i demoni hanno una cosiddetta "vera forma": il vero aspetto che tengono ben celato, poiché troppo spettacolare o troppo grottesco da mostrare. Crowley conosceva bene la sua, ma non l'aveva mai fatta uscire davvero, se non in parte.

Quella volta fu quasi troppo facile. Avanzò verso Raphael, lasciando il resto dell'universo indietro. Non contava più nulla, non esisteva più nulla se non la parte più demoniaca della sua anima che stava già pregustando il sangue del guaritore.

Si stagliò in mezzo alla Battaglia: una longilinea creatura dalle lucidissime squame nere e rossastre, stupenda quanto spaventosa. Le ali gli erano rimaste sulla schiena - o meglio, laddove prima c'erano le sue scapole - ma erano grandi, lucide, adatte all'enorme Bestia che era diventato. Una Bestia dagli occhi quasi fiammanti e dai denti affilati, l'enorme testa puntata verso la sua preda e le fauci spalancate.

Quasi godette nel vedere Raphael che, finalmente, lo fissava terrorizzato. La spada scivolò dalle mani dell'arcangelo, intanto che indietreggiava; della sua sicurezza di poco prima non era rimasto nulla.

Era da tanto che un angelo non si ritrovava davanti ad un demone in tutta la sua, per così dire, "magnificenza". Chiunque sarebbe rimasto sconvolto, e la festa era appena cominciata.


Nemmeno il dolore importava più. Crowley si preoccupò solo di lanciarsi contro il guaritore, pronto ad affondare le zanne nelle eteree carni di quel maledetto. Sfortunatamente per lui, il solo avvolgerlo nelle spire fu abbastanza da causargli un bruciore lancinante che portò entrambi a urlare - o ruggire, o qualsiasi cosa fosse il verso che gli era uscito dalla gola.

La Battaglia si ridusse a loro due: la serpe che tentava di stritolare l'arcangelo e l'arcangelo che cercava di sfuggire alla serpe. Entrambe le loro essenze presero a fumare e la pioggia, che fino ad allora era rimasta ben nascosta tra le nubi, prese a cadere senza sosta.

Alla fine, dopo un disperato dimenarsi, Raphael scivolò dalla presa del demone. Piombò a terra, gridando più per i suoi arti ustionati che per la botta.

Il suo avversario, però, non era certo pronto a lasciarlo in pace. Indietreggiò solo per dare uno sguardo alle sue squame distrutte, dopodiché emise un sibilo e scattò ad afferrare la gamba del guaritore con le fauci. Se si concentrava, poteva diventare velenoso, ne era certo. O magari no... Beh, ormai non aveva più tempo di pensarci. Strinse bene il morso attorno alla caviglia dell'altro, sentendone il sangue scorrere, colare e sfrigolare nella sua gola. Le grida di dolore del bastardo furono abbastanza da rendere il suo stesso dolore più sopportabile.

Lo trascinò verso destra, lasciando che quelle stupide ali graffiassero per bene il terreno rotto e duro. Un'ala aveva reciso e con le sue stesse ali avrebbe pagato.

    Raphael prese a calciarlo con la gamba buona, tremante, piangente, disperato. «Lasciami!» Gridava, «bestia schifosa, lasciami!»

Ma Crowley era deciso a tenerlo stretto fintanto che non fosse Caduto, o fintanto che non fosse morto. A fargli cambiare idea fu nuovamente quella legge che impediva loro di avere un contatto diretto prolungato, la stessa che avrebbe voluto distruggere, la stessa che gli impediva di toccare il suo angelo.

Si staccò perché il dolore era diventato troppo. Inarcò la testa infastidito dal non poter trucidare quel maledetto come avrebbe voluto. Era ancora lì, lo schifoso: si era raggomitolato a terra, una pallina fumante di piume e lacrime.

Doveva finirlo: se lo meritava. Meritava di sparire per sempre. Meritava di essere ucciso brutalmente da un demone dopo ciò che aveva fatto. Avrebbe fatto arrivare la sua ora, avrebbe-


    «Crowley!» Urlò una voce familiare. Era decisa, forte persino; rimbombava nell'aria come un tuono, arrivandogli alle ipotetiche orecchie con una leggera eco.

Fu abbastanza da fargli abbassare un po' lo sguardo. I suoi occhi incontrarono una luce, o meglio, una figurina circondata dalla più bella luce che avesse mai visto.

    Questa ansimava, il braccio destro teneva stretta una lama, la Fiamma che ora sfarfallava sotto le gocce di pioggia, e gliela puntava contro. Non era minacciosa, però, era preoccupata: due occhi azzurri carichi di apprensione lo fissavano, lacrimando. Aveva una sola ala, aperta e brillante; al posto dell'altra c'era una scura macchia dai riflessi dorati che dalle scapole si estendeva lungo tutto il braccio. «Ti prego, fermati» mormorò, dolorante.


    Il demone tornò alla sua forma solita quasi repentinamente. Ora che la sua testa aveva ripreso a funzionare, la luce che aveva davanti prese a fargli male agli occhi in modo tremendamente familiare. «Aziraphale?» Sussurrò, la voce roca e rotta.

Solo allora si rese conto di molte altre cose, una più importante dell'altra. Prima di tutto, era ustionato in più punti, e la pioggia si schiantava gelida su ognuno di essi. Più rivoli nerastri di sangue gli partivano dalla fronte, dal naso e dalla bocca, cadendo a terra in torbide chiazze scure. Attorno a loro si era formata una fitta, ma non troppo, capannella di angeli e demoni basiti come non mai, feriti ma incuranti delle loro auree rotte.

Ogni singolo occhio, persino quelli nascosti di alcuni angeli, era puntato su di loro. Loro, l'arcangelo ferito e il bambino dal respiro affannoso e lo sguardo terrorizzato alle spalle di Crowley.


Il mondo intero aveva smesso di girare.


~•°•~


Dog correva a perdifiato verso il Confine. Il mondo gli sfrecciava lungo i fianchi, riducendosi ad una confusa serie di colori ingrigiti dal tempo terribile che si era appena abbattuto su di loro.

Poteva sentire i suoi tre piccoli cavalieri stringersi tra loro e alle redini, lamentandosi della pioggia che sferzava loro sul viso. Si incitavano, di tanto in tanto, intimandosi a vicenda di tenere duro, che erano quasi arrivati e che sarebbe andato tutto bene.

Ma il mastino infernale sapeva meglio di loro che quella non era che l'ennesima tregua. Poteva sentire l'aura del suo padrone più forte che mai: una ribollente e piangente chiazza nera, intrisa di fuoco dell'Inferno, pronta ad esplodere.

Erano agli sgoccioli, presto sarebbe stata la Fine con la "f" maiuscola e lui non poteva far altro che continuare a correre veloce come mai prima di allora.


~•°•~


Gabriel e Michael si fiondarono dal loro collega a terra. Il primo si preoccupò di cingere le spalle di Raphael, tirandolo a sé e fissandolo con gli occhi lilla pieni di preoccupazione misto confusione riguardo a ciò che era accaduto.

    L'altro, invece - che di certo non si faceva spaventare da enormi bestie incazzose - era molto più irato che preoccupato. «Sei solo un mostro assassino!» Urlò, la lama e la sete di vendetta fermate solo dal luminoso angelo che lo separava da Crowley.

Per un attimo, la triade parve essere tornata alla sua antica solidarietà. Se non fosse stato per gli occhi persi e sbarrati del guaritore, perlomeno.


Il rosso li ignorò. L'unica cosa a cui stava prestando attenzione era il suo sguardo preferito, quello ceruleo che lo fissava sempre, impossibilitato a fare altro. Lo vide spegnersi, rendendo ora più visibile quel volto morbido e senza una ruga che ormai conosceva meglio di qualsiasi altra cosa.

    Aziraphale abbassò la spada, facendosela ricadere faticosamente al fianco e gli sorrise. «Eccoti qui» mormorò, prima di crollare pesantemente verso sinistra.

Con un sussulto, Crowley gli fu subito accanto, preso da una morsa di puro e ben riconoscibile panico. Le sue ginocchia sbatterono per terra dalla foga, e prese a chiedersi se fosse stata in parte colpa sua. Forse avrebbe dovuto muoversi ad aiutarlo prima che Raphael lo riducesse in quel modo: una pallida, sanguinante figurina dal volto corrugato dal dolore. Lo fissò intanto che si rigirava faticosamente, in modo che la sua scapola martoriata e spoglia fosse esposta alla pioggia e al freddo, piuttosto che al ruvido terreno. La sola vista dell'icore dorato gli fece venire la nausea.

    «Cazzo» fu l'unica cosa che riuscì a mormorare e ripetere all'infinito, intanto che non sapeva dove mettere le mani - non che potesse effettivamente poggiarle da qualche parte. Sentì le lacrime rigargli le guance, ma si costrinse a ricacciarle indietro.

Non sarebbe finita così, non sotto il suo sguardo.

    Aprì le doloranti ali corvine, usandone una per riparare entrambi dalla pioggia e una per dar loro almeno un minimo sindacale di privacy. «Ce ne andiamo» affermò duro, il tono crepato dal pianto e dalla paura.

    L'altro schiuse appena un occhio, guardandolo confuso. «Cosa?» Chiese solo, forse troppo inebetito dal dolore o forse per qualche altro motivo che il rosso decise di ignorare.

    «Ho detto che ce ne andiamo!» Urlò infatti. «Ricordi cos'ha detto Anathema? In caso di emergenza torniamo alla Zona. E questa è una cazzo di emergenza!»

Un po' del suo sangue nerastro andò ad infrangersi sul braccio di Aziraphale, portando l'angelo a scostarsi un po', seppur debolmente.

Imprecando, distrutto dal leggero sfrigolio che quell'unica goccia aveva causato, Crowley si passò nervosamente un braccio sulla faccia, imbrattandola all'inverosimile. Andiamo via, ripeté la sua mente, come se pensarlo fosse abbastanza da farlo succedere davvero. Ti prego, ti prego, andiamo via.

    Ma l'altro gli afferrò debolmente una manica, come ad intimargli di non muoversi. «Non possiamo» disse, il tono così basso e spento che il rosso quasi faticò a capirlo.

    «Certo che possiamo! È come- è come quello che mi hai detto sul tetto. "Se le cose vanno male, ce ne andiamo". Lo hai detto tu» ripeté. «Ricordi?»

    Ma Aziraphale scosse la testa, o almeno: ci provò, cercando di mostrare in qualche modo il suo dissenso. Con una lentezza disarmante, si portò la mano destra alla scapola, salvo farla ricadere a terra subito dopo, le dita macchiate di sangue. «I rivoli» mormorò, «i rivoli dorati.»


Per la prima volta da quando erano arrivati, Crowley si mise effettivamente ad osservare i dintorni con attenzione.

Il mondo si era ridotto ad una breve Grigia Battaglia, la quale ora era bloccata a fissarli, ferma negli sguardi increduli delle Armate. Grigia come le nuvole sopra le loro teste, grigia come i toni che coloravano il Confine.

L'Amore era un arcangelo sotto shock, ora tremante tra le braccia di Gabriel, protetto dalla lama lucida di Michael. Non era Caduto, ma il contatto con Crowley aveva effettivamente bruciato e a tratti annerito le sue ali. Il "male" della profezia non era quello nel cuore di Raphael, ma quello che aveva alimentato la vera forma del rosso.

La Luce Alata aveva sì preso in mano la sua Fiamma, ma l'aveva usata per difendersi dall'ira del suo superiore. E lui, la Bestia dell'Eden, era ora al suo fianco, mangiato dalla paura di perdere l'unico essere al quale avesse mai voluto bene - e che gliene voleva a sua volta.

L'Arma forgiata dal fuoco dell'Inferno era alle sue spalle sottoforma di un bambino che piangeva, non sapendo cosa fare. Presto, e si vedeva, quel pianto sarebbe esploso in una distruttiva disperazione. Ma ora come ora, era davvero spenta, in stallo, persa. Inerme.

Ma i rivoli dorati non stavano affondando un bel niente. Anzi, forse stavano solo trascinando Aziraphale verso la morte.

Difatti, quando Crowley tornò a guardarlo, vide i suoi occhi preferiti chiusi, serrati da un dolore che andava ben oltre quello che causava la Dicotomia: il dolore che si provava ad essere feriti da un tuo simile; qualcuno che avevi considerato un porto sicuro.


No, no, no, no.

    Il panico lo portò a fare la prima cosa che gli venne in mente. Poggiò velocemente una mano sulla guancia dell'angelo, portando sé stesso a interrompere il contatto per il bruciore e l'altro a svegliarsi con un sussulto e un lamento. «Non mi interessa cosa dice quella stupida profezia!» Esclamò, non appena riebbe la confusa attenzione della sua controparte. «Perchè cazzo devono essere proprio i tuoi rivoli?!»

    Aziraphale sbuffò, passandosi debolmente le dita sulla guancia. Poi sospirò, evidentemente non conoscendo una risposta adeguata a quella domanda. Si limitò a incatenare lo sguardo a quello di Crowley, facendo cadere un breve silenzio. Poi, con un sorriso amaro sul volto, disse: «Sai, mi piace quando facciamo così.»

    L'altro aggrottò le sopracciglia. «"Così" come?»

    «Quando parliamo con gli occhi, intendo.»

    Il rosso si fece scappare un leggero rantolo di disperazione misto esasperazione. «E se tu li chiudi, mi spieghi come faccio a parlarti?»

    In risposta gli arrivò una mezza risata e un colpo di tosse. Ormai, sotto il corpo dell'angelo si era formata una pozza dorata annaffiata dalla pioggia. «Temo dovrai trovare una soluzione, o non potrò più rivolgerti la parola.»


La testa di Crowley prese a girare, forse per le ferite, forse a causa della paura e dell'ansia. Si costrinse a pensare, portandosi una mano tra i capelli, stringendosi le ciocche in un disperato tentativo di tirare fuori qualcosa, una cosa qualsiasi.

    «Beh, non sembra che la collaborazione stia andando molto bene» lo graffiò la vocina di Belzebù. Se n'era rimasto zitto fino ad allora ed aveva deciso di prendere parola al momento meno opportuno.

Si voltò per scoccargli uno sguardo assassino. La sua aura oscura riprese sommessamente a gorgogliare, decisa a fare a Beel ciò a cui Raphael era scampato.

    Ma si trattenne. «Perchè l'Arma sta funzionando da Dio, invece» ringhiò, allungando un braccio verso Adam. Ovviamente, la sua espressione alzò più commenti sia indignati che divertiti.

Il minuto signore delle mosche gliene avrebbe dette volentieri quattro, ma fu bloccato da un rumore capace di andare un po' oltre lo scrosciare della pioggia.


Ne erano successe di cose assurde, fino a quel momento. Ma nessun membro delle Armate, nemmeno i due della profezia, si sarebbe immaginato un risvolto del genere.


~•°•~


Sin dall'inizio, Adam si era semplicemente lasciato guidare.

Non poteva farci molto: era dominato da un istinto, una spinta che lo trascinava nel bel mezzo della Battaglia. Le voci che gli dicevano di fare il mondo suo avevano prevalso per una buona fetta del tempo, fin troppo breve, che aveva impiegato per raggiungere il Confine.

Sapeva bene cosa fare. Avrebbe rotto la superficie della Terra, fatto arrabbiare il cielo, dato fuoco alle piume degli angeli, tutto come programmato. Sarebbe stato un lavoro semplice, magari anche veloce e dalla riuscita assicurata. Avrebbe fatto il volere di suo Padre e tutto ciò che risiedeva sul pianeta sarebbe stato in parte suo.

Così aveva preso il suo posto alla mercé della parte più oscura della sua essenza, una trance che si era improvvisamente rotta quando, tra l'Armata del Male e quella del Bene, era comparso qualcuno.

Allora tutto il suo essere era andato in confusione. Era una lotta continua tra le voci nella sua testa e la strana sensazione di aver già visto l'angelo luminoso che gli aveva intimato di stare fermo lì dov'era, così come di aver già incontrato l'essere dall'aura arrabbiata e le ali dorate, così come di conoscere le braccia affusolate del demone che poi lo avrebbe tenuto stretto.

Per un po', era riuscito a soffocare quella familiarità. Era bastato un attacco, una spada gettata sull'altra, e finalmente aveva iniziato a fare ciò per il quale era nato: distruggere.

Intanto che combatteva contro qualsiasi cosa stesse cercando di mettergli i bastoni tra le ruote, i suoi poteri si insinuavano nelle profondità del pianeta. Il terreno si rompeva, i terremoti si scatenavano e buttavano giù le strutture, i fulmini piombavano dal cielo, incendiando gli alberi. Intanto che le Armate cozzavano le une sulle altre, lui attaccava e sgretolava, contrattaccava e polverizzava.

Bastò un attimo, un solo secondo, una sola visione a bloccarlo di colpo.


L'arcangelo dalle ali dorate, lo stesso per il quale aveva provato una particolare ondata di odio all' inizio, aveva appena fatto un affondo perfetto. La sua affilatissima lama aveva staccato l'ala destra dell'angelo che aveva creduto di conoscere, facendo sgorgare la più sacra delle sostanze: il sangue dorato delle creature celesti.

Lì, l'Arma venne investita da un ricordo. Aveva già visto quei rivoli dorati il giorno in cui il suo destriero aveva combattuto contro il guaritore: brillavano in mezzo alle ustioni sul suo braccio. Aveva già visto quell'espressione di shock misto dolore il giorno in cui aveva ferito l'angelo della Zona per errore; lo stesso giorno in cui aveva trascinato il demone con i capelli rossi all'Inferno, lo stesso con il quale stava combattendo. Lo stesso che si eresse davanti ai suoi occhi, andando subito a scagliarsi contro l'arcangelo.

I suoni di quell'aggressione si ridussero a dei rimbombi che gli torturavano i timpani. Nonostante sia la bestia che il guaritore stessero soffrendo del contatto, la prima non lasciò andare la sua preda se non per urlare quanto dolore stesse provando. Era sbagliato, era male, ma continuava.

Voltò lo sguardo verso l'angelo ferito, il quale si stava faticosamente rimettendo in piedi. Lo conosceva davvero: Aziraphale era una creatura cordiale e molto, molto luminosa che gli era piaciuta sin dal primo momento. E Crowley normalmente non era così, anzi: aveva sempre un'espressione aggrottata, certo, ma c'era qualcosa dietro a quella maschera che gli aveva sempre ispirato fiducia.

Le cose non sarebbero dovute andare in quel modo, ma ormai era troppo tardi. Persino quando le acque si calmarono, poté sentire le voci nella sua testa litigare con la consapevolezza che non voleva, non voleva fare del male. Non voleva conquistare il mondo. Non voleva né bruciare auree, né rompere essenze, niente di tutto ciò.

Sentiva il fuoco dell'Inferno iniziare a mangiarselo. Presto, avrebbe perso e avrebbe fatto ciò che suo Padre voleva. Era questione di minuti ormai. Forse secondi.

Gli dispiacque così tanto. Aveva fatto involontariamente soffrire i due esseri ai quali si era affidato. Seppur involontariamente, era colpa sua. Sin dal giorno in cui era nato, tutti lì avevano avuto i giorni contati.


Poi accadde qualcosa di particolare, qualcosa di cui si era momentaneamente dimenticato.

Udì un galoppo familiare, zampe velocissime sul terreno, il guaito di un'aura che conosceva bene.

Dog oltrepassò tutti gli angeli e tutti i demoni sul suo cammino e, veloce come un fulmine, gli si avvicinò, gli afferrò il colletto coi denti e lo portò via. 

Più si allontanavano dal campo di battaglia, più la mente di Adam si faceva sgombra - seppur non del tutto silenziosa. Nello sballottamento generale, la testa mezza in subbuglio e la pioggia, riuscì persino a sentire dei versi di giubilo provenire dalla groppa del suo cane.

    «Lo abbiamo preso!» Esultò una voce.

    «E senza intoppi!» Ne seguì un'altra.

    «Guardate che potrebbe ancora incenerirci tutti!» Gridò un'ultima. «Dove andiamo adesso?»

    Alzando lo sguardo, l'Arma intravide i tre piccoli cavalieri battibeccare. Ma certo: li aveva incaricati di portarlo via se le cose si fossero messe troppo male. E infatti, eccoli lì: intervenuti al momento giusto. Per la prima volta dopo chissà quanto, sorrise. «Ciao, ragazzi» salutò, cercando di seguire l'andatura del suo - anzi, del loro - destriero.

    «Ciao, Adam!» Gli risposero i tre, in coro, smettendo per un attimo di discutere sulla prossima mossa.


Cavalcarono ancora, diretti verso un punto imprecisato del Confine. Durante quei lunghi minuti, il continuo discutere dei compagni di Adam si mescolò ad una strana e crescente sensazione che il ragazzino non riuscì a decifrare. Decise quindi di concentrarsi a sua volta sulla destinazione, dicendosi che forse sarebbero dovuti andare alla Zona, ma che forse era ancora troppo presto...

Nessuno dei quattro ebbe comunque tempo di prendere una decisione. Fu qualcun altro a farlo per loro.


L'ultimo "qualcuno" che Adam avrebbe voluto vedere.


~•°•~


Aziraphale non seppe che pensare. A dirla tutta, nessuno seppe che pensare.

Era accaduto così in fretta da lasciare le Armate di stucco. Belzebù aveva persino fatto cadere la sua frusta a terra per lo stupore.

Avrebbe giurato di aver visto Dog con i tre della Zona in groppa, ma vero era che la testa gli girava davvero tanto, il dolore se lo stava mangiando e faticava a tenere gli occhi aperti. Perciò, quasi sicuramente, si stava immaginando tutto.


Fece ricadere la testa al suolo. L'aveva alzata nel tentativo di mettere la scena a fuoco, ma non ce la faceva semplicemente più.

Era stanco; laddove prima c'era la sua ala, ora c'era solo dolore. Un dolore lancinante.

Sentì delle voci confuse, qualche lamento, ma stavano scivolando via, sparendo come neve al sole.

    Un bruciore alla guancia lo riportò brutalmente alla realtà. «Non pensarci neanche, angelo» ringhiò Crowley, afferrandolo per il bavero della camicia. «Non ti azzardare a lasciarmi solo in mezzo al casino.»

Oh, povero Crowley. Aveva il volto macchiato dello stesso sangue che ancora gli colava lentamente sul volto. Aveva la pelle ustionata, le lacrime agli occhi e la sua stretta tremava, instabile, ansiosa, sempre più debole. Avrebbe voluto aiutarlo, ma non sapeva come.

Doveva succedere qualcosa, adesso? Avrebbero dovuto fare qualcosa loro e, semplicemente, gli stava sfuggendo?

Una violenta scrollata gli fece riaprire gli occhi. Non si era nemmeno accorto di averli chiusi.

    L'altro lo stava praticamente scuotendo. «Aziraphale, ti prego!» Singhiozzava. «Non so cosa fare!»

    Avrebbe voluto fuggire. Forse avrebbero dovuto? L'angelo ne aveva idea. Nemmeno lui sapeva cosa fare, adesso. Si limitò a puntare gli occhi in quelli dell'altro, lo sguardo affranto. Lo ammise, la voce flebile: «Non lo so.»

Si sentiva osservato, ma probabilmente lo era davvero. Non era una scena da tutti i giorni, quella: un angelo e un demone che si fissavano disperati, così vicini da quasi toccarsi. Chiunque avrebbe voluto capire cosa sarebbe successo, adesso. Sempre che fosse effettivamente accaduto qualcosa.


Crowley vacillò, ma non lo mollò mai. Aveva paura, gli occhi gli si erano ridotti a due pozze dorate, tagliate da una linea sottile. Erano bellissimi, Aziraphale si accorse di averlo sempre pensato. Forse avrebbe dovuto dirglielo, ma non riusciva nemmeno più a parlare.

Allora era così che sarebbe finita. Non avrebbe mai capito il perché di certi pensieri, né avrebbe visto quel rapporto così particolare crescere. 

Provò a sorridere. Era l'unica cosa che poteva fare: gettare un piccolo, minuscolo bagliore in mezzo a quel grigiore terribile.

Fu allora che il rosso lo mollò di colpo.

Ma fu solo un secondo.


Lo riprese al volo, cingendogli le spalle in uno strettissimo abbraccio.


Aziraphale sussultò e il respiro gli si mozzò in gola, metaforicamente ma dolorosamente. Sbarrò gli occhi intanto che un bruciore si espandeva lungo tutta l'aura, incendiandogli l'essenza, pizzicandogli le membra. Prese a tremare e a piangere; faceva così male da cancellargli i pensieri e limitargli i movimenti. Era una serie di lancinanti esplosioni di pizzichi e spasmi che non lasciavano scampo.

Tutti attorno a loro fecero più passi indietro, schifati, stupiti, scioccati.

Dalla stretta partì del fumo, intanto che i loro corpi fisici ed eterei si consumavano ogni secondo di più. Il contatto li avrebbe eliminati nello stesso momento, lentamente ma inesorabilmente.

Eppure, Crowley non si mosse se non per stringerlo ancora più forte. Ancora più disperatamente.

Non lo avrebbe lasciato mai, l'angelo se ne rese conto. Così come si rese subito conto di un'altra cosa: nemmeno lui voleva lasciarlo.

Così, tremante, trafitto da un dolore che non avrebbe mai trovato le parole per descrivere, ricambiò la stretta. Circondò quelle belle ali corvine, consumandole così come loro presero a consumargli le braccia. Affondò il naso in quei lunghi e umidi capelli rossi, e lasciò che la pioggia scrosciasse loro addosso.


Se avesse potuto volgere lo sguardo, avrebbe visto Raphael riprendersi lentamente e fissarlo, stralunato.

    Probabilmente, lo avrebbe sentito mormorare un flebile: «Non è possibile...» carico di genuino stupore.


Ma né lui né Crowley videro o sentirono niente. Si occuparono solo di tenersi stretti, incuranti del mondo. Incuranti della dicotomia che li stava uccidendo.

Nessuno avrebbe saputo dire chi cedette per primo. Nessuno, in realtà, fece in tempo a vederlo.

Era accaduto qualcosa durante quell'abbraccio. Aveva iniziato ad echeggiare una strana e crescente aria di cambiamento, la stessa che Adam aveva percepito ma alla quale non era riuscito a prestare attenzione, sopraffatto dal resto.


L'equilibrio del mondo si era rotto, spezzato da un gesto. Due creature strette l'una all'altra erano sparite di colpo dal campo di Battaglia.

Tre bambini, un segugio infernale e l'essere ancor più infernale che reggeva con le fauci si erano invece ritrovati davanti ad un essere mostruoso che aveva spaccato il terreno davanti a loro, emergendone come uno zombie.

Era mastodontico, spaventoso, aveva due ali che avrebbero potuto fare tutto tranne che aiutarlo a volare, tanto erano bruciate.

Adam percepì forte un senso di paura e oppressione.


Davanti a lui c'era suo Padre.

   
 
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