Storie originali > Fantasy
Segui la storia  |       
Autore: Orso Scrive    18/09/2023    1 recensioni
Dopo secoli di lotte, gli eserciti di Atlantide e di Iperborea si sono schierati uno di fronte all'altro nella Piana di Vigrior. Tutti hanno risposto all'appello e sono corsi all'ultima battaglia. La battaglia che cambierà per sempre le sorti del mondo.
Ma Dana, sacerdotessa del dio Beli, è intenzionata a sfuggire al fato racchiuso nei libri sacri e a portare in salvo il suo popolo...
Genere: Fantasy, Guerra, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

3.

 

 

Il clamore e il clangore esplosero come un tuono. Un suono che crebbe d’intensità fino a tramutarsi in un ruggito assordante.

Le urla si sovrapposero al suono delle trombe, dei corni, dei tamburi e degli altri strumenti, ormai capaci soltanto di intonare una spaventosa e cadenzata sinfonia di morte. Le spade batterono contro gli scudi, metallo contro legno, pietra contro pietra.

I fischi e i ringhi di ogni creatura si frammischiarono ai sibili dei vimana, le urla degli uomini e delle donne parvero lacerare i petti mentre gareggiavano in impeto con i versi delle più incredibili creature.

Ogni suono si fuse insieme, in una cacofonia assordante, in un boato terribile. Dalla pianura di Vigrior fino al cielo persino l’aria tremò, scossa da quel frastuono crescente e incalzante.

Tutto cantò una canzone che non aveva più nulla dell’armonia che era stata modulata all’inizio dei tempi e da cui era scaturito il fuoco dolce della Creazione Prima. Questo era il canto osceno della Distruzione Ultima.

Come spinti all’unisono da una gigantesca mano invisibile, gli eserciti si mossero l’uno contro l’altro. Reparti ben schierati contro accozzaglie di truppe, armi di ogni genere contro strumenti improvvisati, armature contro corpi nudi. Marce ordinate e cadenzate in opposizione ad avanzate disorganizzate e imprevedibili. Ordine e disordine che si unirono, si mischiarono, si sovrapposero fino a confondersi. I due schieramenti impattarono, si fusero insieme in un’unica massa. Sembrarono ondeggiare, avanti e indietro, come una distesa di carne e di metallo compatta e ormai inseparabile.

E venne il furore più indicibile.

Lo scontro.

Quando i due schieramenti furono a contatto l’uno contro l’altro, il mondo intero parve rumoreggiare e vibrare, sgretolandosi nella follia crescente della furia implacabile.

Grida dolorose, urla di rabbia, incitazioni, scherni, invocazioni. Tutto si fece rosso di sangue, la lordura delle frattaglie rese viscido il terreno. Ogni genere di essere vivente correva, incespicava e crollava ferito a morte sui resti dei suoi simili o di creature mai vedute prima e nemmeno immaginate. Morti e feriti, calpestati sotto un peso immane, lacerarono la terra e vi vennero conficcati all’interno, in profondità.

Le fiamme si sprigionarono ovunque. L’odore acre del fumo e dei corpi in fiamme – esseri ancora vivi che si contorcevano nel fuoco implacabile insieme a defunti che venivano cremati prima ancora di essersi resi conto di aver esalato l’ultimo respiro – si sommò all’odore di quella massa di corpi avvinti da un unico destino distruttivo.

Le frecce e le lance tinsero di nero il cielo, recando oscuri messaggi di morte. Le creature alate si buttarono l’una contro l’altra, mordendo, artigliando, squarciando. Ovunque erano teste mozzate, arti strappati, corpi squartati e budella eviscerate. I vimana, planando rapidissimi, sparsero il loro carico di morte, compiendo stragi immani. Alcuni di essi, colpiti dalle pietre e dal fuoco scagliato da draghi e giganti, o intercettati da altri velivoli volanti, esplosero in un tripudio di fiamme colorate, lasciando cadere sui contendenti pezzi di metallo incandescenti che portarono la medesima distruzione di quando erano ancora intatti.

Si combatteva senza più pensare ad altro che a questo. Si distinguevano a malapena gli amici dai nemici: semplicemente, ci si gettava a capofitto contro chi arrivava dal capo opposto della piana. Non si guardava più il viso di chi si aveva di fronte, non si cercava di scorgerne i lineamenti, né ci si domandava quali pensieri attraversassero quella miriadi di menti: si uccideva.

Si uccideva. Si uccideva. O si era uccisi.

Soltanto questo.

 

* * *

 

Le Amazzoni caricarono.

Dai loro petti, si levò altissimo il loro grido di guerra. Un urlo che si era tramandato attraverso le generazioni e che in mille occasioni diverse aveva fatto accapponare la pelle al nemico. L’invocazione alla loro dea protettrice, perché le vegliasse e conducesse la sciagura su chiunque avesse osato frapporsi in armi davanti a loro.

«Seleneeeee!» con l’ultima vocale si prolungava oltre misura, fino a tramutarsi in una stridula e acuta modulazione.

«Eeeeeeehhh!»

I loro cavalli, spronati al galoppo, si lasciarono alle spalle la fanteria, lanciata in folle corsa con le lance pronte a essere scagliate. Le bestie abituate alla guerra nitrirono, gli zoccoli calcarono il terreno, le groppe si inarcarono. Ma il grido delle donne guerriere coprì ogni altro suono, mentre si incitavano e si davano coraggio le une con le altre, pronte ad affrontare la mischia. Stavano ritte in sella, vibranti di forza e di energia, fiere e possenti, i corpi scuri e sudati tesi nello spasimo della folle e sanguinosa zuffa ormai imminente.

I mostruosi aracnidi erano schierati di fronte a loro. A un urlo del loro comandante – un gigantesco ragno che un tempo doveva essere stato di un nero lucente, ma che i secoli che gli gravavano addosso avevano reso quasi del tutto bianco – le bestie si slanciarono verso le donne, facendo rimbombare il terreno sotto i colpi delle loro zampe ispide di peli neri, riempiendo l’aria con gli schiocchi delle loro tenaglie. Le Amazzoni non si lasciarono spaventare.

«Tirate!» strepitò Pentesilea, lanciata in testa al gruppo.

Il cielo sopra di lei per un momento parve oscurarsi. Migliaia di frecce scoccate dagli archi delle guerriere sibilarono e gemettero, prima di andare a conficcarsi nei corpi orribili delle mostruose creature. Le donne continuarono a cavalcare, urlando e lanciando frecce, mentre i ragni schiumavano e sbavavano veleno, senza smettere di correre in avanti nonostante le profonde ferite.

All’improvviso, lo schieramento delle Amazzoni si aprì in due parti distinte. Anziché scontrarsi in modo diretto con il gruppo disordinato dei ragni e degli scorpioni, le donne e i loro cavalli lo aggirarono sui due lati e si richiusero a tenaglia, colpendolo ai fianchi. Di fronte, nel campo aperto, restò la fanteria delle Amazzoni, che subito scagliò le lance, prima di mettere mano alle spade e correre in avanti verso i mostri che si dibattevano in preda alle ferite più lancinanti.

«E ora sterminiamoli!» gridò Pentesilea, che comandava l’ala di destra.

Le guerriere a cavallo si fecero sotto, impavide. I ragni reagirono in modo spaventoso. Dalle fauci lasciarono partire tele vischiose, imprigionando molte delle Amazzoni. Le donne agitarono le spade, cercando di liberarsi da quell’impedimento. Alcune di loro ci riuscirono, potendo così spronare i cavalli, allontanarsi per ricompattarsi e ripartire all’attacco. Altre, disarcionate, vennero trascinate sul terreno come fantocci, prima di essere imprigionate tra le zampacce dei ragni ed essere sbranate ancora vive dalle fauci grondanti veleno.

Il sapore del sangue rese più baldanzosi gli aracnidi giganti. I mostri, riavutisi dal primo scontro, tornarono a slanciarsi in avanti, lanciando ragnatele, mulinando le code velenose e schioccando le tenaglie. Ma la vista delle loro compagne fatte a pezzi e il suono spaventoso delle loro urla strazianti riempì di ancora più furioso coraggio le Amazzoni.

A loro volta contrattaccarono.

Urla e strepiti, nitriti e ringhi sordi si sommarono quando i due schieramenti si incontrarono di nuovo. I cavalli vennero abbattuti, le zampe dei mostri mutilate, le guerriere trafitte e le code degli scorpioni strappate di netto dal resto del corpo.

Mentre la cavalleria sopportava a stento quel nuovo urto, la fanteria si fece avanti. Molte Amazzoni avevano recuperato le lance, altre saettavano una freccia dopo l’altra. Chi tra di loro non aveva più la lancia o l’arco, mulinava la spada con estrema maestria, conficcandola nei grossi corpaccioni neri e ripugnanti.

Molte donne, gravemente ferite, crollarono al suolo. Parecchie di loro restarono avvelenate dalla schiuma dei loro nemici, altre finirono accecate, altre ancora parvero corrodersi del tutto fino a ridursi ad ammassi informi di carne putrida. Ma quelle che riuscirono a resistere, a restare in piedi e a non perdere le armi, continuarono ad attaccare.

Incalzati al centro dalla fanteria e ai lati dalla cavalleria, gli aracnidi finirono con il dover indietreggiare. Molti di loro, nel tentativo di ritirarsi più lontano, finirono col travolgere i loro stessi compagni che avevano alle spalle. Fu un intrecciarsi di corpi spessi e neri che si ammucchiarono, si impigliarono gli uni negli altri, si ferirono a vicenda. A nulla valsero gli incitamenti del loro comandante, che a sua volta finì travolta, schiacciato e ucciso dai suoi stessi sottoposti. Le Amazzoni ne approfittarono per intensificare l’attacco.

Lanciando nuove e acute urla, le donne guerriere si buttarono a capofitto nella mischia, fino a quando i ragni e gli scorpioni, ormai decimati, ridotti a un manipolo debole e insicuro, fuggirono lontano, abbandonando il campo di battaglia.

Aggrappandosi alla briglia con la mano sinistra, Pentesilea sollevò alta la spada, per richiamare su di sé l’attenzione.

Il dolore la invase, quando vide quante delle sue impavide guerriere avevano perduto la vita o erano rimaste gravemente ferite in quello scontro. Una vera carneficina. E non era che l’inizio, lo sapeva. Prima che si determinasse un vinto o un vincitore, molte altre di loro avrebbero dovuto morire o crollare mutilate.

Ma non era il momento di pensare a questo. Era il momento di combattere. Soltanto di combattere. Erano convenute lì per quel motivo, per vendicare la terra perduta, la regina uccisa, le sorella massacrate. Atlantide avrebbe pagato caro quell’antico tradimento. E anche se questo avesse significato morire tutte quante, una dopo l’altra, non avrebbero smesso di combattere mai.

«Riunitevi e ricompattatevi, figlie della dea Selene!» urlò la regina. «Pronte e svelte! Non è finita! Ci attendono lunghe ore di sangue e di morte!»

A risponderle fu il ruggito di battaglia delle sue intrepide guerriere.

«Per Selene!»

 

 
   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: Orso Scrive