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Autore: Nadine_Rose    20/09/2023    1 recensioni
Sarah ed Hermann sono rispettivamente due tra le tante vittime e i tanti carnefici nell’ora più buia della storia dell’umanità. Il campo di Fossoli, anticamera dell’inferno nazista, sarà la loro comune e perenne prigione d’amore malato.
Matteo, un giovane pescatore, sarà colui che proverà a sciogliere il cuore di Sarah dalle catene del tenente Hermann, nello speranzoso e disperato scenario del dopoguerra napoletano.
[Capitolo 65: Un amore a Fossoli]
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Genere: Drammatico, Sentimentale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Olocausto, Dopoguerra
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Capitolo 63

 

La pellicola dei ricordi

 

Seconda parte

 

- “Ma l’amore no” -

 

“Lontano, qualcuno canta. Lontano.

La mia anima non si rassegna d’averla persa.

Come per avvicinarla, il mio sguardo la cerca.

Il mio cuore la cerca, e lei non è con me.”

Pablo Neruda


Capitolo-63

 

Chiesa di Santa Maria del Rosario di Pompei, Roma

 

Ritrasse la mano Hermann, colto da una fulminea sensazione di vergogna legata al senso di colpa. La sua mano stringeva quella di una vittima, resa da lui tale, essendo corresponsabile nei crimini del regime nazista contro il popolo ebraico ch’ella, adesso, simbolicamente rappresentava in toto e nel trasferimento della figlia ad Auschwitz, fatale per una ragazzina così piccola.

Se solo la donna avesse saputo la verità su colui che aveva innanzi, non gli avrebbe parlato con modi affabili e voce vibrante di empatica apprensione.

“Circa un annetto fa Sarah ha fatto pervenire una lettera al parroco, nel caso la sua famiglia e suo fratello fossero ritornati. Si è trasferita a Napoli, in una città che si chiama… Mmh”, s’interruppe, portando un dito sotto il mento per sforzarsi di ricordare, “il nome ha a che fare con il mare.” 

Le palpebre strette a focalizzare vanamente il ricordo non esularono lo sguardo della donna dall’incontro con due occhi spalancati, rugiadosi d’improvvisa delusione ch’ella credé esser soltanto paura di non riuscire a ricongiungersi con la persona cara.

La stanchezza del viaggio, la frustrazione per il mancato ricongiungimento con Sarah tolsero lucidità alla mente e fu incapace Hermann di riflettere che il parroco avrebbe saputo dirgli con esattezza dove lei fosse, come infatti lo rassicurò la donna.

Ella tolse il dito da sotto al mento con movenza ed espressione quasi di chi vien colto da un’illuminazione per proferire l’ovvia verità: “Don Carmine ha la lettera e vi dirà precisamente dove si trova adesso Sarah. Vado a chiamarlo.”

Le ultime parole pronunciate su un celere passo ed egli fu subito solo in un silenzio interiore di vuoto che gli provocò inquietudine.

Era paura di ritrovarsi a fare i conti con il proprio passato senza poter porre rimedio al corso degli eventi ed ecco che gli ritornava alla mente l’immagine di sé innanzi all’anziano sacerdote che parroco fu di quella chiesa e che invano presso di lui intercedé per la salvezza dei bambini, supplicandolo infine, almeno, di non separarlo da loro. E fra essi c’era Agnese la cui madre, ignara della sua vera identità, adesso, correva per aiutarlo.

Il senso di colpa per le crudeltà un tempo inferte, la vergogna per le menzogne or ora proferite, per di più avvalendosi del buon nome di Sarah, lo attanagliavano alle viscere in una morsa bruciante, ma sapeva che cedervi avrebbe significato farsi scoprire e mai più ricongiungersi a lei.

Si lasciò distrarre dalla vibrazione di una nota stonata e rivolse nuovamente lo sguardo indietro verso la cantoria e al tempo passato e fu forse per evasione dalle angustie presenti che ad esso erano legate che riuscì ad afferrare il ricordo che stava cercando.

 

Campo di Fossoli, giugno 1944

 

Indugiando sull’uscio della propria stanza ch’ella era indaffarata a rassettare, gli piaceva osservarla di soppiatto per cogliere le espressioni del suo viso. D’abitudine, labbra serrate e cipiglio di concentrazione accompagnavano le movenze fluide di corpo fasciato da un colore che proprio non le donava, ma stavolta aveva svestito la divisa da cameriera per indossare un abito floreale con merletti ricamati da lui regalatole.

Seppur visibilmente segnato dalla stanchezza, il viso le si era disteso in un’espressione serena e la bocca dischiusa nel canto, mentre passava il panno imbevuto di acqua e aceto sul comò.

“Ma l’amore, no, l’amore mio non può disperdersi nel vento con le rose, tanto è forte che non cederà, non sfiorirà.” Ella cantava con voce flebile e piacevole all’ascolto e fissò per un attimo la rosa essiccata, dopo ch’ebbe rimesso il vasetto al suo posto. “Io lo veglierò, io lo difenderò da tutte quelle insidie velenose che vorrebbero strapparlo al cuor, povero amor.”

Ripose gli altri oggetti sul comò, poi tornò alla rosa, toccandone con un dito lo stelo che le era parso forse in procinto di staccarsi e un sorriso di tenerezza gli nacque dentro, prima di tremare sulle labbra.

In lui, si ridestò la voglia di giocare, ma non seppe manifestarla se non con uno scherzo di cattivo gusto e, ostentando un tono di comando – ovvero, il proprio –, le gridò: “Stillgestanden!”[1]

Sarah sobbalzò e, seppur lo avesse riconosciuto incrociandone lo sguardo gioviale, irrigiditasi, quasi non eseguì l’ordine fintamente impartitole, per poi giungere le mani al petto ed esalare il suo nome in un muto sospiro di sollievo. E fu come richiamo che lo attirò a lei.

Le circondò le spalle con un braccio e la strinse a sé, nascondendo in una risatina l’incapacità di chiedere scusa. Ed era più lui a sentir il desiderio di confortarla che Sarah ad aver bisogno di conforto in tale circostanza.

“Hai una bella voce”, ruppe il silenzio, senza metterci troppa enfasi, ma suscitando un reciproco sguardo d’intesa, “canti bene. Dove hai imparato?”

Un’ombra di tristezza le attraversò il viso, eppure non si spense il suo lieve sorriso, mentre gli diceva: “Sin da bambina, ho cantato nel coro della mia parrocchia, finché non sono diventata apolide. Ho imparato lì.”

Nel gesto di una carezza, le spostò una ciocca ribelle dietro l’orecchio ed ella accolse, ricambiandolo, il suo sorriso come dono di conforto.

Aveva sorriso Hermann, immaginandola nella cantoria, con il velo bianco a coprirle la testa e gli spartiti musicali tra le mani, come avvolta da un’aura di angelico candore, poi la voce della madre di Agnese lo riportò alla realtà presente.

 

“Signor Bonanni”, ripeté la donna ed egli trasalì, strappato al ricordo e alla visione di Sarah, immemore del suo nuovo nome. “Don Carmine vi aspetta in canonica.”

 

“Di noi resteranno soltanto ricordi confusi,

pezzi di vetro.

Mi spegni le luci, se solo tieni gli occhi chiusi.

Mi rendi cieco.

Ti penso con me per rialzarmi,

’sto silenzio potrebbe ammazzarmi.”

 

Lazza, Cenere

 

 

 



[1]“Sugli attenti!”

   
 
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