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Autore: Star_Rover    23/09/2023    6 recensioni
Jari e Verner sono uniti fin dall’infanzia da un legame che nel tempo è diventato sempre più intenso e profondo. Nell’inverno del 1915 però i cambiamenti sociali e politici che sconvolgono la Finlandia finiscono per coinvolgerli, così i ragazzi sono costretti a separarsi per seguire strade diverse.
Nel 1918 i destini dei due giovani tornano a incrociarsi sullo sfondo di una sanguinosa guerra civile.
Genere: Drammatico, Guerra, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza | Contesto: Il Novecento, Guerre mondiali
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XXVII. Sulle montagne
 

Aleks riemerse in superficie ansimando per lo sforzo e tremando dal freddo. Il suo corpo era congelato, completamente ricoperto di neve. A fatica riuscì ad aprire gli occhi, il vento era insopportabile, così forte da ferirgli il viso.
Dopo qualche tentativo riuscì a rialzarsi in piedi. Mosse pochi passi sulle gambe tremanti prima di cadere nuovamente a terra. Sentiva che le forze lo stavano abbandonando, ma non poteva arrendersi, doveva continuare a muoversi. Il cielo era tornato grigio, presto si sarebbe alzata la bufera.
Aleks si poggiò al tronco di un albero per riprendere fiato, ancora stentava a credere di essere sopravvissuto alla caduta. Nonostante il dolore, era ancora tutto intero.
Il suo unico pensiero era proseguire il suo cammino verso il confine, ma doveva ammettere la triste verità, non aveva la minima idea di dove si trovasse. Forse stava proseguendo nella direzione sbagliata, non aveva alcun punto di riferimento, era perso nella nebbia.
Avrebbe dovuto trovare un riparo al più presto, oppure sarebbe morto assiderato.
Il giovane si guardò intorno, il silenzio era surreale. Poteva affidarsi solo al suo istinto.
Stava per riprendere il cammino quando ad un tratto notò qualcosa nella neve. Aleks sussultò, riconobbe i bottoni d’ottone brillare nel candore.
Il giovane esitò, il suo primo pensiero fu quello di allontanarsi al più presto, ma la sua coscienza gli impedì di abbandonare volontariamente un altro essere umano, condannandolo a morte certa.  
Aleks si avvicinò, incurante del freddo ricominciò a scavare nella neve, non si fermò nemmeno quando le sue mani iniziarono a sanguinare. Finalmente riuscì a riportare alla luce il corpo del tenente Smirnov.
Nel vederlo in quello stato, irrigidito dal gelo e pallido come un cadavere, Aleks temette che ormai fosse troppo tardi. Provò sincero sollievo nel percepire un flebile battito e un respiro quasi impercettibile. Era ancora vivo, seppur privo di sensi.
Doveva però essere obiettivo, nessuno dei due aveva molte speranze di sopravvivere alla notte. Rimanevano ancora poche ore di luce, i primi fiocchi di neve avevano iniziato a cadere al suolo, volteggiando nel vento tra gli aghi delle conifere.
 
Aleks trascinò il tenente inerme finché non si ritrovò privo di forze. La foresta stava per essere inghiottita dall’oscurità, la nevicata diveniva sempre più intensa.
Il giovane osservò il suo connazionale, la valanga non era stata affatto clemente con lui. Il suo corpo era cosparso di lividi e feriti sanguinanti. Aveva fatto del suo meglio per medicare le ferite, aveva persino strappato la sua camicia per evitare che quell’uomo morisse dissanguato. Non sapeva perché stesse rischiando tanto per salvare la vita di un ufficiale zarista. Avrebbe dovuto pensare alla sua famiglia, ma forse era proprio per questo che non aveva il coraggio di comportarsi come un vigliacco egoista.
Il pensiero di suo figlio riuscì a donargli un po’ di calore, trovò così abbastanza energie per riprendere il tenente sulle spalle e proseguire il suo percorso sulla riva del fiume ghiacciato.
 
Dopo aver vissuto per anni come un fuggitivo, Aleks poteva fare affidamento sul suo istinto di sopravvivenza. Non poteva sapere se fosse stata la sua esperienza, oppure un vero e proprio miracolo a condurlo verso un riparo, ma ciò non aveva molta importanza. Riusciva a scorgere il sentiero battuto e nella foschia poteva intravedere il tetto in legno di un capanno disabitato.
Restava però un ultimo ostacolo, doveva attraversare il fiume ghiacciato. Poiché il vecchio ponte era crollato, l’unico modo per raggiungere la sponda opposta era camminare sul ghiaccio. 
Aleks non si lasciò intimorire dall’ennesima sfida. Era certo che la lastra sottile non avrebbe retto il suo peso e quello del tenente, ma non aveva altre possibilità.
Lo strato di neve fresca nascondeva la superficie, offrendo attrito per evitare di scivolare sul ghiaccio.
Aleks si muoveva lentamente, posizionando cautamente un piede davanti all’altro. Le gambe tremavano dalla stanchezza, il corpo del tenente sulle sue spalle diventava sempre più pesante.
Stringendo i denti riuscì a resistere fino a metà strada, proprio quando cominciò a pensare di poter raggiungere incolume l’altra sponda, avvertì il ghiaccio rompersi sotto ai suoi piedi.
Aleks sprofondò nell’acqua gelida, ma anche mentre il suo corpo tremava dal freddo e lottava contro la corrente, la sua unica preoccupazione fu tenere stretto a sé Smirnov.
Ormai stremato, Aleks si accasciò sul terreno ghiacciato. Gli abiti bagnati contribuirono a congelare ancor più le sue membra. Non poteva restare fermo, doveva trovare la forza di alzarsi e trasportare il suo compagno al riparo. Aleks tentò di mantenere la concentrazione, ma pian piano i pensieri divennero confusi. L’unica immagine ancora fissa nella sua mente era il tenente Smirnov, che lentamente abbassava l’arma puntata alla sua testa.
 
***

Smirnov riprese conoscenza avvertendo il tepore del fuoco. Nella penombra non riuscì a vedere nulla. Avvertì la testa pesante, ogni parte del suo corpo doleva, come se fosse stato trafitto da decine di coltellate.
A fatica tentò di sollevarsi, ancora confuso avvertì una presenza nella stanza.
«Che…che cosa è successo?»
«Se non ricordi nulla devi aver sbattuto la testa davvero molto forte»
Nonostante la vista offuscata, il tenente riconobbe il profilo di Aleks. La sua reazione fu fredda e distaccata.
«Sei l’ultima persona che mi sarei aspettato di vedere»
«Anche io preferirei ben altra compagnia, ma dobbiamo accontentarci. Con questo devo dedurre che ti è tornata la memoria»
«Ricordo la valanga…e poi più nulla»
«È già qualcosa. Sei rimasto incosciente per molte ore»
L’ufficiale si guardò intorno con aria spaesata.
«Dove siamo?»
«Nel rifugio di un cacciatore di renne, purtroppo per me, ma per fortuna per te, ancora in territorio finlandese»
«Sei stato tu a portarmi qui?»
Egli annuì.
Smirnov rivolse al suo salvatore uno sguardo perplesso, avrebbe voluto dire qualcosa, ma una fitta di dolore lo distolse dal suo intento.
Aleks sostenne il ferito, aiutandolo a distendersi sul suo giaciglio.
«Cerca di riposare adesso. Hai bisogno di riprendere le forze. Avremo modo di chiarire la questione tra noi in un altro momento»
Smirnov era troppo debole per ribattere, ma con ostinazione trattenne un lamento di dolore per biascicare una risposta.
«Noi non abbiamo nulla da chiarire»
 
Aleks rifletté a lungo sulle parole del tenente. Non si aspettava grandi cambiamenti nel loro rapporto, ma avrebbe gradito almeno un minimo di riconoscenza per aver salvato la vita a quell’uomo. Inoltre non comprendeva l’ostilità di Smirnov, anche in quelle condizioni ai suoi occhi restava soltanto un criminale.
Aleks tentò di non dare troppa importanza alla questione, in quel momento aveva ben altro di cui preoccuparsi.
Fu grato al previdente cacciatore che aveva lasciato una cospicua scorta di cibo e legna nel suo rifugio. Almeno per qualche giorno i due dispersi non sarebbero morti di fame o di freddo.
Quella però era solo una sistemazione provvisoria. La bufera non era intenzionata a placarsi, in quelle condizioni non avrebbero potuto resistere a lungo in quel rifugio.
Aleks aveva tentato di ricostruire i loro spostamenti. La valanga doveva averli trascinati lungo versante est della montagna, ciò significava che il confine non doveva essere lontano. Sarebbe stato sufficiente seguire il sentiero nella foresta per ritrovarsi in madrepatria.
Il giovane si commosse al solo pensiero. La realtà però tornò a schiacciarlo come un macigno.
Era così vicino a casa, la sofferenza per un possibile fallimento era ancora più difficile da sopportare.
 
Dopo cena Smirnov si sentì abbastanza in forze per sedersi accanto al camino. I due restarono a lungo in silenzio, fu l’ufficiale il primo a parlare.
«Perché l’hai fatto?»
«Cosa?» chiese Aleks ingenuamente.
«Per quale motivo mi hai salvato?»
L’altro rispose in piena sincerità.
«Tu non mi hai sparato quando avresti potuto»
«Avevo l’ordine di arrestarti, non di ucciderti»
Aleks reagì con una smorfia: «per molti non avrebbe fatto differenza»
«Se la tempesta non si placherà moriremo comunque…»
«Non pensavo che i soldati imperiali si arrendessero tanto facilmente»
Smirnov non rispose, restando con il suo sguardo vacuo e il volto apatico.
«Che ti prende? Quando mi stavi puntando la pistola alla tempia sembravi molto più deciso»
«Quello che hai detto è vero. L’Impero non esiste più, dunque…io non ho più nulla per cui combattere»
«In questo momento dobbiamo lottare per sopravvivere»
Smirnov lo guardò negli occhi mostrando inaspettato rancore.
«Avresti dovuto lasciarmi nella foresta, almeno sarei morto compiendo il mio dovere»
 
***

Il tenente Antti Eskola si poggiò al recinto di legno per osservare meglio Jänis che si stava prendendo cura del suo cavallo. Il giovane era un bravo scudiero, da buon ragazzo di campagna aveva un rapporto particolare con quegli animali.
«Signore. È arrivato un messaggio da parte del capitano Kalm»
Eskola si voltò per ascoltare le notizie del sottotenente Grön.
«Il nemico ha occupato Ruovesi, ciò significa che…»
«Dovremo essere pronti a respingere un attacco»  
Il suo sottoposto si limitò ad annuire.
«Può dire agli uomini di iniziare a rafforzare le barricate»
Egli annuì, lasciando però trasparire il suo rammarico.
«Cosa pensa di fare con il ragazzino?» domandò poi rivolgendo lo sguardo a Hjalmar.
L’ufficiale prese un profondo respiro.
«Presto mi occuperò anche di lui»
Grön acconsentì, rassicurato dal tono calmo del suo superiore. Si fidava di lui, sapeva che avrebbe preso la giusta decisione a riguardo di quella faccenda.
 
Quella sera il tenente Eskola salì in sella al suo cavallo per perlustrare le trincee ai confini del villaggio. Tutto era pronto per contrastare l’imminente attacco delle Guardie Bianche.
Era solo una questione di tempo, presto l’intera area sarebbe diventata zona di guerra.
L’ufficiale tornò al suo rifugio oppresso da questi pensieri. Appena varcò la soglia trovò il suo giovane assistente, impaziente di avere notizie.
«Ho già provveduto a oliare il suo fucile e preparare le munizioni» lo informò Hjalmar.
«Ottimo lavoro Jänis»
Il ragazzo sorrise con aria compiaciuta.
«Dunque è vero? Ci stiamo preparando alla battaglia?» domandò con fin troppo entusiasmo.
Eskola esitò qualche istante prima di rispondere.
«Sì, per questo tu non puoi più restare»
Hjalmar non capì: «ma…»
Il tenente lo zittì prontamente.
«Questi sono per te» disse porgendo al giovane dei pezzi di carta.
Jänis osservò i fogli con aria confusa.
«Che cosa sono?»
«Documenti. Non hai voluto rivelarmi la tua identità, ma tutti hanno bisogno di un nome. Con questi potrai superare il confine senza problemi» spiegò Eskola senza troppi giri di parole.
«Non capisco, che cosa significa?»
«Le avventure dell’alfiere Jänis finiscono qui. È ora di tornare a casa» affermò Eskola con tono autoritario.
Il ragazzo tentò di protestare.
«Non è giusto! Credevo che lei mi volesse come suo assistente. Ho fatto tutto quel che mi ha chiesto, ho affrontato l’addestramento come tutti gli altri!»
«Mi sembrava di essere stato chiaro quando ho detto che non ti avrei fatto combattere»
Hjalmar insistette ancora una volta.
«Mi dia almeno la possibilità di dimostrare che sono un buon soldato»
Eskola scosse la testa.
«Tu non sei un soldato, sei soltanto un ragazzino!»
Hjalmar reagì in modo impulsivo.
«Dunque dovrei nascondermi mentre i miei compagni rischiano la vita in battaglia?»
Il tenente decise di mettere fine a quella discussione.
«Gli ordini non devono essere discussi. Se davvero sei un buon soldato, dovresti sapere che quel che stai facendo è un atto di insubordinazione»
Hjalmar abbassò la testa, strinse i pugni per la rabbia, avvertendo gli occhi umidi. Si sentì tradito dal suo comandante, ogni suo sforzo si era rivelato inutile.
Il ragazzo si fece coraggio, senza più dire nulla si congedò dal suo superiore.
Prima di lasciarlo andare, Eskola volle essere sincero nei suoi confronti.
«Mi dispiace, sei un ragazzo sveglio, sono certo che avrai altre occasioni per dimostrare il tuo valore»
Hjalmar trattenne a stento le lacrime: «grazie, signore»
 
***

Winkler osservò la sagoma del monoplano di von Rosen stagliarsi controluce fino a scomparire nel cielo. Il pilota Hansen aveva rispettato gli accordi, tutto era andato secondo i piani.
Bernhard si allontanò dalla costa, da quel che gli era stato riferito, le truppe tedesche erano già in marcia verso Helsinki. Non aveva molto tempo, doveva raggiungere le foreste prima del tramonto.
 
La penisola di Hanko era una landa desolata, Bernhard seguì le indicazioni ricevute via radio nei giorni precedenti, e proseguì seguendo le tracce ancora fresche nella neve.
Finalmente scorse una colonna di fumo. Mantenendo il punto di riferimento, Winkler raggiunse la radura dove trovò l’accampamento tedesco.
L’ufficiale delle Guardie Bianche poté constatare che gli alleati erano stati di parola, inviando in Finlandia uomini e armamenti.
Si era soffermato davanti ai carri carichi di artiglieria quando fu avvicinato da uno dei comandanti.
«Sono contento che sia riuscito a raggiungerci, la stavamo aspettando»
«Benvenuti in Finlandia, da quel che vedo siete riusciti a sbarcare senza problemi»
L’uomo gli porse la mano: «maggiore Reinhard Stein»
«Capitano Bernhard Winkler»
«È un onore conoscerla di persona»
Bernhard rimase perplesso.
«Lei ha già sentito parlare di me?»
«Certamente. So che è un giovane ufficiale che ha contribuito a fondare il corpo degli Jäger, ha combattuto sul fronte orientale ed è tornato in Finlandia per unirsi alle Guardie Bianche. Ma…quel che più mi interessa di lei è il suo ruolo nei servizi segreti»
Winkler ripensò al suo soggiorno a Berlino.
«Non pensavo che il maggiore Bayer fosse così influente»
«Oh, non è solo lui a considerarla meritevole di attenzione. A dire il vero, molti vorrebbero che lei tornasse a far parte dell’esercito tedesco»
«Sta dicendo sul serio?»
Stein annuì.
«Suppongo che anche lei la pensi allo stesso modo, se no non avrebbe accettato questo incarico»
Bernhard non era certo di quel che desiderava davvero.
«Per il momento voglio solo svolgere il mio dovere»
«Ammirevole da parte sua. Quando questa guerra sarà finita potrà tornare in Germania come un eroe» continuò Stein.
Bernhard sussultò: «tornare in Germania?»
«Noi due siamo molto simili. Entrambi siamo uomini d’azione. Capisco perché ha voluto essere coinvolto anche in questa guerra, in fondo io mi trovo in Finlandia per lo stesso motivo. Supportare le Guardie Bianche è un modo per indebolire la Russia, ma la nostra Patria sta vivendo tempi difficili…c’è bisogno di uomini come lei che possano difendere e proteggere la Germania»
Bernhard rifletté su quelle parole. Non aveva mai pensato al suo futuro, credeva che il suo unico obiettivo fosse l’Indipendenza della Finlandia, ma non poteva negare che fin dall’inizio il suo scopo fosse stato quello di ricongiungersi con la Germania.
 
Winkler si ritrovò a vagare per l’accampamento, solo con i suoi pensieri. Provò una strana sensazione nell’udire i soldati che parlavano tra loro in tedesco. Ripensò al periodo trascorso in Germania, doveva ammettere che fin dal primo momento aveva sentito di appartenere a quella terra. In Finlandia era sempre stato considerato come uno straniero, anche quando era diventato un rappresentante degli ideali nazionalisti, per tutti all’università restava “il tedesco”.
Per quanto si fosse sforzato per tutta la vita, non era mai stato realmente finlandese. Ovviamente sentiva affinità con le radici di sua madre, ma non poteva negarlo, era il suo cognome a definire la sua identità. E non solo. Il suo aspetto non era quello di un finlandese. Era stato costretto ad indossare una divisa per dimostrare al resto del mondo la sua nazionalità.
Bernhard sospirò con rassegnazione. In Germania era tutto diverso, nessuno lo vedeva come uno straniero, anzi, agli occhi di tutti era un compatriota che finalmente era tornato a casa.
«Capitano! Vuole unirsi a noi?»
Winkler si riprese dai suoi pensieri, fermandosi davanti a un gruppo di soldati accovacciati vicino al falò. Uno di loro offrì all’ufficiale la bottiglia di brandy che si stavano spartendo.
Bernhard esitò.
«Un po’ di liquore l’aiuterà a scaldarsi» disse lo sconosciuto per convincerlo.
Winkler accettò, bevve un lungo sorso, poi riconsegnò la preziosa bottiglia nelle mani dei soldati.
«Si sieda qui con noi. Sembra che questa notte anche lei abbia bisogno di un po’ di compagnia»
Bernhard non poté contraddire il suo sottoposto, in effetti non aveva voglia di trascorrere da solo l’intera notte insonne.
I soldati accolsero il loro superiore con entusiasmo.
«Perché non ci racconta qualcosa della sua esperienza al fronte?» domandò qualcuno.
«Già. Alcuni di noi hanno combattuto contro i russi, ma i novellini non hanno mai visto la guerra» aggiunse un altro.
«Dunque lei ha combattuto con un esercito clandestino prima della guerra?»
«È vero che è stato il primo comandante dell’unità finlandese degli Jäger?»
«È stato promosso ufficiale al campo di Lockstedt?»
«Ho saputo che è stato ferito in prima linea, ha davvero rischiato la vita per salvare i suoi uomini?»
Bernhard rispose pazientemente a tutte quelle domande, doveva ammettere che non gli dispiaceva tanta attenzione. Quei soldati si erano dimostrati veramente interessati alla sua storia.
«Siamo felici di averla con noi. Sarà un onore andare in battaglia con un comandante come lei»
L’ufficiale sorrise con orgoglio, i suoi connazionali lo rispettavano e lo stimavano.   
Winkler osservò le fiamme che ardevano nell’oscurità, improvvisamente si sentì in colpa. Pensò a Jari, a quanto il suo compagno avesse sofferto per la sua partenza. Anche per lui quella separazione non era stata semplice da affrontare, ma era stata sua la scelta. Jari invece era rimasto solo ad affrontare il suo destino.
Bernhard tentò di non lasciarsi sopraffare dalle emozioni, non era pentito per quel che aveva fatto. Sentiva di aver fatto la scelta giusta, aveva fiducia in Jari, sapeva che era all’altezza delle sue nuove responsabilità.
Alla fine abbandonò i suoi nuovi camerati, allontanandosi sulle strofe di O Deutschland hoch in Ehren.

 
   
 
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