Anime & Manga > Alpen Rose
Segui la storia  |       
Autore: Tetide    15/09/2009    3 recensioni
Un mistero secolare e spaventoso si nasconde tra i monti della Transilvania; dipanarlo sarà compito di un gruppo di temerari giunti da lontano; ma, forse, più che l'oscuro nemico, i nostri dovrebbero temere di più i propri fantasmi personali... Si troveranno così a combattere su due fronti!
Genere: Dark, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
CONCERTO O... SCONCERTO? CONCERTO O… SCONCERTO?


Primi di Ottobre 2008: un aereo si abbassava sulla pista dell’aeroporto di Rimini.
Sull’aereo, sei passeggeri provenienti da Ginevra.
Il professor Tavernier si tolse gli occhiali da sole con aria distratta, scoprendo il suo irresistibile sguardo di ghiaccio; la hostess che stava ritirando i bicchieri vuoti non riusciva a staccargli gli occhi di dosso. Seduto accanto a lui, Johann sbadigliava e si stiracchiava dopo un sonno strappato ai tempi del viaggio.
Sul sedile posteriore sedevano Jeudi e Lundi; lui stava borbottando, come al solito, mentre lei si stava letteralmente storcendo il collo dalla partenza per cercar di carpire quello che veniva detto sul sedile posteriore, dove erano seduti Liesel ed il professor Leonhard Aschenbach.
Guarda che fortuna ha avuto!, pensava Jeudi, perché quell’idiota del check-in non ha messo me vicino a lui? In questo modo, Liesel ha avuto la possibilità di conoscerlo davvero bene, come avrei voluto fare io!
Anche se non lo avrebbe ammesso neanche sotto tortura, Jeudi si sentiva terribilmente attratta da Leonhard: i suoi modi gentili ed affascinanti, i suoi occhi blu-viola e la sua voce calda si erano insinuati in lei come un dolce veleno.
“Jeudi, tesoro, ma che ti prende, una buona volta? E’ da quando siamo partiti che te ne stai in quella posizione assurda!” Lundi le si rivolse,
“Te l’ho già detto, mi sembra!”, sbottò lei, imbarazzata, “Ho il torcicollo, e quest’aria condizionata mi dà fastidio!”,
“Bah!” fece lui, tornando a voltarsi verso il finestrino, osservando la pista farsi sempre più vicina.
“Allora, come andiamo? Fatto buon viaggio?” Tavernier si era avvicinato a loro, ed in particolare a Jeudi che sedeva sul corridoio.
“Abbastanza, Patrice, grazie. E tu?”,
“Non c’è male. Ottima linea aerea, davvero!”.
Attenzione, prego! Stiamo per atterrare all’aeroporto Federico Fellini. Preghiamo tutti i passeggeri di rimanere seduti con le cinture allacciate.
“Sarà meglio che torni a sedere. Scusate”,
“A dopo, Patrice!” fece Lundi.

Venti minuti dopo, erano tutti e sei all’uscita dell’aeroporto. Liesel tirò fuori una cartina della città.
“Dunque, questo è l’albergo dove abbiamo prenotato, l’Hotel Des Bains; come lo raggiungiamo?”,
Johann le prese la carta “Ma dove l’hai avuta questa? Ci sono indicati tutti gli alberghi ed i principali monumenti!”,
“All’ufficio informazioni dell’aeroporto. C’è un tizio che parla Tedesco”.
Jeudi si avvicinò per vedere “Patrice, ma… sei matto? Qui c’è scritto che è l’albergo più esclusivo della città!”,
“E allora? Non vi ho detto che avrei offerto io? Un piccolo regalo d’amicizia per suggellare l’inizio della nostra collaborazione!”,
“Ma Patrice… io non sono abituata a posti simili… temo che mi sentirò in imbarazzo…”,
“Sciocchezze, ci si abitua facilmente a fare i signori! Allora, prendiamo un taxi, o volete rimanere qui?”,
“Ci penso io!” fece prontamente Leòn, e si allontanò in direzione di una fila di taxi parcheggiati; parlò a gesti per qualche minuto con l’autista, quindi chiamò il gruppo “Venite! Ce la caviamo con venti euro!”.
Salirono su una grossa monovolume dai vetri oscurati, e partirono.

“Accidenti, che posto!” fece Lundi scendendo dal taxi di fronte all’albergo “Patrice ha gusti… non proprio modesti!”.
Liesel e Johann erano già entrati, seguiti da Tavernier, tutti e tre ridendo e lanciandosi spiritosaggini; Jeudi aveva sceso i bagagli assieme a Lundi, ma quest’ultimo, adesso, non le rivolgeva neppure uno sguardo, impegnato com’era a rimanere a bocca aperta davanti all’elegante facciata dell’albergo.
Si mosse anche lui e seguì gli altri.
“Lundi!! Mi lasci qui sola con i bagagli?” Jeudi gridò esasperata.
“Dài qua, ti aiuto io!” una voce alle sue spalle: era Leonhard.
Jeudi arrossì; lui era ancora più bello in quel luogo, con i lunghi boccoli biondi che il sole ancora caldo dell’Italia faceva rilucere, e quel profumo muschiato che per tutto il tempo in aereo prima, ed in taxi poi, le aveva ispirato pensieri… non proprio corretti nei confronti del povero Lundi!
Con il suo fisico asciutto e scolpito, l’uomo sollevò la valigia di Jeudi e quella di Lundi oltre alla propria, e le pose sul portabagagli che il fattorino dell’albergo stava portando loro; poi, porse il braccio alla ragazza “Prego, madame” le disse.
Sempre più estasiata, Jeudi lo accettò, ed insieme entrarono nell’albergo.
Mi sento una regina, pensava, al braccio di un cavaliere bellissimo in questo palazzo incantato…
Si trovò immersa in un ambiente che aveva potuto conoscere solo nei film ambientati all’inizio del Novecento: dappertutto, marmi, stucchi e vetri di Murano; in un angolo in fondo alla sala, un’orchestrina suonava la versione acustica di “Tornerai”, la celebre canzone degli Anni Trenta.
Per un attimo, immaginò sé stessa al braccio di Leonhard in quell’epoca lontana, lei che indossava un completo di seta chiffon con lunga gonna e cappello a falde larghe, e lui con uno smoking chiaro, in tinta coi suoi capelli biondi.
Che bella coppia saremmo stati!
Scosse  la testa.
Ma che vado a pensare! Là c’è il mio compagno, ed io sono qui per motivi di lavoro!
Raggiunsero gli altri al bancone.
Tavernier stava distribuendo le chiavi.
“Ecco, questa è la vostra” fece a lei e Lundi “mi raccomando, appuntamento al ristorante “Le colonne” tra mezz’ora!”.
Entrambi si volsero verso l’ascensore; Tavernier afferrò Jeudi per un braccio “Jeudi”,
“Cosa c’è?” si voltò lei,
“Dato che siamo qui per questo… in che albergo è alloggiata la tua amica? Tu lo sai, vero?”,
“Credo… all’hotel Concord, se non sbaglio”,
“Molto bene”.
Lundi si era avvicinato “Che intenzioni hai, Patrice?”,
“Vado a parlarle oggi pomeriggio e la convincerò a far parte della nostra squadra; voi, intanto, restate pure a godervi l’albergo”.

Dopo mezz’ora, erano tutti riuniti al ristorante.
Un cameriere versava loro il vino .
“La vostra com’è?” stava chiedendo Liesel a Jeudi,
“Indescrivibile! Definirla “camera” è riduttivo!”,
“Non ero mai stata in un posto simile! Certo che Patrice ha gusti raffinati!”.
Jeudi guardò verso l’entrata del ristorante e fece un sobbalzò “Guarda! Quelli sono i Pooh!”.
Liesel la imitò “Caspita, è vero! Guarda, quello è Dodi Battaglia! Adesso svengo!!”,
“Non fare la sciocca, Liesel: se svieni, non potrai parlargli. A proposito, parli l’Italiano?”,
“Un po’… però so come si dice autografo!”,
“Allora andiamo!”.
Sotto gli sguardi sbigottiti degli uomini, le due ragazze si alzarono e si diressero al tavolo all’angolo opposto della sala.
I quattro rimasti al tavolo si guardavano, interrogativi “Vorrei proprio sapere che hanno di tanto speciale quei quattro!”, stava dicendo Lundi,
“Boh! Vai a capire gli amanti del pop!” rispose distrattamente Patrice ingoiando un boccone di involtino di pesce.
Poco dopo, le due ritornarono con espressioni estasiate.
“Patrice!!! Grazie, grazie, davvero!!! Prima questo bel posto, ed ora i miei idoli! Questo è il giorno più bello della mia vita!” Liesel, gongolando, andò ad abbracciare Tavernier;
Jeudi, dal lato opposto, gli strinse una mano nelle sue “Grazie, Patrice, davvero! E’ un magnifico regalo!”,
“Ehi, ehi, frenate!! Io non lo sapevo mica che quei quattro erano qui!”.

Inutile dirlo, per tutto il resto del pranzo le ragazze mangiarono pochissimo, occupate com’erano a guardare di continuo i loro cantanti preferiti.
Gli uomini, di contro, cercavano di capire cosa quei quattro avessero di tanto speciale.
Fu dopo pranzo, mentre Johann e Liesel erano in camera a riposare, e Lundi discuteva col professor Tavernier al bordo piscina sul da farsi, che Jeudi si appressò al bancone del bar per provare il famoso caffè Italiano.
In un angolo, un pianista suonava Champagne, di Peppino di Capri; le luci gialle soffuse conferivano all’ambiente un che di intimo.
Mentre beveva il nero e forte liquido, sentì dietro di sé una voce che la fece sobbalzare.
“Intenso, vero? Dicono che sia una specie di droga, da queste parti”.
Le mancò l’aria; era così sempre, ogniqualvolta sentiva la voce di lui.
Si girò; Leòn le sorrise.
“Sì, è possibile” gli rispose “a me sta facendo uno strano effetto”.
Ma non è il caffè a farmi sentire così: sei tu!
“Devi bere più piano! Sei tutta rossa in viso!”,
Ed ora che lo hai notato, arrossirò ancora di più!
Una folata di profumo muschiato la investì in pieno; la mano che reggeva la tazzina tremò.
“Forse… forse hai ragione. Questa roba non mi fa bene”, l’appoggiò sul bancone.
Lui le sorrise.
Abbracciami!
Lei gli sorrise, di rimando.
Ma cosa vado a pensare!
Prese il portasigarette, e nervosamente ne accese una.
“Anche quello non ti fa bene”;
Jeudi abbassò gli occhi, con un risolino “Ha altre raccomandazioni, signor dottore?”.
Anche Leòn rise. Una risata fresca e cristallina, eppure smaccatamente virile.
“Come dottore non sono granché, vero? Eppure, ho accettato questa follia!”,
“Perché lo hai fatto?”,
“Per sfida, volevo cambiare aria; e per amicizia, Gizan mi è molto amico”. Si ravviò i lunghi capelli “E tu, perché lo hai fatto?”,
“Per provare qualcosa di nuovo, la solita vita mi annoiava”,
“Chi parla così, sta fuggendo da qualcosa!”,
“Forse. Il bello è che non so da cosa” aveva rivolto lo sguardo a terra, ora.
“Sai, tutti noi abbiamo qualcosa da cui fuggire; anche se, a volte, non ce ne rendiamo conto: è il nostro animo che maschera ciò che tanto ci ripugna, al punto da sfuggirlo”,
“Anche tu, Leonhard?” alzò la testa,
“Può darsi…” l’uomo aveva girato le testa in direzione della piscina; Jeudi seguì il suo sguardo, e vide Lundi che stava esaminando attentamente una carta con Tavernier.
Certo che di me non gliene importa proprio nulla…
“Quanti altri modi di fuggire conosci?” tornò a rivolgersi a Leòn,
“Non molti. Ma il migliore, è sicuramente questo!”.
La prese per mano, alzandosi, ed insieme si avviarono al pianoforte, da dove, nel frattempo, il pianista si era alzato, dopo aver finito il suo turno.
Leòn si sedette al piano; iniziò a suonare Mai più noi due, di Dolcenera.
… Ma sono condannata a pensarti per sempre!(1)
Questa canzone parla per me!
Jeudi si perdeva negli occhi di lui. Era incantata a guardare ogni suo movimento, ogni espressione del suo viso, ogni suono della sua voce: e fu allora che capì.
“Viviane se n’è andata un anno fa” disse, all’improvviso, Leòn “da allora, cerco di far di tutto per dimenticare”.
Jeudi era esterrefatta: lui le stava facendo le proprie confidenze, di sua spontanea volontà! E si conoscevano solo da pochi giorni!
“Perché mi racconti questo?” gli chiese,
“Perché sento di potermi fidare” fu la risposta “ tu sei la compagna inattesa di una fuga felice!”
Fuga felice! Che bella espressione! Anche io vorrei tanto scappare dalla mia routine, ma non posso farlo!
Alzò gli occhi a guardare Lundi fuori, che sedeva ancora col professor Tavernier.
Leòn finiva di cantare il suo pezzo improvvisato; lei lo guardava ancora, ma gli occhi, adesso, non esprimevano più estasi, bensì una sorta di desiderio, di richiesta supplichevole, muta.
“Sei stanca, Jeudi. Vuoi che ti accompagni in camera tua, a riposare?” l’uomo si alzò dal piano.
“Io, ecco… no… volevo dire sì, grazie!”.
Salirono per le scale; quando furono davanti alla porta della stanza di lei, Jeudi si voltò bruscamente verso di lui.
“Vuoi entrare?”.
Leòn le sorrise, socchiudendo gli occhi “E’ meglio di no, Jeudi. In questo momento, tu hai bisogno di riposare”, e, salutatola, si allontanò.
Jeudi entrò in camera.
Cosa mi succede? Che accidenti mi succede? Fino a stamattina lo guardavo con l’espressione beata di una ragazzina che guarda il suo idolo, ed ora… ora l’ho sentito vicino! Tanto, troppo vicino. Anche lui vuol fuggire da qualcosa. Qualcosa di più doloroso del mio qualcosa. Ho sentito che fra di noi c’è un’empatia fortissima; una spiritista non si sbaglia su queste cose: noi siamo, o potremmo essere, assai più che colleghi, assai più che amici, assai più che attratti fisicamente…
Iniziò a disfare la valigia, che giaceva ancora intatta sul letto, tanto per distrarsi.
La sua voce…
Stropicciò un po’ una gonna.
Lo ha sentito anche lui? Perché non ha voluto entrare? “Hai bisogno di riposare”: cosa avrà voluto dire? No, non prenderti in giro, Jeudi! Lo hai capito benissimo che aveva un doppio senso, dietro a quelle parole! Tu stavi morendo dal desiderio di lui, e lui lo ha capito! Per questo non ha voluto seguirti! Per non far finire tutto in una squallida avventura erotica!
Perché tu gli piaci, Jeudi!
Strinse la gonna che teneva ancora in mano, così forte da conficcarsi le unghie nel palmo; si sentì mancare l’aria; corse verso il balcone, e lo spalancò; respirò con forza.
Rientrò in camera. In un angolo, la solita luminosità azzurrina.
“Ciao, mamma. Ti piace qua, vero?”, Jeudi diede le spalle allo spettro tornando verso la valigia; la madre la seguì.
“Sei tu che devi dirmelo, tesoro. Come ti senti?”.
Senza voltarsi, Jeudi rispose “Beh, è un posto bello, elegante… ho anche conosciuto i miei cantanti preferiti… cosa posso volere di più?”,
“Non scherzare, Jeudi! Ai morti non si può mentire! Sai bene di cosa parlo!”.
La ragazza sospirò, poggiando sulle gambe accovacciate le mani che ancora reggevano la gonna “Mi piace…”,
“E…?”, insistette il fantasma,
“Non lo so, mamma. Qui c’è Lundi…”,
“Ti avevo avvertita al riguardo, mi sembra. E quindi, non hai scuse…”, lo spirito si avvicinò alla figlia “Ammettilo, Jeudi! Coraggio, ammettilo!”,
“Mi… mi sto… innamorando di lui…”

                                                               **********

“O.K.! Andiamo in due! E cerchiamo di convincerla! Chiaro?”, Tavernier stava usando un tono che non ammetteva repliche,
“Sissignore, signor professore!” Lundi rispondeva usando un tono scherzoso.
I due si stavano recando all’hotel Concord, per rintracciare il membro fuggiasco della spedizione, Edith; Tavernier in quanto capogruppo, Lundi come amico di vecchia data: insieme contavano di farcela.
Attraversarono il lungomare, dove gruppi di giovani cercavano di rubare gli ultimi scampoli d’estate; Lundi guardava tutto, senza vedere niente.
Ed eccola, l’ennesima scusa che ho trovato per sfuggire da Jeudi: perorare la causa della spedizione con l’amica di vecchia data! Che assurdità! Non la berrebbe neanche un cretino!
Ho paura, Jeudi: paura di restare da solo con te, paura di affrontare il silenzio che c’è tra noi. Perché fra noi si è creato un muro altissimo: da quel giorno, il giorno maledetto in cui ho ceduto ad una mia stupida debolezza ed agli occhi da triglia di Matilda, niente è stato più come prima; tu hai perduto la fiducia che riponevi in me, e non te la sei più ripresa. Non so nemmeno perché sei tornata; è vero, i primi tempi è stata una gioia riaverti con me, credevo mi avessi perdonato! Solo dopo, ho capito che non era così.
Mi ignoravi, e mi ignori ancora: ci trattiamo come due estranei. Sei tornata per punirmi? E’ questa la tua vendetta?
Ma la cosa peggiore è che io non faccio assolutamente nulla per cambiare le cose: temo, anzi sono sicuro, che qualunque mia azione non farebbe che peggiorare le cose, aumentando il divario che si è creato fra noi; e così, non mi muovo: mi basta averti vicino, per illudermi che sia tutto come prima, che tu mi ami.
Ma so bene che non è più così.
Ti sento lontana, ti sento distante. Non sei più mia. Perché continui a stare assieme a me? Perché non trovi di meglio, hai paura della solitudine? O vuoi solo vendicarti?

“Eccoci arrivati!” fece Tavernier spingendo la porta a battenti del piccolo albergo.
Si diressero al bancone; il biondo professore scambiò alcune parole in Italiano con l’uomo al banco, e quello prese la cornetta di un interfono e compose un numero di camera.
“Signora Weiss? Ci sono due signori per lei. Scenda, prego!”.
I due uomini si accomodarono sulle poltroncine in pelle scura in fondo alla sala; poco dopo, ecco arrivare Edith, in tutto il suo splendore: i lunghi capelli rossi erano lasciati sciolti, ad incorniciare un viso appena truccato sopra l’abbronzatura appena dorata; indossava un top attillato e senza spalline su un paio di jeans, anch’essi attillati.
A Tavernier brillarono gli occhi.
“Lundi! Ma che bella sorpresa! Cosa fai da queste parti?”, corse subito ad abbracciare e baciare l’amico.
Lui si alzò e le andò incontro “Ciao, Edith: sono lieto di trovarti bene!”,
“E come non esserlo in questa città? Ho tutto quello che si può desiderare: sole, mare e divertimento a volontà! Che vacanza, quest’anno!”.
Patrice era rimasto un po’ in disparte, in attesa che Lundi lo presentasse; ma Edith lo notò.
“Chi è quel tuo affascinante amico?”.
L’uomo si avvicinò; “Edith, ti presento il professor Patrice Tavernier, esperto in storia dei Paesi dell’Europa dell’Est” fece Lundi.
“Professore?” fece lei, tendendogli la mano “Un collega? Il lavoro mi perseguita anche qui!”,
“E’ un vero piacere conoscerla, dottoressa!”,
“Il piacere è mio!”.
Edith si sedette su una delle poltrone “Allora, a che devo il piacere di questa visita? E dov’è Jeudi? Non dirmi che è rimasta a Ginevra!”.
“Lasci a me il gravoso compito delle spiegazioni” esordì Tavernier, mentre anche lui e Lundi si sedevano.

Una mezz’ora dopo all’incirca, la situazione era stata esposta brevemente alla potenziale settima partecipante all’impresa; questa, che non aveva aperto bocca durante tutto il tempo, stava continuando a fissare Patrice Tavernier con interesse sempre crescente.
Alla fine disse: “Devo dire che la cosa mi attira, e molto anche. Però, vedete, io sono qui per prender parte ad un concerto, e prima di avervi assistito non intendo partire”,
“Ne siamo al corrente, Edith” si intromise Tavernier “ed a proposito di questo, vorrei farle una proposta: sarebbe disposta ad unirsi al gruppo se pagassi io stesso i biglietti per il concerto a lei ed ai suoi amici?”.
La donna lo osservò con fare divertito “Non male come idea. Ma vorrei aggiungere una postilla, se a lei non dispiace”,
“Dica pure”,
“Ecco, vorrei chiederle di accompagnarmi a quel concerto. Vede, Patrice, sarei l’unica persona sola del gruppo, e prender parte ad un concerto da soli è una cosa un po’… come dire imbarazzante!”.
Tavernier la guardava, sornione “Sarà un vero piacere, dottoressa!”.
Poco dopo, i tre erano in cammino verso l’hotel Des Bains, per raggiungere il resto del gruppo. Tavernier aveva acquistato i biglietti per tutti, per poter assistere al concerto nei posti migliori; Lundi ed Edith camminavano tenendosi a braccetto.
“E dov’è adesso Jeudi? In piscina? Non vedo l’ora di rivederla!” Edith era davvero su di giri, forse grazie al concerto, forse a causa dell’avventura che le si era presentata.
O forse a causa di qualcos’altro.
Il bel professore la guardava sorridendo.
Giunsero in albergo intorno alle cinque; il resto della spedizione si trovava nella sala bar. Subito, Edith andò incontro a Jeudi e la abbracciò.
“Tesoroooo! Tutto mi sarei aspettata, tranne che di incontrarti qui! Ma come ci sei entrata, in questa follia?”, le chiese. Jeudi sorrise.
“E’ stata una cosa improvvisa” disse.
L’altra si accese una sigaretta. “E dimmi, chi è quella statua vivente che mi è venuto a cercare assieme al tuo uomo? E’ uno schianto, fa girare la testa!”
E non è il solo, pensò Jeudi.
“Quello? Oh, dài retta a me, Edith: stacci lontano!”,
“Perché mai?” la ragazza aspirò una boccata,
“E’ uno sciupafemmine; non cerca davvero una storia stabile: ragion per cui, se non vuoi piangere, lascialo stare”,
“E’ da verificarsi. E poi, chi ti ha detto che io voglio una storia stabile?”;
Jeudi sospirò. “Fa come ti pare; ma non dire che non ti avevo avvertito!”.

Alle nove in punto, tutto il gruppo al completo uscì per recarsi al concerto.
Edith si era appiccicata come una cozza a Tavernier, che, dal canto suo, non disdegnava la sua compagnia; Liesel non stava più nella pelle, mentre Johann e Lundi erano allegri come chi va ad assistere ad una conferenza di filosofia; seduta accanto a lui, Jeudi non smetteva un attimo di guardare di nascosto Leonhard, voltato verso il finestrino aperto del taxi, i lunghi capelli scompigliati dalla brezza e gli occhi tesi a guardare le luci della sera.
Il teatro all’aperto era gremito di gente fino all’inverosimile. I nostri si recarono subito verso la tribuna, dove erano i posti migliori.
Una folla scalmanata stava già riempiendo l’aria di schiamazzi e grida festose; grandi riflettori illuminavano il palco, per ora vuoto.
Patrice Tavernier si volse indietro: c’era gente fin sulle gradinate superiori, lo si poteva capire dalla marea colorata ondeggiante che riempiva gli spalti del teatro.
“Ma guardali, ‘sti matti… che ci sarà da fare tanto chiasso qui?” pensò.
Si sedettero in quest’ordine: Patrice ed Edith vicini (altra richiesta personale dell’intraprendente rossa), poco più in là Liesel con Johann, e poi Lundi e Jeudi, con Johann e Lundi gomito a gomito. In fondo a destra, accanto a Jeudi, ma un po’ spostato, stava Leòn.
“Sei mai stato ad un concerto come questo, Patrice?” gli chiese Edith,
“Mai. Solo a concerti di musica classica, e non c’era questa agitazione”, Tavernier cominciava a pentirsi di essersi imbarcato in quell’avventura musicale.
Jeudi e Leonhard erano seduti l’una accanto all’altro: ciascuno dei due poteva percepire la presenza dell’altro, anche se non si voltava a vederlo.
“Cominciamo, su! Così finiamo presto!” diceva Lundi a Johann; questo annuiva.

Il concerto ebbe inizio: gli artisti furono accolti da un urlo fragoroso, urlo che fece letteralmente sobbalzare Patrice Tavernier.
“Sì, sì, mitici!!!” urlava Edith.
Roby Facchinetti, alle tastiere, attaccò La casa del sole, con la sua irraggiungibile, altissima voce; fu poi la volta di Dammi solo un minuto e di Cercando di te.
Il pubblico era in delirio generale; la platea e la gradinata esplosero letteralmente quando sempre Facchinetti intonò Pensiero.
Il concerto proseguiva. Tavernier si sentiva in qualcosa di sempre più simile ad una gabbia di matti.
… C’è il silenzio tra di noi… sì…(2)
Jeudi non poté fare a meno di guardare Lundi.
…perché sei andata via in silenzio,
e la colpa è stata mia!(2)
Anche lui la guardò.

La successiva canzone fu Noi due nel mondo e nell’anima.
Jeudi la sentì un po’ troppo sua.
Ed io dovrei comprendere
se tu da un po’ non mi vuoi…(3)
Guardò fissamente il suo uomo ufficiale, il quale seguiva il concerto con aria annoiata.
Basta così, e guardami!
Chi sono io tu lo sai!(3)

Si volse allora verso Leòn. La distanza fra di loro si era accorciata.
Noi due nel mondo e nell’anima,
la verità siamo noi… (3)

Lui corrispose al suo sguardo intensamente, i grandi occhi viola in quelli di lei.
Lo amo!!!
Leòn le strinse la mano; senza chiedersi il perché, lei strinse quella di lui, a sua volta.

…Così ti vorrei…
dai miei pensieri non te ne vai
ti sei aggrappato alla mia pelle… (4)

Perché, adesso, le sembrava che quella canzone fosse stata scritta per lei?

Cercami, nei mari che non traversammo mai
nel vento del primo mattino… (5)

Cercami, nel sole che scoppia di rondini
sul fiume che porta lontano…(5)

Ma che mi prende?Perché accidenti mi vengono queste immagini in testa, adesso?
Leòn che si spoglia a ritmo di musica! Stai davvero esagerando, Jeudi! Lundi è accanto a te!

… Ma è nascosto agli sguardi
questo amore perfetto!
Quattro muri e un letto… (5)

A sentir questo, le guance di Jeudi avvamparono: la sua immaginazione era andata decisamente troppo oltre. Si coprì il viso con le mani.

Il professor Tavernier, invece, era occupato in altri pensieri.
Turandosi le orecchie, in mezzo alla selva di braccia e di visi urlanti, si voltò verso Edith.
“Ma quando finiscono?!?”,
“Ma se hanno appena cominciato!!!” gli rispose l’eccitatissima ragazza.
Questi quattro sono incredibili! Se li ascolto ancora per cinque minuti, rischio che mi venga voglia di suicidarmi!!! Tutte storie di amori disperati, impossibili, sofferti!! Possibile che li abbiano tutti loro? E guarda la folla, come si scalda!! Perfino i miei compagni! Meno male che non parlavano l’Italiano! Sembra, però, che queste canzoni le conoscano tutte a memoria!! E guarda le ragazze!!! Quella laggiù, sotto al palco: “Red, ti amo!”: deve essere in piena tempesta ormonale, quella! Certo che non è male, quasi quasi mi verrebbe voglia di farla sfogare io…

Il concerto proseguì per circa tre ore; i Pooh tirarono fuori tutte le canzoni più belle del loro repertorio. Ad ogni parola, Jeudi ebbe la certezza sempre maggiore del suo nuovo sentimento per Leonhard.

All’uscita dal teatro, Tavernier era il bersaglio dei motti di tutto il gruppo.
“Ma Patrice! Non dirmi che non ti è piaciuto!”, faceva Edith,
“Piaciuto??? Mi sembra di stare dentro la campana del Big Ben, con me al posto del batacchio!!!”,
“Patrice!! Non puoi negare che anche a te hanno regalato emozioni stupende!”, incalzava Jeudi,
“Con tutto il rispetto, Jeudi, il mal di testa non è un’emozione!”.
Tutti risero. Ma il riso non era uguale per tutti.
Lundi, infatti, rideva di sollievo, per tutto il tempo non aveva visto l’ora di uscire; la stessa cosa Johann.
Jeudi, al contrario, rideva per scacciare i pensieri che le si affollavano prepotentemente nella mente.
Lo amo, lo amo! Le emozioni hanno invaso, nude, il mio animo, mentre ascoltavo le canzoni, e le emozioni non mentono! Cosa devo fare, adesso? Oh mamma, aiutami!

“Ah, che sogno!!! Ancora non mi sembra vero, è stato fantastico!!!(6) Vi prego, se è un sogno, non mi svegliate!!” sospirava Liesel.

Arrivarono davanti all’albergo; Patrice riprese il suo ruolo di capogruppo.
“O.K., gente! Abbiamo ancora un ultimo giorno di vacanza qui, poi la festa è finita, e dovremo metterci al lavoro!”.
Un coro di mugugni fu il commento generale.
Tutti si ritirarono in camera, dandosi la buonanotte; Jeudi e Leòn non riuscivano a staccare le loro mani ed i loro sguardi.
Lundi le si avvicinò “Andiamo, amore?”,
“Sì, certo. Buonanotte, Leonhard”,
“Buonanotte”.
Al separarsi delle mani, provarono quasi dolore.

“Mi accompagna al Concord, professore?”, chiese Edith a Tavernier,
“Veramente avrei un’idea migliore!”.

____________________________________________________________
(1)    Credits: Mai più noi due, Dolcenera
(2)    Credits: In silenzio, Pooh
(3)    Credits: Noi due nel mondo e nell’anima, Pooh
(4)    Credits: Così ti vorrei, Pooh
(5)    Credits: Cercami, Pooh
(6)    Come darle torto??


Nota dell’autrice: ed eccomi qua! Un po’ lungo questo capitolo, vero? Ma è stato un omaggio ai miei cantanti preferiti; ho cercato di inserire, come meglio potevo, i miei ricordi dei loro concerti dove sono stata presente; dal prossimo capitolo, però, si fa sul serio: si entra nel vivo della storia (dopo un’ultima scena idilliaca). E adesso, passiamo ai ringraziamenti:
Ninfea 306: allora, che te ne pare del concerto? L’ho reso bene? Fammi sapere, e dimmi se finalmente hai visto Leòn su You Tube!
Vitani: grazie dei tuoi apprezzamenti, mi hanno fatto davvero piacere; e grazie soprattutto di aver messo questa storia tra le tue seguite: spero di non deluderti.
Tonksis: come ti avevo promesso, ecco qui la scena del conte al concerto: che te ne è parso? P.S.: mi sono limitata al rating arancione (anziché rosso) in seguito alla tua richiesta; questo significa che su alcune scene (soprattutto quelle dei vampiri,  ma anche altre) dovrò trattenermi un po’… ad ogni modo, fammi sapere se ti piace.
Un bacione a tutti, al prossimo capitolo. Tetide.
  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Alpen Rose / Vai alla pagina dell'autore: Tetide