Storie originali > Fantasy
Segui la storia  |       
Autore: Glenda    27/09/2023    5 recensioni
In un mondo in cui la magia è rara e con un grande peso politico, ed i maghi figure temute e inquietanti, Heze, un giovane viaggiatore dal cuore limpido e il carattere solare, viene ingaggiato da uno di loro perché lo accompagni fino alla capitale a consegnare un messaggio segreto. Ma la persona con cui si trova ad affrontare questa avventura è completamente diversa dalle aspettative che si era costruito: svagato, onesto, gentile e smaccatamente vulnerabile, Yèlveran diventa per Heze un mistero da svelare, e finisce per legarsi a lui al punto di farsi trascinare in un complotto che potrebbe costare la vita a entrambi...
Storia di avventura con una componente politica, ma principalmente focalizzata sulla relazione tra i personaggi (a cui sono affezionatissima e dei quali ho volentieri indugiato nel descrivere i pensieri). Un bel po' di bromance e molto drama.
Genere: Drammatico, Fantasy, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Maledetto mal di testa.

Quanto ancora sarebbe durato? Luxei avrebbe dovuto avvertirlo. Ma forse la colpa era sua, forse era solo auto-suggestione. Se avesse avuto il tempo e la calma per lavorarci sopra, magari sarebbe riuscito a mandarlo via, ma il tempo era improvvisamente diventato la sua risorsa più scarsa. E pensare che ne aveva perso il senso, negli ultimi anni; a volte aveva smarrito il nome dei giorni e dei mesi, confuso le albe coi tramonti: la sua esistenza era diventata un lunghissimo presente in cui la sua mente aveva potuto vagare e distendersi.

Era stato lontano dalla vita degli altri, aveva fatto dell’enclave il suo rifugio, dei suoi compersi i suoi soli contatti sociali, di Luxei l’unica relazione che potesse definirsi tale. Ma non era del tutto vero che non aveva mai viaggiato: aveva percorso quella stessa distanza in senso contrario, una volta nella vita, anche se passando per la altre vie, anche se non ricordava quanto tempo prima, né se era estate, inverno o, come allora, primavera che tarda a iniziare.

Maledetto mal di testa.

E la colpa era sua, certo che era sua, perché gli era stata fatta una richiesta difficile, e lui ci si era perso dentro.

Il compito che ti sto affidando è molto importante.”

Ed io prometto che lo eseguirò bene, come ho sempre fatto per tutto ciò che mi è stato chiesto.”

Luxei si era adombrato e il peso degli anni sul suo volto era diventato sfacciatamente evidente.

Non desidero che tu obbedisca ad un ordine. Desidero che ti fidi di me.”

Lasciare che tu scriva nella mia memoria mi pare un atto di fiducia abbastanza significativo.”

Yèlveran,” Luxei era il solo che pronunciava il suo nome in un modo che gli fosse piacevole “a volte mi sembri confondere ciò che vuoi con ciò che è inesorabile che avvenga. Sono stato tuo maestro e tu mi stimi dunque trovi ragionevole che le cose vadano come io penso debbano andare, ma la fiducia non è qualcosa che ci cade addosso, è una scelta.” aveva scrollato lentamente la testa “Tu ti comporti sempre come chi di scelte non ne ha.”

Mi sono solo sforzato di rendere tutte le scelte più simili possibile tra loro. Più i pesi sono distribuiti in modo equo, più io ho controllo su di me, non è questo che mi hai insegnato?”

Sì.” ma c’era poca sicurezza in quel monosillabo “E non intendo confondere la distribuzione dei tuoi pesi. Mi fido io di te abbastanza per entrambi.”

Maledetto mal di testa.

“Signore, state bene?”

La voce di Heze lo riportò al presente, un presente vivido e misurabile: mattina, alba, primavera, profumo di erba, aria ferma e umida. Che fatica riabituarsi al tempo!

Erano partiti che era ancora buio, a piedi, come due fuggiaschi nella notte: meno persone fossero state coinvolte in quella faccenda, meglio era.

“Sto bene. Sono solo un po’ confuso. È a causa della Persuasione dei Ricordi. Se non tengo il passo, sgridami.”

“Scherzate? Dove sono nato io, si dice che chi manca di rispetto a un mago muore in trentatré ore.”

“Mm…” Yèlveran prese un respiro, inseguendo un pensiero “Perché proprio trentatré? Perché non ventiquattro, o quarantotto…?”

Heze rise: rideva con una tale facilità che sembrava davvero che la vita lo divertisse. Faceva una bella impressione: giovane, vent’anni circa, un paio di occhi scuri e allungati e una testa prepotentemente rossa, che quel mattino sembrava irridere al grigiore scialbo del cielo appannato. Di etnia eshkarti, a giudicare dai tratti del viso: la sospettosa e brutale gente dell’Altopiano, gli uomini con la pelle dorata dal sole ed il cuore posseduto dalla notte. Ma quel ragazzo non sembrava proprio rispecchiare lo stereotipo: schietto e affabile, si muoveva nel mondo come se fosse un posto amichevole e esprimeva una accattivante confidenza coi propri panni e bagagli, con le proprie parole, con il proprio corpo… con la Realtà, gli sarebbe venuto da dire. Non aveva idea del perché Luxei si fosse rivolto proprio a lui per quell’incarico, ma sapeva che nel proprio lavoro era molto apprezzato.

“Trentatré perché è considerato il numero della sventura.” stava intanto spiegando lui, mentre rallentava il passo per accordarlo al suo “A Exneirva c’è un’intera tradizione legata all’evitare (o all’occorrenza all’affibbiare ad altri) la sventura. Sui metodi per procacciarsi la fortuna, anche: ma meno fornita. Sarà che troviamo sempre più divertente augurare il male piuttosto che il bene… o temiamo di più che ci capiti il male, anziché che non ci capiti mai il bene.”

La prima frase era di un sarcasmo semplice, ma la seconda aveva una sottigliezza diversa. Yèlveran ripensò agli anni del suo addestramento, a quanto la concentrazione sull’evitamento delle emozioni negative lo avesse desensibilizzato a tutto il resto. Eppure altre scelte non ce n’erano: Luxei non aveva diritto di svegliarsi un mattino e affermare il contrario.

“Credo di poter capire…” disse.

“Io invece proprio no.” affermò Heze voltandosi a guardalo in viso e camminando per alcuni passi all’indietro “Preferisco avere abbondanza di buona e cattiva sorte piuttosto che niente d’entrambe.”

“Allora mi auguro che in questo viaggio non verrai accontentato.”

Il ragazzo scoppiò di nuovo in una fresca risata.

“Questa era buona!” esclamò facendo un gesto d’approvazione con le dita.

Ma il suo umorismo, se così era stato percepito, non era stato intenzionale. Lui non si sentiva affatto pronto ad affrontare dei pericoli, o forse questo non era esatto, si sentiva in grado di sopportare delle fatiche, di trovarsi di fronte ostacoli ambientali, persino di gestire la paura… ciò che non era pronto ad affrontare un pericolo che avesse forma umana. Peccato che la voce dentro di sé, che avrebbe tanto desiderato non ascoltare, gli diceva che Luxei lo aveva scelto anche per questo, perché era certo che, messo alle strette, sarebbe stato capace di difendere sia se stesso che il suo accompagnatore. Ma non era vero. Quello che lui sapeva fare non era difendere: difendere era una parola solida, una parola sotto controllo. I Confini difendevano, lui no.

Alle loro spalle, la torre dell’enclave, con le sue caratteristiche punte asimmetriche, non si vedeva già più, e Yèlveran pensò che non si era mai così allontanato tanto da «casa»: cercò di definire quale sentimento si accompagnasse a quel pensiero, ma non riuscì a dargli un nome, così lo lasciò scivolare via.

Tu confondi ciò che vuoi con ciò che è inesorabile che avvenga.

Maledetto mal di testa.

Il sentiero curvava oltre le colline per giungere fino alla strada lastricata che portava a Villanuova. Heze aveva progettato di farsi caricare da un carro e procedere su ruote per un pezzo, finché non fossero stati abbastanza vicini ai Monti di Vetro. Da lì avrebbero abbandonato la via principale e tagliato verso il Valico del Vento.

“Perdonatemi se mi faccio i fatti vostri, ma perché nessun mago mette mai piede al paese? È l’unico posto vivo in un mare di desolazione!”

“Forse dovresti chiedermi perché l’enclave è stata costruita in quel mare di desolazione.”

“Immaginavo per segretezza. I maghi devono custodire i propri misteri!” e incupì comicamente il tono sull’ultima frase allungando le vocali a mo’ di caricatura. Yèlveran pensò che sì, forse qualcuno dei suoi compersi si sarebbe offeso, pur non potendolo uccidere in trentatré ore…

“La segretezza è importante per molte ragioni” disse “politiche, più che legate alle arti in senso stretto, ma non nel caso in questione. Questa enclave è un luogo di apprendimento, e per apprendere una Persuasione è necessario un certo grado di distacco da… dal ritmo della vita, se devo parafrasare un concetto intraducibile. L’apprendimento è una specie di conversazione rigorosamente a due: il Persuasore e la sua mente, senza intrusi. E la mente umana è piena di intrusi, spesso ce ne sono più di quanti ce ne potrebbero entrare… figuriamoci se a questo salotto sovraffollato aggiungi pure le persone, con le loro beghe, le loro complicazioni, le loro pretese e tutto il resto!”

“Ho capito. Quindi fare il mago è una scelta di solitudine?”

Quel ragazzetto faceva domande semplici che tuttavia sembravano nascondere sempre una qualche provocazione. Ma lui aveva imparato a ignorare i non detti: preferiva rimanere al livello basilare della conversazione, che non era affatto il meno importante, anzi, a volte veniva trascurato per cercare di cogliere altro. Che non sempre c’era.

“Questo no. E non è neppure vero che nessuno di noi sia mai venuto in paese, anche se non è frequente. Anzi, i Persuasori hanno un ruolo prevalentemente sociale: molti sono consultati in questioni di governo, consigliano figure di potere e conducono una vita decisamente meno ritirata di quella che fino ad oggi ho condotto io. I più esperti affiancano il Consiglio dei Nove. Anche durante il periodo di apprendimento è comune spostarsi parecchio: per allargare il proprio campo di studi è necessario visitare più enclavi e incontrare maestri diversi. Il numero di Persuasioni praticate è discriminante per chi aspira a ruoli di prestigio.”

“E quante ne praticate voi?”

“Una.”

“E a voi la solitudine piace?”

“Che mi piaccia non è esatto. Mi piacciono gli effetti che produce.”

“Ad esempio?”

Yèlveran rifletté ed incappò di nuovo in un vuoto di parole.

“Scusami, così su due piedi non ho il linguaggio per rendere l’idea.”

“Vi sto facendo troppe domande?”

“No. Ogni domanda ha diritto ad una risposta, e se ce ne fossero alcune a cui la risposta è inopportuna, ti dirò francamente che non posso dartela. Come ti ho detto ieri, apprezzo molto che mi si chieda chiarezza: il cercare di essere chiaro per gli altri chiarifica me, e poiché non sono un buon conversatore le domande mi sono d’aiuto.”

Heze sorrise con dolcezza.

“Dovete avere una concezione un po’ alta di buon conversatore!”

 

Il carro li lasciò al limitare di un sentiero che saliva verso la montagna, mentre la strada che avevano percorso scollinava e tornava a scendere per ricollegarsi con la via per Godeu, quella che arginava la catena montuosa e che Heze di solito percorreva per raggiungere i centri abitati della valle del Lungo. Raramente gli era stato chiesto di andare fino alla capitale: in genere la corrispondenza che doveva oltrepassare l’ala occidentale dei Monti di Vetro veniva consegnata alla stazione di posta di Ponte al Lungo, che la riassegnava ad altri. Il Valico del Vento non faceva parte dei normali percorsi dei messaggeri, ma veniva usato per particolari urgenze, o, talvolta, per il trasporto di carichi preziosi per cui il committente chiedeva la massima sicurezza: allora chiamavano lui, e non c’era molto da discutere visto e considerato che tutti i suoi colleghi perdevano ogni spirito di concorrenza di fronte a quel toponimo.

In fondo, Heze era cresciuto sull’Altopiano, il luogo più inospitale della terra – il culo del mondo, lo chiamavano! - e questo di per sé gli faceva da referenza. Tutto l’Oltrefrattura, in verità, Villanova e dintorni compresi, erano considerate, per ovvie ragioni pratiche, i sobborghi dell’umanità: ma l’Altopiano aveva una lunga tradizione di isolamento e gli abitanti erano ostili almeno quanto l’ambiente, pregiudizio che Heze non aveva gli strumenti per smentire. Superstizione, diffidenza, ferocia gratuita vi facevano da padroni, soprattutto nei paesi piccoli e abbandonati dalla civiltà, come quello in cui lui era nato: ma anche a Exneirva le cose non stavano molto meglio. Al paragone, Villanuova era accogliente e festosa, il che era tutto dire per un borgo sperduto dove la maggiore attrattiva era un palio rionale in cui ciascun rione era composto da due case!

Si stava facendo sera e procedere oltre con così poca luce sarebbe stato difficile.

“Facciamo un pezzo di sentiero, poi ci fermiamo per la notte e domattina iniziamo la salita.”

L’altro non fece commenti e lo seguì in silenzio finché la vegetazione non cominciò a infittirsi e il crepuscolo a confondere ogni cosa. Heze uscì dal sentiero e si inoltrò fra gli alberi, facendo strada: raggiunsero una radura dove tre grosse pietre, una addossata all’altra, creavano una piccola cavità coperta.

“Cos’è?” chiese il suo compagno di viaggio.

Heze fu piacevolmente sorpreso di sentirgli aprire bocca: quell’uomo era davvero molto silenzioso, a meno che non gli venissero fatte delle domande.

“Non si sa. Potrebbe esserci mano umana oppure no. Qualcuno pensa a una specie di altare, o magari una tomba. Però nulla ci dice che non sia solo ciò che resta di una frana avvenuta in tempi molto antichi: il tipo di roccia è lo stesso dei Monti di Vetro, e le pendici sono davvero qui a due passi. In ogni caso…” Heze si tolse il bagaglio dalle spalle e ci frugò dentro estraendo un grosso telo cerato “I viaggiatori lo usano come punto di sosta.”

Cominciò a montare una tenda.

“Stanotte non pioverà,” disse annusando l’aria “ma l’umidità può essere altrettanto fastidiosa, e noi vogliamo viaggiare asciutti.”

L’altro non disse niente, ma cominciò a guardarsi in giro, camminando lentamente quasi in cerchio attorno alle tre rocce.

“Non ci muoveremo da qui per stanotte, giusto?” chiese all’improvviso.

“Io non viaggio col buio.”

“Questo me lo hai detto. Quello che mi serve sapere è se ci sono ragioni per cui dovremmo allontanarci da questo punto. Anche di pochi metri.”

“Ho tutto il necessario per accendere un fuoco e per mangiare, se è questo che intendete.”

La risposta parve soddisfarlo.

“Allora installo un confine qui, così dormiamo tranquilli tutti e due.”

Heze lo osservò con occhi curiosi, ma non osò porre la domanda. Incantesimi, ecco di cosa aveva appena parlato. Così come lui parlava di umidità e di accampamento.

“Però mi devi aiutare.” riprese “Quando te lo chiedo, devi restare fermo, fare silenzio, e respirare come se…” cercò le parole “come se tutto andasse piano. Come se il tuo corpo rallentasse. Ci puoi provare? Così io faccio più in fretta e con meno fatica.”

Heze annuì, perplesso.

E poi ciò che vide fu esattamente il contrario di ciò che aveva sempre immaginato pensando alla magia. Niente oggetti esotici, parole in lingue di cui si è persa memoria o gesti incomprensibili: il suo compagno di viaggio ripeté semplicemente più volte lo stesso percorso circolare attorno al punto in cui si erano sistemati, si fermò a lungo in alcuni punti, spostò dei sassi, piantò dei bastoncini nel terreno, osservò dettagli del paesaggio come se dovesse imprimerli nella memoria, poi si sedette accanto a lui e gli fece il cenno convenuto di fare silenzio. Heze rimase immobile e zitto per un tempo che non passava mai… non gli pareva che stesse accadendo niente, il solo dettaglio degno di nota era forse proprio come quell’uomo fosse capace di scomparire: gli sembrava di non avere accanto niente e nessuno, gli sembrava che non respirasse.

Poi, ad un tratto, lui fece un piccolo suono con le dita, aprì gli occhi, si tirò su in piedi e si stropicciò il viso come qualcuno che si è appena svegliato dal sonno.

“Puoi smettere di tenere il fiato.” gli disse, con dolcezza “Guarda che ti avevo chiesto di respirare come se tutto andasse piano, non di rischiare di morire soffocato!”

Solo in quel momento Heze si rese conto di quanto il suo corpo fosse rigido: altro che rilassarsi, si sentiva teso dappertutto ed una strana confusione gli aveva invaso la testa.

“Quanto tempo è passato?”

“Molto meno di quanto ti sembra e un po’ di più di quanto avrei voluto.”

“Non state rispondendo alla mia domanda.”

L’altro sollevò le sopracciglia e sembrò quasi in imbarazzo.

“Scusa. Dieci minuti, quindici… più o meno. Mi piacerebbe essere più veloce, ma ho dovuto disegnare il confine prima di installarlo, e deve rimanere stabile per tutta la notte…”

Heze si guardò in giro: tutto gli pareva assolutamente immutato.

“Cosa avete fatto, di preciso?”

“Ho modificato la percezione di questo luogo dall’esterno. Ho definito un confine immaginario intorno a noi e poi ho spostato quello che c’è dentro al di fuori dal campo visivo e dei sensi degli altri. In sostanza, chi si avvicina vedrà qualcosa di diverso da due persone accampate sotto i sassi e avvertirà suoni e odori diversi: la realtà si confonde, e noi siamo qui e non ci siamo.”

“E lo avete fatto allineando sassi e smettendo di respirare per dieci minuti?”

L’altro sorrise debolmente.

Tu hai smesso di respirare, non io. E no, non funziona così. I sassi, i punti di riferimento, mi servono per avere chiaro lo spazio di lavoro, perché siamo in un luogo aperto e un confine definito non c’è. Lavorare su un edificio è paradossalmente più facile anche se l’area è più grande. Prima chiarifico bene quello che voglio modificare e poi la mente lo modifica visualizzandolo in modo diverso.”

“Cioè… la magia funziona con l’immaginazione?”

“I termini corretti sono rispettivamente Persuasione e Visualizzazione, ma sì.”

“Wow. Sarei proprio curioso di vedere che effetto fa…”

“Meglio di no, perché se oltrepassi il confine non posso garantire che poi resti stabile.”

“Quindi… qui dentro nessuno può entrare?”

“Non esattamente. Nessuno percepirà che qui c’è un luogo. Ma se si mette a piovere, la pioggia ci bagnerebbe lo stesso. Non esistono confini invalicabili. Anche se io...”

Un’ombra passò sul suo viso, ma scomparve prima che Heze potesse domandarsi quale pensiero lo avesse turbato.

“Accendi il fuoco?” domandò “Col buio, viene freddo in fretta… ”

 

Era freddo, già.

E l’aria era gonfia d’acqua, anche se – aveva detto Heze – non avrebbe piovuto.

Addormentarsi si stava rivelando difficilissimo, anche se era stanco morto: le gambe gli facevano male, non riusciva a trovare una posizione comoda e i rumori della notte erano troppo vividi, vicini come non li aveva mai sentiti. Eppure, aveva già dormito all’aperto: nelle sere d’estate, quando certi incubi lo facevano balzare in piedi nella notte, gli capitava di uscire nel chiostro e stendersi sull’erba a guardare le stelle. La stranezza di quel gesto e il senso di irrazionalità che gli provocava lo alleggerivano, e qualche volta tornava anche il sonno: di solito le prime luci dell’alba lo svegliavano, ma altre era Luxei a scuotergli la spalla, scrollando la testa con sconsolata benevolenza.

“Non è girovagando di notte che seminerai i fantasmi. Devi imparare a chiudere la serratura.”

“Non sono fantasmi, sono ricordi, e tu avresti potuto cancellarli.”

“I ricordi si possono cancellare, ma i loro fantasmi no. Le memorie più dolorose si imprimono nei sensi: continuerebbero a svegliarti e tu non sapresti neppure perché. Che è la cosa peggiore che ti possa capitare, perché allora sì che sei impotente davvero. Chiudi la serratura.”

Si girò su un fianco perché un sasso gli stava premendo contro la schiena: sarebbe stato capace di affrontare quel viaggio? Non si era mai allontanato tanto, non aveva mai messo alla prova la propria resistenza, e non era abituato alle scomodità, ma non voleva infliggere al suo accompagnatore un senso di responsabilità che lui aveva apertamente dichiarato di non volere.

Odiava l’idea di spingere un altro a fare ciò che non vuole, per quello si era rifiutato di imparare la Persuasione della Cesura. C’era qualcosa di perverso nell’idea di sostituirsi alla volontà altrui.

Eppure, molti tra i suoi compersi sostenevano che la sua mente fosse particolarmente predisposto, o che, almeno, avrebbe dovuto allargare i propri ambiti di apprendimento.

Beh, stare lontano dall’enclave per un po’ avrebbe imposto una tregua alla pressione sociale.

Si tirò la coperta fin sopra le orecchie: se non altro, il dolore alla testa era cessato; la concentrazione sul confine aveva arieggiato la sua mente e l’aveva riportata ad una dimensione più confortevole. Tracciare confini era bello. Tenere cose e persone al sicuro era bello. Praticava un’arte gentile e almeno questo andava bene così.

Almeno questo.

Guardò Heze che dormiva con la testa appoggiata su una sacca e l’espressione beata di chi si sente a casa propria. Si chiese se mai nella sua vita gli sarebbe stato possibile avere un’espressione simile, l’espressione di chi non ha paura dei fantasmi, di chi sa che la paura è solo una forza che lavora per tenerci in vita, non un tormento a cui si è condannati.

Aveva paura di essere in viaggio con lui.

Aveva paura di incontrare le persone.

Aveva paura di tornare a Feuzte.

Aveva una paura capace di divorarli entrambi.

“Chiudi la serratura.”

 

  
Leggi le 5 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: Glenda