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Autore: Europa91    02/10/2023    0 recensioni
[Gojo x Sukuna]
[Yuji x Megumi]
[past Michizane x Sukuna][past Gojo x Geto]
“Forse potrà sembrarti una specie di favola, ma non lo sarà. Questa notte ti narrerò dello stregone più potente della storia e di come il suo destino abbia finito con l’intersecarsi con quello dello stregone più forte della nostra epoca”
Sei anni dopo la battaglia avvenuta a Shinjuku, Yuta Okkotsu ripercorre gli eventi del passato, convertendo una tragedia in storia della buonanotte.
[Spoiler per chi segue solo l’anime]
Questa storia partecipa al Writober 2023 di Fanwriter.it
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Altri, Geto Suguru, Gojo Satoru, Okkotsu Yuta, Ryōmen Sukuna
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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II notte - The Disgraced One







prompt: Montagna
 
“Se ti avvicini troppo all’abisso, l’abisso potrebbe diventare parte di te”
Jjk vol.1







Giappone
- Periodo Heian -




C’era stata un’epoca, di cui ben pochi conservavano memoria, nella quale il Re delle maledizioni aveva vissuto e amato come ogni essere umano. 

Ryomen Sukuna non era sempre stato un mostro. Anche lui aveva avuto un’infanzia, degli affetti, conosciuto il calore di una famiglia. Sebbene la maggior parte di quel passato fosse avvolta dalle tenebre e contaminata dai semi della sua stessa leggenda, nei secoli si era arrivati a dimenticare quella che in fondo non era altro che una semplice verità.

Le maledizioni nascono dai sentimenti umani ed era stato proprio un immenso dolore a trasformare Sukuna in quella calamità cinica e spietata che avrebbe cambiato per sempre il volto e la società degli stregoni. 

Ryomen Sukuna aveva sempre pensato che l’esistenza non avesse alcun valore, a cominciare dalla propria. Era nato in un piccolo paesino di montagna, poco distante dalla nuova capitale, Heian-kyo, la futura Kyoto. Di suo padre non serbava alcun ricordo, poteva essere morto in guerra, così come un ladro o un mercante di passaggio, non gliene era mai importato. Secondo sua nonna era stato uno spirito maledetto a mettere incinta sua madre ed era per questa ragione che il piccolo Ryoma aveva ereditato quell’aspetto.

Ryoma. Per un periodo quello era stato il suo nome. Un’identità che Sukuna aveva volutamente scelto di abbandonare e seppellire insieme alla propria umanità, dopo aver perso la cosa per lui più importante. 

Era nato con un colore di capelli insolito e per questo allontanato o guardato con sospetto sin dalla più tenera età. I suoi capelli candidi e gli occhi rossi spiccavano troppo in quell’ambiente povero e rurale. 

“Mio padre era davvero maledetto?” aveva trovato il coraggio di domandare a tre anni, dopo essere stato rincorso e preso a sassate da alcuni bambini del paese vicino. Ricordò come in quell’occasione sua madre gli avesse sorriso dolcemente stringendolo tra le braccia, dopo aver medicato per l’ennesima volta le sue ferite.

“No. Era uno stregone potente che mi ha affidato il più grande dei doni”

Ryoma non ci aveva creduto. Per lui quell’uomo era solo un codardo che aveva preferito darsi alla fuga piuttosto che assumersi le proprie responsabilità.

Aveva sempre saputo dell’esistenza degli stregoni e del loro mondo. In quella realtà satura di conflitti, morte e povertà, coloro che sapevano come esorcizzare le maledizioni venivano visti e trattati con rispetto. Tre famiglie in particolare avevano iniziato a distinguersi, ergendosi sul resto dell'aristocrazia e avvicinandosi alle grazie dell’Imperatore, che sempre più spesso si trovava a chiedere i loro servigi. L’uomo che aveva generato Ryoma non poteva essere tanto importante o non avrebbe scelto una semplice contadina come sua madre. 

Sukuna non ricordava nemmeno quale fosse il suo nome, solo che gli ricordava quello di un fiore. Era molto bella ma fragile ed effimera, come la primavera. Aveva lunghi capelli scuri e un sorriso più luminoso del sole. Erano così diversi.

Lui era il figlio del peccato, una disgrazia calata su quella famiglia.

Gli occhi di Ryoma possedevano la stessa sfumatura del sangue e i suoi capelli erano candidi come la neve che ricopriva le cime dei monti. Era diverso in un’epoca in cui la diversità era vista come una minaccia.

Perché era venuto al mondo? Perché doveva soffrire così tanto? Erano domande alle quali per lungo tempo aveva cercato di trovare una risposta.

Per colpa della sua nascita, sua madre era stata ripudiata dal proprio Clan finendo con il  trovare ospitalità presso un’anziana vedova che Ryoma aveva preso affettuosamente a chiamare “nonna”. Era quella donna a medicare le sue ferite e a sfamarlo quando sua madre era troppo impegnata con il lavoro nei campi.

Vivevano in una zona impervia e isolata, in cui le notizie giungevano con settimane se non mesi di ritardo. Il raccolto di quell’anno era stato magro, le piogge scarse, sembrava davvero che sul Giappone fosse calata all’improvviso una sorta di maledizione.

“La colpa è di nuovo di quel Sugawara” la prima volta in cui Ryoma aveva udito quel nome aveva quasi otto anni. Era sceso fino al villaggio alle pendici della montagna per vendere del riso e lì aveva origliato una strana conversazione tra alcuni uomini del paese.

A quel tempo la popolazione era quasi del tutto analfabeta, le notizie viaggiavano per editti che venivano letti in pubblica piazza. Era accaduto anche quel giorno ma il bambino, come i propri coetanei, era completamente disinteressato alla situazione politica del Paese. Era bastata una parola ad attirare la sua attenzione,

“Capisco che voglia prendersi le proprie libertà ma sta esagerando. Uno stregone potente come lui dovrebbe solo obbedire e seguire gli ordini” Ryoma aveva fatto cadere il sacco che aveva tra le mani, facendo voltare i presenti verso di lui.

“E tu che voi ragazzino? Che hai fatto ai capelli?” tuonò il primo,

“Non lo sai? È quel piccolo disgraziato che vive sulla montagna, si dice che la madre sia stata posseduta da un demone, ecco perchè ha questo aspetto bizzarro” spiegò un secondo

“In effetti non sembra umano” il bambino si stava innervosendo. Ogni parola era come una stilettata al petto. 

“Guarda i suoi occhi, sembrano quelli di un demone assetato di sangue”

“E pensare che sua madre è così bella”

“Doveva esserlo per forza per giacere con un demone”

A Ryoma era stato insegnato a non cedere all’ira ma quelle parole erano difficili da sopportare. Poteva tollerare le offese rivolte alla sua persona ma nessuno doveva permettersi di toccare sua madre o infangare il suo onore.

Si scagliò contro quegli uomini iniziando a colpirli ma venne subito fermato e preso a bastonate, ritornando a casa solo alle prime luci del tramonto. Non era riuscito a vendere nulla, anzi aveva finito con il perdere quel poco che possedeva. Quella sera patirono la fame, così come la seguente. Per un pò non si fece vedere al villaggio, preferendo rimanere tra le proprie montagne, lì si sentiva stranamente in pace. In quei luoghi nessuno faceva caso ai propri capelli troppo chiari o era spaventato dalle sue iridi scarlatte.

Sua madre si ammalò in primavera e lo lasciò prima che le foglie si tingessero dei colori dell’autunno. Rimasero solo lui e la nonna che l’avrebbe seguita un paio di inverni più tardi. 

A poco più di dieci anni Ryoma sperimentò sulla propria pelle il significato della parola solitudine. Un sentimento che lo avrebbe accompagnato per più di mille anni anche se in forme e modi differenti.

Ancora una volta, il bambino provò ad interrogarsi sul senso della propria esistenza. Se non fosse mai nato sua madre non sarebbe stata ripudiata, avrebbe vissuto con la propria famiglia, si sarebbe sposata e sarebbe stata felice. Anche la nonna non avrebbe dovuto dividere i propri pasti e subire gli sguardi di rimprovero della gente solo per averli accolti nella propria dimora. Sarebbe stato meglio per tutti.

Chi fa del bene riceve del bene. Chi fa del male diceve del male.

Era una delle sue massime preferite che Ryoma aveva sempre detestato. Non aveva chiesto lui di nascere con quell’aspetto maledetto e sicuramente sua madre non aveva fatto nulla per meritarsi una simile disgrazia.

Iniziò a rubare per necessità divenendo suo malgrado il leader di un gruppo di orfani. Quell’anno una pestilenza decimò gran parte della popolazione. L’intero Paese sembrava essere allo sbando e la situazione nelle campagne non era fra le migliori. In futuro, si sarebbe parlato del Periodo Heian come di un’età meravigliosa, si sarebbe ricordata come la stagione di massimo fulgore della stregoneria ma vivere in quell’epoca fu terribile. La situazione politica sempre più instabile non faceva altro che creare nuovi disordini e sommosse. In questo clima carico di incertezza, le maledizioni avevano trovato un modo di proliferare e attecchire, nutrendosi dei sentimenti più oscuri e pericolosi dell’animo umano. 

Ryoma possedeva un fisico robusto, non si era mai ammalato e godeva di una forza fuori dal comune. Erano tutte doti che aveva ereditato da quel padre sconosciuto che sembrava avergli donato anche la capacità di vedere queste maledizioni. La prima volta che accadde, Ryoma si trovò a salvare un suo compagno caduto da un tetto. Era stato spinto da una creatura che solo il giovane albino sembrava essere in grado di vedere. Da quando aveva memoria, Ryoma aveva sempre vissuto a stretto contatto con quelle creature. Le incontrava quando si addentrava troppo in profondità nelle grotte oppure appresso agli individui malvagi che lo prendevano a sassate. 

Era convinto che sarebbe bastato ignorarle e fingere che non fossero mai esistite. Lui non era uno stregone, non era fatto per quella vita. 

A dodici anni, si guadagnò un nuovo soprannome,

“Sei una vera e propria calamità naturale altro che disgrazia” tuonò un vecchio dopo che Ryoma e i suoi compari avevano distrutto il recinto dove riposavano le sue capre. Avevano anche rubato delle verdure ed una manciata di riso. Non era molto, una quantità appena sufficiente a coprire i morsi della fame.

Rispose al nuovo appellativo con una linguaccia voltandosi e andando così ad urtare contro un uomo che procedeva nella direzione opposta. Cadde a terra finendo con il sedere ai suoi piedi. Da quell’insolita posizione Ryoma prese ad osservare lo sconosciuto. Non aveva mai visto dei sandali così finemente lavorati. Il tessuto del suo kimono sembrava essere di vera seta e odorava d’incenso. 

“Ti sei fatto male ragazzino?” mormorò tendendogli la mano. Ryoma la rifiutò finendo in questo modo con l’incontrare il suo sguardo, perdendosi nel viola di quelle iridi. Era una tonalità che non poteva esistere in natura. Questo fu il primo pensiero che attraversò la sua mente. Era un colore incredibile, gli ricordò un glicine nonostante avesse in sè anche qualche sfumatura bluastra. 

Aprì e richiuse la bocca un paio di volte trovandosi improvvisamente a corto di parole.

“No” trovò la forza di rispondere dopo diversi tentativi, mentre alle proprie spalle i suoi complici si dileguavano lasciandolo in balia di quel nobile sconosciuto. L’uomo non smise per un istante di sorridergli mostrando una fila di denti bianchissimi. Aveva dei lineamenti perfetti. Ryoma non aveva mai visto un uomo tanto bello. I suoi capelli corvini erano perfettamente pettinati e ricadevano elegantemente lungo la sua schiena. Sembrava quasi una divinità.

“Hai degli occhi magnifici. Mi ricordano un cielo al tramonto” mormorò scuotendolo dal torpore nel quale era caduto. Pure la sua voce aveva un qualcosa di melodioso e ultraterreno.

Nessuno gli aveva mai rivolto un complimento. Dopo la scomparsa di sua madre, Ryoma non aveva più ricevuto parole gentili o gesti d’affetto.

“Siete davvero crudele a burlarvi in questo modo di un povero contadino” trovò il coraggio di rispondere, cercando di mantenere un piglio severo

“Sei un disgraziato, una calamità ecco cosa sei” Il vecchio che aveva derubato qualche minuto prima li aveva raggiunti. Afferrò Ryoma per un braccio obbligandolo a chinare il capo,

“Perdonatemi venerabile stregone, lasciatemi condurre questo piccolo ladro lontano dalla vostra vista” a quelle parole, qualcosa in Ryoma scattò. Quell’uomo era uno stregone, il tipo di persona che più di tutte detestava. Iniziò a scalciare ma la presa del vecchio era più salda di quello che sembrava e lui non mangiava da giorni. Non si sarebbe liberato facilmente. Il nobile però gli sorrise aprendo un ventaglio e portandoselo al volto, con un movimento elegante e studiato,

“Ha forse fatto qualcosa di male?” domandò con un tono cortese

“Mi ha derubato e distrutto una recinzione” a quelle parole lo stregone scoppiò a ridere, 

“Una vera forza della natura eh. Tenete” concluse estraendo un paio di monete dalla sacca che portava in vita. 

“Queste dovrebbero bastare per ripagare i danni provocati dal nostro piccolo disgraziato-kun” mentre l’uomo accettava quel denaro esibendosi in mille inchini ossequiosi, Ryoma esplose,

“Non ho bisogno del vostro denaro, né del vostro aiuto” lo aggredì, trasformando il sorriso sul suo volto in un’espressione sinceramente confusa,

“Dovresti ringraziarmi non urlarmi contro”

“Non mi serve l’aiuto di uno stregone”

“Chi ti dice che io lo sia?”

“L’ha detto quel vecchio”

“Ti ha anche definito una calamità ma non credo che tu lo sia”

“Invece lo sono. Sono un disgraziato, un maledetto” l’uomo lo squadrò da capo a piedi per poi scuotere la testa con fare divertito. Ryoma rimase incantato nell’osservare quei lunghi capelli mossi dal vento, il gesto armonioso venutosi a creare da quel movimento.

“Non vedo nessuna maledizione intorno a te” 

“Grazie, questo lo so da me. Cerco sempre di non avvicinarmi troppo a quelle creature immonde” si accorse un secondo più tardi del proprio errore, quando due occhi viola si fecero pericolosamente più vicini. Ryoma si perse in quel colore così insolito per diversi minuti prima che lo stregone lo richiamasse alla realtà,

“Lo sapevo che eri un tipo interessante” decretò con orgoglio, tornando a giocherellare con il proprio ventaglio,

“Voi invece siete solo uno strambo” era vero, Ryoma non aveva mai incontrato un individuo simile, si chiese se tutti i nobili o tutti gli stregoni fossero come lui.

“Allora? Posso andarmene?” domandò dopo qualche minuto, notando di come l’uomo lo stesse ancora studiando.

“Ti lascerò andare solo dopo che mi avrai ringraziato” il ragazzino lo fissò con astio,

“Non avete niente di meglio da fare che importunarmi?” lo stregone finse di pensarci,

“La sala da tè della signora Fumi aprirà tra un paio d’ore. Io però avevo finito il vino così avevo pensato di godermi una passeggiata fra le montagne quando mi sei venuto addosso” prese a raccontare apparentemente senza motivo.

“Siete voi che non mi avete visto arrivare” sbottò Ryoma sulla difensiva, incrociando le braccia al petto

“Hai ragione, avevo disattivato la mia tecnica per qualche ora, non mi aspettavo certo che una calamità si abbattesse su di me”

“La vostra tecnica?” anche se tutto in quell’individuo lo innervosiva, la curiosità ebbe la meglio,

“Si chiama del minimo infinito, ma sto ancora lavorando sul trovargli un nome migliore”

“Perchè tanta pena per dargli un nome?”

“Perchè tutte le tecniche ne hanno uno così da poter essere tramandate”

“Fatico a comprendere il senso di queste parole” L’uomo gli sorrise prima di iniziare pazientemente con lo spiegare,

“Viviamo in un’epoca eccezionale, il mondo dell’occulto si sta espandendo e stiamo apprendendo molte nuove tecniche per combattere ed esorcizzare maledizioni. Per uno stregone creare una tecnica significa anche poterla lasciare in dono alle nuove generazioni, a coloro che verranno dopo di noi”

“Non mi interessa il futuro. Penso sia inutile pensare a qualcosa di così lontano nel tempo, quando non so neppure se vivrò abbastanza da vedere sorgere la prossima alba” lo sguardo dello stregone si fece più cupo, serio,

“In tutta onestà non credevo che la situazione nelle campagne fosse così disperata” si trovò ad ammettere

“Non ho bisogno della vostra pietà”

“Hai detto che puoi vedere le maledizioni, non hai mai pensato di diventare uno stregone?”

“Io odio gli stregoni” urlò Ryoma con tutto il fiato che aveva in corpo prima di voltarsi e fuggire.

L’uomo rimase ad osservarlo per qualche secondo prima di venir raggiunto dal proprio servitore,

“Finalmente vi ho trovato Sugawara-dono. Non dovete girovagare da solo, ho sentito dire che queste montagne sono piene di ladri”

“O di calamità naturali” mormorò divertito prima di aggiungere “Combatto da anni contro le maledizioni e nessuno può sfiorarmi. Però avete ragione, rientriamo ho bisogno di bere”


***


Trascorsero un paio di settimane durante le quali Ryoma non riuscì a togliersi dalla mente quello strano stregone. Ogni volta che il ragazzino incrociava una maledizione, oltre ad ignorarla, ripensava allo sguardo di quell’uomo o al nome bizzarro della sua tecnica. Minimo infinito. Erano parole senza senso così come il comportamento assunto da quell’individuo.

Il loro successivo incontro avvenne per caso o forse fu semplicemente l’ennesima opera di un destino mutevole che si divertiva a giocare con le loro vite.

Quella mattina, poco prima dell’alba, Ryoma si era recato nella propria dimora tra le montagne. Non era un giorno comune ma l’anniversario della morte di sua madre. 

Il ragazzo aveva preso ad incamminarsi nella foresta, cercando come sempre di evitare di infastidire gli spiriti che la popolavano. Nell’ultimo periodo le maledizioni sembravano essere aumentate sia in numero che nelle dimensioni. Stava ancora pregando davanti alla tomba della donna quando venne attaccato proprio da una di esse.

Ryoma non aveva mai visto una creatura simile. Provò a fuggire ma venne subito afferrato per una gamba e gettato a terra. Chiuse gli occhi preparandosi al peggio.

Fu in quel momento che udì la voce dello stregone,

“Per essere qualcuno in grado di vedere le maledizioni ti sei lasciato catturare facilmente, disgraziato-kun" lo prese in giro,

“Mi ha colto alla sprovvista” Ryoma non sapeva il perchè ma avvertì il bisogno di giustificarsi con quell’uomo che non aveva smesso per un solo istante di fissarlo divertito,

“Come preferisci. Posso sapere almeno cosa hai fatto per scatenare una maledizione di questo livello?”

“Livello? Stavo solo pregando sulla tomba di mia madre” lo stregone notò la piccola croce in legno ormai distrutta ai suoi piedi. 

“Comprendo” disse prima di attivare la propria tecnica. Un lampo violaceo costrinse Ryoma a chiudere gli occhi e quando li riaprì la maledizione era scomparsa mentre lui era di nuovo con il sedere per terra.

“Come avete fatto?” domandò cercando di contenere la propria sorpresa mentre tentava di ripulirsi dai residui di quella creatura,

“Era solo un secondo livello” rispose quasi annoiato, 

“Non mi sono neanche dovuto impegnare” aggiunse accompagnando il tutto con un’alzata di spalle

“Secondo livello?”

“Gli stregoni hanno pensato di dividere le maledizioni in vari livelli a seconda del loro grado di pericolosità” iniziò a spiegare

“Quindi se uno stregone incontra una maledizione troppo potente sa già se può esorcizzarla o meno?”

“Sei un ragazzino sveglio” Ryoma arrossì senza volerlo, era il secondo complimento che riceveva da quell’irritante sconosciuto,

“Voi a che livello siete?” domandò, più che altro per cambiare argomento,

“Penso di essere abbastanza forte”

“Questa non è una risposta”

“Se ti avessi detto che sono lo stregone più potente al servizio dell’imperatore mi avresti creduto?”

“No”

“Appunto, quindi fatti bastare la mia prima risposta”

“Grazie”

“Come?”

“Mi avete salvato, è la seconda volta. Non lo ripeterò di nuovo quindi vedete di farvelo bastare” l’uomo sorrise per poi allungare una mano andando a scompigliargli i capelli in un moto d’affetto,

“Sei davvero incredibile disgraziato-kun”

“Lasciatemi stare” sbottò Ryoma scostandosi da quel tocco gentile, sebbene fosse l’ultima cosa che desiderasse fare, “E smettetela di chiamarmi in quel modo”

“Ti chiamo così perchè non conosco il tuo nome”

“Ryoma”

“Mi piace, penso ti si addica”

Rimasero per qualche minuto in silenzio.

“Era la tomba di tua madre?” domandò lo stregone indicando ciò che rimaneva della croce semi distrutta dalla maledizione

“Si, è morta un paio di anni fa, poco lontano si trova anche quella della nonna, ha voluto essere sepolta accanto al proprio marito”

“E tuo padre?”

“Non ho un padre” l’uomo annuì

“Capisco. Bene ho deciso, vieni con me disgraziato-kun ti farò diventare uno stregone” Ryoma gli regalò un'occhiata furiosa oltre che confusa

“Mi sembrava di avervi detto che io odio quelli come voi”

“Non hai nulla per cui rimanere e sei in debito con me. Non sei nella posizione di rifiutare”

“Siete un tipo strano”

“Mi hanno detto di peggio”

"Perché prendere con voi un ragazzino che conoscete appena?” Ryoma non riusciva a comprendere quali fossero le vere intenzioni di quello stregone, il suo istinto gli suggeriva di non fidarsi, di non abbassare la guardia,

“Se vuoi la verità ho abbandonato il mio Clan e ora mi annoio” quella risposta lo sorprese,

“Abbandonato?”

“Si è una lunga storia che al momento non ho voglia di raccontare. Ti basti sapere che ho deciso di prendermi una pausa dai miei doveri di stregone”

“Ed è una cosa che si può fare?” Ryoma non riuscì a quantificare il grado di verità nascosto in quelle parole, tuttavia qualcosa gli suggeriva di come non stesse mentendo

“Di norma no, ma nessuno può impedirmelo. Ora non guardarmi così” gli occhi del ragazzino sembravano volerlo trapassare. Era uno sguardo tagliente, affilato come la punta di una freccia. Il sorriso sul volto dello stregone si fece più ampio,

“Non prendetevi gioco della mia ignoranza”

“Non lo sto facendo. Ti ho raccontato la verità, ho litigato con gli anziani del mio Clan e mi sono preso una sorta di vacanza. Ho bisogno di trovare me stesso” qualcosa nello sguardo dello stregone lo convinse che fosse sincero,

“Voi chi siete?” uno strano dubbio attraversò la mente del giovane Ryoma ma era un’ipotesi talmente assurda che non la volle prendere in considerazione

“Hai ragione non mi sono nemmeno presentato, mi chiamo Sugawara no Michizane” 

Ryoma fece un paio di passi indietro, quello era lo stregone più potente e famoso dell’intero Paese.
  
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