Anime & Manga > Boku no Hero Academia
Segui la storia  |       
Autore: pansygun    05/10/2023    3 recensioni
My first obsession is you.
My second is having sex with you.
• • •
DISCLAIMER: questa storia ha rating 🔞 per i contenuti espliciti in essa descritti (sesso).
A mio discapito, se siete sensibili vi invito a non affrontare questa storia.
• SPOILER per chi non avesse letto il fumetto o guardato l'anime! •
• • •
{Deku x Bakugo}
Angst
Mild-spicy
• • •
Tutti i diritti riservati ©️ veciadespade | 2023
I personaggi originali di My Hero Academia sono di proprietà di Kōhei Horikoshi.
Genere: Comico, Erotico, Hurt/Comfort | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Izuku Midoriya, Katsuki Bakugou
Note: Lemon | Avvertimenti: Non-con, Spoiler!, Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

I hate that it seems I am never enough


 
Scegli.
La confortante normalità del ciclamino 
o la verticalità provocatrice del girasole?
~ Fabrizio Caramagna ~
 
1 luglio 
 
L’alba era stata bella.
Ne aveva viste di migliori, certo. Ma quella era bella. E calda.
Ma non per il calore dei raggi del sole sulla pelle, o per i corpi stretti accanto a lui che silenziosamente ammiravano quello spettacolo.
Era stata bella perché lui l’aveva vista riflessa nel profilo affilato di Kacchan.
Aveva visto i suoi capelli tingersi quasi di un rosa aranciato, la stessa tonalità che gli colorava le guance e, Dio!, quegli occhi sembravano rubini scintillanti!
Era rimasto curvato sul parapetto, con la testa tra le braccia un po’ incrociate e un po’ a penzoloni oltre il bordo, dondolando un piede per il nervoso, mentre il suo sguardo vagava dalla lieve foschia giallastra sul mare calmo a quel ragazzo, defilato da tutti che si godeva l’alba in santa pace.
Era come se la sua ossessione per lui fosse tornata fuori tutta in una volta, prepotente come un pugno in pieno viso, come quando erano piccoli e lui non vedeva nessuno, oltre a Kacchan.
La sua serenità, il suo aprirsi dopo giorni di mutismo selettivo, di cattiverie dette tra urla e scossoni: quelle erano state le micce che avevano fatto esplodere di nuovo tutto.
Non era stata quella stupida sfida con se stesso, quella voglia pettegola di sapere perché lui non…
No, ok: quello l’avrebbe scoperto lo stesso, ma non era più un obiettivo fine a se stesso!
L’aveva baciato e s’era lasciato abbracciare!
E se Selkie non li avesse interrotti…
Aveva affondato di più il viso nelle braccia e, se anche Tsuyu se ne fosse accorta non gli importava.
Tanto lei aveva ragione: erano solo due bambini troppi cresciuti che fanno un passo verso l’altro e poi corrono all’indietro per cento metri e si allontanano di nuovo.
Ma lui non voleva allontanarsi di nuovo! Voleva rincorrerlo stavolta. Rincorrerlo e buttarlo a terra e dirgli che scappare non vale, scappare non serve a nulla, che lo sapeva, che ci aveva provato e aveva fallito miseramente.
Perché ovunque andasse, qualcosa gli rammentava sempre lui.
Durante la navigata di rientro lui e Kacchan s’erano tenuti distanti e l’aveva visto con la testa ciondolante, seduto mezzo appisolato su una cassa di munizioni sotto una mitragliera a prua.
Gli aveva fatto tenerezza, perché aveva trovato un punto non di passaggio, in cui nessuno l’avrebbe disturbato. Ma ogni volta che ripensava a quel contatto mancato, Izuku si ritrovava a fluttuare a una ventina di centimetri da terra.
Gliel’aveva fatto notare uno dei marinai, prima che pure il ragazzo se ne rendesse conto.
E, a ripensarci, anche durante i fuochi gli era capitato…
Così, fluttuando più in alto, l’aveva trovato e svegliato con calma, solo per avvisarlo che erano approdati.
S’era pure offerto per portarlo in volo fino a casa, dato che non riusciva a reggersi in piedi dal sonno.
La risposta? «Non violare il regolamento.».
Nessuna imprecazione colorita, nessun insulto, solo la presa salda sul braccio di Izuku durante tutto il tragitto dal molo alla loro abitazione.
Venti minuti di imbarazzante silenzio, in cui Izuku se lo trascinava appresso senza sforzo, un mezzo sorriso sulle labbra e un borbottio nella sua testa, in cui veniva imbastito un discorso senza senso che mai gli avrebbe fatto, ipotizzando ogni mossa, ogni risposta che l’altro avesse potuto dargli.
Così erano arrivati a casa, fin troppo in fretta a detta di Kacchan, che stentava a reggersi in piedi, come se avesse bevuto mezzo open bar.
In realtà era solo ubriaco di sonno.
Izuku lo aiutò a togliersi le scarpe da ginnastica, dandogli piccoli colpi per guidarlo verso il divano, dove le lenzuola erano ancora sfatte dalla sera precedente.
«Sicuro di dormire qui?», si preoccupò, ricevendo solo un’occhiataccia e un mugugno come risposta. «Dico… Potresti tornare a dormire sul tuo letto, come tutte le persone normali.».
«Non avevamo litigato?», biascicò il biondo, stropicciandosi gli occhi prima di osservarlo, come fanno i bambini che non riescono più a resistere e stanno per crollare addormentati.
«Sì, Kacchan. Ma abbiamo anche fatto pace, credo. - si chinò e si scrutarono - Sei così strano oggi che non riesco a capirti.».
«Parlo strano?».
«No. - gli sorrise - Sei strano. Ma va bene, dai. Mi piaci quando sei strano.».
«Ti piaccio?», biascicò ancora, ciondolando appena, cercando di agguantare le coperte e appallottolarle, ma ci si era seduto sopra ed era esilarante vedere la sua frustrazione.
«Sì. Da un po’. Forse da sempre in realtà.», confessò candidamente Izuku, consapevole che, in quello stato, l’elettroencefalogramma di Kacchan era praticamente piatto e non si sarebbe ricordato nulla al suo risveglio.
«Anche tu.», e quella frase si concluse con il tonfo della testa di Kacchan sul cuscino del divano, il corpo tutto accasciato di lato e il respiro pesante.
Izuku ignorò quelle parole. Troppo stanco anche lui per dare peso a ciò che diceva o sentiva o, forse, consapevole che non valessero in quell’occasione: «Nonononono! - lo sollevò di peso per le spalle, riportandolo seduto - Tu qui non dormi! In realtà oggettivamente non riesci a dormire. E sei intrattabile. - stava iniziando a blaterare mentre lo sollevava, agguantava le coperte e lo sospingeva verso la camera - E ti ho comprato un cuscino nuovo, così non ti inquieti!» e lo sedette di peso sul proprio letto, mentre gli strappava di mano le coperte per sistemargli il giaciglio, mentre il biondino era sempre in bilico tra l’accasciarsi di lato e il finire spiaccicato a dormire con la faccia a terra. In entrambi i casi a Kacchan, stanco morto com’era, non gliene sarebbe importato. A Izuku sì.
Una volta terminato, gli si mise di fronte per alzarlo ma un “vestiti”, brontolato a mezza voce, l’aveva bloccato.
«Vestiti? Devo toglierti i vestiti?», e quello annuì con un cupo brontolio.
Non fu l’imbarazzo a fermarlo e a controbattere, ma solo la stanchezza e le energie in esaurimento.
«Ma non puoi dormire così? Per una volta? Una!».
«…por… - uno sbadiglio rumoroso - …co…».
«Non sei sporco Kacchan! Finiscila e andiamo a letto… Ti prego! Non fare il difficile adesso… Sono le otto del mattino e stiamo morendo di sonno tutti e du-».
«…pú…».
«Sì, vabbè, ok. Tu di più! Cristo che pigna nel culo che sei certe volte!», e gli afferrò con poca grazia la maglietta, sollevandola oltre la testa, intrappolandogli le mani nello sfilarla con una risatina, forse perché solo in quel momento si stava rendendo conto dell’equivocabilità di quella situazione.
Ma non doveva pensarci, o sarebbe stato peggio. Molto peggio.
E non aveva voglia di farsi una sega dopo che era stato in piedi da più di un giorno, non stop e con l’alto rischio di addormentarsi nel farsela!
Scosse la testa ancora una volta, gettando la maglietta a terra, verso la finestra, afferrando Kacchan per le spalle per evitare di farlo schiantare al suolo per l’ennesima volta, spingendogli la schiena contro il muro, unica superficie che lo poteva sostenere mentre provava a slacciargli i pantaloni.
«Ma guarda te che…», borbottò sempre a testa bassa, mentre tentava di far scorrere il tessuto leggero dei pantaloni neri oltre i fianchi, oltre il sedere e lungo le cosce, con un’imprecazione stretta tra i denti nel cercare di non trascinarsi dietro quei cazzo di boxer neri. Se pure quell’ultima barriera di tessuto si fosse staccato dalla pelle eburnea di Kacchan, lui sarebbe capitolato.
Quanto poteva essere debole la volontà umana? Quella di Izuku in quel momento era come un orsetto gommoso gigante con la gelatina che tremolava ad ogni passo, pronto a crollare su se stesso.
Per fortuna (o purtroppo, dipende tutto dal punto di vista) riuscì a togliergli i pantaloni senza ulteriori imbarazzi, passando poi ai calzini, tirandosi in piedi a osservarlo respirare lievemente, gli occhi mezzi chiusi che sfarfallarono lenti verso di lui. Forse non lo stava neppure guardando, ma poco importava, mentre si sbottonava la camicia di lino e la appendeva alla maniglia della porta.
Quei tre giorni di festa erano stati lunghi, assurdi e gli avevano rimestato i sentimenti nel petto. E non sapeva bene se fosse effetto delle birre, del vino o del ragazzo che giaceva scomposto e seminudo sul suo letto, ma la pelle sembrò sfrigolare sulle braccia, piccoli brividi che gli suggerivano, subdoli, di prende Kacchan, stringerselo contro come aveva fatto quella sera in un moto di tenerezza, affetto e riconoscenza, tutti shakerati assieme come un cocktail troppo dolce e dissetante.
Si posizionò tra le sue gambe aperte e gli prese con delicatezza le mani, salendo col tocco lungo i polsi, afferrandogli i gomiti per staccarlo dalla parete.
«Dai scemo… Questo non è il tuo letto.», e se lo tirò contro, la guancia di Kacchan premuta sulla propria spalla, mentre gli passava le braccia sotto le scelte e faceva forza sulle gambe per sollevarlo di peso, caricandomelo addosso, inerme e bollente a contatto con la pelle.
Lo strinse di più, si auto convinse che era solo per non farlo cadere, ma la realtà era un’altra.
Le dita premevano sulla sua schiena e gli sentì muovere la testa, strisciare la guancia contro il pettorale e s’irrigidì a quel gesto.
Erano appiccicosi di quel velo fastidioso di sudore dato dall’afa che sembrava fungere da adesivo, altrimenti non si spiegava quel contatto prolungato e quel cullarlo improvviso, registrando il movimento nella sua testa solo dopo un paio di minuti buoni.
Un timido raggio di sole stava giungendo dalla finestra e bastó quel tenue bagliore a scuoterlo.
Mezza piroetta e un passo avanti dopo, depose Kacchan sul suo letto, aiutandolo a stendersi, coprendolo dolcemente col lenzuolo, prima di osservarlo rannicchiarsi, abbracciato al cuscino.
Un sospiro.
Un altro.
Poi decise di togliersi i pantaloni chiari, abbandonandoli a terra prima di sedersi sul letto ad osservare per l’ultima volta il ragazzo biondo che ora si voltava, dandogli la schiena. Per l’ennesima volta.
Inspirò a fondo mentre chiudeva gli occhi e l’ultimo pensiero andava a Kacchan.
Quanti ultimi pensieri erano andati a lui nell’ultimo periodo?
Provò a contarli, ma finì solo con l’addormentarsi più in fretta.
 
 
•••
 
 
Katsuki si svegliò con calma, strusciando il viso sul cuscino che profumava di pulito in una maniera così piacevole da immaginare di essere disteso nel sottobosco, l’aria fresca della montagna che portava l’aroma delicato del ciclamino.
All’ennesimo piccolo mugolio di soddisfazione, decise di muoversi, di stiracchiarsi con calma, abbracciando ancora il cuscino mentre si trascinava all’indietro, piegato sulle ginocchia, sporgendo il sedere e allungando la schiena il più possibile.
Udì un rumore sommesso, senza fiato, un grugnito di insoddisfazione.
Si fermò di colpo, spalancando gli occhi e guardando il corpo che occupava il letto accanto alla porta, illuminato dal sole che filtrava dalla tenda della finestra.
Disteso a pancia in su, Deku dormiva ancora, anche se la luce inondava in pieno il suo letto, il lenzuolo gettato allentato sopra la vita. Il pulviscolo in controluce sembrava avvolgerlo di minuscole particelle luminose.
Si mise seduto sui talloni, il cuscino ancora stretto tra le braccia e la testa rivolta verso Deku, lo sguardo ipnoticamente catturato dalla sua espressione tranquilla. Come faceva a dormire sempre così? Pure col sole che lo scaldava… Come faceva a essere così maledettamente tranquillo?
Abbandonò il cuscino sul materasso, scendendo dal letto con calma, spostandosi a sinistra e poi in avanti, e fissò il suo corpo, la curvatura del suo petto che si alzava e si abbassava ad ogni respiro, un leggerissimo luccichio di sudore sulla sua pelle abbronzata; la delicata spolverata di lentiggini sulle spalle ora sembrava essere più definita e scura contro la pelle che aveva preso colore. I suoi riccioli verdi prendevano le sfumature brillanti dello smeraldo sotto i raggi del sole. La stessa sfumatura di colore anche sulle lunghe ciglia che si muovevano in maniera quasi impercettibile, seguendo forse il filo di un sogno che continuava a fargli emettere mugolii dalle labbra socchiuse.
Katsuki si ritrovò a contrarre le mani lungo i fianchi per trattenere il desiderio di allungarsi e toccarlo e sentire quanto era calda la sua pelle.
Non s’era mai concesso di guardarlo tanto a lungo e, di certo non mentre era calmo e pacifico nel sonno, perché era lui che lo svegliava in malo modo la mattina.
Gli passò per la testa che si fosse perso a fare una cosa troppo inquietante e che avrebbe dovuto tirargli una cuscinata in faccia e svegliarlo. Ma non ci riuscì.
Così andò a passo svelto in bagno, a lavarsi la faccia appiccicosa di sonno e sudore.
Tornò in camera e indossò la sua divisa da corsa, continuando a guardarsi alle spalle per vedere il ragazzo che stava ancora dormendo.
Era perfetto nel sonno, sembrava a suo agio. Sembrava completamente contento, con le labbra rosee e leggermente lucide per la saliva. C'era del rosa anche tra le lentiggini sulle sue guance.
Avrebbe potuto sfiorargliele, quelle guance, leggermente, senza svegliarlo.
Avrebbe potuto accarezzargli la pelle con un dito, magari sfiorargli il labbro con il pollice.
Il ricordo prepotente di quel bacio mancato, poche ore prima, gli irrigidì le spalle e gli fece andare a fuoco le orecchie.
Strisciò in avanti, attento a non fare rumore mentre muoveva i piedi sul legno, per non far scricchiolare nulla e allungò la mano prima di potersi fermare.
L’istinto, il bisogno di toccarlo si fece insopportabile.
La mente sembrava immersa in una bolla, col cuore che pulsava nel petto e sembrava suggerirgli che non ci sarebbero state ripercussioni per quello che voleva fare, perché Izuku era beatamente inconsapevole e senza pretese.
Deglutì, combattuto con se stesso, perché il corpo continuava a disobbedirgli, portandolo ad infilare due dita sotto il bordo del lenzuolo per scostarlo, tirarlo indietro.
Il ragazzo addormentato nel letto non si mosse nemmeno nel sonno, ancora completamente addormentato mentre il lenzuolo veniva staccato dalle sue cosce, mettendolo da parte per avere uno sguardo perfetto sulle sue gambe. La pelle abbronzata della curva delle cosce spiccava sul rosso del tessuto e, anche se scomposto, Katsuki lo fissava, con le labbra dischiuse e le guance arrossate dalla vergogna e dall’imbarazzo per aver indugiato con lo sguardo sui suoi slip grigi.
Si stropicciò il volto con le mani: «Cazzo…», sussurrò, alzando di nuovo lo sguardo verso il viso di Izuku, e si sporse leggermente in avanti, cercando di guardarlo meglio in faccia. I suoi lineamenti erano completamente rilassati, e rimasero tali anche quando Katsuki gli mise la mano sul petto, dapprima sfiorando con le dita la pelle umida per appoggiarvi poi il palmo piatto, premendo per sentire l’eco del proprio cuore battere in asincrono col suo.
Chiuse gli occhi ed emise un sospiro sollevato. Non aveva temuto neppure per un momento che non fosse vivo, ma quel gesto sembrò comunque rassicurarlo, come se fosse la conferma ultima che Deku era lì, davanti a lui, e non era più uno scherzo della sua testa.
S’erano presi a schiaffi e abbracciati, ma fu quel contatto a farlo rendere conto che Izuku fosse di nuovo lì, a casa.
Un brusco respiro, seguito da un gemito silenzioso, gli fece staccare la mano all’improvviso, come se quella pelle fosse fuoco, mentre il ragazzo si muoveva sul letto, arcuando il collo contro il cuscino, trovando una posizione più comoda della precedente.
Basta.
Doveva smetterla e andare a correre, perché erano le due del pomeriggio e aveva già mandato a puttane la sua routine giornaliera!
Ma più la sua testa dava ordini, più il suo corpo disobbediva, subdolo, mentre brividi leggeri gli danzavano sulla pelle delle braccia.
La mascella di Izuku era ancora allentata, le palpebre restavano chiuse, la testa inclinata di lato sul cuscino, e Katsuki proprio non poteva resistere, allungando ancora una mano, uno sfiorare leggero sullo sterno, per poi muovere i polpastrelli in una carezza dolce sulla pancia, spingendo con le dita nei suoi addominali rilassati, scorrendo i polpastrelli verso il basso, oltre l’ombelico, ingoiando un gemito sommesso non appena incontrò l’elastico delle mutande e qualcosa di umido bagnargli i polpastrelli.
La stoffa grigia era così tesa che uno spazio si era allargato tra lo slip e il suo pube.
Il pensiero di ciò che gli aveva detto di fare Tsuyu gli fece scaldare le guance e le mani più del dovuto, tanto che portò velocemente i palmi sulle proprie cosce, asciugando il sudore sui pantaloncini e scuotendo le mani per evitare spiacevoli incidenti.
Vide Izuku muovere le gambe nel sonno, con le cosce più divaricate e fu per lui una stilettata diretta al centro del petto, tanto da abbassare la testa e mordersi ferocemente il labbro inferiore per trovare una valvola di sfogo a tutta quella frustrazione.
Perché non voleva ammettere a se stesso che quella poteva essere l’occasione giusta, anche se si sentiva alla stregua di un pervertito.
Udì il respiro di Izuku farsi affannoso per un momento, finché un dolce, lieve gemito uscì dal basso della sua gola, la testa premuta appena sul cuscino e il sedere che si strusciava di poco sul materasso per sistemarsi; non si era girato e l’espressione sul suo viso era cambiata a malapena, corrucciando solo le sopracciglia.
Katsuki non riusciva a sopportare la vista di quel ragazzo che, l’aveva capito solo in quel momento, stava sognando qualcosa di decisamente inopportuno.
Ed era proprio lì, aperto e disinvolto sotto i suoi occhi. Ed eccitato anche se non era nemmeno maledettamente sveglio!
Dio! Ma come cazzo fa?
Strinse gli occhi, per invidia e per tentare di recuperare se stesso e la propria erezione che spingeva per essere liberata, stringendo i pugni ai lati del corpo per ricercare un contegno che aveva perso.
E sapeva esattamente anche dove e quando l’aveva perso (circa un giorno prima, in una cabina minuscola su una nave di merda).
Scivolò un po’ più avanti sulle assi di legno, attento a non produrre alcun suono mentre si sporgeva verso di lui, il fiato trattenuto e gli occhi spalancati per controllare che non si svegliasse proprio in quel momento.
Premette le labbra sullo zigomo del ragazzo, che emise un mugolio e mosse il busto, sprofondando di più nel materasso.
Le guance di Katsuki erano in fiamme e, probabilmente, sarebbe morto per autocombustione spontanea se Izuku avesse emesso un altro verso del genere.
Aveva capito che i gemiti gli piacevano, non solo sentire i propri, che ovattavano tutto il resto, ma soprattutto quelli degli altri.
E la voce di Izuku sembrava premere il tasto giusto, produrre la nota perfetta per farlo sudare freddo e fargli finire il cuore nello stomaco.
Deglutì e si umettò le labbra, prima di premerle su quelle di Deku, una punta di disperazione nel respiro a sentirlo rispondere a quel tocco, sporgendo le labbra morbide ad accompagnare quel tocco.
Si scostò in fretta, temendo di essere stato colto in flagranza di reato, senza alcuna possibilità di appello. Ma il ragazzo sembrava solo alla ricerca di aria.
Uno solo ancora.
Si sporse a baciarlo di nuovo e, stavolta, il gemito fu completamente soffocato dalle sue labbra, mentre Izuku inarcava la schiena per andargli incontro, premendo la bocca sulla sua, respirando la sua stessa aria.
Piccoli baci, uno dietro l’altro, le labbra appena separate, inumidite solo con le punte delle lingue che si sfioravano e le orecchie di Katsuki riempite di gemiti che gli regalavano fitte al basso ventre e troppo calore alle mani e al collo.
Si staccò in fretta, gli occhi sbarrati a sentirlo mugolare e sistemarsi sul letto con calma. Il rumore che era uscito da lui era come un fottuto cigolio, e il suo viso addormentato era tornato disteso, la pace scritta dipinta su quelle guance arrossate e le labbra tumide.
Katsuki si coprì la bocca con la mano
Si vergognava come un ladro per ciò che aveva fatto.
Un ladro di baci.
Ma lo voleva. Dio! Ogni fottutissima cellula del suo corpo lo voleva e gli stava dicendo di distendersi accanto a Deku, di rimanere con lui e dormire.
Voleva tanto dormire bene come lui, avere il suo stesso sonno pesante.
Si morse l’interno della guancia mentre passava entrambe le mani prima sul viso e poi in alto, a incastrarsi in quella massa informe di capelli biondi che era ancora più disordinata del solito dopo il risveglio.
Lo osservò dall’alto, le guance che ancora erano tanto calde da poterci cuocere le uova, pensò, e, in un momento di assurda lucidità, il suo cervello gli lanciò un segnale che assomigliava più ad un campanello d’allarme, a una sirena della contraerea, a un megafono puntato sull’orecchio mentre qualcuno strillava forte “abuso”.
A quel pensiero il cuore sembrò fermarsi e si ritrovò a sudare freddo, mentre con mani tremanti prendeva il lenzuolo e lo copriva alla buona, cercando di non dare peso alla macchia scura su quegli slip grigi che Dio solo sa come facciano a tenerglielo!
Uscì dalla stanza e da quella casa con la morte nel cuore e un senso di colpa che gli stringeva lo stomaco e gli faceva pizzicare gli occhi.
Il sole delle due e mezza era impietoso, ma non gli importava, perché avrebbe preferito sciogliersi come burro, piuttosto che pensare di dover affrontare Izuku dopo quello che aveva fatto.
Mentre correva verso la collina del cimitero, si ripromise di dirglielo.
Era suo diritto sapere quanto stronzo era stato!
Eppure, un piccolo tarlo, a destra, appena dietro l’orecchio, chiedeva, fastidioso, alla sua coscienza che senso avesse vergognarsi quando Deku non era nemmeno sveglio per saperlo?
A casa, Izuku si rigirò nel letto, di lato e poi con la pancia sul materasso, abbracciato al cuscino, immergendosi maggiormente nella luce del sole che filtrava dalla finestra e da quella posizione non si mosse più, semplicemente immobile, col respiro pesante e regolare, dando la schiena al muro, continuando a respirare pesantemente.
 
•••
 
Izuku non ricordava l’ultima volta che aveva dormito fino a tardi, forse dalle medie. Che poi, alla fine, aveva riposato quasi sette ore e il fatto che fossero le tre del pomeriggio gli aveva dato la falsa sensazione di essere un lavativo. Ma era il suo giorno libero, giusto? 
Perché allora si sentiva tanto in colpa?
Che c’entrasse quel sogno così maledettamente invitante che aveva fatto e di cui, cazzo!, ricordava a malapena dei flash, delle immagini slegate tra di loro.
Ora, mentre vedeva il pavimento avvicinarsi pericolosamente al naso durante flessioni in salotto, si stava solo dando dell’idiota per essere venuto nel sonno come se fosse uno stupido adolescente senza controllo!
S’era ritrovato con le mutande bagnate e aveva pure dovuto mettere a lavare le lenzuola su cui si era evidentemente strusciato senza un briciolo di coscienza.
Portò il braccio destro dietro la schiena nuda e continuò con un’altra ripetizione da venti push-ups, lo stomaco che iniziava a brontolare per la fame mentre cambiava braccio e ricominciava il conto, focalizzandosi sul respiro e sulle venature del parquet, una musica incalzante in sottofondo nella stanza per darsi un boost di motivazione.
Non sentì il lieve cigolio della porta, neppure Katsuki entrare e fermarsi sulla soglia.
Il ragazzo era rimasto immobile, la schiena contro la porta chiusa e il sacchetto del kombini stretto febbrilmente nella mano sudata.
Non si aspettava di trovarlo sveglio, in realtà: tra loro due era Deku che aveva problemi a svegliarsi e che al mattino era molto più lento e pigro.
Trovarlo a terra, intento a far flessioni, con quei pantaloncini che, impertinenti, gli si erano infilati in mezzo al culo…
Deglutì. La casa era diventata improvvisamente più calda e si ritrovò a sudare, stupendosi di avere ancora liquidi in corpo, vista la temperatura esterna e quella visione all’interno del loro salotto.
«Deku!», pronunciò con voce ferma e una strana calma nel tono.
Izuku, colto alla sprovvista mentre si dava la spinta per cambiare braccio a mezz’aria, lanciò un riletto stridulo, dovuto più alla sorpresa che a una reale paura, perdendo l’equilibrio e finendo con la faccia sul pavimento umido di sudore.
Dopo un primo momento di stordimento, fece forza e si rialzò da terra, mugolando per la botta presa sul naso, mettendosi in ginocchio e maledicendo Kacchan e gli spaventi che gli faceva prendere.
«Ho le chiavi: entro quando mi pare, idiota.».
«Sì ma ero concentrato! Sentì! - si mise una mano sul petto - Mi hai fatto prendere uno spavento…».
Il ragazzo fece schioccare la lingua sul palato, dandogli ancora una volta dell’idiota nel togliersi le scarpe.
Poi, mentre raggiungeva Izuku, piegato a fare dello stretching a terra, Katsuki alzó un sopracciglio, mentre lo sguardo indugiava con insistenza appena sopra il suo fondoschiena, attirato da un segno rosaceo che spuntava dall’elastico dei pantaloncini e saliva su, seguendo la colonna vertebrale per una decina di centimetri o poco più.
«Quella è nuova?».
Il ragazzo di fronte a lui sobbalzò a sentire quella voce graffiata ora tanto vicina. «Cosa?».
«La cicatrice.».
Izuku ridacchiò, tirandosi in piedi agilmente e pulendosi il volto e il collo dal sudore con la maglietta raccattata dal divano: «Ne ho un sacco di nuove!», sembrò vantarsi, visto il tono sprezzante della voce mentre si avviava verso il frigorifero per prendere da bere.
Katsuki fece un profondo respiro e rilassò le spalle prima di raggiungerlo, poggiando la borsa della spesa sul ripiano vuoto accanto ai fornelli.
Aveva detto bene: la pelle di Deku era costellata di cicatrici, più o meno estese (come quella sul suo braccio destro), il cui colore variava di tono a seconda di quanto fossero vecchie o profonde e, talvolta, quelle più piccole e chiare di confondevano con le sue lentiggini.
«Questa, idiota.» e allungò una mano, fino a sfiorare delicatamente con i polpastrelli quel segno sulla sua pelle.
Izuku trasalì a quel contatto e fece un passo di lato per togliersi da quel tocco, che di per sé non era neppure fastidioso, solo… Invadente.
E si sentì un po’ uno stronzo perché l’invadenza era una delle sue peggiori caratteristiche e affibbiare quel pensiero a Kacchan era ingiusto.
Forse sperava solo che lui non se ne accorgesse mai, scioccamente.
«Aah! - si ritrovò a ridacchiare come il suo solito, preda del nervosismo - Questa! Bah… Niente! Ecco, sì. Niente di che!».
Perché ogni volta quello sguardo accigliato riusciva a fargli quell'effetto? Perché con lui si sentiva costantemente sotto esame?
«Mh.».
Un mugugno e un sopracciglio alzato, un ultimo sguardo prima di tornare a togliere i prodotti dalla busta del negozio e riporre le cose in frigo.
Izuku fu svelto ad agguantare la vaschetta di gelato e aprirla, cercando un cucchiaino nel porta-posate.
Kacchan odiava chi parlava con la bocca piena e lui avrebbe potuto evitare domande scomode con quello stratagemma (oltre a mangiare qualcosa, perché stava letteralmente morendo di fame!).
Il primo boccone freddo gli fece chiudere gli occhi ed emettere un mugolio soddisfatto. Quando riaprì gli occhi, Kacchan era poggiato al frigo con una spalla e lo stava guardando, quasi a volergli soppesare ogni pensiero.
«Niente di che? Allora, se è niente di che… Perché non mi racconti che è successo? Cos’è? Top secret come il resto delle tue missioni?».
«Le mie missioni non sono tutte top secret!», sbottò.
«Allora perché non mi racconti? Devi ancora dire nulla sul tuo meraviglioso anno e mezzo all’estero, che ti ha reso così illuminato da avere quel tuo cervello pieno di idee di merda!».
Izuku sbuffò: «Ancora con questa storia?».
Katsuki strinse di più le braccia al petto e, senza mai staccarsi dal frigorifero, continuò a punzecchiarlo: «Ah no? Fammi cambiare idea! Raccontami la tua bellissima esperienza! Parti… - alzò il mento nella sua direzione - Parlami di questa missione che non è niente di che
A Izuku le gambe sembravano di gelatina e pure il gelato sembrava aver perso di gusto dopo qualche boccone.
Perché solo con lui era così? Perché solo con Kacchan si sentiva sempre come un bambino colto in flagrante dopo una marachella?
«Maaa… Niente ti ho detto. È saltato solo un incidente… Una svista!».
«Una svista?».
«Una svista, sì.».
«Una svista bella grossa, Deku. Cos’è? Hai calcolato male un atterraggio come i principianti?».
Ma Deku non rispose, distogliendo prontamente lo sguardo dal suo, prendendo un’altra generosa cucchiaiata di gelato, mugugnando qualcosa di incomprensibile.
«Sei poco collaborativo.».
«Mi stai facendo il terzo grado!».
«Ti ho solo chiesto come te la sei fatta. Mi sembra ancora in fase di guarigione. Dato che era una cosa di poco conto pensavo avessi un aneddoto stupido su cui riderci sopra.».
«Aneddoto stupido un paio di palle!», berciò Izuku, riempiendosi di nuovo la bocca.
«Ah? Che significa?».
Fu in quel momento in cui Izuku si rese conto che la sua brutta abitudine di fare ragionamenti a mezza voce l’aveva trascinato in un bel guaio, soprattutto perché la mano sudaticcia e bollente di Kacchan gli stava strizzando le guance con forza, facendogli sputare a terra cucchiaino e gelato in un colpo solo.
«’acchan… ‘ai ‘ale!», biascicò, poco prima che lui mollasse la presa e lanciasse nel lavandino la confezione di gelato mezza sciolta e quasi finita.
«Cosa cazzo hai combinato?», scandì il biondo.
Non sapeva bene come spiegarlo, ma gli era sempre sembrato che Kacchan avesse uno strano, secondo potere, tipo una premonizione o un sesto senso, che funzionava solo con lui e che impediva ad Izuku di provare a raccontargli qualche frottola. 
In quello, non sapeva chi tra i due fosse più bravo a scovare le sue bugie, se sua madre Inko o Kacchan.
Si massaggiò il viso per cercare un po’ di sollievo.
«Molotov...», esalò Izuku, a testa bassa, guardando il coinquilino solo di sottecchi.
«Che cazzo c’entrano le bombe adesso, ah?», fece Katsuki, spazientito, con la voce che già raschiava la gola per uscire, perché sentiva puzza di stronzate da un miglio di distanza.
«Non… Non è una bomba. Non solo, almeno. È il nome con cui si faceva chiamare il villain Matvey Tomaševič, in arte Molotov
Katsuki sbatté le palpebre qualche secondo, interdetto: «Dovrebbe dirmi qualcosa?».
Izuku prese un profondo respiro e, prima di ricominciare a parlare, fece una smorfia e guardò in alto, incrociando le braccia al petto. E per Katsuki fu davvero difficile non spostare lo sguardo su quei bicipiti.
Come cazzo faceva ad averli così grossi se non faceva pesi?
«In realtà no. Era un criminale lituano, che spesso operava assieme ad una cellula resistente dei Lupi di Tambov a San Pietroburgo.».
«Il nome non mi è nuovo…»
«Kacchan… Sono in contatto anche con la Yakuza! Come fai a non saperlo?».
«Non mi hanno dato un brief al riguardo, per cui non è una cosa per me fondamentale da sapere.».
«Ahia! Qui mi scadi un po’, Mister So-tutto-io!».
Katsuki si mosse di scatto, cogliendolo impreparato, puntandogli un dito contro lo sterno: «Attento a come parli, Deku! – e si toccò poi la tempia, continuando a parlare con tono calmo - Non hai idea delle informazioni che devo memorizzare.».
Izuku sospirò ancora e lo guardò in faccia, mentre lui continuava a fissarlo con la sua solita espressione dura e accigliata. E, in quel momento, gli mancava un po’ il Kacchan ubriaco di sonno, molto più dolce e rilassato di quello che aveva di fronte in quel momento.
«Beh… Sta di fatto che con l’Interpol si è decis-».
«Chi l’ha deciso?».
«Il CCC. – lo vide separare le labbra per parlare, ma lo precedette – Centro di Comando e Coordinamento. Funziona un po’ come da noi con la QSNC. Fai conto che a capo vi sia il corrispettivo europeo di Hawks… Ecco, lui aveva deciso di affidarmi ai colleghi di stanza in Estonia per aiutarli a stanare questo supercriminale perché io avevo già esperienze con quirk simili...».
Si guardarono per un momento che a Izuku parve un’eternità, perché non voleva dire apertamente che l’avevano mandato lì perché “quel pazzo ha un potere molto simile al tuo collega Dynamight” (testuali parole).
Ma Katsuki era sempre stato un ragazzo sveglio e non ci mise molto a collegare il nome del villain con il potere, anche se non lo conosceva.
«Ah.». E fu l’unico suono che uscì dalle sue labbra, mentre quelle di Deku si curvavano in un sorrisino imbarazzato.
«Insomma… L’abbiamo trovato. Solo che… È stato, come dire… Più difficile del previsto? Ecco, sì.», e mise le mani su fianchi, portando in fuori il petto, stiracchiandosi fino a tirare i polpacci stando in punta di piedi, sembrando ancora più grosso e imponente agli occhi di Katsuki, che stava pian piano collegando piccoli pezzi.
«Era questa la tua missione top secret?».
«Già.».
«E quella ferita, allora?».
«Ho voluto strafare. Come il mio solito… - si grattò la nuca e distolse lo sguardo da quello di Kacchan – Quello è un incidente.».
«Deku…», ma quel tono era solo carico di impazienza e rabbia.
«Ehm… Ti ricordi che ti ho detto che ho perso il cellulare nel Baltico?».
«Era una balla?».
«NO! No… Tutto vero… Molotov stava… Stava per esplodere e fare una strage e-», ma si bloccò, vedendo Kacchan incurvare le spalle e togliergli quasi le parole di bocca.
«E tu l’hai preso e ti sei lanciato con lui in acqua...».
«E tu come…».
«Sei fottutamente prevedibile, Deku.». lo disse con quel mezzo sorriso che gli incurvava solo un angolo delle labbra mentre inarcava il sopracciglio, che Izuku avrebbe dato via un rene solo per poterlo baciare fino allo sfinimento.
Forse era malato, perché quell’espressione di scherno era la stessa da almeno dieci anni ed era passato dal temerla, all’odiarla, fino a volerla vedere tutti i giorni, come in quel momento.
Fu solo quando lo sguardo di Katsuki indugiò più a lungo sul viso di Deku che lo vide sussultare, come se stesse nascondendo qualcosa. Perché era lampante che fosse così, anche dalle lettere che cercava disperatamente di non balbettare fuori dalla bocca come quando aveva tredici anni.
«E-e poi… Il problema è stata l’onda d’urto, in realtà…».
E così gli raccontò che non ricordava nulla di più di quella missione: s’era svegliato qualche giorno dopo in un letto d’ospedale in Finlandia, sorvegliato a vista da almeno quattro agenti speciali.
«Il medico mi ha detto che me l’ero vista brutta e che la cicatrice sarebbe rimasta, perché i suoi guaritori non avevano potuto fare di più, preferendo salvare ossa e muscoli…».
Izuku era un fiume in piena di parole e di gesti e Katsuki rabbrividì a quel racconto riportato, figurandosi nella mente la scena di Deku che veniva scaraventato all’interno di un vortice d’acqua fino a sbattere con la schiena contro un gasdotto, sul fondo del mare. Provava dolore per lui. E una sottile apprensione che gli faceva gradualmente spalancare gli occhi a ogni parola che il ragazzo di fronte a lui diceva.
Era sopravvissuto a un’esplosione subacquea, ma aveva rischiato di perdere la vita in un modo tanto stupido, guidato unicamente dalla sua perenne sfortuna.
«Cazzo! Se non ti rompi qualcosa non stai bene tu, eh?», provò a stemperare, ma gli uscì più rauca del previsto quella frase. E più dura, fin troppo.
«Senti da che pulpito! Parla quello che stava per avere un braccio bionico!», ma pure a Izuku quella frase uscì male. Malissimo. Perché il suo sguardo saettò dritto al centro del petto di Kacchan, dalla cui canotta s’intravedeva il bordo frastagliato della cicatrice. «Io… Scusa, non intendev-».
«Lo intendevi benissimo invece.», sbottò Katsuki, riprendendo colore dopo quel racconto che gli sembrava più un film dell’orrore.
«Senti… Mi dispiace, ok? – e provò ad avvicinarsi – Non volevo offenderti. O tirare fuori cose vecchie, va bene? Sto solo cercando di dirti che poi è stato tutto in discesa… - sorrise, sghembo - Più o meno…».
«Più o meno? Dio… Ma ti senti? - s’alterò – Ma ti hanno mandato in missione per cosa? Per istigare i tuoi istinti suicidi?  - fece un mezzo giro su se stesso e si mise le mani nei capelli – E lo dici come se stessi parlando di quante volte caghi in un giorno!».
La bocca di Izuku si tirò in una smorfia dubbiosa «Dalle tre alle quattro?».
«NON ME NE FREGA UN CAZZO DI QUANTE VOLTE CAGHI!», e mentre gli urlava contro aveva fatto un paio di passi verso di lui, facendolo arretrare verso la parete. «Ti rendi conto che ti hanno mandato in giro a fare il lavoro sporco per gli altri e a rischiare la pelle in maniera idiota?».
L’espressione serafica di Deku lo fece alterare ancora di più. «Sì. Lo so. Ma mi ha permesso di superare i miei limiti. Spostare l’asticella più in alto.».
«E cosa hai ottenuto, ah? Non vedo tappeti rossi quando passi! Non vedo la tua faccia sulle copertine della stampa internazionale!».
«A me non interessa. Ho fatto il mio lavoro e l’ho fatto con passione. E mi sono divertito. Mi sono fatto male ma mi sono anche divertito nel fare il mio lavoro. Sono cresciuto, Kacchan. Ho trovato l’occasione per formarmi anche al di fuori del Paese. Stando qui… Sarei rimasto sempre uguale…», e alzò le spalle, come se tutto ciò che pronunciava fosse ovvio, banale. Non voleva essere una critica verso Kacchan, ma solo una constatazione, un punto di vista espresso nella maniera più pacata che conosceva per contrastare la rabbia che vedeva salire nell’amico.
E Katsuki fece difficoltà a restare lucido a quelle parole, un po’ perché era alterato da quel discorso, interpretato come una critica diretta, e un po’ perché si sentiva ancora ferito dall’ultima discussione che avevano avuto. Alla fine del discorso di Deku, la cui pacatezza aveva tanto il sapore di una presa per il culo, non riuscì più a trattenersi; ma non lo accusò di nulla. Su quello entrambi avevano già dato.
Il marasma di sentimenti che si agitava dentro di lui lo portò a parlare a ruota libera, stupendo Izuku per la sincerità con cui stava, finalmente, esprimendo ciò che provava.
«Quindi tu pensi che stando qui io sia sempre uguale a prima? Io? IO? – Katsuki gli puntò l’indice contro il petto premendo con tutta la forza di cui era capace - TU, merdosissimo nerd! Tu non hai idea di quello che ho passato qui! Non hai una stracazzo di idea di quello che continuo a vivere ogni giorno! Non hai idea di cosa significa dover essere bloccato sotto ad una maschera che ogni giorno l'avvoltoio di turno cerca di scalfire!», e lo spinse, o, almeno, ci provò.
Ma Izuku era ben fermo sui propri piedi, l’espressione accigliata mentre lo lasciava sfogare.
In fondo, era stato lui a iniziare e, per ogni azione c’è sempre una reazione uguale e contraria. Alla fine della fiera, la terza legge di Newton si può applicare anche alle relazioni umane.
«Ma che cazzo ne vuoi sapere, ah? No! Per te è sempre stato tutto facile! Beh, news del giorno: NON PER TUTTI É COSÍ! - quello sguardo carico d’astio dardeggiò verso il volto di Deku - Non tutti sanno esprimersi, non tutti sanno comunicare. Alcuni poveri stronzi devono pensarci, prima di respirare… - prese fiato pure lui, la voce meno ferma di prima - Perché basta un attimo di esitazione per apparire debole e succede quello che hai visto anche tu ieri!».
Izuku deglutì e strinse i pugni al pensiero di quegli stronzi, che sperava tanto fossero ancora in custodia alla centrale di Polizia.
«Sei tanto bravo tu, ah! Hai la tua faccia pulita, la reputazione di nuovo simbolo della pace. Quindi a te che ti importa? Tanto sono IO l'hero-villain, Deku! Sono io quello che tutti credono essere stato la spia della UA. Lo pensano tutti da una vita, ma quasi nessuno ha il coraggio di dirlo a voce alta! Ma glielo lascio dire, glielo lascio pensare… Sai perché? Perché non sei l’unico che salva il culo alle persone! E mentre tu eri chissà dove a rischiare la pelle nei modi più idioti vivendo del riflesso di una vittoria, IO ho dato tutto me stesso in ogni fottutissima missione!».
La voce era più bassa e graffiata del solito, gli occhi arrossati, così come il collo e le orecchie. Le mani stringevano forte il tessuto dei pantaloncini, da cui proveniva del leggero vapore.
«Non hai idea di quanto mi sia impegnato per lavorare in gruppo! Mi sono impegnato a contare fino a dieci anche quando le comparse scadevano negli errori più banali. Non ti permetto nemmeno di insinuare che l’unico stronzo a non essere cambiato sono io! Non quando la tua assenza ha raddoppiato il MIO carico di lavoro. – s’indicò il petto con rabbia - E io non parlo solo delle aspettative che hai disatteso andandotene, non parlo neppure della delusione che provavo ogni fottuta volta che dicevano che nessun altro meritava di essere il numero uno al suo posto! – gli rivolse di nuovo il dito contro, avvicinandosi ancora, le parole strette tra i denti quasi digrignati -No, mio Golden Boy del cazzo! Perché mentre tu rischiavi una paralisi in mezzo a un branco di idioti gaijin, qualcuno qui viveva col costante pensiero rivolto a una testa di cazzo dispersa chissà dove, irreperibile, che è praticamente scomparso dai radar!», la voce si era alzata di tono, spezzata in più punti da piccoli singulti trattenuti, mentre gli occhi a stento riuscivano a trattenere le lacrime.
Ne scese una, a destra, un percorso tortuoso fino a metà della guancia, prima che il dorso della mano di Katsuki la togliesse con stizza, il respiro che faticava a regolarizzarsi, la gola che bruciava per aver parlato così tanto. Troppo, quasi da pentirsene. «Mi spieghi che cazzo di senso ha avuto fare tutto questo, sopportare tutto questo, se tu non eri qui? – piagnucolò, preda di una morsa che gli stringeva il petto – Sei solo un maledetto stron-.».
Ma quell’offesa morì direttamente sulle labbra di Izuku, che con presa decisa gli aveva afferrato la gola e l’aveva tirato a sé, baciandolo.
Fu solo un bacio di un paio di secondi, in cui Katsuki parve perdersi, a occhi spalancati, colto alla sprovvista dal gesto.
Izuku, commosso da quello sfogo, s’era ritrovato sia a volerlo zittire, sia a volergli dire che ciò che gli stava urlando addosso era vero, che aveva fatto un buon lavoro su se stesso e che gli dispiaceva di averlo lasciato a fare tutto il lavoro come un povero stronzo.
Ma le parole non erano uscite e, se anche l’avessero fatto, avrebbero avuto una forza minore rispetto a quel gesto.
Si staccarono di poco, un respiro e poi di nuovo un contatto dolce, leggero, con le labbra che sapevano di sale e di gelato, morbide e umide, mentre la presa sulla gola si faceva più leggera, fino a lasciarla del tutto.
«Sei stato bravo, Kacchan…», gli sussurrò contro prima di allontanarlo con calma, gli occhi fissi in quelli cremisi dell’amico. Una frase che riassumeva un pensiero più articolato, fatto di affetto, di incoraggiamenti e di scuse per aver lasciato che lui interpretasse male le sue parole, che però quelle labbra morbide e sottili avevano mandato all’aria in tempo zero.
Attese un’esplosione, che non arrivò mai. Attese anche qualche imprecazione, ma il silenzio che continuava ad aleggiare tra di loro si stava caricando di un imbarazzo sempre crescente.
«Scusa, Kacchan… - provò a giustificarsi Izuku, preso da un improvviso panico, realizzando ciò che aveva fatto - È che mi è venuto spontaneo per dirti che mi sei mancato… E che mi sono comportato da stronzo…»
«Deku…».
«E che non ho pensato alle conseguenze…»
«Deku! Va bene così. Credimi.».
«Non sei… Arrabbiato?».
«Sono calmo.».
«Okay… Sei furioso. – si piegò in un inchino, le mani giunte sopra la testa – ODDIO SCUSA! Scusa! Scusa! Scusa! Laverò tutta casa per la prossima settimana per farmi perd-».
«DEKU!», e quello alzò la testa, cercando con lo sguardo Kacchan, che s’era già allontanato dalla cucina, come se nulla fosse successo, indicandogli il bagno con un cenno del capo.
«L’unica cosa che devi lavare per il momento è te stesso. Puzzi da far schifo!».
«Ma io-».
«Muoviti! O vengo lì e ti ci porto a forza!», minacciò, lasciando i palmi in bella mostra, mentre piccole scintille scoppiettavano su di essi.
«Beh… Non sarebbe una cattiva idea…», borbottò con un sorrisetto mentre gli passava davanti.
«Cosa?».
«Cosa?».
Katsuki allungò una gamba cercando di tirargli un calcio che prontamente Izuku schivò, affrettando il passo verso il bagno: «Deku giuro che ti prendo a calci nel culo se non ti muovi a lavarti!».
Soltanto quando Izuku chiuse la porta del bagno dietro di sé, Katsuki trovò la forza di rannicchiarsi sulle proprie ginocchia, mentre il cuore riprendeva a battere come un forsennato nel portarsi una mano alla bocca, sfiorando con i polpastrelli le labbra e il sorriso in cui esse si tendevano.
 
 
I miss you, took time but I admit it
It still hurts even after all these years
And I know that next time, ain’t always gonna happen
I gotta say I love you while we’re here

~ Blink 182 ~
 
   
 
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Boku no Hero Academia / Vai alla pagina dell'autore: pansygun