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Autore: Europa91    05/10/2023    1 recensioni
Otto anni dopo l’incidente di Suribachi, Verlaine viene informato della morte di Rimbaud.
“Arthur era morto. Il partner che lo aveva salvato dal laboratorio del Fauno e la persona che aveva tradito. (…)
Lo avrebbe salvato, avrebbe trovato un modo per riaverlo nella sua vita.”

Qualche stagione prima di Dazai e Odasaku, c’era stato qualcun altro che aveva provato a cambiare il corso del destino.
[Spin off di “In Order to Save You”]
[Contiene Spoiler della Novel Stormbringer]
Genere: Angst, Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Arthur Rimbaud, Chuuya Nakahara, Nuovo personaggio, Paul Verlaine
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'People Exist To Save Themselves'
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Stagione XIV - Mensonge








 

«Suis-je trompé? La charité serait-elle sœur de la mort, pour moi?

Enfin, je demanderai pardon pour m'être nourri de mensonge.»*

 

Une Saison en Enfer - Mensonge









 

Wonderland

-Londra- Villa di Dumas



 

Charles Baudelaire era rimasto in silenzio mentre ascoltava Alexandre Dumas narrare nei minimi particolari le circostanze del proprio incontro con Verlaine e Rimbaud. L’ex numero due dell'intelligence francese era un fiume di parole mentre raccontava della gravidanza del biondo o della sua successiva fuga.

«Quando sono arrivati con quel test tra le mani ho rischiato l’infarto. Non me lo sarei mai aspettato. Pensavo fosse uno scherzo. Ma dallo sguardo di Black ho capito quanto fossero seri. Immagino che anche a Victor sia venuto un colpo» concluse lanciando un’occhiata in direzione di Stendhal.

Il capo della sezione interrogatori ci pensò per una manciata di secondi,

«In realtà mi sembrava più adirato per il fatto che Black fosse tornato a Parigi lasciando Arthur e il bambino»

Dumas scoppiò a ridere mentre Rimbaud alzava per l’ennesima volta gli occhi al cielo. Era una situazione surreale, gli sembrava di trovarsi all’interno di un sogno o di una barzelletta di pessimo gusto. Incrociò per una frazione di secondo lo sguardo di Charles. Aveva dimenticato quanto quelle iridi fossero blu e come un tempo avesse amato quella particolare sfumatura di colore, così diversa dal ghiaccio che caratterizzava Paul. Prese un lungo respiro,

«Vado a preparare altro tè» propose prima di alzarsi di colpo. La vicinanza a Baudelaire lo metteva a disagio. Si sentiva come uno scolaretto di fronte alla prima cotta. Non era un comportamento da lui ma erano successe così tante cose che aveva bisogno di tempo per poter processare tutto con calma,

«Aspetta vengo con te» il comportamento di Charles non aiutava. Il giovane Poète si era alzato a sua volta e non aveva esitato a raggiungerlo in cucina.

Dumas e Stendhal si scambiarono una lunga occhiata che da sola valeva più di mille parole.

«Penso che Arthur lo abbia respinto» commentò il biondo con sicurezza, afferrando uno dei pasticcini e portandoselo elegantemente alle labbra,

«Charles non è un tipo che si arrende facilmente» l’ex Poète gli sorrise

«Lo intuivo o non lo avrebbe aspettato per tutti questi anni»

«Pensavo che la notizia del bambino lo avrebbe in qualche modo scoraggiato» ammise con sincerità il capo della sezione interrogatori

«Dagli tempo, è ancora giovane»

Stendhal preferì ignorare il senso di fastidio che aveva provato nel vedere Baudelaire gettarsi all’inseguimento di Rimbaud. 

Charles era solo un suo sottoposto. Un ragazzino ribelle che Hugo gli aveva affidato perché ne facesse in un agente. Un moccioso che ironia della sorte, possedeva lo stesso sguardo di Mathilde. Si accese una sigaretta.

«Lui come sta?» ovviamente anche Dumas doveva infierire sui propri poveri nervi già allo stremo,

«Non fingere di non saperlo o che te ne importi» forse aveva risposto troppo bruscamente, ma l’ex numero due dell’intelligence francese non sembrò farci troppo caso,

«Conosco solo le informazioni di pubblico dominio, quello che voglio sapere è come sta realmente» Stendhal giocherellò per qualche minuto con la sigaretta che teneva tra le mani prima di decidersi a rispondere,

«Perché te ne sei andato Alexandre?» era la prima volta che lo chiamava per nome ma una parte di lui era curiosa di sapere cosa l’avesse spinto a lasciare Hugo.

Il biondo gli sorrise tristemente, «cosa ricordi della guerra?» Stendhal lo fissò confuso,

«Di che guerra stai parlando? La stiamo ancora combattendo e perdendo»

Il sorriso sul volto di Dumas si incrinò. In fondo il Poète non poteva ricordare qualcosa che nel suo mondo non era mai avvenuto. Il potere del Libro era spaventoso, era una delle poche cose su cui lui e Vic si erano sempre trovati d’accordo. 

Se ne era andato perché Hugo potesse realizzare il suo sogno, perché nessuno arrivasse a mettere nuovamente le mani su un tale potere. Ma quella era un’altra storia, un passato che apparteneva a loro soltanto e che non poteva influire su quel presente o futuro. 

«Quando tornerete a Parigi, Victor scoprirà tutto. Forse mi perdonerà o forse no, deciderà in base alle informazioni che gli consegnerete» si limitò a mormorare, 

«Quali informazioni?» in fondo c’era voluto poco per ottenere l’attenzione di Stendhal. Era un uomo semplice e un agente eccezionale. Victor lo aveva addestrato bene e riponeva in lui la massima fiducia, contrariamente non gli avrebbe affidato quell’incarico.

«In questi anni ho assunto l’aspetto di Edmond per lavorare insieme alla Torre dell’Orologio, ma non è il solo alter ego di cui mi sono servito» spiegò mellifluo

Stendhal trattenne il fiato. Dei numerosi alias di Dumas, Dantes era il più famoso ma ovviamente ne esistevano altri.

«Posseggo molte informazioni utili ai Poètes che potrebbero aiutare Vic nei suoi giochi di potere»

«Aiutare?» domandò sospettoso. C’era un qualcosa nell’atteggiamento di Dumas che non lo convinceva. Il Diavolo Nero intuendo i suoi dubbi gli sorrise. A Stendhal ricordò un predatore.

«Hai mai sentito parlare del Progetto Arahabaki? O di esperimenti top secret condotti al largo di una certa Tokoyami Island?»

 

***

 

Rimbaud non aveva potuto evitare che Baudelaire lo seguisse fino alle cucine. Se avesse reagito in qualche modo avrebbe palesato il proprio disagio o comunque scoperto le proprie carte. Si limitò a versare dell’acqua nel bollitore provando ad accendere la fiamma, litigando per qualche minuto con il fornello.

«Che siano dannati questi piani di cottura inglesi» mormorò esasperato dopo un paio di tentativi fallimentari.

«Aspetta ti aiuto» prima che potesse replicare, Charles si era avvicinato, portandosi dietro di lui, sottraendogli l’accendino dalle mani. A quel contatto Arthur fece immediatamente un passo indietro finendo con l’urtare contro il suo petto.

«Scusa non volevo ecco» Baudelaire sembrava terrorizzato dall’aver fatto qualcosa di sbagliato

«No, è stata la mia reazione ad essere esagerata e fuori luogo. Devo ancora abituarmi alla tua presenza. In fondo sei stato per così tanti anni un fantasma»

«Fantasma?» Per la prima volta da quando si erano rincontrati Arthur gli sorrise spontaneamente. A quella vista il cuore di Charles perse un battito. 

«Si eri davvero fastidioso, ti divertivi a fare le veci della mia coscienza. Continuavi a punzecchiarmi obbligandomi a fare i conti con i miei sentimenti»

«Ahah sono contento che tu mi veda in questo modo» significava che Arthur pensava a lui,

«Malgrado tutto sono così felice che tu sia vivo Charlie, anche se non perdonerò mai Victor per avermi fatto credere il contrario»

«Bè puoi sempre giocare la carta di Dumas per ferirlo, in fondo anche lui ha finto la propria morte» gli angoli delle labbra di Rimbaud si contrassero leggermente

«Sei diventato una vera spia. Utilizzare le proprie debolezze come arma contro il nemico» mormorò non facendo nulla per celare il proprio dispiacere,

«Hugo è uno stronzo» 

«Resta comunque l’uomo che mi ha cresciuto. Non parlare di lui in questi termini»

«Non capisco perchè tu lo difenda»

«Faresti mai un torto a Stendhal?» di fronte a quelle parole Baudelaire arrossì

«Che c’entra Henri?» Arthur non poté evitare di scoppiare a ridere. L’espressione comparsa in quel momento sul viso del Poète era impagabile,

«Vedo che non hai perso l’abitudine di storpiare i nomi altrui» Charles gonfiò le guance fingendosi offeso. Al moro ricordò tanto quel ragazzino di dieci anni che aveva abbandonato nelle Ardenne. Sotto molti aspetti non era cresciuto. 

Contrariamente a lui, Baudelaire era sempre rimasto fedele a se stesso. Era uno dei suoi più grandi pregi.

«Il vero nome di Stendhal è Henri, esattamente come il tuo è Paul. Io mi limito a ricordarvelo»

«Giusto, perchè tu non hai scelto un nuovo nome?» gli era sembrato che pure Stendhal si rivolgesse a lui come Charles,

«Le circostanze del mio reclutamento sono state particolari, come il fatto di non aver seguito un addestramento regolare»

«Lo immaginavo» fece una pausa «Scusami Charlie per averti condotto in questo mondo»

«Ma che stai dicendo?»

«Saresti stato più felice se non mi avessi mai incontrato. Non posso evitare di pensarlo»

Baudelaire afferrò le sue mani. Rimbaud rimase immobile. Era stato talmente rapido che non aveva potuto fare nulla per evitarlo.

«Ricordi la nostra infanzia? Siamo sempre stati insieme. Non riesco davvero a immaginare una vita senza di te al mio fianco» Arthur cercò di evitare quello sguardo

«Non possiamo tornare a quei giorni. Appartengono al passato» si limitò a fargli notare abbassando leggermente il capo per sfuggire da quelle iridi dal colore impossibile.

«E perchè no? Tu in fondo sei già un traditore. Scapperemo insieme a tuo figlio e lo cresceremo in campagna» Rimbaud trovò finalmente la forza di sottrarsi dalla sua presa.

«Proprio perchè ho un figlio non posso fuggire» ammise incrociando finalmente il suo sguardo,

«Non capisco»

«Devo trovare Paul» scandì con calma

«Dimenticati di lui. Non hai bisogno di quel mostro»

«Non posso farlo»

«Potremmo essere felici. Mi avevi detto di aspettarti perché saresti tornato da me. Te ne sei forse dimenticato?» Rimbaud abbassò il capo, colpevole.

No. Non l’aveva scordato. Era stata la promessa con cui aveva lasciato Charles quella mattina, prima di partire per Londra. Prima che la realtà si abbattesse su di loro con una scure, distruggendo quella fantasia adolescenziale.

Arthur aveva faticato ad accettare la morte di Baudelaire, vivendo nel costante senso di colpa per la sorte toccata all’amante. Aveva deciso di trasformarsi in un una spia perfetta, immune ai sentimenti, ma due occhi di ghiaccio avevano distrutto tutti questi propositi. Fu in quel momento che il bollitore prese a fischiare distogliendolo dai propri ricordi.

«Lascia lo prendo io» Charles si era sporto per spegnere il gas, finendo con l’urtagli una spalla. A quel contatto Arthur rabbrividì. Se il tocco di Verlaine era come fuoco, Baudelaire era ghiaccio.

«Mi dispiace» fu tutto ciò che Rimbaud riuscì a dire.

«Ti ho amato davvero ma ora…» iniziò incerto,

«Ami quel mostro» concluse per lui il Poète. Arthur annuì

«Devo trovarlo» non poteva fare altro.

«Mi stai facendo arrabbiare Paul. Quell'essere non ti merita. Ti ha abbandonato qui, a Londra insieme a un bambino di pochi giorni. Chissà cosa diavolo gli è passato per la testa. Ha solo giocato con te» lo schiaffo con cui Rimbaud lo colpì fu talmente forte da far cadere il bollitore per terra. 

«Paul è umano e io lo riporterò indietro anche a costo di farlo a pezzi» Baudelaire gli sorrise mentre con una mano andava a coprirsi la guancia lesa

«Ti rendi conto a cosa stai rinunciando?» questa volta Arthur sostenne il suo sguardo senza timore

«Non potrei vivere serenamente sapendolo abbandonato a se stesso»

«Non sei la sua balia»

«Lui è una mia responsabilità»

«A quest’ora Hugo lo avrà già trovato» a quelle parole, Rimbaud si fece immobile. 

«Lo so» non voleva immaginare uno scenario simile per quanto probabile. Sperò solo che Verlaine controllasse la bestia dentro di lui e non scatenasse la propria furia contro il leader dei Poètes. Anche se probabilmente non si era ancora ripreso dalla gravidanza. Era troppo facile ipotizzare lo scenario peggiore.

«State tutti bene? Abbiamo sentito dei rumori» Dumas era comparso nella stanza, interrompendo la loro conversazione così come il flusso dei suoi pensieri. 

«Si scusa, il bollitore mi è sfuggito di mano» mormorò Rimbaud prima di aggiungere «odio questi utensili inglesi»

«Sei sempre stato una frana in cucina» fu la pacata risposta di Dumas. Ovviamente non aveva creduto a nessuna delle parole del moro. Si era limitato ad intervenire prima che la situazione potesse degenerare. Per quanto fosse divertente stuzzicare Stendhal l’assenza prolungata di Rimbaud e Baudelaire lo aveva impensierito. 

«Non preoccuparti manderò una delle cameriere a pulire. Torniamo in soggiorno dai nostri ospiti» 

«Se non vi dispiace, vado un momento a controllare il piccolo Charlie poi vi raggiungo»

Dumas sorrise appoggiando una mano sulla spalla di Baudelaire.

«Su Charles torniamocene da quel brontolone del tuo capo»


***

 

-Parigi-


«Tra una settimana partirai per Berlino» Hugo non aveva mai amato perdersi in inutili giri di parole, soprattutto con Verlaine. Agli occhi del leader dei Poètes il biondo non era altro che un’arma che aveva in qualche modo corrotto la mente di Rimbaud, distogliendolo dal futuro perfetto che si era immaginato per lui

«Posso partire già ora»

«Non dire assurdità. Per questa missione ho bisogno che tu sia al massimo della forma»

«E cosa ti fa credere che ora non lo sia?»

«Penso che allo stato attuale tu non abbia il potere di combattermi o il nostro incontro dell’altro giorno non si sarebbe svolto in maniera tanto tranquilla»

«Non attacco indiscriminatamente. Il Fauno mi ha dotato di raziocinio» sbottò quasi offeso,

«E il resto te lo ha insegnato Arthur» concluse mellifluo Hugo, studiando ogni suo cambiamento d’espressione.

«Non nominarlo»

«E perchè mai?»

«Mi innervosisce sentirti pronunciare il suo nome» confessò tra i denti,

«Dovresti essere un mostro privo di sentimenti»

«E lo sono» Victor sorrise,

«Inizio a comprendere perché tu gli piaccia così tanto»

«Smettila di confondermi le idee, dimmi piuttosto in cosa consiste questa missione»

«Riceverai le istruzioni in giornata, te le porterà il tuo nuovo partner» a quelle parole Verlaine si fece improvvisamente immobile.

«Nuovo partner?»

«Credevi davvero che ti avrei lasciato partire per il fronte tedesco da solo? Siamo in guerra e tu sei la nostra arma migliore» 

«Non ho bisogno di un nuovo compagno» nonostante stesse iniziando a perdere la pazienza Hugo si sforzò di sorridere. In questi atteggiamenti non poteva evitare di rivedere Rimbaud, la sua arroganza e prepotenza, doti che lui stesso aveva coltivato.

«Non mi interessa. Appena avrai letto il rapporto vieni nel mio ufficio» Paul non riuscì ad obiettare.

Hugo era pericoloso e non doveva provocarlo. Gli insegnamenti di Arthur gli tornarono alla mente. Una volta solo, si concesse qualche istante per ripensare al proprio partner e al loro bambino. Londra era tornata ad essere un luogo sicuro, lo scontro si era spostato verso est. In quel momento era l’esercito giapponese che stava avendo la peggio. Un leggero bussare lo riportò alla realtà.

«Permesso, mi scusi non volevo disturbare. Monsieur Hugo mi ha mandato per consegnarle questi documenti»

«Tu sei il mio nuovo partner?» domandò il biondo scrutando il nuovo arrivato da capo a piedi. Il ragazzo davanti alla porta sembrava avere circa la stessa età di Rimbaud. Aveva un aspetto anonimo, capelli e occhi neri. Chissà perché i Poètes ai suoi occhi apparivano tutti uguali, solo Arthur aveva sempre rappresentato un’eccezione. Il nuovo partner si limitò a sorridere tendendogli la mano,

«Piacere sono Stéphane Mallarmé»

«Non mi interessa»

Verlaine prese i documenti dalle mani del ragazzo e utilizzò la propria Abilità per sbattergli la porta in faccia.

 

***

 

Londra

 

Rimbaud avrebbe solo voluto prendere il figlio e fuggire il più lontano possibile da quella follia che era ormai diventata la propria vita. In una settimana aveva non solo perso Paul ma anche ritrovato Charles. Era come se il fato si stesse divertendo a distruggere e rimescolare ad una ad una tutte le sue certezze. 

La priorità restava trovare Verlaine, capire cosa avesse spinto il proprio partner a prendere quella stupida decisione. Arthur conosceva il biondo come le proprie tasche, sapeva che non avrebbe mai lasciato lui o il bambino. Qualcuno doveva averlo provocato. Era assurdo pensare ad un coinvolgimento di Dumas in quella faccenda ma obiettivamente era il solo sospettato possibile. Ad Arthur però sfuggiva ancora un movente. Se solo avesse voluto, Lex avrebbe potuto consegnarli mesi prima all’intelligence inglese insieme al loro bambino non ancora nato. Invece li aveva aiutati, arrivando persino a ospitarli in casa propria. Aveva teso loro la mano quando erano più vulnerabili, forse anche quello faceva parte della sua strategia? Ripensò alle parole di Verlaine quando gli aveva ricordato che il compagno di Hugo doveva essere fatto della stessa pasta. Allora non aveva voluto crederci.

Troppe cose non tornavano in quella storia. Il moro non poteva permettersi di abbassare la guardia. Doveva raccogliere delle prove concrete prima di poter accusare direttamente qualcuno.

Mentre formulava questi pensieri si trovò ad osservare il viso paffuto del figlio. Quando dormiva, il piccolo Charles somigliava ancora di più a Paul. Pregò che il proprio compagno stesse bene. 

«Mi riprenderò tuo padre» gli promise prima di tornare in soggiorno.

«Ho deciso di tornare a Parigi» annunciò.

Dumas lo fissò sorpreso così come Stendhal. Il più felice per la notizia fu Baudelaire che nonostante tutto non si era ancora rassegnato ad un suo rifiuto.

«Speri di riportarlo indietro vero?» gli sussurrò il biondo ex Poète all’orecchio. Rimbaud annuì. 

«Voglio che mio figlio cresca con suo padre»

«Quindi lo porterai con te?»

«Si. Lo proteggerò da Victor, non gli permetterò di averlo. Sono pronto a diventare il soldato perfetto, a combattere la sua guerra»

Dumas annuì stancamente «Se fossi in te mi preoccuperei più di Baudelaire che di Vic» Arthur lo fissò confuso,

«Con Charles ho già messo le cose in chiaro, ma i sentimenti non si possono spegnere come un interruttore, ci vorrà del tempo ma sono sicuro che finirà con l’accettare la mia decisione»

«Sarei curioso di vedere Paul insieme a Baudelaire»

«Oddio prega che non accada» Rimbaud scosse la testa preferendo non immaginarsi un possibile incontro tra i due,

«Secondo me andrebbero d’accordo» Dumas non sembrava condividere la sua opinione,

«L’unica cosa sulla quale potrebbero essere d’accordo sono io, ma non ne sono tanto sicuro. Paul potrebbe anche arrivare ad ucciderlo»

«Oh su questo concordo. Ricordo di come fosse geloso del nome del piccolo»

«Paul ha sempre odiato Charles anche senza conoscerlo. La colpa è mia. Forse se gliene avessi parlato chiaramente»

«Non puoi raccontare al tuo compagno del tuo amante, anche se lo credevi morto da anni»

«Io e Paul non abbiamo quel tipo di rapporto, cioè è completamente diverso»

«Solo perchè Baudelaire lo urla al mondo e Verlaine non lo ammetterebbe manco sotto tortura non significa che non ti amino» Rimbaud arrossì.

«Ti ricordo che Black ha partorito tuo figlio» rincarò la dose Dumas,

«Non significa nulla» il biondo alzò gli occhi al cielo

«Odio questa testardaggine, sei tale e quale a Vic. Quel mostro ti ama anche se è troppo cocciuto per ammetterlo.»

«Avrei voluto che fosse più semplice»

«Non è vero»

«Come fai a dirlo?»

«Perchè se fosse così avresti accettato la proposta di Baudelaire e saresti fuggito con lui.» Arthur sbuffò, si sentiva esausto. Dumas aveva ragione su tutta la linea. Come sempre.

«Non so cosa mi aspettassi. Quando abbiamo scoperto del bambino ero terrorizzato ma felice. Finalmente ci sarebbe stato qualcosa di tangibile che mi avrebbe legato a Paul. Stupidamente credevo che lo avrebbe aiutato a comprendere e abbracciare la propria umanità»

«Perchè per te è così importante?»

«Non sopporto che si sminuisca in quel modo, mi fa arrabbiare. Il più grande nemico di Paul è sempre stato se stesso»

«Non puoi cambiare il suo carattere»

«A volte penso che sia diventato così per causa mia. Forse era l’ennesimo piano di Victor» Dumas scosse il capo,

«Credimi per quanto intelligente, nemmeno lui avrebbe previsto il bambino» sorrisero entrambi,

«Se davvero hai intenzione di tornare non ti fermerò.»

«Perchè non vieni con noi?» lo sguardo del biondo si rabbuiò per una frazione di secondo

«Ho ancora degli affari in sospeso»

«É così importante la vendetta?»

«Non è solo quello. Tu sei giovane Arthur, i tuoi più amari ricordi hanno ancora il tempo di trasformarsi nelle più tenere memorie. Per me e Vic ormai è tardi, siamo schiavi di scelte passate che continuano ad influire sulle decisioni del nostro presente»

«Eravate così affiatati sono certo che…» Dumas scosse il capo,

«Va bene così. Pensa a riprenderti il tuo compagno, a crescere vostro figlio, c’è ancora un futuro per voi»

«Lex»

«Sono stato felice di vedere l’uomo che sei diventato Arthur»

Quelle parole suonarono alle orecchie di Rimbaud come un addio. Dumas però non gli era mai parso tanto imperscrutabile. 

Dopo la scomparsa di Verlaine aveva iniziato a studiare il comportamento dell’ex spia cercando qualsiasi indizio che potesse tradire le sue vere intenzioni. Alexandre Dumas rimaneva il più grande degli enigmi o forse era semplicemente il migliore dei doppiogiochisti. 

 

***

 

-qualche ora dopo-


Rimbaud si trovava nelle proprie stanze intento a preparare tutto l’occorrente per il proprio rientro a Parigi. Aveva solo un bagaglio per se stesso, diverso era per il piccolo Charlie. Era incredibile la quantità di cose che servissero ad un neonato. Prima di avere un figlio, Arthur non lo sospettava.

«Hai preso la decisione migliore» Baudelaire appoggiato allo stipite della porta gli sorrise, braccia incrociate al petto. Il moro non si era minimamente accorto della sua presenza, intento com'era a sistemare i bagagli.

«Se sei qui per gongolare puoi anche andartene» lo liquidò senza alzare gli occhi dalla propria valigia.

«Andiamo Paul»

«Arthur»

«Va bene Arthur, per quanto ancora intendi tenermi il muso?»

«Non ho nulla contro di te, Charles»

«A me non sembra»

«Ho molte cose per la testa» confessò sedendosi sul proprio letto, teneva ancora tra le mani uno dei bavaglini del figlio. Ricordò il giorno in cui Dumas glielo aveva regalato, l’espressione corrucciata che incorniciava il viso di Paul mentre gli domandava con una mano sul ventre: sono davvero così piccoli? 

«Stai pensando a lui vero?» Rimbaud annuì, specchiandosi in quelle iridi blu un tempo così familiari ma che ora gli apparivano estranee,

«Lo riporterò indietro. Non mi arrenderò mai» 

Baudelaire odiò quel mostro con tutte le proprie forze. 

«Pensi che lui farebbe lo stesso?» Arthur sostenne il suo sguardo,

«Si, ne sono convinto» rispose senza esitazione.

 

***

 

Realtà Originale


Quando riemerse da quella dimensione onirica la prima cosa che Charles Baudelaire fece fu incrociare lo sguardo di Lewis Carroll.

Il Poète era furente. Paul gli aveva appena mostrato quanto tenesse a quel mostro dai capelli dorati che riposava ancora a qualche metro da lui. Il moro sembrava disposto a fare qualsiasi cosa pur di riavere il proprio partner nella sua vita esattamente come Black stava facendo per lui nel loro mondo. Imprecò tra i denti, guadagnandosi un’occhiata di biasimo dall’inglese al proprio fianco.

«Non hai nulla da dire?» lo sfidò. Carroll scosse la testa,

«Avrebbero meritato un finale diverso» fu il solo commento che abbandonò le sue labbra.

«Cosa c’è, ora fai il tifo per loro?»

«Tenevano molto l’uno all’altro ma non sono mai stati in grado di comprendersi, parlare apertamente dei propri sentimenti. Lo trovo molto triste»

«Sapevo che sarei finito con il proporre a Paul di crescere insieme il bambino» si trovò ad ammettere il francese,

«E una parte di te sapeva già che lui non avrebbe mai accettato» Baudelaire si passò una mano sul volto, improvvisamente si sentiva esausto,

«Hai ragione. Speravo che mi amasse ancora. Che il sentimento che un tempo ci aveva unito non fosse mutato o svanito con il passare del tempo. Io non ci riesco Lewis. Non posso accettare che il mio Paul sia morto da solo in un paese straniero, abbandonato da quegli stessi Poètes che bramavano il suo potere e che per questo lo hanno strappato alla sua vita, alla sua famiglia»

«Rimbaud non avrebbe mai voluto tutto questo» da quello che Carroll aveva compreso osservando il moro attraverso le realtà create da Wonderland, Arthur Rimbaud non avrebbe mai approvato il comportamento di Verlaine e Baudelaire. Probabilmente li avrebbe schiaffeggiati entrambi per aver anche solo pensato ad un piano assurdo come la sua evasione da Meursault.

«Paul è cambiato dopo aver incontrato quel mostro» fu la pacata risposta del francese. Carroll sorrise, Charles Baudelaire sapeva darsi degli ottimi consigli, peccato che li seguisse raramente. Il Poète era conscio della follia nella quale si era imbarcato, tuttavia sembrava incapace di rinunciarvi.

«Perchè ti sei fissato tanto su Rimbaud?» Charles lo guardò stranito,

«Siamo sempre stati insieme era il mio migliore amico» l’inglese si allontanò di un paio di passi, prima di iniziare con il raccontare,

«Mia moglie è morta di parto, poco dopo la nascita dell’ultima delle mie figlie. Non ho mai pensato a risposarmi ma alle bambine serviva una madre. Ovviamente la guerra ha finito con il cambiare le nostre vite per sempre» Baudelaire rimase in silenzio, in attesa di udire il resto.

«Avevo assunto una governante, tramite alcuni contatti della Torre dell’Orologio. I figli di individui dotati di Abilità Speciali in fondo posseggono un’alta percentuale di aver ereditato qualche potere. Per questo le mie figlie andavano tenute sotto controllo» Charles storse il naso, certe volte le loro Organizzazioni avevano delle regole così assurde o antiquate. Non vi era ancora la certezza che le Abilità fossero ereditarie, si stavano ancora compiendo degli studi al riguardo. 

«Non posso credere che tu glielo abbia permesso» Carroll sorrise,

«Fu così che incontrai Emily» Baudelaire iniziò solo allora a comprendere il senso di quel discorso,

«Era una ragazza così mite e le bambine l’adoravano. Sono morte insieme. Mentre stringevo la mia Alice tra le braccia, vedevo Emily tenere per mano la piccola Edith»

«L’avresti sposata?» domandò il Poète non riuscendo a frenare la propria curiosità, Carroll alzò le spalle,

«Te l’ho detto, Wonderland non ha effetto su di me. Ho provato così tante volte a immaginarmi uno scenario simile, sarebbe stato davvero un bel sogno. Alla fine sono semplicemente impazzito, al punto da venire rinchiuso a Meursault.»

«Mi dispiace»

«Sarò ripetitivo ma lascia che ti dia un consiglio Charles: devi accettare i cambiamenti, restare così ancorato al passato non è salutare»

«Sono diventato un Poète solo per Paul»

«Hai passato metà della tua vita a rincorrerlo solo per poi perderlo di nuovo. Non sei stanco?»

«Se mi arrendessi ora significherebbe che quel sentimento non era abbastanza forte» Carroll alzò gli occhi al cielo. Quei francesi sapevano essere dannatamente cocciuti oltre che melodrammatici.

Baudelaire si prese qualche secondo per osservare meglio il volto di Verlaine. 

Razionalmente Lewis aveva ragione, ad ogni Wonderland vedeva il suo sogno d’amore con Rimbaud incrinarsi, di fronte al sentimento che sembrava unirlo a quell’essere artificiale. Nonostante questo non poteva arrendersi. Presto Hugo, l’Europole o chiunque altro fosse sulle loro tracce li avrebbe raggiunti. Doveva solo pazientare, stancare quel mostro. Una volta messo alle strette, avrebbe consegnato Black al governo e ricevuto la propria ricompensa.

Non aveva bisogno di un futuro radioso, gli sarebbe bastato riscrivere il passato.

Si avvicinò di nuovo a Verlaine facendo comparire un petalo tra le proprie mani,

«Intendi tornare?»

«Sono curioso di vedere come andrà a finire, per ora non vedo alcuna minaccia per Paul»

«I sogni creati da Wonderland sono imprevedibili» Baudelaire annuì.

«Così come la realtà»

«Les fleurs du mal»


***


Wonderland 

-Londra- Porto di Dover



 

«Sei davvero sicuro di ciò che stai facendo?» domandò per l’ennesima volta Dumas mentre aiutava Rimbaud a trasportare i propri bagagli.

«Ho ripetuto più volte che sarei disposto a scendere all’inferno per Paul, affrontare Vic in confronto sarà una passeggiata» l’ex Poète si trovò involontariamente a sorridere, prima di affidargli un telefono usa e getta facendolo scivolare con nonchalance nella tasca del suo cappotto.

«Se dovessero esserci problemi non esitare a chiamare»

«Ti ringrazio per la premura»

«Conosciamo entrambi Victor. Non si può mai sapere cosa gli passi per la testa»

«Paul ha accettato di lavorare per lui e io farò lo stesso. Se questo è il solo modo che abbiamo per stare insieme va bene. Se servirà anche a concludere in fretta questo conflitto sarà ancora meglio»

«E a te va bene così? Non siete fuggiti forse perché eravate entrambi stanchi di seguire quella vita fatta di regole e imposizioni?» Rimbaud gli sorrise,

«Rivedere Charles, parlare con lui, mi ha fatto comprendere una cosa. Da quando Paul è entrato nella mia vita sono cambiato. Non sono più la spia perfetta che Victor ha addestrato o forse non lo sono mai stato» Dumas annuì

«Fa attenzione anche a quei due» mormorò indicando Stendhal e Baudelaire. Il primo come al solito si stava gustando una sigaretta mentre il più giovane continuava a spostare i loro bagagli su e giù per la banchina. Il piccolo Charlie invece dormiva tra le braccia della nutrice che li avrebbe accompagnati fino al ritorno della vera madre.

«Mi mancherà questo piccolo demonietto urlatore» commentò Dumas accarezzandone la testolina ricoperta da radi capelli dorati. 

«Non so davvero come ringraziarti Lex. Per tutto. Charlie non sarebbe qui se non fosse stato per te» lo pensava davvero.

«Non preoccuparti Arthur, ora sali su quella nave e va a riprenderti il tuo compagno»

 

***

 

Wonderland

Francia

-Parigi- quartier generale dei Poètes Maudits


«Sapevo che mi avresti contattato» mormorò Victor Hugo dopo aver risposto con aria annoiata ad uno dei propri cellulari,

«Nemmeno questa volta sono riuscito a sorprenderti?» il leader dei Poètes si trovò suo malgrado a sorridere

«Hai finito di giocare alla vendetta?»

«Mi sei mancato anche tu»

«Allora a cosa devo l’onore di questa chiamata?»

«Arthur sta tornando»

«Lo so. Sei arrivato tardi, Stendhal mi ha informato della loro partenza circa un’ora fa»

«In realtà volevo sapere di Black»

«Partirà domani per il fronte tedesco»

«Perché separarli?»

«Dividi et impera»

«Credevo stessi puntando al bambino»

«Sai qual è sempre stata la differenza tra di noi, Lex? I miei piani comprendono sempre una visione più ampia, sul lungo periodo»

«Stai già pensando al mondo che nascerà dopo questo conflitto» concluse

«Su questo non sono il solo»

«Cosa sai?»

«So che punti a creare un organismo sovranazionale che si occupi di prevenire il terrorismo o qualche sciocchezza simile»

«Il tuo problema invece è sempre stato quello di deridere i miei piani. In questo sei identico a mio padre»

«La tua Agenzia non potrà mai disporre del potere necessario a fermare una bestia come Black»

«Non sfidarmi Vic»

«Non intendo farlo, piuttosto voglio renderti partecipe di una proposta migliore…»

Dumas ascoltò in silenzio.

«Riunire questi criminali sotto un’unica bandiera? Sembra azzardato» commentò dopo qualche minuto.

«Fammi capire, la tua Europole va bene ma i miei Traditori** no?»

«La mia organizzazione avrebbe uno scopo»

«Lo so, la useresti per indagare sugli assassini di tuo padre ma anche i miei uomini farebbero lo stesso»

«Come sempre siamo d’accordo»

«Non ho mai trovato un avversario di scacchi migliore di te Lex e nessuno mi ha mai fatto incazzare tanto» all’altro capo della linea il biondo sorrise.

«Tornando a Black e Rimbaud dove intendi posizionarli sulla scacchiera?» Hugo prese fiato

«Ti prenoto un volo privato per Parigi» Dumas non se lo aspettava.

«Hai parecchie cose da farti perdonare» aggiunse il leader dei Poètes notando il suo silenzio e anticipando qualsiasi protesta

«Vic»

«A dopo e si Lex mi sei mancato anche tu»









 

*«Sono stato ingannato? La carità sarebbe sorella della morte, per me?

Infine, chiederò perdono per essermi nutrito di menzogna.»


**The Seven Traitors in originale, vengono menzionati nella novel 55 Minutes e per ora come membro conosciuto abbiamo solo Jules Verne. Questo mi ha portato a ipotizzare il mio caro Hugo come loro possibile fondatore. 

Per contro, in questo universo l’Europole è stata fondata da Dumas.

Entrambe le Organizzazioni sono canonicamente nate al termine della Guerra e come al solito le notizie su di loro vengono distribuite col contagocce. 

 
  
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