A ogni allenamento era sempre più dura: per quanto Zoro
cercasse di distrarsi concentrandosi costantemente nel proprio obiettivo
maggiore, non riusciva a togliersi dalla testa la figura di Mihawk che lo stava
allenando. Non era il tipico pensiero da ragazzino innamorato, quello che
faceva battere il cuore in petto con maggior impeto, o che portava ad arrossire
in presenza della persona coinvolta.
No, per Zoro era diverso, molto più doloroso.
Lo guardava da lontano, cercava di raggiungerlo e avvicinarlo in qualsiasi modo
– letteralmente qualsiasi – eppure un muro fin troppo spesso veniva rialzato in
ogni singola occasione.
Ardeva all’idea di raggiungerlo, di poterlo eguagliare, finanche di superarlo,
ma non era solo orgoglio.
Guardami.
Mihawk, sono qui, perché non mi guardi…
E gli levava il sonno, lo faceva
soffrire e odiare, detestare tanto da volerlo infilzare con le fidate lame.
Mihawk.
Non era semplice amore, era
distruttivo.
Mihawk osservava, lo guardava, sapeva. Esattamente come non avrebbe mai potuto
predire Zoro, lui sapeva.
E quella consapevolezza se la
teneva stretta, un monito da cui stare il più lontano possibile.
Non per la differenza d’età (non troppi forse gli anni, ma tanti)…
O per il fatto fosse un uomo (non gli era mai importato).
Non voleva, non si arrischiava ad avvicinarsi, per poterlo poi rompere con le
sue stesse mani.
Nascosto da Zoro, nascosto da chiunque se ne stava il sentimento più forte
oltre all’odio che Mihawk avesse mai provato in vita sua, per quello che era
poco più di un ragazzino già abbastanza impegnato ad autocommiserarsi quando
necessario, ad allenarsi dove necessario, a continuare a sopravvivere quanto
necessario.
Sapeva di stare facendo del male, ma ne avrebbe fatto di più se avesse lasciato
il fianco scoperto. Troppe tragedie sulle spalle, ricordi dolorosi ed errori
imperdonabili… notti insonni per i sensi di colpa? Forse, e non avrebbe
trascinato qualcun altro in quell’orrore.
Mihawk era freddo, crudele e instabile.
Ne era perfettamente consapevole, per quello non avrebbe mai lasciato entrare
Zoro nella sua testa.
Anche se lui era già più che presente.
Forse avrebbe dovuto fare qualcosa di più per riuscire a estirparlo, così da
avere una coscienza meno turbolenta, l’agitazione riusciva a mascherarla
perfettamente ma la sua spada cominciava a parlare per lui, più debole negli
scontri con il pirata, meno efficace negli affondi, più lenta nei colpi
ravvicinati.
Si stava tradendo da solo, e non andava affatto bene.
Zoro scansò un fendente, caricò con il massimo dell’energia rimasta: quella
sera l’allenamento era stato parecchio ostico e la notte li aveva raggiunti con
facilità. Stoccò, colpì, nulla.
Mihawk aveva respinto ancora una volta i suoi colpi, con meno facilità rispetto
al solito.
«Che c’è, maestro, ti stai rammollendo?» calcò ironico sull’appellativo scelto,
era particolarmente velenoso in quel periodo.
Mihawk, non indifferente al cinismo tipico con cui comunicavano tra loro,
rispose per le rime insultando lo stile grezzo e poco efficace, palesando come
non avesse nemmeno bisogno di tutta la sua forza per parare tali affondi.
Bugia, era distratto dalla sua presenza, ma non poteva ammetterlo.
Si soffermò un attimo di più su di lui, la cicatrice del petto scoperto era una
firma impressa, un contratto muto; tanto bastò a farsi atterrare da un calcio,
Zoro finito a carponi su di lui.
«Guardami, cazzo.»
«E quindi? È solo questo che vuoi?»
No.
Zoro si abbassò su di lui, i nasi a sfiorarsi.
«No. Lo sai, non sei uno
stupido.»
Mihawk scansò prima lo sguardo e poi il volto, concentrando tutta la forza nel
distrarsi osservando il terreno e i fili d’erba. L’avesse guardato ancora,
avrebbe ceduto, ma non poteva.
«Qualcuno potrebbe preferire d’essere stupido piuttosto che far affrontare
conseguenze inappropriate.» E lo scansò, scansando ancora una volta la
possibilità di parlargli con maggiore confidenza.
«Sei uno stronzo. Mi chiedo ancora che ci resto a fare qui.» Pungevano gli
occhi di Zoro, non lo avrebbe mai ammesso però.
«Resti perché sai di aver bisogno di me.»
Non come spadaccino, non come
maestro. Hai bisogno di me, e sono costretto a rifiutarti. A costo di mandarti
via a calci.
Zoro si zittì, non contento di
quella conclusione. Se solo avesse dedicato un attimo di tempo in più a
cogliere il segnale…