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Autore: Hatsumi    14/10/2023    1 recensioni
Stefano ha trent'anni, una grande passione per il calcio e un buon gruppo di amici. Stefano è gay, non lo nasconde ma nemmeno lo sbandiera ai quattro venti. Riesce perfettamente a dividersi tra la sua squadra di calcetto e il suo gruppo di amici, senza che queste due realtà della sua vita si scontrino. Finché in squadra arriva Paolo: bello e misterioso che Stefano scopre di conoscere dai tempi del liceo...
Genere: Commedia, Drammatico, Sportivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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1.Paolo
 
Il calcetto è da sempre una delle passioni di Stefano, una delle costanti della sua vita. Aveva iniziato, come molti bambini, in giovane età, aveva sei forse cinque anni e ha continuato a diversi livelli, in diverse squadre, fino ad ora, a trentadue anni. Sa che prima o poi arriverà il momento di ritirarsi ma ancora non ne avverte l’esigenza, dopotutto non è mai stato un grande campione al punto da sperare di tramutare la sua passione in una professione. Sa giocare discretamente, si diverte e gli allenamenti due volte a settimana più le partite, gli permettono di rimanere in forma.
Da circa cinque anni gioca nella stessa squadra di quartiere nel campionato degli Esordienti e ha creato dei buoni rapporti con i suoi compagni di squadra e con il mister, inoltre quasi tutti i membri della squadra sono tifosi accaniti del Milan, esattamente lui, il che significa avere qualcuno con cui vedere le partite e andare allo stadio, che è decisamente una delle sue attività preferite. Ricorda ancora con emozione la sua prima partita allo stadio, con suo padre e suo nonno. Era il 2003, l’anno in cui il Milan vinse lo scudetto. Era l’ultimo incontro di campionato per il Milan ma aveva il sapore di un’amichevole. Infatti la partita era stata solamente una lunga attesa per la festa finale, dal momento che, classifica alla mano, lo scudetto era già stato vinto. I cori, le ole, le trombe da stadio, era tutto così incredibilmente eccitante e Stefano sentiva dentro di sé una carica e un’energia, che mai aveva provato prima. Aveva solo tredici anni e già immaginava sé stesso giocare a San Siro, esattamente come i suoi idoli: Kakà, Shevchenko, Inzaghi e Paolo Maldini. Di quest’ultimo in realtà non apprezzava esclusivamente le doti calcistiche, l’attrazione che provava nei suoi confronti aveva instillato in lui il sospetto di essere attratto dagli uomini ed era stato incredibilmente facile posizionare un poster di Maldini nella sua stanza, su una delle ante dell’armadio, per poterlo ammirare insospettabilmente e fingere che il suo interesse verso il calciatore si limitasse alle abilità calcistiche.
È un normale lunedì sera, Stefano è uscito dall’ufficio e si è diretto, senza passare da casa, al campo sportivo per allenarsi con la sua squadra. È l’ultima settimana di agosto e il campionato è appena iniziato, la prima partita ufficiale verrà giocata solo domenica, in casa. Stefano attendeva con impazienza il ritorno alla routine, per tutta l’estate è stato impegnato con il trasloco, avendo acquistato finalmente una villetta con un piccolo giardino in un quartiere tranquillo a Milano, a due passi dall’ufficio e molto vicino anche al campo sportivo. È carico, energico e non vede l’ora rimettere le sue scarpette chiodate e sfogarsi in campo. Entra sorridente nello spogliatoio e saluta tutti i ragazzi, che hanno già iniziato a cambiarsi e sono pronti per il riscaldamento.  Si siede a sua volta su una panchina, appoggia il borsone a terra ed estrare il completo e le scarpe. Queste ultime sono nuove di zecca, comprate con i saldi qualche mese prima ed esattamente come lui attendevano l’inizio della stagione calcistica. Indossa rapidamente la divisa e poi si china, con ammirazione, verso le sue nuove calzature. Le ha stringate la sera prima, tranne per l’ultimo foro, dal momento che preferiva sistemarle sul posto, per poter essere comodo. Sono, a detta del commesso, uno dei migliori modelli. Sono morbide, la vestibilità è simile a quella di un calzino ed esteticamente non passano di certo inosservate: la fodera ha una base bianca con dei fulmini rosso vermiglio e diversi dettagli neri e gialli. 
 
-Belle scarpe, Ste! Mi raccomando, devi volare con queste quest’anno!
 
Esclama Simone, centrocampista e storico membro della squadra, uno dei primi ragazzi con cui Stefano aveva fatto amicizia. 
 
-Quest’anno sono carico, Simo! Se mi date un buon attaccante, non mi ferma nessuno. 
 
Ribatte, allacciandosi le scarpe e alzandosi di scatto dalla panchina. Simone gli sorride e gli dà una pacca sulla spalla, come incoraggiamento.
 
-A dire il vero il mister ha arruolato un nuovo ragazzo, dovrebbe arrivare oggi. 
 
Interviene Diego, il portiere. Stefano sapeva che sarebbe arrivato qualcuno di nuovo in squadra, dal momento che un paio di ragazzi si erano ritirati lo scorso anno, ancor prima che terminasse la stagione. Non credeva però che i nuovi membri sarebbero arrivati tanto presto, perché sul gruppo WhatsApp della squadra si era parlato negli ultimi mesi di domande di adesione ma non aveva letto nulla di certo. 
 
-Speriamo che sia qualcuno di valido e che resti per tutta la stagione!
 
Aggiunge Stefano. Proprio in quel momento il mister entra negli spogliatoi, per salutare la squadra ed esortare tutti a sbrigarsi e uscire in campo.
 
-Ragazzi, bentornati a tutti! Vi voglio belli carichi per la stagione, come sempre, divertiamoci e diamo il massimo!
 
Le sue parole di inizio stagione sono praticamente le stesse ogni anno, è una specie di rito. Dopodiché tutti ringraziano e applaudono. Tuttavia, questa volta non è tutto. Accanto al mister si presenta un ragazzo, sicuramente il nuovo arrivo di cui stava parlando Simone poco prima. Stefano cerca di avvicinarsi per vederlo meglio, a primo impatto gli sembra di riconoscere quel viso ma non ne è sicuro. Si tratta di un ragazzo molto alto, dal fisico snello ma muscoloso, capelli biondissimi, carnagione chiara e occhi chiari, cerulei. 
 
-Colgo l’occasione per introdurre la nostra new entry. Lui è Paolo, sarà il nostro nuovo attaccante, insieme a Cristiano. Normalmente vi anticipo i nuovi arrivati presentandoveli poco per volta però vi devo confessare che sono in contatto con Paolo da diverso tempo, ha già giocato in altre squadre di Milano e dintorni e ha talento. Sono sicuro che sarà di grande aiuto per la nostra squadra.
 
Spiega il mister, introducendo il nuovo ragazzo. Poco per volta i membri della squadra si avvicinano e gli danno il benvenuto. Stefano rimane in disparte ma continua a osservarlo, sempre più sicuro di averlo già visto, in qualche altra occasione. Il suo viso non gli è nuovo ma il nome è talmente comune da non suscitare in lui alcun ricordo specifico. Ha diversi piercing sull’orecchio sinistro e ne ha anche uno sul sopracciglio, con un brillantino che richiama lo stesso colore dei suoi occhi. Non vuole mostrarsi troppo interessato e si avvicina a sua volta per dargli il benvenuto. 
 
-Benvenuto in squadra!
 
Esclama, porgendogli la mano. Paolo gli stringe la mano e gli sorride. C’è qualcosa di familiare nel suo sguardo e Stefano si accorge presto che anche Paolo pare ricordarsi di lui. 
 
-Grazie, Stefano.
 
Stefano sobbalza e istintivamente ritira la mano ma Paolo sembra non accorgersene perché presto il mister richiama la squadra, invitandoli a non perdere altro tempo nello spogliatoio. Uscendo in campo non può fare a meno di chiedersi come faccia a conoscere il suo nome. Non si sbagliava dunque, deve davvero aver già incontrato quel ragazzo. Ma in quale occasione? Nel frattempo il riscaldamento ha inizio e Paolo gli passa accanto, sorridendogli e correndo. Lo guarda fare stretching, seduto sull’erba. Guardando i suoi polpacci e le sue cosce non è difficile capire che giochi a calcio da diverso tempo, inoltre sembra a suo agio con gli esercizi proposti dal mister, che svolge apparentemente senza troppa difficoltà. Potrebbe essere un ragazzo incontrato in qualche amichevole durante la scorsa stagione. Eppure non si ricorda di aver mai familiarizzato con nessun ragazzo al punto di presentarsi. Lo osserva fare le flessioni, anche le sue braccia sono muscolose e sode. Non nota alcun tatuaggio visibile che possa suggerirgli in quale occasione si siano conosciuti. Non può essere un ragazzo incontrato in qualche discoteca o locale, se avesse incontrato qualcuno con quell’aspetto non se ne sarebbe dimenticato facilmente. 
Il tempo scorre velocemente e mentre Stefano continua a chiedersi chi sia Paolo e come si siano conosciuti, l’allenamento giunge al termine ed è ora di rientrare. 
Come di consueto Stefano si ferma in campo per raccogliere e sistemare l’attrezzatura, è un’abitudine che si porta dietro da ragazzino, quando temeva di poter provare attrazione per qualche suo compagno di squadra rivelando la sua omosessualità. In questo modo è sempre l’ultimo ad entrare lo spogliatoio e può farsi la doccia in completa solitudine. Spesso è lui a chiudere gli spogliatoi e il cancello del campo sportivo. Pur essendo adulto e sapendo che la sua era solo una sciocca paura adolescenziale, non rinuncia a questa abitudine. Dopo aver raccolto anche l’ultimo dischetto di allenamento, entra nello spogliatoio. I ragazzi sono tutti quasi completamente vestiti, qualcuno si sta già allacciando le scarpe ed è pronto a uscire. Senza farsi notare troppo cerca Paolo nello spogliatoio che proprio in quell’istante gli appare davanti agli occhi, è appena uscito dalla doccia e indossa un accappatoio bianco in microfibra allacciato morbidamente in vita, aperto sul petto fino a poco sopra l’ombelico. Gli sorride di nuovo ma Stefano cerca di evitare il suo sguardo, fa finta di non averlo notato e si dirige verso il proprio borsone per recuperare l’occorrente per la doccia. Tutte le docce sono libere e può spogliarsi e lavarsi in completa tranquillità. Se la prende comoda, si lascia riscaldare dal soffione della doccia indirizzandolo anche sulle spalle e sulla schiena, dolenti per l’allenamento ma anche per le passate otto ore seduto sulla sedia del suo ufficio. In sottofondo sente il vociare dei suoi compagni di squadra che uno ad uno salutano e se ne vanno, dandosi appuntamento al prossimo allenamento, venerdì. 
Terminata la doccia esce e sobbalza nel notare che non è solo nello spogliatoio, Paolo è ancora lì e si sta allacciando le scarpe. 
 
-Ti ho spaventato?
 
Chiede, avendo notato il suo atteggiamento. 
 
-No, figurati. Di solito rimango sempre per ultimo, non mi aspettavo di trovare ancora qualcuno qui.
 
Risponde, cercando di mostrarsi indifferente e senza guardarlo. 
 
-Non ti ricordi chi sono, vero?
 
Domanda improvvisamente Paolo. Questa domanda prende Stefano alla sprovvista, è come se gli avesse letto nella mente. Cerca di non mostrarsi sorpreso e risponde con tono calmo e pacato.
 
-Ci conosciamo?
 
A quel punto si gira, fino a quel momento non si era accorto che Paolo si era avvicinato a lui ed è incredibilmente vicino, nemmeno un metro. Riesce a sentire chiaramente il profumo forte del suo deodorante e del bagnoschiuma al talco, che deve aver usato nella doccia. 
 
-Tu sei Stefano Rosati, giusto?
 
Chiede Paolo. Stefano annuisce, senza aggiungere altro.
 
-Sono Paolo, Paolo Casagrande. Siamo stati compagni di classe i primi due anni di liceo e giocavamo insieme nella squadra della scuola. 
 
Stefano spalanca gli occhi, si sente come se l’avesse colpito un fulmine. Lo guarda bene, all’improvviso una serie di informazioni gli ritornano in mente. Si ricorda di lui, altroché! In particolare il suo cognome, storpiato dalle ragazze della scuola, tra le quali sua sorella, per esaltare una particolare caratteristica del suo corpo. 
 
-Ma certo! Sono passati molti anni…
 
Commenta, sperando di non lasciare intendere cosa esattamente possa avergli permesso di ricordarsi di lui. 
 
-Vero? Quando il mister mi ha detto i nomi dei membri della squadra ho pensato potessi essere tu e poi quando ti ho visto stasera non ho avuto dubbi! Mi fa piacere rivederti.
 
Afferma, sorridente e con tono cordiale. Stefano abbozza un sorriso e si limita ad annuire col capo. 
 
-Beh, alla prossima! Buona serata. 
 
Esclama, appoggiandogli una mano sulla spalla. Dopodiché raccoglie il suo borsone e se ne va, senza dare a Stefano il tempo di rispondere al saluto.
 
 
 
Il giorno dopo a lavoro Stefano approfitta della pausa caffè per raccontare ad Alberto, suo amico e collega, dell’incontro della sera prima.
 
-A chi tocca oggi?
 
Chiede Alberto, passandosi tra le dita la chiavetta della macchina del caffè che tiene sempre al collo, legata con un nastro rosso. Come ogni giorno sono soliti offrirsi il caffè a turno e quel giorno tocca a Stefano. 
 
-A me.
 
Esclama, avvicinandosi alla macchinetta con la sua chiavetta, un po’ rotta a malconcia, a differenza di quella di Alberto, perché sempre tenuta nello scomparto delle monete del portafoglio. 
 
-Mokaccino o caffè? 
Chiede. Alberto ci pensa un attimo e pigia sul display il bottone del mokaccino. In realtà è sempre quella la sua scelta anche se a volte finge di avere qualche dubbio. Stefano crede che sia l’unica persona in tutto l’ufficio a berlo perché a detta di chiunque è soltanto una brodaglia calda, eccessivamente dolce e schiumosa, resa ancor più imbevibile dalla dose massiccia di zucchero selezionata da Alberto, che pigia sempre tutte e cinque le tacche del dosatore. 
 
Rimangono entrambi in silenzio ad osservare la bevanda scendere nel bicchiere, come fossero in estasi, come se non stessero osservando la stessa cosa, ogni giorno, da oltre cinque anni. Quando finalmente il segnale acustico indica che il caffè è pronto, Alberto preleva il bicchierino e inizia a mescolare meticolosamente il caffè. Stefano nel frattempo sceglie il suo caffè, espresso e senza zucchero. In realtà un po’ di zucchero rimane sempre sul fondo del bicchiere, un residuo dell’erogazione precedente, quel poco gli basta per potersi gustare il suo espresso. 
 
-Allora, mi vuoi dire quella cosa o devo aspettare ancora molto?
 
Chiede Alberto, continuando a mescolare il suo caffè, con lo sguardo fisso verso un punto imprecisato del pavimento. Stefano prende il suo bicchiere e si sposta dalla macchinetta, dietro di lui nel frattempo si è formata una fila di persone in attesa di prendere da bere.
 
-Te la racconto mentre torniamo in ufficio.
 
Risponde, ben poco interessato di far conoscere i fatti propri a gente sconosciuta. L’ufficio nel quale lavorano è molto grande, si tratta del dipartimento contabile e finanziario di una grande multinazionale italoamericana che si occupa di libri. Stefano e Alberto lavorano al reparto contabilità del settore dedicato ai libri di testo per le scuole superiori. Fanno parte di un team di sei persone e condividono la stessa scrivania. 
 
La loro amicizia è nata quasi spontaneamente pochi mesi dopo il suo arrivo. Costretti a collaborare gomito a gomito e condividere la stessa superficie di appoggio, inizialmente avevano tenuto un atteggiamento professionale, cordiale e rispettoso. Dopodiché un giorno, durante una pausa pranzo che entrambi avevano scelto di trascorrere alla scrivania, Stefano stava controllando il suo profilo Facebook e si era soffermato su un’immagine sciocca ma che in quel momento aveva trovato estremamente divertente. Non essendo solo nella stanza aveva cercato in tutti i modi di non ridere ma in quel momento esatto Alberto, dietro lui, di ritorno dalla zona ristorazione dove era andato a riscaldare al microonde il proprio pasto, si era accorto di quell’immagine sullo schermo e aveva iniziato a ridere, lasciando scivolare la sua zuppa appena riscaldata sul pavimento, dietro alla sedia di Stefano. Questi dapprima era rimasto a bocca aperta, dopodiché aveva iniziato a ridere, unendosi ad Alberto. Erano rimasti così, uno a trequarti sulla sua sedia e l’altro in piedi con ancora in mano il piatto vuoto a ridere di gusto e in modo totalmente spontaneo, per quasi due minuti. Dopodiché si erano decisi a pulire quel disastro, non senza ridacchiare. Alla fine Stefano aveva offerto metà del suo panino al tacchino ad Alberto e avevano iniziato a chiacchierare del più del meno, come se si conoscessero da sempre. Nel giro di poco tempo si erano ritrovati frequentarsi anche fuori dal lavoro, condividendo alcuni interessi come le serie TV, i videogiochi, i giochi di società e frequentando gli stessi locali e discoteche, essendo entrambi gay. 
 
-È qualcosa di veramente interessante o ancora una cretinata sul calcio?
 
Chiede Alberto, iniziando ad avviarsi verso l’ufficio. Il calcio è una delle poche passioni che non condividono, Alberto non segue nessuna squadra calcistica e non ama praticare alcuno sport, al di fuori della palestra. Nessun ragazzo del loro gruppo è un amante del calcio e dello sport, motivo per cui da sempre Stefano trascorre il suo tempo libero in due gruppi separati: il gruppo degli amici dei quali fa parte anche Alberto e con i quali si ritrova settimanalmente per giocare a carte commentando scadenti e improbabili reality show e nel fine settimana per andare a bere o a ballare e il gruppo del calcetto con il quale oltre ad allenamenti e partite condivide serate a base di pizza e calcio, uscite allo stadio per vedere il Milan e post partita nel Bar dello Sport. 
Con ciascun gruppo condivide una parte diversa della propria personalità e la sua intenzione era quella di tenere le cose separate, teme però che la presenza di Paolo, che lo conosce dai tempi delle superiori, possa minare il suo equilibrio. 
 
-C’entra il gruppo del calcetto ma ti assicuro che non è una cretinata. 
 
Risponde, sedendosi alla propria postazione. Anche Alberto si siede e gira la sedia verso di lui, pronto ad ascoltarlo. 
 
-È arrivato un nuovo ragazzo nella squadra. 
 
Inizia. Alberto gli sorride e lo interrompe subito.
 
-È figo?
 
Stefano sbuffa. Sapeva che avrebbe subito reagito in quel modo e che avrebbe dovuto introdurre l’argomento diversamente, cerca di proseguire, sorseggiando prima il suo caffè. 
 
-È un figo spaziale. Ma non è questo il punto! Ci conosciamo già, dai tempi delle superiori.
 
Alberto gli rivolge uno sguardo confuso. 
 
-E quindi?
 
Chiede, non avendo capito quale sia esattamente il problema di Stefano. 
 
-E quindi sa che sono gay!
 
Risponde scocciato Stefano, alzando fin troppo la voce. Si guarda attorno sperando che nessuno lo stia ascoltando e, per fortuna, gli altri presenti nella stanza sono occupati. 
 
-Ne sei sicuro? Mi hai detto che hai fatto coming out all’università, non alle superiori.
 
Ribatte Alberto. Stefano annuisce, in realtà è vero. Stefano ha accettato pubblicamente la sua sessualità e ne ha parlato con la sua famiglia soltanto durante il primo anno di università ma non ha mai raccontato ad Alberto di un fatto avvenuto durante la sua adolescenza, proprio negli anni delle superiori, un episodio ai tempi traumatizzante ed estremamente forte che se fosse accaduto in epoca più recente sicuramente sarebbe finito su qualche social network ed etichettato come atto di omofobia e bullismo. 
 
-Vedi… durante l’ultimo anno, qualche cretino ha iniziato a sospettare di me. Non ho mai saputo chi fosse e a un certo punto ha smesso di importarmi. 
 
Si ferma un attimo per prendere fiato e ne approfitta per bere un altro sorso.
 
-Mi fischiavano nel corridoio, gridavano “frocio”, “checca”, le solite cose, no?
 
Alberto annuisce. 
 
-Hanno iniziato a seguirmi, senza che me ne accorgessi. Non so per quanto sia durato il pedinamento ma… un giorno, la prima volta in cui mi sono deciso ad andare in un locale gay, mi hanno fotografato. Erano praticamente le prime volte e… non stavo facendo nulla di scandaloso. Ero solo sorridente, mano nella mano con un ragazzo che avevo conosciuto su Netlog e che mi aveva dato appuntamento lì.
 
Alberto inarca le sopracciglia in segno di sorpresa, sentendo nominare il social network Netlog, ai tempi molto in voga, soppiantato in seguito da Facebook. 
 
-Netlog! Non sai quanti ragazzi ho bidonato dopo averli contattati! Studiavo i loro blog, le loro foto, li contattavo e poi… non mi presentavo mai. 
 
Aggiunge Alberto, con uno strano tono nostalgico. Stefano preferisce sorvolare e continua con il proprio discorso.
 
-Qualcuno mi fece una foto, la pubblicò su MySpace in un profilo “ad hoc” creato per sfottermi e poi stampò alcune foto in bianco e nero che vennero incollate in giro per il liceo. Era il 2008, le macchine fotografiche dei cellulari erano ancora scadenti e quindi non si vedevano chiaramente i soggetti ma si capiva che ero io. Ero abbastanza popolare perché ero stato rappresentante degli studenti per i primi due anni e giocavo nella squadra di calcio della scuola… 
 
Alberto sembra aver capito la gravità della vicenda appena raccontatagli da Stefano e cambia immediatamente espressione e atteggiamento. 
 
-Ste ma… è orribile! Non me l’hai mai raccontato. Come ne sei uscito?
 
Stefano sospira. A volte lui stesso si chiede come sia riuscito a superare una cosa simile e a frequentare l’ultimo anno di liceo, quello più importante, quello della maturità, senza farsi schiacciare dalle prese in giro, dai fischi, dalle imitazioni, dagli scherzi. 
 
-Probabilmente sono più forte di quanto pensassi. Non ho negato ma neanche confermato di essere io, ho cercato di andare avanti. Molte ragazze si sono avvicinate a me perché volevano fossi il loro “amico gay”.
 
Alberto porta gli occhi al cielo, Stefano sorride. 
 
-Già… mi sono però dovuto ritirare dalla squadra di calcio della scuola. Gli altri ragazzi non volevano che stessi nello spogliatoio con loro, facevano una serie di stupidi teatrini e si mettevano con la schiena al muro per paura che io potessi fare loro qualcosa. 
Sospira. Non raccontava quella storia, quella parte della sua vita, da diverso tempo. In realtà ne ha parlato ad alta voce una volta sola, al suo psicologo, qualche anno più tardi. Ricorda bene la sensazione di imbarazzo che aveva avvertito entrando nello spogliatoio della palestra il giorno dopo la pubblicazione della foto. Quelli che fino al giorno prima aveva considerato compagni e amici avevano iniziato a trattarlo come uno scherzo della natura, un animale raro dal quale tenersi alla larga. Ricorda poi il colloquio dal preside con i suoi genitori, i quali non sapevano nulla né della sua sessualità né di ciò che gli era successo a scuola. Le parole circostanziali e ben poco sentite del preside risuonano ancora nelle sue orecchie.  
“Sono profondamente costernato. La nostra scuola non accetta alcun tipo di violenza e discriminazione, che sia essa fondata o non fondata. Verranno presi provvedimenti.” 
Tutto falso. 
Nessun provvedimento fu preso nei confronti di nessuno, inoltre nei giorni successivi più di un professore aveva assistito a siparietti omofobi nei corridoi nei confronti di Stefano e nessuno aveva fatto nulla. Senza dar troppe spiegazioni aveva smesso di presentarsi agli allenamenti e alle partite della scuola e anche nelle stesse ore di educazione fisica, evitava di entrare negli spogliatoi preferendo cambiarsi in solitudine nei bagni della scuola, poco prima che la lezione iniziasse e al termine di essa. Era riuscito a farsi forza, cercando di farsi scivolare tutto addosso. Eppure, quel terrore di condividere gli spogliatoi con altri uomini se lo trascina da allora. Quella paura di sbagliare qualcosa, il ricordo di quel giorno, quel lunedì pomeriggio di molti anni prima, ancora riecheggia nella sua memoria.
 
-Lui era tra quelli che ti prendevano in giro?
 
Domanda Alberto, distraendolo dai suoi ricordi, dai suoi pensieri. Scuote il capo.
 
-No. Però era un membro della squadra di calcio ed eravamo compagni di classe, nel biennio. Mi conosceva bene ed era nella compagnia di mia sorella, sono usciti insieme per un periodo, anche se mia sorella è più grande di due anni. 
 
Ricorda le foto nella stanza di sua sorella Elena, per un periodo ce n’erano diverse nelle quali era presente anche Paolo. Elena parlava spesso di Paolo, lo sentiva, gli mandava messaggi. Fino al giorno della maturità aveva tenuto al polso un braccialetto giallo di corda che Paolo le aveva portato dal mare. 
 
-Se è un amico di tua sorella non credo avrebbe interesse a sputtanarti con tutta la squadra. 
 
Conclude Alberto, guardando contemporaneamente l’orologio al polso. La pausa caffè è durata più del dovuto. Entrambi si mettono alla propria postazione, riaprendo i fogli di calcolo sui quali stavano lavorando. Continuano tuttavia la loro conversazione, cercando di non farsi sentire dagli altri colleghi presenti.
 
-Era un amico di mia sorella ma ha smesso di frequentarla dopo il diploma. Sono passati tredici anni dall’ultima volta che l’ho visto eppure lui mi ha riconosciuto subito, è venuto a salutarmi. 
 
Aggiunge Stefano, cercando di rimanere concentrato sullo schermo del proprio PC. Alberto non gli risponde subito ma qualche minuto dopo ribatte. 
 
-Forse gli interessi tu. Ci hai pensato?

Stefano si lascia sfuggire una risatina che attira l’attenzione degli altri colleghi i quali immediatamente si girano verso di lui. Si schiarisce la voce e cerca di far finta di niente. Quando finalmente tutti sono tornati a fissare il proprio schermo risponde ad Alberto. 
 
-Non è veramente possibile. Paolo era famoso a scuola, tra le ragazze. Era il ragazzo più bello e più ambito e pare che le sue conquiste siano state molte. Ti dico solo che… 
 
Si blocca e controlla che gli altri colleghi stiano sempre lavorando. Dopodiché si avvicina di più ad Alberto, senza però togliere lo sguardo dal proprio monitor.
 
-Di cognome fa Casagrande. Ma per tutti era “Paolo Qualcos’altrogrande… “
 
Evita di proposito di pronunciare quella parola, certo che Alberto abbia capito. Infatti questi si gira subito verso di lui e utilizzando il solo labiale ripete la parola. Stefano annuisce, sorridendo. 
 
-Possibilità che sia almeno bisex?
 
Chiede poi, a bassa voce. Stefano scuote il capo, è sicuro che non lo sia. Prende il cellulare e apre la chat del gruppo Whatsapp della squadra. 
 
-Non lo so ma non credo. È stato inserito nella chat di gruppo solo stamattina e sta già commentando condividendo foto di tizie nude, come fanno tutti gli altri. 
 
Fa scivolare il cellulare con la chat in questione aperta verso Alberto che la guarda subito e inizia a scorrere i vari commenti. 
 
-Seriamente? Ma lo fai anche tu!
 
Chiede, indicando un paio di reazioni ed emoticon di Stefano. 
 
-Per forza, per non dare nell’occhio! Non posso essere l’unico a non commentarle, sarebbe palese che non abbiamo gli stessi gusti! Ma mi limito solo a mettere l’emoji del fuoco o la lingua, lui invece pubblica foto di sua iniziativa… 
 
Risponde, indicando una foto appena condivisa da Paolo che Alberto guarda quasi con disgusto, storcendo il naso. Stefano riprende il cellulare, chiudendo la chat. 
 
-Comunque non capisco perché tu abbia così paura che scoprano che sei gay. Tra persone adulte non dovrebbero esserci stupidi pregiudizi.
 
Suggerisce Alberto qualche minuto dopo. 
 
-Preferisco che le cose rimangano così come sono. Sto vivendo un periodo felice della mia vita: il lavoro va bene, ho una nuova casa con giardino che adoro, il Milan ha vinto l’ultimo scudetto, sia la Serie A sia il mio campionato sono ricominciati. Tutto perfetto!
 
Alberto fa spallucce e non aggiunge altro. Stefano è seriamente convinto di ciò che ha appena detto, a trentadue anni si trova pienamente soddisfatto della propria vita. I suoi studi gli hanno permesso di ottenere un buon posto di lavoro fisso e la sua situazione economica è buona al punto di essere riuscito a comprare la casa che desiderava da tempo, a pochi passi dal campo sportivo e dal Bar dello Sport e vicino a una fermata della metro, grazie alla quale riesce a raggiungere più velocemente e facilmente anche il suo ufficio, senza usare l’auto o il tram. Certo, la sua vita sentimentale è del tutto inesistente. Non ha mai avuto un compagno fisso e non ne ha mai avvertito la necessità, ha tanti amici e tante passioni, ritiene che la sua vita possa essere completa esattamente così com’è. Anche se, a volte, specialmente in quella casa nuova e grande, ha iniziato a pensare che sarebbe bello tornare a casa da qualcuno. Scuote il capo e smette di pensarci, è quasi mezzogiorno e deve compilare diversi documenti, prima di potersi concedere la pausa pranzo. 
  
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