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Autore: MollyTheMole    14/10/2023    1 recensioni
La sostanza artificiale che assorbe il maggior spettro di luce - il 99,995% di tutta la radiazione luminosa - è la cosiddetta Blackest Black. Composta da nanotubi di carbonio, è stata progettata al MIT nel 2019 e ad oggi rappresenta il nero più nero che l’uomo abbia mai creato.
Ecco, qualche anno prima che fosse inventato la giovane agente speciale Jodie Starling si sentiva come se fosse sdraiata su quel famoso composto di nanotubi di carbonio.
Genere: Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jodie Starling, Shuichi Akai
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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SCIENCE IS MAGIC

Capitolo 1: Punalu’u 

 

Monique Dubois era una donna di enorme talento.

Piccola e un poco maschile nei tratti, l’agente Dubois era l’esempio perfetto del melting pot genetico della Grande Mela: madre nativa americana con parenti portoricani e padre danese in parte francese, Cielo negli Occhi era il suo secondo nome. I suoi tratti genetici ereditari avevano fatto sì che Monique apparisse nel modo in cui appariva: sottile e ossuta, pelle olivastra ed occhi a mandorla, zigomi larghi, nasino all’insù e un paio di luminosi occhi azzurri dietro una cascata di capelli d’ebano. 

Era teologa, specialista in culti indigeni e tradizioni tribali. 

Ma non aveva avuto pregiudizi, no, anche se lei era quanto di più lontano potesse esserci dalla sua idea di professione. Anche lui amava le lettere ed era un asso con le lingue morte. Con Monique c’erano stati punti di contatto e gli era piaciuto molto lavorare con lei. Tuttavia con il passare del tempo la giovane agente aveva mostrato tutti i suoi limiti. 

Shuichi aveva trascorso un anno da matricola all’Unità Analisi Comportamentale, a stilare profili psicologici dei peggiori criminali del paese. Poi, era riuscito finalmente ad ottenere un posto agli Affari Interni, ma la strada era ancora lunga prima di riuscire a fare ciò che aveva sempre desiderato fare. 

All’epoca il giovane agente Akai non lo sapeva, ma avrebbe dovuto attendere ancora un anno prima di riuscire ad affrontare personalmente l’Organizzazione degli Uomini in Nero, il gruppo criminale che gli aveva rovinato la vita e che ancora perseguitava i suoi peggiori incubi.

Al momento, Shuichi era orfano della giovane agente Dubois, alla quale aveva dato il benservito dopo l’ennesimo sabotaggio. In un anno aveva già cambiato tre partner. Quando Monique era arrivata, si era convinto che sì, lei sarebbe stata quella giusta se fosse riuscita ad ingranare la quarta. Invece, gli aveva mandato all’aria ben tre casi su cinque. 

Non era colpa sua, poverina. Semplicemente non era adatta per il lavoro che faceva. All’Analisi Comportamentale avrebbe fatto faville, e anche all’antiterrorismo. Quello che faceva lui, però… No, Monique si lasciava trasportare troppo dalle emozioni.

Da quando era approdato agli Affari Interni gli avevano affidato i peggiori crimini compiuti nel paese, tanto per cambiare. Gran parte di essi erano cold cases vecchi di anni a cui nessuno era mai riuscito a trovare una soluzione. Aveva dato prova delle sue attitudini e ben presto gli era stato riconosciuto l’enorme talento di cui era dotato, ma gli avevano sempre affidato partner poco attendibili, le cui caratteristiche sarebbero state adatte ad ogni incarico fuorché al suo.

Aveva parlato con James Black innumerevoli volte, chiedendogli espressamente un agente che fosse dotato di una formazione scientifica, che bilanciasse le sue conoscenze umanistiche.

Aveva ottenuto un veterinario, un sociologo e una teologa. 

Col veterinario il rapporto professionale si era troncato di netto nel giro di una settimana. Tempo dopo avrebbe scoperto che era stato addirittura licenziato e allontanato dall’FBI con l’accusa di spionaggio.

Col sociologo invece era rimasto in ottimi rapporti. Era un criminologo dotato, ma sul campo si perdeva in un bicchiere d’acqua ed aveva paura ad usare le armi da fuoco. Il che per un agente dell’FBI era il colmo, e Shuichi gli aveva scritto una bella lettera di referenze per l’accademia a Quantico, dove a quanto ne sapeva ancora insegnava con ottime valutazioni.

Era rimasto in buoni rapporti anche con Monique, alla quale aveva scritto una lettera di referenze per l’Unità Analisi Comportamentale. 

Sperava davvero che si trovasse bene. Era bravissima in ciò che sapeva fare. 

Seduto alla sua scrivania con una pila di carte che sembrava non finire più, il giovane agente Akai si massaggiava le tempie senza sapere che pesci prendere.

Il problema del suo lavoro - e il suo problema in generale - era che, a dispetto delle apparenze, si lasciava trasportare emotivamente anche lui. Quella pila di carte era spiacevole, molto spiacevole. C’era gente là fuori che come lui voleva risposte relative alla perdita o alla scomparsa dei loro cari. 

Risposte che lui da solo non poteva fornire. O meglio, certo che poteva, il problema era che sarebbero arrivate con tempi doppi, se non tripli, senza un partner che gli desse una mano nella ricerca delle prove.

E lui sapeva quanto potesse essere estenuante aspettare. Al punto tale da andare a cercare risposte da soli, perché ci si sente abbandonati.

Nonostante dunque una parte di lui fosse estremamente consapevole che sì, non c’era altro che potesse fare oltre farsi in quattro per il suo lavoro, l’altra parte sapeva di non star facendo abbastanza e si sentiva in colpa.

Per quanto amasse lavorare da solo, aveva bisogno di un partner che lo aiutasse in quel lavoro così complesso.

Non aveva però la benché minima voglia di riprovarci. Avrebbe dovuto ricominciare da capo, con una persona nuova, con attitudini diverse dalle sue. Per lui quel genere di contatto era estenuante. 

Così era finito seduto alla scrivania, immerso in una pila di carte, a massaggiarsi le tempie, con il telefono dell’ufficio davanti a lui pronto per essere usato.

Sospirò, posando i palmi sul tavolo e chiudendo gli occhi. Nell’aria c’era il solito odore di stantio con un vago retrogusto di carta e cartone vecchio e rovinato, bagnato dall’umidità dell’archivio in cui i suoi casi erano rimasti rinchiusi per anni. 

Aprì le palpebre e digitò una serie di numeri sulla tastiera.

Il telefono suonò libero.

- Chi è?-

- James, sono Akai.- 

- Oh, ragazzo. Passa da me, non ho impegni. No, anzi, passo io, così sgranchisco un po’ le gambe.-

 

- E così è andata buca anche stavolta.-

Shuichi avrebbe tanto voluto replicare che un veterinario con opinioni politiche sovversive, un sociologo che non sapeva impugnare una pistola e una teologa che vedeva spiriti dovunque non erano un problema suo, ma dell’FBI. 

Si limitò ad aprire le braccia.

- Se può consolarti mi ha chiamato Barnes della BAU. Dicono che Monique si stia comportando divinamente. Ha risolto brillantemente un caso a Tampa.-

- E’ giusto che lavori in un luogo che le permetta di esprimere il suo talento.-

James annuì e si pulì gli occhiali con la cravatta. 

- E così sei a piedi di nuovo. Mi piacerebbe essere come tutti gli altri capi, per cui la colpa è sempre dei dipendenti, ma devo essere onesto: nel tuo caso c’è stata anche una buona dose di sfi… ehm, sfortuna.-

Shuichi dondolò il capo in cenno di assenso. 

- A questo proposito, James, è indubbio - ed aprì le braccia ad indicare la pila di carte che aveva preso possesso anche di parte del pavimento - che mi serva una mano. Un lavoro del genere non può farlo un agente da solo. Nemmeno due, ad essere onesti. Ci vorrebbe una squadra, ma…-

- Rinunciaci, figliolo. Siamo in crisi economica. La spending review ha colpito anche i nostri uffici e più di così non possiamo fare. Un altro, uno solo. Non di più.-

Il giovane agente mise su la sua miglior maschera di rassegnazione e posò i palmi aperti sul tavolo.

- Uno.-

- Come lo vuoi?-

Shuichi sorrise, sentendosi un po’ come se stesse scegliendo il caffè da Starbucks.

- Uomo o donna, non fa differenza. Con una formazione STEM: possibilmente fisica, medicina o chimica, ingegneria biomedica, roba così.-

- Ho un ingegnere edile.-

- Non ci faccio niente. Mi serve gente che sappia vedere quello che di solito non si vede. Di norma queste prove sono sui cadaveri o nella dinamica. Se mi serve un perito, te lo chiedo.-

I due si scambiarono un’occhiata tra il divertito e l’esasperato.

- Quindi genere indifferente, formazione scientifica.-

- Possibilmente matricola. A questo punto preferisco plasmare un agente come dico io, piuttosto che acquisire un altro agente con esperienza e una laurea in tuttologia.-

- Un agente più navigato arriva con un enorme bagaglio di esperienza.-

- Per quello ci sei tu. Un agente più navigato arriverebbe con la pretesa, per via della suddetta esperienza, di darmi ordini nonostante qui comandi io. Non ho bisogno di un secondo capo.- 

Gli fece un sorriso. 

- Senza rancore.-

James Black si appollaiò meglio sulla sedia, arruffandosi i capelli grigi sempre, perennemente pettinati all’indietro che profumavano vagamente di lacca.

- Sai, sei fortunato. Le matricole sono uscite due settimane fa da Quantico, fresche d’accademia. Ho una pila gigantesca di curriculum da esaminare. Alcuni sono molto promettenti.-

Gli occhi verdi di Akai si illuminarono.

- Temo però che mi ci vorrà un po’ per esaminarli tutti. Almeno altre due settimane. Considera che la gente che vuole entrare all’FBI difficilmente fa domanda per i crimini informatici o per il reparto traffico d’arte. Indovina dove vogliono andare tutti?-

- Agli Affari Interni.-

- Viva la sicurezza nazionale.-

- Hanno guardato troppe serie tv.-

- Tu eri uno di quelli.-

- Avevo ragioni diametralmente opposte. A proposito…-

- Dammi retta, figliolo. Aspetta. Il vento sta cambiando. Vedrai che tra un po’ trovo il modo di assegnarti al caso che sai.-

Shuichi gli fece un bel sorriso disteso. 

- Bene. Quanto tempo ti serve?-

- Almeno un paio di settimane. Nel frattempo, tu te ne vai in ferie.-

Nella piccola sala cadde il silenzio.

A Shuichi era stato assegnato un bell’ufficio luminoso al sesto piano, situato in fondo ad un corridoio stretto e lungo su cui affacciavano altri sette uffici simili al suo e un bagno che non voleva saperne di funzionare. Tra porte di vetro e veneziane da ufficio, c’erano due scrivanie con due lampade, due computer, due schedari e una innumerevole serie di cassetti pieni di scartoffie in condivisione tra gli inquilini. 

Al momento, in quell’ufficio che odorava di chiuso regnava il caos più assoluto fatto di carte, cibo, spuntini e bottiglie d’acqua finite, misto ad un vago sentore di fumo. 

Un caos che rifletteva quello nella testa del giovane agente.

- Aspetta, come in ferie?-

Black arricciò il naso, annusando l’aria.

- Akai - kun, quante volte ti ho detto di non fumare in ufficio?-

- Ho un sacco di lavoro, James, non posso andare via!-

- E per questo fumi? Ragazzo, dovresti avere delle abitudini più salutari. Chiuderti qua dentro a fumare come una ciminiera non aiuterà la gente che vuoi aiutare.- e fece spallucce, aggiustandosi la cravatta. - Per questo andrai in ferie. No, niente ma. Così è deciso, l’udienza è tolta.-

Shuichi sospirò, fingendo rassegnazione.

James Black aveva conosciuto suo padre, tanti anni prima. Anzi, sarebbe più corretto dire che aveva conosciuto praticamente tutta la sua famiglia. Era inglese come loro, aveva lavorato in settori che non si potevano specificare su casi che non si potevano raccontare. Aveva stima di lui, anche se non aveva mai fatto esperienza diretta del suo comando fino a poco tempo addietro. 

Dopo un iniziale periodo di deferenza e distacco, James Black si era aperto gradualmente fino ad assumere un ruolo quasi familiare. Niente e nessuno avrebbe mai potuto rimpiazzare suo padre, ma il buon vecchio inglese sapeva andarci vicino.

A volte anche troppo.

- Oh, non pretendere di ingannarmi, figliolo. Tu andrai in vacanza e non ti porterai il lavoro a casa. No, non fare quella faccia, ormai ti conosco come le mie tasche. Questa volta metterai il tuo stacanovismo in valigia assieme alla biancheria intima e al costume da bagno. Sì, hai capito bene. Te ne vai alle Hawaii, a mollo nell’acqua di una splendida spiaggia nera. Punalu’u.-

Questa volta lo sbigottimento sul volto di Shuichi era genuino e James Black ne rise di cuore.

- James, sai perfettamente che adesso non è né il momento, né…-

- Fosse per te non sarebbe mai il momento, figliolo.-

- E se io avessi preferito andarmene a sciare o a vedere le cascate del Niagara?-

- Non ti avrei mandato in ferie, perché ti saresti rinchiuso in un qualche chalet a lavorare da solo come un cane o avresti visto le cascate da una cartolina sul muro di un motel. No, la verità è che ti ho comprato i biglietti per Punalu’u perché c’è un ritiro dell’FBI. Ci sarà un bel po’ di gente, avrai compagnia e il panorama è meraviglioso. Ci saranno anche alcune matricole, magari trovi qualcuno che ti va a genio. Siamo d’accordo, dunque? Lo sapevo. Fa’ attenzione alle correnti quando nuoti, mi raccomando.- 


LA TANA DELLA TALPA

*Rullo di tamburi*
Molly la Talpa è di nuovo in pista!
Tempo fa ho scritto un'altra storia, dove insinuavo che i nostri eroi si fossero conosciuti alle Hawaii ad un ritiro dell'FBI trasformatosi in una vacanza con delitto. 
Ecco, questo è ciò che l'unico neurone della mia scatola cranica - solo come una piccola particella di sodio - è stato in grado di produrre. 
Fatemi sapere che cosa ne pensate. Spero di strapparvi una risata in questi tempi bui.
A presto,

Molly. 


 

  
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