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Autore: Blablia87    15/10/2023    3 recensioni
[Spoiler!S2][Ipotetica S3]
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Aziraphale ha cambiato nome e ruolo, e questo gli è costato tutto: persino se stesso.
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Crowley è rimasto davvero solo per la prima volta in seimila anni e, forse, il destino dell’Universo che ha contribuito a generare e che tanto ha amato non gli interessa più molto.
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La Seconda Venuta è alle porte e, mentre qualcuno trama nell’Ombra, qualcun altro non è disposto a vedere la Luce della speranza spegnersi: la Terra è troppo bella per sparire prima che possa trascriverne ogni aspetto nel suo taccuino.
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Dal capitolo 11:
"Ancora con gli occhi chiusi a seguito della caduta, Muriel sentì una voce metallica e leggermente ovattata dire: “sto chiamando il numero in rubrica selezionato: Anthony J. Crowley”.  Poi, dei segnali acustici gracchianti e cadenzati."
Genere: Angst, Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash, FemSlash | Personaggi: Aziraphale/Azraphel, Crowley, Metatron, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Azi

 




Ufficio di Crowley - Oggi

 

 

 

«Crowley?»

 

Una sottile lama di luce strisciò - accompagnata da uno stridio prolungato - sul pavimento scuro, allargandosi e allungandosi lentamente come in un pigro sbadiglio.

La polvere che riposava sulle mattonelle di marmo si sollevò da terra, fremente, rimanendo per qualche secondo sospesa all’interno del cono luminoso che si era creato.

Un tacco scuro, a spillo, piombò nel fazzoletto di chiarore strappato alle tenebre con un piccolo tonfo, facendo disperdere le particelle come girini all’interno di uno stagno in cui era stato gettato un sasso.

Shax - gli occhi socchiusi per riuscire a orientarsi nel buio saturo di umidità nel quale era appena entrata - rimase per un attimo lì, immobile a pochi passi dall’ingresso, con la mano sinistra ancora appoggiata alla porta e la destra chiusa a pugno sotto il naso per proteggersi dall’odore di stantio che l’aveva accolta non appena aperto l’uscio.

«Crowley?» Provò nuovamente, portandosi in avanti quel tanto da riuscire a mettere a fuoco - nella poca luce a disposizione, posta tutta alle sue spalle - il piedistallo dove, quanto meno fino al suo ultimo giorno in quella casa, era ospitata una statua di due angeli in battaglia. «Ho provato a bussare, ma…»

Fece un paio di passi avanti, ondeggiando tra uno stordente odore di umidità e un silenzio opprimente che le ricordò - in maniera totalmente opposta eppure sorprendentemente similare - la sala d’attesa dell’Inferno. La seconda era sempre gremita di urla e terrore ma il peso invisibile che riempiva l’aria era analogo, così come l’istinto primario di ogni Essere (anche dei Caduti, benché nessuno di loro lo avrebbe mai ammesso apertamente) immerso in quegli ambienti: voltarsi e fuggire il più lontano possibile. Perché se vi era una cosa nel Creato che nessuno voleva davvero “sentire” - mai, nemmeno i demoni - quella era il dolore.

E l’appartamento - si rese conto quando, continuando ad avanzare al suo interno, colpì con la punta della scarpa destra un’ala di marmo spezzata - ne era, semplicemente, impregnato. Ne erano ricoperte le pareti, i soffitti, i pavimenti… ogni angolo. Si era stratificato poco a poco, giorno dopo giorno, una carta da parati impastata di muta sofferenza che si teneva su grazie al tempo e alla polvere.

«So che sei qui, Crowley» riprese, scavalcando il corpo dell’angelo che - una volta - si ergeva fiero sull’altro. Lui, di tutta risposta, finì di franare definitivamente al suolo, aprendosi a metà lungo la ferita che lo attraversava lungo tutto il busto.

I passi rimbombarono lungo il corridoio, fiocamente illuminato dalla poca luce proveniente dal pianerottolo. Arrivata a metà un odore dolciastro e nauseabondo la raggiunse, facendosi largo tra le dita chiuse che ancora premeva sotto il naso e scendendo lungo la gola come un cucchiaio di fiele denso. Conosceva bene quel miasma (l’Inferno ne era intriso, soprattutto nelle zone di primo approdo dei defunti) e - benché fosse certa che il demone non potesse essere in alcun modo morto (per prima cosa non era facile per una Creatura Celeste, anche se caduta, morire; secondo poi, la comunicazione sarebbe giunta Laggiù pressoché immediatamente insieme alla richiesta di un aggiornamento dei registri infernali) - sentì una punta di apprensione appesantirle le gambe.

Crowley era, da sempre, uno degli elementi più validi della Legione. Lo sapeva lei, come lo aveva saputo Belzebub prima di lei. Non a caso, per secoli, gli era stato concesso di vivere in un realtà a parte: pochi controlli, poca burocrazia, libertà d’azione quasi totale. Certo: aveva commesso anche anche lui degli errori - uno su tutti quello di stringere alleanza e infine invaghirsi (cosa palese a tutti tranne che a loro) di un Avversario - ma restava uno dei Caduti più competenti ed esperti e, con la Seconda Venuta alle porte, riuscire a riportarlo nei propri ranghi poteva fare davvero la differenza tra la vittoria e la sconfitta.

«Devo parlarti di una cosa importante… - riprese, la voce strozzata dall’odore pungente che sentiva risalirle le narici e umidirle gli angoli degli occhi - … fondamentale

Giunta alla fine del corridoio, diede una piccola spinta all’imponente porta girevole che separava lo studio dal resto dell’appartamento. Una folata carica di umidità, polvere e sentore di guasto la colpì, così densa da spostarle i capelli dal volto.

Si affacciò nella stanza lentamente, mantenendo il resto del corpo fuori.

Il buio era pressoché totale, interrotto solo da piccole strisce di luce che - facendosi coraggiosamente largo attraverso le tapparelle chiuse - si posavano scomposte sulla parete di fronte alle finestre sbarrate.

Seguendone una con lo sguardo, Shax comprese finalmente da dove provenisse quel mefite che riempiva l’aria: le piante di Crowley - una volta verdi, lucide, rigogliose e floride come solo i vegetali terrorizzati dalla minaccia di venir cestinati possono divenire - giacevano morte l’una di fianco all’altra. Alcune si erano lasciate cadere sul pavimento, esauste. Altre si erano chiuse su loro stesse, quasi piegate in un inchino di commiato. Uno spesso strato di polvere e qualche ragnatela si posava sulle foglie ormai secche, rendendole simili a tristi sculture di sabbia. Qua e là, bottiglie di vino e birra vuote e opacizzate dal tempo sembravano fare da guardia ai vasi e al loro triste contenuto.

Solo una di loro - l’ultima della fila, la più piccola e all’apparenza fragile - sembrava aver resistito ai mesi di incuria e abbandono. Le foglie si erano lasciate andare verso il basso, ma avevano conservato un colorito se non sano quanto meno vitale.

«So che sei qui» riprese Shax dopo qualche attimo, superando la porta e portandosi al centro della stanza. «E so che sono, probabilmente, l’ultima persona con cui vorresti parlare in questo momento. Ma, vedi… - si raddrizzò con le spalle, abbassò la mano che aveva tenuto premuta sotto il naso fino a quel momento e assunse un’aria di vago compiacimento - … ho parlato con il nuovo Arcangelo Supremo, qualche ora fa, e penso potrebbe interessarti sapere cosa ci siamo detti.»

Una delle foglie dell’Anthurium tremò impercettibilmente. Shax la osservò con la coda dell’occhio, sorridendo.

«Mi ha stupita, sentire la sua voce…» continuò, voltandosi e sfiorando con un dito uno dei bordi della scrivania. Sentì la polvere aprirsi sotto il polpastrello, docile, e premette con ancor maggior forza come stava per fare con le parole. «Ha fatto carriera, alla fine. Chi lo avrebbe detto. Ma, d’altra parte, non avrei nemmeno mai detto che fosse il tuo tipo.» 1)

Questa volta fu il fusto della pianta a muoversi. Si piegò da un lato, scuotendo tutta la chioma. Un’ombra scura si allungò alle spalle della donna, elevandosi sul muro prima esile e poi sempre più simile a una figura umana.

Lei, sentendo l’aria spostarsi dietro di sé, accennò un sorriso soddisfatto.

«Fanno sempre così, alla fine, non è vero? Gli Angeli, dico. Ti circuiscono per portarti a fare quello che vogliono e poi… puff!, se ne tornano dal Grande Capo senza voltarsi indietro. E dire che dovremmo essere noi, gli infidi

«Piantala.» La voce di Crowley, bassa e cavernosa, riempì l’aria. Non usava le corde vocali da tempo, e la parola gli scivolò tra le labbra pesante e ruvida come una pietra coperta di rena.

«Di far cosa? Sappiamo entrambi che è la verità.» Shax si voltò lentamente, posando gli occhi in quelli dell’altro.

Il viso del demone, nella penombra della stanza, le apparve più livido e scavato di quanto non fosse mai stato. Gli occhi erano cerchiati da un profondo alone scuro e grigiastro, e i capelli - adesso di un rosso pallido 2) - gli sfioravano le spalle in ciocche disordinate.

«Cosa vuoi?» soffiò lui, alcune scaglie nerastre ancora visibili sulle guance.

«Raccontarti il Grande Piano dei nostri amici per il futuro del Mondo» rispose lei, con voce melliflua.

«Non mi interessa» ringhiò l’altro, muovendo qualche passo incerto verso la scrivania seguito dallo sguardo attento di lei. Non usava le gambe da più di un anno, ed ebbe la spiacevole sensazione che le rotule non riuscissero a trovare il giusto verso nel quale muoversi. «Esci da casa mia.» Si lasciò andare con un tonfo sulla sedia, indicandole la porta con uno sbrigativo movimento della mano.

«Davvero non vuoi sapere cosa mi abbia detto Aziraphale?» Ribatté Shax, socchiudendo gli occhi e increspando le labbra in un mezzo sorriso.

Crowley sentì il nome dell’angelo colpirlo in pieno petto, come se l’altra lo avesse scagliato contro di lui con tutta la forza possibile. Percepì il respiro mozzarsi, e i muscoli dell’addome contrarsi fino a rigirargli lo stomaco.

Inutile.

Era stato del tutto inutile. Mesi e mesi chiuso su se stesso, così lontano da tutto da apparire quasi privo di vita, e alla fine non era servito a niente.

Lui era ancora lì: Lassù. Ed era ancor di più - maledettamente - là: bloccato tra la sua gola e il suo torace.

Capace di smuovergli qualcosa, capace di renderlo reattivo. Chiuse gli occhi per qualche secondo, cercando di trattenere la rabbia che sentiva risalirgli la schiena.

«No, grazie» riuscì a dire dopo qualche secondo, trattenendo a stento l’istinto di alzarsi e portare Shax di peso fuori dall’appartamento.

«È un vero peccato…» la donna alzò le spalle, fingendosi dispiaciuta. «E dire che mi aveva fatto espressamente il tuo nome.»

Il demone spalancò gli occhi, posandoli - un misto di incredulità, collera e sordo dolore che affiorava sul volto - sull’altra. Le iridi erano divenute di un giallo talmente acceso da apparire quasi luminose.

«Beh…» iniziò lei, venendo interrotta dallo squillo del telefono che Crowley teneva sulla scrivania. Entrambi si voltarono verso l’apparecchio, attoniti. Dopo qualche secondo di esitazione il demone si portò in piedi con un movimento repentino, sollevando la cornetta.

«Eh…» si sentì dire dall’altra parte, da una voce bassa e impacciata. «Che dovrei fare, esattamente, adesso? Non capisco, a che serve questa cosa…?»

Il demone lanciò il telefono a terra, con un ringhio.

«Call center?» ironizzò Shax.

Di tutta risposta l’altro affondò entrambi i pugni sulla scrivania, cercando di trattenere l’istinto di distruggere ogni cosa attorno a sé.

«Parla. E poi vattene» soffiò, sentendo i canini superiori affondargli nelle labbra. 3)

«Va bene.» La donna si mise a sedere, con un piccolo saltello, sulla scrivania. «Stanno preparando la Seconda Venuta del Messia. La Fine dei Tempi. I buoni lassù, i cattivi - tanto per fare una cosa nuova - giù da noi, bambini e credenti di altre confessioni compresi.»

Crowley si lasciò cadere all’indietro, tornando a sedere sulla propria poltrona. «Il Paradiso che vuole mettere fine alla Terra. Questa sì che è una novità» commentò, ironico. «Se sei venuta a propormi di prendere parte alla “graaande battaglia finale” la mia risposta è no, grazie.»

«In realtà ero venuta a proporti il ruolo di Granduca Infernale. Non voglio vederti sul campo di battaglia. Voglio vederti disporvi le truppe

Crowley scoppiò in una risata fragorosa, ma vuota di ogni allegria. «Ancora una volta: no, grazie.»

«Peccato.» Shax scrollò le spalle, con finta noncuranza. «E pensare che Aziraphale mi ha detto di richiamarti in un ruolo operativo, nel caso lo avessi ritenuto opportuno. Oh, beh…»

«Cosa?» sfuggì dalla bocca di Crowley. Sentì un fiotto di nausea risalirgli la gola.

Era assurdo.

Assolutamente, completamente, solamente assurdo.

Potevano essersi lasciati nel peggiore dei modi possibili, ma Aziraphale sapeva. Sapeva cosa pensava della fine della vita sulla Terra, dell’Inferno, delle Battaglie Celesti. Non poteva, semplicemente non poteva aver detto una cosa simile. Averlo richiamato in battaglia. Averlo fatto sapendo che questo li avrebbe portati probabilmente a uno scontro diretto… e definitivo.

«Non ti credo.» Scosse la testa, le labbra piegate verso il basso e un’incredibile sensazione di stanchezza improvvisamente piombata sulle spalle. «È solo uno stupido modo per…»

«Vuoi sentirlo con le tue orecchie?» ribatté lei, serena, facendo comparire un piccolo cellulare semitrasparente tra le sue dita.

Crowley socchiuse gli occhi e aggrottò la fronte, sollevando uno sguardo ferale su di lei. «Stai bluffando.»

Shax, con aria indifferente, si limitò a sfiorare in silenzio il pulsante al centro dell’apparecchio.

 

«Visto le novità di cui mi hai messo al corrente, credo sia giunto il momento che Crowley riprenda il suo posto come Duca Infernale. In realtà non escludo una promozione, per lui.»
«Crowley…»

 

La voce di Aziraphale si sparse per la stanza, più sicura e profonda di quanto Crowley non la ricordasse. Sentirgli pronunciare il suo nome con così poca cura, quasi con distacco, ebbe il potere di spezzargli il fiato. Affondò le unghie nei braccioli della poltrona, cercando di reprimere l’istinto di piegarsi in avanti.

 

«Sì.»
«…se ritieni opportuno che ti affianchi nelle vostre operazioni di controffensiva, fai pure.»
«Oh, sì. Più che opportuno.»



Shax alzò un sopracciglio, con l’espressione soddisfatta di chi aveva vinto - con fin troppa facilità - l’ultima mano di una partita di poker. «Come sai, è impossibile ricreare una voce angelica. Non potrei… com’è che hai detto? Bluffare? Non potrei bluffare nemmeno volendo.»

Sotto il suo sguardo attento, il corpo di Crowley iniziò a vibrare impercettibilmente.

Non avrebbe saputo dire se fosse rabbia, delusione, dolore, o una commistione di tutti e tre i sentimenti. Ma - si disse tra sé tornando in piedi con un piccolo saltello - una cosa era sicura: che Crowley avesse deciso di tornare tra i ranghi o meno, l’Arcangelo Supremo aveva appena perso il più prezioso degli alleati.

«Oh, beh: si è fatto tardi. Ti lascio il tempo di riflettere. Nel caso volessi tornare tra noi, sai dove trovarmi.» Dondolando sui tacchi, diede un piccolo calcio a una delle bottiglie di birra finite a terra.  Questa rotolò verso il mobile che ospitava quanto rimaneva delle piante, andando in frantumi.

«È davvero un peccato, sai? Vedere un demone tanto intelligente ridursi così per un angelo ingrato» si congedò infine, lanciando un’ultima occhiata a Crowley prima di sparire oltre la grande porta che dava sul corridoio.

Lui rimase immobile, ascoltando in lontananza il portone d’ingresso che - cigolando sui cardini - si richiudeva, facendo sprofondare nuovamente e totalmente l’intero appartamento nelle tenebre.

Un fascio di luce - uno dei pochi che coraggiosamente riuscivano a farsi largo attraverso le feritoie degli scuri che serravano le finestre, reso più intenso dai fari di un’auto di passaggio - gli colpì il viso, all’altezza degli occhi. Le iridi gialle apparvero galleggiare come boe alla deriva in una congiuntiva dai bordi arrossati e liquidi. Non avrebbe saputo dire se quelle che sentiva premere ai bordi delle palpebre fossero lacrime di rabbia o di delusione. L’unica cosa che sapeva per certo era che Shax aveva ragione: un demone non poteva, in alcun modo, assumere le sembianze - anche solo vocali - di un angelo per trarre in inganno qualcuno. Vi erano poche regole tra i Caduti, ma quelle che esistevano non erano in alcun modo aggirabili.

Aziraphale, quindi, lo aveva davvero invitato a divenire un suo avversario. E lo aveva fatto senza un solo attimo di esitazione nella voce.

Chiuse gli occhi con forza, cercando di mettere a tacere i pensieri che sentiva accavallarsi nella mente.

Uno su tutti, indomabile e affamato, non riusciva in nessun modo a soggiogare: lui ricordava Aziraphale in battaglia. Ricordava il suo sguardo affranto ogni volta che si era visto costretto a gettare al Suolo un avversario - e, probabilmente, la sua attenzione per un “nemico” lontano nella folla in subbuglio era il motivo per il quale non ricordava di aver combattuto spalla a spalla con Furfur - ma, ancor più distintamente, ricordava la sua spada. Non si era rifiutato di usarla e, anzi, più di uno dei suoi “compagni di caduta” erano precipitati proprio accompagnati dalle fiamme della sua lama.

Richiamarlo alle armi - soprattuto in un ruolo di comando - voleva dire sapere che, prima o dopo, si sarebbero trovati nella posizione di combattere l’uno contro l’altro. Significava aver messo in conto di ferire, o venir ferito, guardandosi negli occhi. Sottintendeva la consapevolezza che, nel peggiore degli scenari, uno dei due - se non entrambi - sarebbe potuto persino scomparire dal Libro della Vita per mano dell’altro.

Per un attimo gli tornò alla mente il giorno dell’Apocalisse mentre, seduto a terra, aveva visto Aziraphale alzare la spada verso di lui per spronarlo a fare qualcosa. Era stato solo un attimo, una frazione di secondo. Nel tempo degli Immortali qualcosa della durata di soffio. Ma ora, immaginandosi di nuovo in quell’istante, non riusciva a non domandarsi se Aziraphale avesse dovuto combattere il suo istinto di calare la lama. D’altra parte lo aveva detto lui stesso: loro erano i cattivi. Loro. Tutti loro: lui compreso. Nonostante secoli di amicizia. Nonostante si fossero guardati le spalle milioni di volte. Nonostante pensasse… sperasse, che non ci fosse più alcuna parte se non la quella che li vedeva assieme.

Forse Shax aveva ragione. La loro parte era esistita fin quando Aziraphale non era stato “perdonato” (persino promosso!) dalla sua. Forse aveva tollerato la compagnia di un demone solo perché essere “un angelo che finge di essere dalla parte del Paradiso finché può” si era rivelato più solitario di quanto si era creduto capace di sopportare.

E allora tutto si era ridotto a un ricatto: tornare entrambi Lassù, o diventare nemici. Tornare nemici. Perché questo erano, d’altronde: “nemici ereditari”. 4).

Un nuovo fascio di luce gli colpì gli occhi. Questa volta le iridi apparvero scure, di un giallo opaco.


Il mare era scomparso, ritirandosi tra le ciglia distese: la tempesta era passata.

Aveva fatto la sua scelta.

 


az1a



 

Note:

1) Si rifà al dialogo in auto con Aziraphale. Ma lo avevate colto, vero? <3

2) In un post letto non so più dove, si discuteva della possibilità che i capelli di Crowley divenissero man mano più rossi e “vivi” al crescere del suo amore per l’angelo e all’aumentare del tempo passato in sua compagnia. In effetti il rosso della s2 è più forte di quello della s1, e mi sembrava “carino” usare anche questo dettaglio per sottolineare che la lontananza da Aziraphale ha conseguenze anche fisiche su di lui.

3) Sono incappata su TikTok in questo video stupendo in cui, con un rimaneggiamento dei frame, nelle scene dove Crowley appare arrabbiato i suoi canini si allungano leggermente. Considerando il fatto che possa trasmutare in un serpente, e che David con quei canini era se possibile ancor più bello del solito, ho deciso di rendere la cosa canon (per me… ma fidatevi, amereste vederla in scena!)

4) Lo dice Aziraphale a Crowley nella s1, prima di invitarlo in libreria con un largo sorriso: “I am an angel. You are a demon. We’re hereditary enemies.”

 

Angolo dell’autrice:

Eccomi qua. Tra una febbre, una congiuntivite, un battesimo e una festa di compleanno (perché giustamente che fai, non incastri due ricorrenze a distanza di due settimane l’una dall’altra) e destreggiandomi tra un ordine e una commissione a lavoro, sono finalmente riuscita ad aggiornare.

Vi chiedo scusa fin da ora per l’angst. Prima o poi finirà… giuro.

Come sempre, grazie a chiunque abbia letto, inserito la storia in una qualche categoria e/o dedicato un po’ di tempo a lasciare una recensione.

A presto,
B.

   
 
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