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Autore: wolfymozart    17/10/2023    0 recensioni
La rivoluzione incombe su Parigi, restituendo dignità agli oppressi e presentando un conto amaro agli oppressori. Ma nei suoi giudizi perentori e tranchant, di condanna e assoluzione, non tiene conto delle sfumature, mai nette, tra innocenti e colpevoli, non tiene conto di sentimenti, paure, speranze di quanti, pur nella schiera degli oppressori, sono stati anch'essi vittime del sistema.
Un rivoluzionario integerrimo ma tormentato, una nobildonna infelice ma determinata, un amore impossibile, una condanna eterna.
Genere: Drammatico, Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Rivoluzione francese/Terrore
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Marianne richiuse dietro di sé la porta con delicatezza nel timore di svegliare la casa: nessuno avrebbe dovuto sapere, nemmeno Louise che, forse, già qualcosa sospettava. La conosceva meglio di sua madre, quella donna, pensò tra sé. Poi, con un sorriso dolce e, insieme, complice, si gettò tra le braccia di Jacques, finalmente, dopo tutti quegli anni, quelle notti insonni, quei sospiri nascosti. E lui, l’austero deputato, sembrava aver perso ogni sussiego, ogni corazza, ogni timidezza e si concedeva di essere con lei tenero e devoto, dolce e appassionato, di mostrarle la sua vera anima e tutto quell’amore che aveva per anni dovuto negare anche a se stesso.
-Quanto tempo abbiamo perso, quanti momenti ci hanno rubato. – le sussurrava con amarezza di quando in quando all’orecchio, interrompendo un bacio e guadandola con quegli occhi neri, lucidi eppure così trasparenti che vi si poteva leggere ogni cosa. Le sue mani tremavano mentre le accarezzava il viso, quella pelle candida e liscia, delicata.
- Non importa, amore mio. Ora siamo qui. – rispondeva lei, rapita, gli occhi chiusi per non interrompere quegli attimi così preziosi. Non voleva svegliarsi da quello che credeva essere un sogno, un bellissimo sogno che durava da più di un decennio e in quel momento pareva più vivido che mai. Gli passava le dita fra i capelli bagnati di pioggia, sulle guance ispide d’una barba appena accennata, segno di una perdonabile negligenza per l’impeccabile deputato Clermont, in quei giorni tanto convulsi. – Non ti ho mai dimenticato, Jacques. Ho continuato ad amarti per tutti questi anni, disperatamente, e ora non mi sembra vero che siamo qui, insieme. –
Jacques le offrì uno dei suoi sorrisi timidi, impacciati, tanto diversi da quelli franchi e aperti che riservava alle sue conoscenze; un sorriso che nessuno, in quegli anni, aveva mai avuto il privilegio di vedergli fiorire sulle labbra, un sorriso che aveva riservato a lei sola. A quelle parole di lei, avvertì come un groppo in gola, quasi si stesse per mettere a piangere quelle lacrime a lungo trattenute, che da quell’infausta notte di dieci anni prima, non si era più permesso di versare. Un rappresentante del popolo non piange, un paladino della giustizia non si scompone per vicende personali, ma sacrifica tutta la sua vita immolandola sull’altare del dovere. Così aveva fatto, stoicamente, per anni. Ma quanto gli era costato, non l’avrebbe saputo dire: eppure, in quel momento ritrovava finalmente un senso a tutta quella sofferenza.  – Dopotutto, siamo fortunati. – le rispose con voce tremante, poi, sorridendo, la sollevò fra le braccia e l’adagiò fra le lenzuola odorose di bucato del suo letto ancora intatto. Le loro vesti madide e appesantite dalla pioggia ricaddero sul freddo pavimento in cotto, mentre si abbandonavano al tepore delle coperte, uniti da uno strettissimo abbraccio.
 
La luce di un’alba livida, autunnale, piovosa, avrebbe trovato già sveglio il deputato Clermont: non aveva intenzione di concedersi che il lusso di un breve sonno poiché nella sua mente vigile si affollavano mille pensieri, mille preoccupazioni. A differenza sua, Marianne dormiva beata fra le sue braccia, dopo anni di insonnia finalmente godeva un sonno profondo, sereno, ristoratore: per la prima volta dopo tanti anni, sapeva di essere al sicuro.
  • Marianne, – la chiamò sottovoce. – Marianne. – ma lei non accennava a svegliarsi, sul viso un sorriso placido, i suoi capelli biondi sparsi sul petto di lui.
Clermont sospirò profondamente. Si rese conto solo in quel momento di ciò che era accaduto quella sera, dei discorsi concitati, delle spiegazioni tardive, del vortice di passione a cui si erano infine abbandonati. Ne era felice, certamente, non aveva desiderato nient’altro per dieci anni, ma in quel momento si rese conto di quanto avesse abbassato le difese e del pericolo che stavano correndo tutti quanti. Dopotutto erano fuggiaschi e lui non si toglieva dalla mente la sensazione di essere stato seguito il giorno precedente durante il suo viaggio da Parigi; solo una sensazione, effimera, impalpabile, ma che non lo abbandonava. Non poteva permettersi di indugiare, di farsi trascinare dalle lusinghe dell’amore perdendo di vista quella che era la loro rischiosa situazione. Il sole sarebbe sorto di lì a poco e per quel momento tutto sarebbe dovuto essere pronto per la partenza: il carro, i cavalli, Bonnet e soprattutto, i documenti. La sua mente razionale continuava a macinare piani di fuga, percorsi di viaggio, risposte da dare alle guardie, indicazioni da seguire per raggiungere Saint-Malo, porta d’accesso all’Inghilterra e alla libertà. Gli pareva assurdo ragionare così, accostare la parola libertà a quel Paese straniero che fino a qualche giorno prima detestava come nemico giurato, che tramava contro la Rivoluzione. Eppure l’Inghilterra rappresentava la salvezza per Marianne e lui, in quel momento, viveva in lei. Due giorni di viaggio, al massimo tre, e sarebbero giunte a Saint-Malo; poi avrebbero dovuto attendere le condizioni propizie per la traversata, si sarebbero dovute nascondere e lui non poteva in alcun modo aiutarle laggiù, ma confidava nella sagacia di Marianne. Il suo compito, invece, terminava quella mattina, quando si sarebbe congedato da loro, assicurandosi di averle viste partire sul carro di Bonnet. A quel pensiero, s’incupì d’un tratto: avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di ritardare anche solo per un poco il momento del distacco.
-Marianne. – le sussurrò per l’ennesima volta, dolcemente, all’orecchio: voleva trascorrere con lei più tempo possibile, non potevano permettersi di sprecare dormendo quei pochi attimi che restavano loro.
Marianne parve infine svegliarsi, aprì lentamente gli occhi e gli sorrise così dolcemente come se tutt’un tratto le fosse ritornato alla mente ciò che era accaduto.
-Che c’è? – gli domandò a mezza voce, ancora intorpidita dal sonno.
- Marianne, non abbiamo molto tempo. Fra poco sarà giorno e tutto dovrà essere pronto per la partenza, non sprechiamo nemmeno un istante del tempo che ci rimane. – le rispose scostandosi su un fianco per guardarla, prendendole la mano. I suoi occhi neri rilucevano nel buio di un’inconsueta luce, la luce che avrebbe voluto fare sul loro passato.
- Lo so. – rispose lei con un’ombra di malinconia nella voce, accarezzandogli una guancia. Poi gli si avvicinò per strappargli un bacio, che lui ricambiò.
- Vorrei parlarti, vorrei capire. Come hai potuto pensare che io ti avessi dimenticata? È stato qualcuno a suggerirti questo? Elenoire de Roussignac forse?-
- Che ti viene in mente? Elenoire non si è mai messa fra noi, non si sarebbe mai permessa di dire una cosa del genere. Perché hai pensato a lei?- domandò Marianne stupita dell’allusione alla sua più cara amica.
- Perché, l’altra sera, si è presentata sotto casa mia per implorarmi di aiutarti. – rispose Clermont con un sospiro lasciandosi ricadere supino, lo sguardo fisso al soffitto. -Voleva riaprire un discorso di tanti anni fa, ma io non gliel’ho permesso. Insisteva, si diceva pentita, si scusava per non aver avuto il coraggio di dire le cose come stavano. – proseguì.
- Elenoire è venuta a cercarti? –
- Sì. Non è difficile rintracciarmi: io e suo marito il visconte de Brionne abbiamo numerose conoscenze comuni. –
- Io le avevo parlato di te, il giorno precedente, le avevo detto che l’unica possibilità di salvezza che mi restava era quella di rivolgermi a te, ma che me ne vergognavo, dopo tutti questi anni, dopo quello che era successo tra noi. Lei mi rispose che se non l’avessi fatto, se non ti avessi chiesto aiuto, tu non mi avresti mai perdonato.
- Ed è vero; ma soprattutto non avrei mai perdonato me stesso, se ti avessi abbandonata al tuo destino. –
- Non smetterò mai di essertene grata. Io ti devo la mia vita e quella di Juditte, se non fosse stato per te…-
- Ssst. – la zittì con un bacio.  – Questo non è in discussione, la rifarei altre mille volte. –
- Dunque, che ruolo ha in questo Elenoire? –
- Elenoire ha avuto un ruolo molto rilevante e credo che lei ne avverta ancora il peso, senta la responsabilità che ha avuto nel corso delle nostre vite. –
- Elenoire? – Marianne era sempre più incredula e una sottile vena di gelosia si stava facendo strada in lei. Che ci fosse stato qualcosa tra Jacques e la sua amica?
- Sì. Quella notte, quella tremenda notte in cui venni selvaggiamente picchiato dagli scagnozzi di tuo padre…-
- Oh, Jacques! – lo interruppe lei, affranta.
- Lasciami finire, non è facile per me riaprire questo doloroso capitolo. – sospirò lui. Marianne lo fissava con palpitazione, spaventata da quello che il racconto le avrebbe rivelato. Cose che mai e poi mai avrebbe voluto ascoltare.  Non poteva fare a meno di soffrire leggendo nello sguardo cupo di Jacques le tracce dei soprusi che aveva dovuto subire da parte di suo padre. E tutto per causa sua: se solo fosse stata in grado di opporsi a quelle regole non scritte che vigevano nella sua famiglia, se avesse avuto il coraggio di prendere in mano il proprio destino…Ma non ne aveva avuto la forza perché aveva dubitato di lui e del suo amore e questo non se lo poteva perdonare.
- Quella notte, dicevo, mi trascinai a palazzo de Brionne con la forza della disperazione, insanguinato, dolorante, ormai allo stremo delle forze. Chiesi di poter parlare con lei ed Elenoire non si fece pregare, lasciò gli invitati e i festeggiamenti in corso e venne da me. Una sola domanda le rivolsi, soltanto una cosa mi premeva di sapere: non me ne importava niente delle botte, del dolore, dell’umiliazione che tuo padre mi aveva inflitto. Avrei sopportato ogni cosa se soltanto avessi saputo che tu mi amavi ancora. Così glielo domandai, la pregai di dirmi la verità: avevo il diritto di sapere se quel matrimonio per te non significasse nulla o se, invece, tu mi avessi dimenticato. -
- Jacques, ti prego, basta! – lo implorò gettandogli le braccia al collo. – Basta rinnovare questo dolore. Non serve a nulla, se non a farci ancor più del male. Non posso sopportare il pensiero di te in quelle condizioni, se solo avessi saputo…Non sai che cosa avrei dato per risparmiarti tutta questa sofferenza- gli sussurrò accarezzandogli una guancia.
- Hai ragione, è inutile continuare a rimuginare, ma io devo capire. Perché Elenoire non mi ha risposto? Perché ha esitato? Qualche istante dopo ho perso i sensi: non ricordo più nulla di quello che avvenne, ma lei mai in seguito mi ricercò per darmi quella risposta.  –
- Jacques, non sai quanto io ti abbia aspettato; non sai quante lacrime io abbia versato, il giorno in cui andai in sposa a Guillame Rocqueville de Beaufort, pari di Francia, padrone di immense proprietà, ricco e stimato. Ma senza cuore. E soprattutto senza alcuna possibilità di sostituirsi nel mio cuore all’uomo che ho sempre amato. Fu un giorno di pioggia, grigio e ventoso, e questo mi risparmiò la fatica di dover nascondere le lacrime. Ma ne sparsi molte, quel giorno e in tutti gli anni a venire, fino ad oggi. L’unica amica che mi è stata accanto è stata Elenoire: l’unica persona al mondo a cui avessi aperto il mio cuore, l’unica che conosceva perfettamente il mio infelice matrimonio. E ora capisco molte allusioni, molte parole, molti gesti: Elenoire è stata sempre dalla mia parte, ha perfettamente compreso la mia infelicità. Se non ti ha risposto, è stato per paura, ne sono certa. Solo per paura. -
Clermont si mise a sedere, si abbottonò la camicia e cercò a tastoni il panciotto nella luce incerta: il tempo stava per scadere. A malincuore rivolse a Marianne un mesto sorriso, afferrandole la mano.
  • Va’ a svegliare Juditte e Louise. Non manca molto: Bonnet sarà qui fra poco. Dobbiamo approfittare dell’ultima ora della notte. –
  • È già ora di separarci, dunque? – domandò lei a mezza voce.
  • Non rendere tutto più difficile, ti prego! – rispose Clermont, mettendosi a rovistare tra le carte che aveva lasciato sparpagliate sulla scrivania la sera avanti.
Trovò quello che cercava, un lasciapassare per Bonnet, che le avrebbe condotte con il suo carretto di frutta fingendosi un venditore che si stava recando ad un mercato con il suo carico di merce. Aveva pensato a tutto; nella sua mente si era prefigurato ogni tappa del percorso che le avrebbe condotte a Saint-Malo. Lì Marianne si sarebbe messa in contatto con dei conoscenti di Roland de Blanchard, suo fratello, degli inglesi, a servizio del barone Woodville: avrebbe chiesto notizie dei conti de Blanchard e li avrebbe raggiunti in Inghilterra. Ma la strada era irta di pericoli e posti di blocco.
-Come ti chiami? – la interrogò con una vena d’ansia ed impazienza nella voce.
-Jeannette Morin – rispose prontamente lei.
-Qual è la tua condizione? –
-Sono moglie di Laurent Morin, fruttivendolo-
-Perché stai intraprendendo questo viaggio? –
-Per accompagnare mio marito al mercato. –
-Dove…-
  • Non c’è bisogno che tu mi tempesti di domande, me la ricordo bene la parte. – Lo interruppe lei, con un sorriso divertito che lo stupì perché non si leggeva né nel suo sguardo, né nella sua voce la minima traccia di preoccupazione. Era serena, cosa incredibile a dirsi, come non lo era mai stata nella sua vita.
  • Va bene, perdono. – si scusò lui alzando le mani.
Marianne si avvolse nello scialle azzurro e si avviò verso la porta; le prime luci del giorno giocavano a stampare flebili ombre sulle pareti rose dall’umidità di quella dimora. Afferrò la maniglia, mentre brividi di freddo le facevano tremare, si strinse ancor più nello scialle, pronta a mettere piede fuori da quella stanza in cui aveva trascorso quei momenti così a lungo attesi, in cui aveva vissuto, in una dimensione sospesa tra sogno e realtà, le ore più dolci e al tempo stesso più struggenti della sua vita. Non ebbe il coraggio di compiere quel passo senza prima essersi volta a guardarlo. Cercò i suoi occhi scuri così profondi e imperscrutabili e vi lesse un dolore antico, mai placato, il dolore dell’abbandono, unito ad una luce nuova, quella della speranza, della salvezza, della vita. Lui abbozzò un sorriso, goffo, impacciato: il sorriso di chi non sa congedarsi o non vuole. Se ne stava con le braccia abbandonate lungo i fianchi, in mano i documenti, i capelli scomposti e la barba di qualche giorno, il viso teso e lo sguardo stanco di chi non dorme da troppo tempo. Stentava a riconoscere il severo deputato giacobino, il medico affermato e stimato da tutti, l’uomo elegante e composto che sedeva sugli scranni della Convenzione; questo le riempiva il cuore di un sentimento dolce e potente di tenerezza, di gratitudine e, al tempo stesso di orgoglio, perché si mostrava a lei nella sua più natura più vera di uomo fragile perché innamorato, riservandola a lei e a lei sola. In un impeto di nostalgia già struggente tornò sui suoi passi e gli si gettò fra le braccia: quello sarebbe stato il loro addio, agli occhi degli altri sarebbero dovuti tornare ad essere la contessa fuggiasca e il deputato delatore. Non avrebbe potuto lasciarlo senza un addio, doloroso e lacerante, in cui brillava tenue, però, un barlume di speranza. Cercò affannosamente le sue labbra, prendendogli il viso tra le mani tremanti, con gli occhi chiusi ad immaginare chissà quale lontano futuro, quando finalmente sarebbero stati liberi, da ogni convenzione, da ogni norma, da ogni consunto ruolo. Clermont ricambiò quel bacio disperato stringendola forte a sé, quasi a voler negare la necessità stringente di quella ormai prossima separazione. La vita sembrava prendersi gioco di lui: appena ritrovata, era destinato a perderla un’altra volta. Ma la sofferenza per l’abbandono non era più forte della paura per la sua sorte perciò, a malincuore, la staccò da sé con fare deciso, appoggiandole le mani sulle spalle, senza però aver il coraggio di incontrare il suo sguardo.
-Dobbiamo andare, Marianne. – nessuno sapeva quanto gli costasse pronunciare quelle parole, ma lo avrebbe potuto intuire dai suoi occhi bassi e dal groppo in gola. Marianne annuì silenziosa, si staccò da lui non senza avergli prima posato una lieve carezza sulla guancia, poi si avviò alla porta, la aprì, stavolta senza guardarsi indietro.
   
 
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