Libri > Harry Potter
Segui la storia  |       
Autore: Signorina Granger    23/10/2023    7 recensioni
INTERATTIVA || Iscrizioni Chiuse
Chiunque abbia mai messo piede a Beauxbatons ha sentito parlare della sua celebre società studentesca, anche se c’è chi dice che non esista più ormai da decenni. Ogni anno, invece, 10 studenti le cui identità restano ignote ai più vengono scelti per entrare a farne parte, ritrovandosi la strada spianata per occupare un giorno posizioni di prestigio all’interno della società magica. Se qualcuno potrebbe azzardare ad indovinare i nomi dei membri della società lo stesso non si può dire delle loro pratiche, tutt’ora ignote, che sono da sempre oggetto di curiosità e teorie più disparate da parte del resto della scuola: c’è chi pensa che durante le riunioni prendano vita rituali di natura esoterica, chi sostiene che il gruppo lasci frequentemente i confini della scuola per darsi ad opere di vandalismo, chi che questi studenti non siano altro che un gruppo di ricchi snob. Alcuni sostengono che il più grande segreto della società potrebbe essere che i suoi segreti in realtà sono essenzialmente banali, ma nessuno può sapere con certezza quale teoria corrisponda al vero. Eccetto, naturalmente, per i dieci studenti che ogni anno vengono scelti per entrare a farne parte.
Genere: Introspettivo, Romantico, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Maghi fanfiction interattive
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Capitolo V
 
 


 
Venerdì 14 ottobre
 
 
 
Icaro si era talmente immerso nel suo flusso di pensieri che l’improvviso e brusco aprirsi della portafinestra cui stava dando le spalle, seduto su una delle seggiole di vimini che costellavano la terrazza, lo fece letteralmente sobbalzare: il ragazzo, che vista l’ora non si sarebbe mai aspettato che qualcuno potesse raggiungerlo, strinse i braccioli della poltroncina con entrambe le mani pallide mentre si voltava di scatto, le sopracciglia aggrottate e i folti capelli scuri parzialmente davanti al viso a seguito del movimento.
Per un paio di lunghi istanti lui e il visitatore inaspettato, che ben presto Icaro riconobbe come nientemeno del suo migliore amico, si studiarono reciprocamente in silenzio, l’uno seduto e l’altro in piedi con la maniglia dorata della portafinestra bianca ancora stretta tra le dita e la medesima espressione perplessa impressa sui lineamenti.
“Ci eravamo messi d’accordo?”, domandò infine Phoenix infrangendo la bolla di silenzio con il suono della propria voce dubbiosa e con il suo francese ricco di sfumature direttamente riconducibili alla sua lingua madre. Mentre l’amico varcava la soglia della terrazza calpestandone il pavimento piastrellato per socchiudersi l’anta della finestra alle spalle Icaro rifletté brevemente sulla sua domanda, ma finì con lo scuotere capo e capelli non riuscendo a rinvenire tracce di una simile conversazione:
“Non mi pare.”
“Ma tu pensa… Chissà cosa direbbe la gente se sapesse che ci incontriamo in gran segreto a quest’ora della notte.”  Le labbra carnose e naturalmente rosee di Phoenix si tesero in un sorrisetto beffardo mentre il ragazzo avanzava superando le poltroncine vicine a quella dove si era seduto l’amico per avvicinarsi alla ringhiera di metallo, affacciandosi poggiando i gomiti sulla balaustra piena di ghirigori decorativi e dando così le spalle ad Icaro, che sbuffò lieve e agitò pigramente la mano destra come a volersi liberare dell’impiccio di un fastidioso insetto:
“Falla finita. E ti assicuro che quando mi devo incontrare in “gran segreto” con qualcuno non è qui che vengo.”
“I dettagli puoi anche tenerteli per te. Cosa fai qui fuori? Fa freddo a quest’ora.” Dopo aver rivolto una breve occhiata alle acque scure del lago sulle quali la terrazza della loro Sala Comune si affacciava Phoenix ruotò su se stesso dando le spalle al timido riflesso della luna per tornare a posare il proprio sguardo cristallino, fonte di cuori infranti disseminati per tutto il castello, sul viso dell’amico. L’incarnato di Icaro, già pallido di per sé, apparve agli occhi di Phoenix più cereo della norma a causa della fioca e fredda luce bluastra emessa dalle fiammelle azzurre che ardevano silenziose sulle eleganti torce bianche appese alla facciata esterna del castello, e mentre lo guardava tormentarsi distrattamente il labbro inferiore con un dito il greco ebbe la certezza, frutto di molti anni di amicizia alle spalle, che qualcosa lo stesse turbando.
“Non avevo sonno.”
“Questo è ovvio, genio. Sei preoccupato per domani?” Le mani di Phoenix scivolarono all’interno delle tasche della giacca di jeans nera che il ragazzo aveva infilato sopra alla tuta nera un po’ sbiadita che gli faceva da pigiama per estrarne accendino e pacchetto di sigarette, prendendone una per accenderla mentre Icaro, di fronte a lui, si stringeva nelle spalle fissandosi le gambe lunghe distese sul tavolino che aveva davanti.
“Magari un po’. Tu sei sveglio per la partita?”
“Di solito l’ansia mi viene appena prima di entrare in campo.”
La fiamma dell’accendino illuminò brevemente il viso pallido di Phoenix – Icaro lo aveva guardato, il giorno in cui la carrozza era passata a raccoglierli per portarli a scuola, chiedendosi se avesse trascorso l’intera estate lontano dal più timido e flebile raggio di sole – mentre il greco si accendeva la sigaretta, tornando ad intascarlo un attimo dopo mentre si guardava distrattamente attorno appoggiandosi alla ringhiera. Per un minuto nessuno dei due disse altro, entrambi persi nel proprio flusso di pensieri, finchè il greco, nonostante fosse consapevole di non avere la facoltà di cancellarli e basta, decise di ricacciare i propri in un angolo sperduto del suo cervello per focalizzarsi invece su ciò che stava affliggendo l’amico:
“Potrebbe essere una motivazione in più per portare a casa la partita.”  Icaro, che nel silenzio aveva ripreso a fissarsi pensoso le ginocchia, tornò a posare lo sguardo sull’amico quando lo sentì parlare trovandolo intento a picchiettare la sigaretta per far cadere con noncuranza un po’ di cenere incandescente sul pavimento immacolato della terrazza. Non era difficile per lui intuire a che cosa Phoenix stesse alludendo ma volle comunque accertarsene, in parte forse per non affrontare direttamente la questione, con una domanda e un sorriso poco convinto:
“Che cosa?”
“Il fatto che ti dispiaccia che qualcuno non possa assistervi. Puoi vincere per entrambi.”
Icaro conosceva Nick abbastanza bene da sapere che l’amico sembrava essere in grado di uscirsene con discorsi seri e sensati solo quando si trovavano fuori dalla portata d’orecchio altrui, e un sorriso amaro gli sollevò debolmente gli angoli delle labbra quando appurò di aver compreso perfettamente dove stesse andando a parare: l’italiano fletté le ginocchia per raccogliere le lunghe gambe contro il petto, stringendole debolmente tra le braccia mentre osservava l’amico fumare senza guardarlo, lo sguardo ceruleo quanto un cielo terso rivolto altrove.
“E se perdiamo?”
“Allora avrai giocato per entrambi. E comunque vada hai vinto lo stesso.”
“In che senso?” Questa volta il tono interrogativo di Icaro fu totalmente sincero, non del tutto certo di aver compreso che cosa l’altro stesse cercando di dirgli: da qualsiasi punto di vista la guardasse, dubitava fortemente di poter affermare una cosa del genere. Eppure Nick gli sorrise, il suo consueto sorriso di scherno – anche se un osservatore attento sarebbe stato in grado di scorgere una sottile traccia d’affetto nel suo sguardo – quando tornò a guardarlo, la sigaretta accesa tra le dita e una mano in tasca:
“Perché hai me come amico, coglione.”
Icaro, che non si aspettava una risposta simile, scoppiò a ridere e quando quel suono sincero, allegro e vibrante avvolse la terrazza il sorriso sulle labbra di Nick si allargò, anche se fece del suo meglio per sbuffare e fingersi seccato solo un istante dopo, mentre agitava debolmente la sigaretta con fare annoiato:
“Adesso finisco questa e poi andiamo a dormire, domani non voglio sentirti rompermi le palle per un passaggio andato male dopo essere rimasto qui sveglio insieme a te a farti da babysitter.”
“Te le romperò comunque se giochi male. E non farmi ridere, al massimo sono io che faccio da babysitter  a te. Ricordi quando volevi liberare uno Schiopodo Sparacoda per disseminare terrore?”
“Che bei tempi.”
Phoenix esalò del fumo con un lieve luccichio negli occhi e il sorrisetto che gli si poteva scorgere in viso quando era sul punto di mettere in pratica qualche idea poco saggia, sorriso che Icaro non imitò mentre scuoteva seccato la testa e lanciava, come a voler dare maggiore enfasi alla sua esasperazione, il cuscino celeste più vicino contro l’amico:
“Ti avrebbero espulso di sicuro, idiota!”
“Tanto meglio, pensi che vedere la tua faccia per prima cosa ogni giorno sia facile per me?!”

 
*

 Sabato 15 ottobre
 


Quando la porta d’ingresso celeste della Salle Comune degli Ombrelune le si fu chiusa alle spalle la prima cosa che Gisèle fece, body nero, gonnellino rosa, calze e scaldamuscoli ancora addosso dopo l’allenamento del mattino, fu cercare traccia del suo gatto facendo vagare lo sguardo
nei vari angoli dell’ampia sala che le si apriva di fronte: quel maleducato di non si era degnato di farsi vedere per tutta la sera prima, e ora intendeva punirlo acciuffandolo e strapazzandolo a dovere, anche contro la sua volontà. Un sorriso incurvò le labbra carnose della strega verso l’alto quando i suoi grandi occhi celesti indugiarono su un inequivocabile ammasso di soffice pelo candido chino contro la parete interna della stanza, dietro ad uno dei tanti divani disseminati in giro, e Gisèle si affrettò a raggiungerlo facendo lo slalom tra sedie, tavolini e poltroncine, quasi tutte deserte vista l’ora. Aveva finalmente raggiunto Vaclav quando si accorse che il suo gatto non era solo e che insieme a lui c’era un altro gatto rosso che ben presto Gisèle riconobbe come il gatto di Icaro, entrambi chini contro il battiscopa e intenti a fissare immobili il legno bianco con aria particolarmente concentrata. Pronta a prenderlo in braccio la ragazza si chinò per farsi scivolare il borsone dalla spalla fino a farlo atterrare con un lieve tonfo sulle assi del pavimento, chiedendosi accigliata cosa stessero combinando Vaclav e Romeo mentre qualche ciocca di ricci le scivolava davanti al viso:
“Eccoti qui! Cosa state facendo?”
La risposta giunse rapidamente da sola a Gisèle, che appena prima di avere il tempo di prendere Vaclav in braccio comprese cosa avesse spinto lui e Romeo ad appollaiarsi davanti al battiscopa. Un istante dopo la ragazza si allontanò di corsa dal divano dimenticandosi la borsa piena di tutte le sue cose strillando di aver visto un ragno “brutto, orrendo e peloso”.
 
Milad quella mattina si era svegliato di ottimo umore: non si poteva assolutamente considerare un fan sfegatato del Quidditch, anzi riteneva che quella specifica componente della cultura magica non sarebbe mai riuscita ad esercitare una grande attrattiva su di lui e sulla mentalità con la quale era stato cresciuto. Non era quindi di buon umore tanto per la partita in sé quanto per la certezza che, qualora avesse deciso di restare al castello come spesso accadeva nel corso di quei particolari sabati, avrebbe potuto godere della massima quiete per rilassarsi e studiare in pace. Sì, Milad adorava i sabati delle partite, e aprì la porta che dalla Salle Comune consentiva di accedere al Dormitorio maschile con un raro accenno di sorriso ad animargli il volto pronto a godersi una pace ed un silenzio che vennero bruscamente spazzati via quando il belga si ritrovò a fronteggiare i compagni che, come lui, si erano alzati presto ma ancora non erano scesi a fare colazione.
“Restiamo calmi, è solo un ragnetto e ora ce ne liberiamo… Dobbiamo solo ritrovarlo.” Impresa più facile a dirsi che a farsi, rifletté mentalmente Icaro mentre solcava i mobili e l’area del pavimento a lui più vicini con il proprio sguardo accigliato. Gisèle, che poco prima aveva trovato il coraggio di tornare sul luogo del misfatto per riprendersi la borsa – il terrore di ritrovarsi la bestia in mezzo ai suoi preziosi indumenti sportivi aveva superato quello per la bestia in sé – strinse a sé Vaclav come se sentisse di doverlo trarre in salvo dall’imminente attacco di un mostro feroce mentre Romeo, indispettito per non aver acciuffato il ragno, si leccava amareggiato una zampetta standosene seduto su un divano.
Ragnetto?! A casa ho piattini da tè più piccoli!”
“Ma per favore, non era così grande, sei più tragica di Shakespeare… avrai degli strani piattini da tè francesi più grande del normale.”
“Chi ti ha interpellato, scusa?!” Domandò Gisèle scoccando un’occhiata torva in direzione di Phoenix, in piedi accanto ad Icaro, ma il ragazzo, che non amava essere contraddetto né che gli venisse detto cosa fare, scosse la testa e continuò a parlare ricambiando l’occhiataccia:
“È colpa tua, perché hai portato via Vaclav, poteva ucciderlo e fine della storia!”  Gisèle, per tutta risposta, lo guardò sgranando inorridita gli occhi azzurri, come se avesse appena pronunciato una mostruosità:
“E se lo mangiava? E se era velenoso? E se poi moriva? Poi me li paghi tu i danni morali per la morte del mio gattino, Anastasakis!”
“Cosa è successo?” Milad si unì ai compagni con un sospiro, non del tutto sicuro di voler sapere cosa avesse urtato a tal punto la quiete collettiva mentre Vaclav si guardava attorno con sguardo torvo, per nulla contento di essere stato costretto dalla padrona a smettere di dare la caccia al ragno.
“C’è un ragnetto in giro e Gisèle sta dando di matto.”  Phoenix, ancora non del tutto certo sul perché stesse perdendo lì invece di andare a fare colazione e prepararsi psicologicamente a dovere per la partita, sbuffò mentre accennava in direzione di Gisèle, che scosse nervosamente la testa muovendo a destra e a sinistra i ricci che le ricadevano sulle spalle prima di parlare con tono lacrimoso:
“Non era un ragnetto, era orrendo, e io non voglio dormire vicino ad una cosa del genere, già devo convivere con mio cugino!”
Milad, Nick e Icaro rimasero in silenzio, limitandosi a ridacchiare solo mentalmente per evitare che il diretto interessato potesse trovarsi a portata d’orecchio prima che il belga, schiarendosi la voce, indicasse una cosa che stava zampettando allegramente proprio sulla parete davanti a loro:
“Il vostro ragnetto sarebbe quello?”
 
“Eccomi ragazzi, scusate il ritardo!”  I suoi capelli quella mattina avevano deciso di non essere affatto collaborativi, e Antoine spalancò la porta del Dormitorio maschile sorridendo allegro e con i ricci in ordine, ma anche consapevole di essere sceso in ritardo rispetto all’orario che la squadra aveva pattuito. Se pensava di trovare i compagni ad aspettarlo, tuttavia, il belga andò incontro ad un clamoroso errore di valutazione: il sorriso si congelò sulle labbra di Antoine fino a svanire e a lasciare posto ad un’espressione di pura sorpresa quando si ritrovò a fronteggiare uno scenario del tutto inaspettato e che vedeva tre dei suoi compagni di Casa – Icaro, Gisèle e Phoenix – accovacciati sul pavimento dietro ad uno divano azzurro in stile napoleonico e impegnati a parlottare fitto fitto tra di loro. Superata la sorpresa iniziale Antoine si diresse rapido verso Milad, che stava seguendo la scena mantenendo un paio di metri di distacco e standosene appoggiato contro il bordo di uno scrittoio.
Perché si comportano come se fossero in trincea?”
“Cercano di stanare un ragno. Effettivamente non mi è chiaro perché si siano messi dietro al divano visto che il ragno potrebbe tranquillamente passarci sotto e raggiungerli…” Milad aggrottò le sopracciglia mentre studiava pensoso la scena tenendo le braccia muscolose fasciate dalle maniche di una felpa verde bosco strette al petto, ma si guardò bene dall’esprimere le sue perplessità a voce alta onde evitare di scatenare altro – ed inutile – panico nella stanza.
“Allora, o lo facciamo uscire dalla finestra o ce ne liberiamo.”, asserì Icaro con aria sbrigativa – aveva una partita da vincere quel giorno e ben poca voglia di pensare ad un ospite indesiderato – mentre Romeo studiava lui e i compagni con aria annoiata, quasi chiedendosi perché gli umani fossero così idioti.
“Io non mi ci avvicino neanche morta! Fallo tu Anastasakis, visto che dai sempre aria alla bocca.”
“No grazie, sono allergico. Icaro?”
“Io che ne so di come si fa fuori un ragno?” Icaro non aveva mai dovuto liberarsi del più insignificante e minuscolo degli insetti in tutta la sua vita, a casa ci pensava sempre qualcun altro ancor prima che lui potesse anche solo sognarsi di vederne l’ombra, e arricciò stizzito il naso mentre Gisèle, seduta accanto a lui sul pavimento, alzava gli occhi al cielo:
“Perché, di solito lo fa la servitù?”  Icaro ignorò, o forse non colse, l’ironia con cui l’amico si soffermò volutamente sull’ultima parola, annuendo con aria sbrigativa come se si trattasse di un’ovvietà:
Certo! Ma che cazzo!” Esclamò offeso ed inorridito l’italiano quando tornò a concentrarsi sul loro visitatore indesiderato e poté così accorgersi di come la sua traiettoria stesse virando proprio in direzione del suo angolo preferito della sala: “Sta andando verso il mio divano! Ma come osa?!”
“Ancora con questa storia del divano?!” Gisèle, che aveva discusso a proposito del fantomatico divano prediletto da Icaro almeno una dozzina di volte solo l’anno precedente, si dimenticò momentaneamente dell’aracnide che aveva invaso la Salle Comune per rivolgersi esasperata al compagno, che stava ancora stringendo i bordi dello schienale dietro al quale si era inginocchiato ma che non mancò di voltarsi a sua volta verso la strega con tutta l’intenzione di replicare. Venne tuttavia interrotto da Phoenix, che intimò ad entrambi di piantarla minacciandoli anche di trasfigurare tutti i divani in balle di fieno qualora non avessero accantonato il discorso.
“Figurarsi Nick, fai schifo in Trasfigurazione!”
“Posso sempre provare a Trasfigurare voi due in un candeliere e in un orologio parlanti e rompipalle! Ora finitela e pensiamo al ragno, voglio che sparisca prima che qui si riempia di ragazzine isteriche in preda ad una crisi di nervi.”
“Facile, mandiamo Icaro, lui può andare a fargli un discorsetto sulla proprietà del divano…” Gisèle accompagnò il tono volutamente canzonatorio delle sue parole con un sorriso innocente e un ripetuto sbattere di ciglia e l’italiano non tardò a voltarsi nuovamente verso di lei con sguardo torvo e pronto a risponderle, ma Nick, sempre più esasperato e desideroso di squagliarsela prima dell’arrivo delle loro compagne più piccole che sempre starnazzavano incessantemente attorno a lui o all’amico, lo precedette interrompendolo sul nascere:
 
“D’accordo, prenderlo con un incantesimo è impossibile, è troppo veloce… Per farlo fuori servirebbe qualcosa di voluminoso, abbastanza pesante, inutile e sacrificabile…”  Il greco parlò aggrottando pensoso le sopracciglia, cercando qualcosa di simile con lo sguardo mentre Gisèle, una volta annuito ed essersi miracolosamente trovata d’accordo con lui, lo imitava sempre stringendo un esasperato Vaclav tra le braccia. La strega si guardl sbrigativamente attorno come, a differenza di Nick, cercando qualcosa in particolare, finendo col sbuffare e colpire piano lo schienale del divano con un gesto carico di amarezza:
“Ecco, lo sapevo, quando serve Guillaume non c’è mai!”
Mentre Antoine sghignazzava poco distante e Milad cercava di non imitarlo con tutte le sue forze Icaro, che fino a quel momento aveva controllato che il ragno non si azzardasse a mettere le sue zampacce sporche sul suo prezioso divano, volse lo sguardo su Gisèle con aria interrogativa, faticando a comprendere il suo ragionamento e chiedendosi se il suo francese non avesse fatto cilecca:
“Come pensi che avremmo potuto usare tuo cugino per…”
“Ecco, usa questo.” Phoenix, che invece di pensare a Guillaume aveva gettato un’occhiata al tavolino di legno rotondo a tre gambe più vicino, proprio accanto al divano dietro al quale si era inginocchiato, allungò il braccio per recuperare uno degli oggetti che un qualche studente distratto vi aveva lasciato per porgerlo all’amico, che gettò un’occhiata stralunata prima a lui e poi al titolo riportato al centro del grosso volume rilegato:

I Promessi Sposi?!”, domandò incredulo l’italiano agitando debolmente il libro, incapace di stabilire se Phoenix lo stesse prendendo in giro o meno, mentre il greco per tutta risposta si stringeva nelle spalle, per nulla scalfito dallo stupore manifestato dall’amico. Milad, al contrario, aggrottò le folte sopracciglia scure trovandosi in netto disaccordo, pur restandosene in silenzio, deciso a non intromettersi: non avrebbe usato un libro per schiacciare un insetto per niente al mondo, nemmeno se tra le mani si fosse trovato uno di quei dark fantasy trash tanto amati da molte delle sue coetanee.
“Scusa, hai detto qualcosa di voluminoso e sacrificabile.”  Poco convinto, Icaro guardò prima Phoenix e poi il grosso libro dal proprietario misterioso che teneva in mano mentre Gisèle, che non vedeva l’ora di chiudere la faccenda per andare a cambiarsi e fare colazione, dopo aver osservato brevemente il libro a sua volta si stringeva nelle spalle:
“Strano che io lo stia dicendo visto che si parla di Anastasakis, ma non è male come idea in realtà. Io stavo per controllare se qui in giro ci fosse una copia di Twilight…”

 
*

 
“Non vedo l’ora che inizi la partita, sarà bellissimo!”
Lucinda si era svegliata di ottimo umore quella mattina, e non aveva fatto altro che trillare entusiasta a proposito della partita imminente fin da quando si era scostata il copriletto bianco e lilla di dosso e aveva infilato i piedi nelle pantofole. La giovane strega si era lavata i denti mentre Daphnè, in piedi accanto a lei davanti al secondo lavabo di marmo, faceva lo stesso chiedendosi pensosa cosa avrebbe indossato – che cosa fosse più o meno adatto ad un evento sportivo lei, che di sport ben poco si curava, non lo aveva mai avuto ben chiaro –, si era spazzolata i capelli, aveva dato da mangiare al suo amato corvo e infine si era infilata gli abiti scelti per l’occasione, rigorosamente in tinta con i colori della sua Casa come era sua abitudine da sempre, e ancor di più da quando era stata investita della carica di cronista.
Quando finalmente anche Daphnè aveva deciso cosa indossare – o per meglio dire Maëlle aveva afferrato, esaurita dalla cronica indecisione dell’amica, alcuni degli abiti ordinatamente sistemati sul letto dell’amica disposti in modo da formare outfit ben distinti e glieli aveva consegnati ordinandole di andare a vestirsi senza osare ribattere – le tre avevano lasciato la loro Salle Comune in fermento ed erano scese insieme in direzione della sala da pranzo per fare colazione sfoggiando espressioni piuttosto contrastanti tra loro: Lucinda sorrideva allegra, di ottimo umore, Maëlle aveva le labbra tirare in un’espressione tesa e tradiva il colorito un poco spento di chi non ha dormito molto, e infine Daphnè continuava a ripetersi di dover almeno fingere di provare un qualche interesse per il Quidditch, almeno per supportare la sua migliore amica che quel giorno avrebbe giocato in veste ufficiale per la prima volta dopo mesi.
“Non ho fame.”, ammise Maelle scuotendo debolmente testa e chioma biondo grano quando Daphnè le borse il vassoio dei croissant alla crema, commento che portò la francese a cercare lo sguardo di Lucinda con un che di allarmato ad animarle gli occhi chiari: i Macquart il cibo non lo rifiutavano. Mai.
“Sei sicura?”, fu tutto quello che Daphnè riuscì a chiedere all’amica con tutta la gentilezza possibile mentre posava il vassoio sulla tovaglia bianca che presto si sarebbe riempita di briciole, il capo leggermente inclinato e un paio di orecchino d’oro a forma di piccole rose a brillarle ai lobi in bella vista grazie al fermaglio che le teneva indietro i capelli. Maëlle annuì cupa in segno di assenso, limitandosi a porgere la tazza verso Lucinda quando l’amica sollevò la pesante brocca piena di caffè proponendosi di versargliene un po’.
“Ho dormito di merda, ho sognato che giocavo da schifo. E poi tutti mi prendevano in giro perché mio fratello, invece, è ovviamente eccezionale… Avere un fratello maggiore straordinario è una merda!”  Maelle sbuffò e scosse il capo, profondamente amareggiata e preoccupata all’idea di fare una figuraccia in campo, figuraccia che sarebbe stata ancora più plateale a causa del cognome che era stato ricamato in grandi caratteri dorati sul retro della sua divisa lilla.
“Nessuno ti capisce meglio di noi.” Lucinda, che se avesse deciso di entrare a far parte della squadra di Quidditch a sua volta avrebbe avuto lo stesso problema dell’amica, versò del caffè prima per lei e poi per se stessa annuendo comprensiva mentre Daphnè si riempiva la tazza di tè bianco fumante senza riuscire ad impedire ai propri pensieri di vagare fino a casa propria e alla madre ipercritica che forse troppo di frequente metteva i suoi figli a confronto.
 
 
Poiché Gisèle era quasi sempre una delle prime persone a raggiungere la sala da pranzo una volta finito di allenarsi di norma Nerea Pagano avrebbe trovato fin troppo strana la prolungata assenza e il ritardo che la sua migliore amica stava accumulando, e forse avrebbe ipotizzato tragici scenari che vedevano la sua amica coinvolta in una violenta rissa insieme al cugino, ma non quel mattino, quando la prima partita dell’anno era alle porte e sapeva per certo che Gisèle quel giorno non si sarebbe preoccupata affatto di poter tardare. Nerea quel mattino stava invece indirizzando tutte le sue attenzioni a Dante, guardando l’amico giocherellare distrattamente con il cibo usando la forchetta mentre Zhān, che sedeva alla sua sinistra, mangiava scoccando continue occhiate di sbieco al fratello maggiore, come temendo che potesse esplodere da un momento all’altro. Era un timore che Nerea condivideva, certa che Dante fosse nervoso in vista della partita ma che non l’avrebbe ammesso a voce alta nemmeno se avesse cercato di cavargli le parole di bocca con una grossa pinza, pertanto sorrise allegra e sfiorò la spalla del ragazzo con un gesto delicato e affettuoso:
“Se sei un po’ nervoso è normale, è la prima partita dell’anno… e soprattutto la prima che giochi con persone nuove. Io prima delle mie sono sempre un fascio di nervi.”
“Non stento a crederlo.”, fu il lapidario commento che rotolò fuori dalle labbra di Dante, sempre ostinato nel non ricambiare lo sguardo dell’amica. In una qualsiasi altra giornata probabilmente Nerea gli avrebbe caldamente suggerito di essere meno acido, ma quel giorno la giovane strega si limitò a scambiare una rapida occhiata con Zhān, che la guardò sollevando entrambe le sopracciglia color pece come a volerle suggerire di lasciar perdere, prima di recuperare il suo sorriso e scuotere il capo:
“Non vedo l’ora di trovarmi faccia a faccia con te sul campo. Sarà divertente.”
In tutte le occasioni in cui avevano giocato insieme in Italia Nerea e Dante avevano sempre finito con il discutere animamente sotto gli sguardi rassegnati dei rispettivi fratelli minori, in perenne attesa che la smettessero, che stabilissero chi dei due avesse commesso un errore nel corso di un passaggio per poter riprendere a giocare. Il ricordo di quei soleggiati e caldi pomeriggi, anche se considerava l’estate appena trascorsa come una delle peggiori della sua vita, destò un accenno appena percettibile di sorriso sulle labbra di Dante, che annuì mentre ricambiava brevemente lo sguardo dell’amica:
“Questo sicuramente. Sarà divertente raccontare a tutti come ti avrò stracciato una volta a casa.”
“Te lo puoi anche sognare, al massimo sarà il contrario. Anche se io sono superiore, non mi piace infierire sulla gente che perde miseramente.”
“Ok, dimmi.”
Arresosi alla totale assenza di appetito che provava, troppo nervoso in vista della partita per inghiottire qualsiasi cosa, Dante abbandonò le posate sul tavolo per poggiarvici invece i gomiti, incrociando le lunghe braccia che presto sarebbero state avvolte dalla divisa della squadra per puntare deciso e incuriosito i grandi occhi scuri in quelli chiari dell’amica, che ricambiò sollevata di quel cambio di atteggiamento ma perplessa:
“Dirti cosa?”
“Dimmi chi sono quelli più bravi dell’altra squadra, no? Altrimenti a cosa mi servi!”   Tutte le speranze nutrite da Nerea nel vedere l’amico assumere finalmente un atteggiamento bendisposto nei suoi confronti vennero rapidamente e brutalmente spazzate via, facendo sì che Nerea sbuffasse infastidita prima di colpirgli piccata il polso mentre Dante, al contrario, tratteneva a fatica un sorrisino beffardo:
“Sei veramente un ingrato antipatico. Perché tuo fratello è carino e tu insopportabilissimo?”
Zhān, da tempo nutriva per Nerea una cotta di cui solo il fratello era a conoscenza, arrossì e quasi si fece andare di traverso i cereali al miele che stava mangiando quando la ragazza accennò verso di lui sempre guardando Dante con aria di rimprovero, prendendo a tossicchiare rosso in viso mentre Dante, ignorata la stizza dell’amica, lo guardava sogghignando.
 

 
*

 
Lucinda e Maëlle avevano raggiunto il campo insieme lasciando la colazione in anticipo rispetto alla maggior parte dei loro compagni, ma una volta giunte a destinazione si erano separate: la prima si era diretta verso la scalinata che l’avrebbe condotta la tribuna riservata agli insegnanti mentre la seconda verso gli spogliatoi per potersi cambiare. Quando aveva finito di salire i gradini due alla volta e si era finalmente ritrovata in tribuna Lucinda aveva salutato allegra gli insegnanti già presenti prima di raggiungere la sua postazione proprio davanti alla ringhiera, godendo forse della miglior visuale di tutto il campo.
In attesa che la partita avesse inizio a tutti gli effetti la portoghese si appoggiò alla ringhiera con i gomiti lasciandosi scuotere dalla brezza i corti capelli corvini attorno al viso, scrutando impaziente il campo ancora deserto mentre i primi gruppi di studenti iniziavano a riversarsi sulle tribune e il suo microfono l’attendeva.
Tutto quello che doveva fare, si disse la giovane strega per l’ennesima volta da che aveva aperto gli occhi quel mattino, era cercare di non farsi offuscare dalla sua leggerissima preferenza nei confronti della propria Casa – anche se la sua giacca di jeans lilla abbinata alle Converse Chuck Taylor non lasciava comunque spazio a molti dubbi – , preferenza quel giorno ancor più accentuata a causa della presenza di Maëlle in campo. Lucinda sperava ardentemente che nessun Battitore avversario venisse colto dalla brillante idea di colpire la sua amica con un Bolide, perché in quel caso di certo una valanga di insulti avrebbe echeggiato tra gli spalti del campo fino a raggiungere l’interno del castello.
La strega si sfilò il telefono dalla tasca della giacca per scrivere a Maëlle e chiederle come stesse, sorridendo quando in risposta ricevette una lunga sequenza di emoji verdastre che di certo ben rappresentavano lo stato dell’amica, a giudicare da come si erano lasciate poco prima. Daphnè invece le scrisse per comunicarle di essere ancora in attesa di Etienne e di suo fratello (insieme alla faccina con gli occhi alzati), messaggio che le ricordò di fare una foto al campo e di mandarla al suo, di fratello maggiore.
Con gran stupore della ragazza Lisandro per una volta le rispose subito, facendole gli auguri e facendole anche sapere di essere la sua cronista preferita. Lucinda gli rispose sorridendo, felice per la partita imminente ma al contempo dispiaciuta di non poter fare in modo che il fratello potesse assistervi.

 
*

 
Poiché dopo aver fatto colazione sia Lucinda che Maëlle si erano dovute avviare in anticipo in direzione del campo da Quidditch Daphnè, che contrariamente alle sue amiche non aveva alcun coinvolgimento diretto con la partita, aveva deciso di unirsi a suo fratello e ad Etienne e di raggiungere il campo da gioco insieme ai due ragazzi, finendo col pentirsi parzialmente della decisione presa quando si ritrovò a tamburellarsi impaziente i polpastrelli sulle braccia mentre aspettava che i due Bellefuille si decidessero a lasciare la sala da pranzo standosene in piedi e accanto alla porta d’ingresso. Mentre il vociare allegro tipico del sabato mattina degli studenti ancora impegnati a fare colazione echeggiava tra le altissime pareti dell’ingresso Daphnè teneva le braccia strette al petto e i delicati occhi chiari puntati sul pavimento ai suoi piedi, giocando con il motivo geometrico del marmo per intrattenersi nell’attesa dei due ritardatari: conoscendo Etienne e André non era difficile per la ragazza immaginarli ancora in procinto di abbuffarsi chiacchierando senza curarsi del ritardo accumulato, immagine che la spinse a prepararsi il discorsetto di rimprovero che avrebbe rivolto loro.
“Eccoti qui, ciao bonbon!”
Etienne varcò la doppia porta bianca che collegava ingresso e sala da pranzo sfoderando il più smagliante e caloroso dei suoi sorrisi in direzione di Daphnè, che come spesso accadeva vide tutti i suoi buoni propositi crollare e infine sciogliersi come neve al sole di fronte: per quanto potesse sforzarsi non riusciva mai ad infastidirsi seriamente quando si trattava di Etienne Macquart, e un sorriso di rimando si fece strada sulle sue labbra rosee quasi senza che la ragazza se ne rendesse conto mentre suo fratello seguiva l’amico fuori dalla sala da pranzo, le mani in tasca e per nulla preoccupato all’idea di aver fatto attendere la sua unica sorella.
“Tanto che aspetti?”, domandò il ragazzo con finta aria di noncuranza mentre si avvicinava a lei e alla massiccia doppia porta che costituiva l’ingresso principale del castello, sogghignando quando colse l’occhiata torva che Daphnè, passato “l’effetto Etienne”, gli rivolse:
“Certo simpaticone, e lo sapete benissimo! Forza, andiamo, così forse riusciremo a trovare dei posti decenti.” Pronunciate quelle parole la ragazza girò sui tacchi e uscì attraverso la porta aperta lasciandosi alle spalle il vociare dei compagni e anche i due ragazzi, che la seguirono mentre André le faceva notare a voce alta come lei non si fosse mai fatta problemi a farsi attendere quando si trattava di fare shopping o, peggio ancora, prepararsi per una qualsiasi uscita o evento di famiglia. Daphnè si guardò bene dal rispondere mentre scendeva rapida i pochi gradini che dividevano l’ingresso del castello dall’ampio piazzale di ghiaia che consentiva di raggiungere tutti gli altri luoghi della tenuta grazie a curati sentieri che solcavano i prati con le loro dolci curve, appurando di aver indossato le scarpe sbagliate – errore in cui cadeva di frequente – quando sentì affondare sgradevolmente nella ghiaia le suole delle sue ballerine a punta bianche. Sentì anche il fratello fare un qualche commento sulla sua tendenza ad essere overdressed in qualsiasi occasione, ma decise di ignorare con fermezza le parole di André mentre Etienne affrettava il passo per affiancarla e prenderla sottobraccio, sia per parlarle quanto per aiutarla a non incespicare:
“Da quando sei sfegatata di Quidditch, scusa? Credevo che io e te facessimo parte della stessa squadra, quelli che sopportano in silenzio per amor proprio e dei propri fratelli/amici.” Etienne si rivolse all’amica con aria contrita, come se fosse profondamente dispiaciuto all’idea di aver perso qualcuno che la pensasse esattamente come lui sull’argomento “Quidditch” (crescere con un paio di fratelli appassionati al limite dell’ossessione aveva generato in lui una quasi naturale repulsione), ma Daphnè lo rassicurò immediatamente guardandolo sgranando gli occhi verdi, come se avesse perso il senno:
“Infatti non andrei alla partita se non ci giocasse Maëlle e Luli non facesse la cronaca, per chi mi hai presa?”
“Ora sì che ti riconosco.”
“Non mi sorprenderebbe se si fosse portata dietro qualcosa per distrarsi durante la partita… hai boccetta di smalto e limetta per unghie nella borsetta, sorellina?”, domandò André con un sorriso sornione sulle labbra sottili mentre affiancava a sua volta la sorella minore, facendo sì che camminassero in fila sul vialetto ostacolando quasi completamente il passaggio altrui. L’espressione sorpresa che si dipinse sul viso pallido di Daphnè diede conferma al fratello maggiore di non essersi sbagliato neanche lontanamente, e André scoppiò a ridere mentre tutti e tre si avviavano verso il campo avvolti dall’aria frizzante del mattino.
 
 
“Gisèle, ti offendi se invece che tifare per voi tifo per Papillonlisse? Sai, visto che Dante gioca.”
Nerea era quasi arrivata in prossimità dello stadio dove lei stessa affrontava gli allenamenti settimanali con la sua squadra insieme a Gisèle e a Milad, entrambi costretti ad assistere alla partita da soggetti di loro conoscenza anziché essere spinti da un sincero interesse nei riguardi dello sport magico più popolare del pianeta: la prima non mancava mai di sottolineare come il suo interesse per lo sport terminasse là dove terminavano danza e scherma, e il secondo si considerava fin troppo fedele al calcio.  
L’italiana, che stava precedendo i due Ombrelune di un paio di passi tanta era la sua impazienza di arrivare e prendere dei posti decenti, si voltò per smettere di dar loro le spalle iniziando a camminare brevemente all’indietro, lo sguardo speranzoso rivolto al viso dell’amica parzialmente celato da un paio di occhiali da sole che, Milad ne era sicuro, costavano quanto tutto quello che i suoi genitori vendevano in un paio di intere giornate.
“Assolutamente sì, ti toglierò il saluto domani stesso.”  Gisèle, che era stata letteralmente trascinata fuori dal palazzo dall’amica e stava camminando dietro di lei fiancheggiando Milad, parlò esibendo un tono ancor più serio di quanto fosse sua intenzione, finendo col portare Nerea a sgranare gli occhi inorridita prima di affrettarsi ad assicurarle di non aver parlato seriamente per rassicurarla.
“Che scherzi orrendi mi fai, io ero serissima!”, sbottò Nerea gettando all’amica un’occhiata di rimprovero mentre la francese abbozzava un sorriso di scuse per farsi perdonare parlando con un’inclinazione più dolce del solito nella voce:
“Rea, tifa per chi preferisci, a me non importa nulla di questo campionato, a parte che Antoine non si fratturi l’osso del collo. Sei liberissima di tifare per Dante, come è giusto che sia. Milad, tu per chi tifi?”
“A me non frega poi molto, ma suppongo che lo spirito sportivo mi imponga di tifare per noi.”
Non tifare per Ombrelune sarebbe stato come non tifare per il Belgio agli Europei, e Milad scrollò debolmente le spalle larghe mentre Nerea tornava a camminare dritta roteando gli occhi con disapprovazione e Gisèle, al contrario, annuiva dando un lieve colpetto sul braccio del compagno in segno di supporto morale:
“Vedi? Io e Milad siamo anime affini. Siediti vicino a me, ce ne fregheremo insieme.”
Uno dei motivi per cui Milad un po’ soffriva le partite era il caos che vi regnava, e aveva ricordi molto poco positivi delle occasioni in cui si era ritrovato ad assistervi cercando in tutti i modi di farsi gli affari propri ma finendo col venir continuamente distratto da chi gli sedeva vicino. Se conosceva anche solo un po’ Gisèle era sicuro che, come lui, si sarebbe seduta e sarebbe rimasta più o meno in silenzio dedicandosi ad altro per buona parte del tempo, pensiero che lo portò ad annuire con un lieve cenno sollevato, acconsentendo silenziosamente. Non le sorrise, ma che Milad sorridesse in maniera direttamente proporzionale al numero di giorni dell’anno in cui non desiderava di usare suo cugino come giavellotto la compagna di Casa lo sapeva, e non se la prese.
A Nerea, invece, tornò in mente un dubbio che si portava appresso da quando Gisèle e Milad avevano fatto il loro ingresso in sala da pranzo insieme ad Antoine, Icaro e Phoenix, dubbio che l’amica non aveva voluto saperne di sciogliere per tutta la breve durata del pasto mentre i tre giocatori di Quidditch, in ritardo per il raduno negli spogliatoi, si abbuffavano senza ritegno.
“Ma mi spiegate cos’è successo stamani? È strano che tu sia arrivata così tardi… e perché Icaro e Phoenix continuavano a parlare di ragni?” Nerea tornò a rivolgersi direttamente a Gisèle e a Milad inarcando un sopracciglio, il ricordo di Phoenix che incantava un tovagliolo affinché assumesse la forma di un ragno pronto a dare il tormento a Gisèle ancora piuttosto vivido. Milad come suo solito si guardò bene dal parlare, ma dovette impegnarsi a fondo per mantenersi impassibile e non tradirsi con un sorriso – per quanto Phoenix Anastasakis non si potesse considerare il suo prediletto tra i compagni di Casa tutta la faccenda lo aveva un pochino divertito – mentre lo sguardo di Gisèle, al contrario, si incupiva all’improvviso:
“Non ne voglio parlare. A volte penso di essere circondata da un mare d’idioti, presenti a parte… Spero almeno che nessuno si sogni di proporre di metterlo nella Brigade.” La francese arricciò il naso stizzita all’idea di dover trascorrere parte del suo tempo libero non solo con suo cugino ma anche con Phoenix, che sembrava divertirsi a farla innervosire di proposito fin dal loro primissimo incontro risalente a sei anni prima, quando ancora nemmeno indossavano la divisa scolastica e aveva ben pensato di indicare il suo minuscolo baschetto definendolo orribile. Gisèle, che collezionava baschetti, non l’aveva presa bene.
“Io non credo che lo farei… Ma Icaro è il suo migliore amico.” Milad non aveva ancora riflettuto su chi avrebbe potuto individuare come nuovo membro, riteneva che non avesse senso perdere troppo tempo con quelle riflessioni fino a quando non avrebbe avuto la certezza di doversene occupare, ma Phoenix era pur sempre molto amico di Icaro e pertanto si strinse nelle spalle, certo di non poter totalmente escludere di ritrovare il greco tra i futuri membri del gruppo.
“Sì,” convenne Nerea annuendo distrattamente mentre rifletteva a sua volta sulla questione “potrebbe essere. Io non so davvero su chi andrei a parare, ci dovrei riflettere parecchio…”
All’improvviso la ragazza si rammentò del recente trasferimento di Dante a scuola e di come, soprattutto, il suo amico fosse iscritto al sesto anno. Per la prima volta Nerea rifletté seriamente sull’eventualità di poter provare a farlo entrare nella Brigade laddove il compito fosse effettivamente toccato a lei mentre Gisèle, poco più indietro, sospirava sperando di riuscire ad evitarsi quel compito ai suoi occhi ingrato.

 
*

 
Dante era stato felicissimo quando due settimane prima aveva passato le selezioni ed aveva assunto ufficialmente il ruolo di Cacciatore della squadra, ma all’improvviso, mentre se ne stava seduto su una delle rigide panche di legno dello spogliatoio – l’unico angolo di tutta Beauxbatons in cui si fosse imbattuto a conservare una parvenza di aspetto spartano, privo di stucchi, marmo od opere d’arte – con la divisa addosso e i guanti di pelle di drago con le dita tagliate infilati, tutto ciò a cui riusciva a pensare era la forte nausea e il senso di inadeguatezza di cui era caduto vittima. Due settimane di allenamenti non erano molte, tutt’altro, non tanto per una sua qualche incapacità di sorta quanto più per l’ancora scarsa conoscenza che lo legava al resto della squadra. Che cosa gli era saltato in mente quando aveva deciso di provare le selezioni Dante all’improvviso proprio non lo sapeva: era abituato all’ansia da prestazione grazie ai cinque lunghi anni trascorsi nella sua vecchia scuola e a tutte le attività sportive a cui era stato abituato fin da piccolo, dal Quidditch stesso fino al tiro con l’arco e le arti marziali, ma l’idea di giocare male, di fare una figuraccia e di diventare quello che aveva fatto perdere la squadra ad un mese dall’inizio dell’anno scolastico lo tormentava ormai da qualche giorno.
“Ehilà.”
Dante era caduto talmente vittima delle sue elucubrazioni mentali che quasi non si era accorto della persona che gli si era avvicinata per poi sedersi proprio accanto a lui rivolgendogli un sorriso gentile, portandolo a voltarsi di scatto e a ridestarsi per incrociare due occhi grandi, gentili e di una tonalità color cioccolato.
“Fanno miracoli per la nausea.”  Maëlle gli porse il sacchettino di plastica pieno di minuscoli grissini che teneva in mano, dono provvidenziale che Dante accettò provando per la ragazza un sincero moto di gratitudine:
“Grazie.” 
“Di nulla. Giocavi anche nella tua vecchia scuola?”
Dante si limitò ad annuire, restando in silenzio mentre masticava il pezzo di grissino che aveva appena addentato: anche se vivevano in due continenti diversi a volte serbava il terrore irrazionale di veder spuntare sua nonna da dietro un angolo al primo comportamento non conforme alla buona educazione. Era piuttosto sicuro che non sarebbe nemmeno mai riuscito a liberarsi del modo di camminare che lo contraddistingueva, con la schiena e le spalle talmente dritte che Nerea, quando per la prima volta ci aveva fatto caso in Italia, gli aveva chiesto se non sentisse dolore con gli occhi sgranati. Dante attese di aver mandato giù il boccone per prendere la parola, schiarendosi la voce mentre Maëlle lo guardava gentilmente in attesa:
“Sì. In realtà lì sentivo molta più pressione, solo che è la prima partita che gioco qui e sono appena arrivato, quindi…”  Dante si strinse nelle spalle mentre chinava il capo distogliendo lo sguardo da quello della compagna di Casa, quasi vergognandosi dell’ansia da prestazione che provava. Maëlle invece non desistette e anzi il suo sorriso si allargò mentre addentava a sua volta un grissino, annuendo come se lo capisse perfettamente:
“Non vuoi fare brutta figura. Sì, capisco. Se ti consola mio fratello maggiore è un giocatore professionista, quindi anche io ho il terrore di fare la figura della rincoglionita che è finita sulla scopa per sbaglio.”
Le parole della bionda strapparono un lieve sorriso sulle labbra fino ad allora tirare di Dante, che rifletté su come lui e Maëlle avessero condiviso lezioni, qualche allenamento e anche le prove dell’orchestra, ma sempre senza avere una conversazione vera e propria. In realtà erano pochi i nuovi compagni di Casa con cui aveva avuto modo di parlare più di un paio di volte, si ritrovò a considerare Dante, forse a causa della sua inclinazione a passare pochissimo tempo nella loro Salle Comune, preferendo invece chiudersi quasi sempre in camera sua.
“Come mai non ti ho vista a tutti gli allenamenti?”
“Non sono la Cercatrice ufficiale, sono la riserva. Oggi tocca a me perché Miguel si è slogato la caviglia.” Un largo sorriso incurvò le labbra carnose di Maëlle, come se la cosa la rendesse particolarmente felice, salvo poi rendersi conto di star parlando dell’infortunio di un suo compagno e aggrottare le sopracciglia:
“Forse è sconveniente che io sorrida. Non sono felice per la sua caviglia, anche se se l’è slogata scendendo dal divano e la cosa mi farà ridere fino al mio funerale… Sono felice di giocare, ansia da prestazione a parte. Beh, so che è una banalità, ma tu fa’ del tuo meglio e basta, per il resto andrà come andrà.”
La strega gli porse un secondo grissino prima di alzarsi in piedi e spolverarsi distrattamente la divisa viola, scelta che disapprovava fortemente fin dalla prima partita a cui aveva assistito anni prima e ancor più da quando giocava in prima persona: per quanto fosse il colore della sua Casa e ci fosse sinceramente affezionata non lo avrebbe mai adottato per le divise. Dante, che ancora non era riuscito a mandare giù il colore che ormai dominava il suo campo visivo per buona parte delle sue giornate, intercettò l’occhiata di disapprovazione che la compagna rivolse al proprio vestiario e inarcò un sopracciglio incuriosito:
“Non ti piacciono le divise? Io sto ancora cercando di abituarmi a tutto questo viola, e non penso che accadrà prima della fine dell’anno.”
“No, mi piace il viola. Solo che non andrebbe usato per delle competizioni o rappresentazioni di sorta, il viola porta sfiga!” 
“Non era una cosa… teatrale, credo?”, domandò Dante sentendosi un tantino confuso – i significati culturalmente attribuiti ai colori da parte degli occidentali ancora gli sfuggivano in parte – mentre Maëlle, davanti a lui, annuiva agitando sbrigativamente una mano come a voler scacciare un insetto:
“Sì, sì, ma vale per tutto. Mi raccomando Dante, non presentarti mai ad un’esibizione dell’orchestra in viola, potresti venir linciato seduta stante.”  La strega parlò recuperando sia la sua scopa sia quella del compagno di Casa, entrambe appoggiate alla parete accanto alla panca sulla quale si erano seduti poco prima, porgendo a Dante la sua mentre il ragazzo si alzava in piedi con una stretta di spalle e rendendo improvvisamente molto evidente la loro differenza d’altezza:
“Tranquilla, è un colore che aberro.”
“Buono a sapersi. Forza, andiamo a fargli il culo a strisce viola.”
Dante sorrise mentre Maëlle lo precedeva, sentendosi improvvisamente un po’ più sollevato mentre l’ansia iniziava a scivolargli via dal corpo per lasciare spazio alla sua forte competitività e all’adrenalina.

 
All’interno di un altro spogliatoio, dall’altra parte del campo, gli schemi di gioco erano stati ripassati, i discorsi di incoraggiamento fatti e le divise indossate, era tutto pronto per recuperare i manici di scopa, uscire e mettersi in campo, o quasi: come accadeva per gran parte delle partite che giocava a Beauxbatons Icaro era rimasto seduto sulla rigida panca di legno attardandosi un po’ più del necessario e più a lungo dei suoi compagni, lasciando che uscissero tutti sfilandogli davanti agli occhi per restare da solo per un minuto. Sentiva ancora il vociare febbricitante dei compagni echeggiare nel corridoio che si trovava al di sotto degli spalti che si erano ormai riempiti, come lo scalpitio dei piedi gli aveva suggerito già mentre indossava la divisa blu notte con il suo cognome e il numero uno ricamato sulla schiena, quando Icaro si sfilò dalla testa senza slacciarla la sottilissima catenella che portava al collo, rigirandosela distrattamente tra le dita affusolate e pallide per sfiorare e osservare più da vicino il singolo ciondolo a forma di lettera che vi era stato appeso molto tempo prima. Anche se restava sempre a contatto con la sua pelle il metallo gli risultò freddo al tatto mentre strofinava lentamente il pollice contro il bordo della lettera, studiandola pensoso.
Icaro era ancora seduto sulla panca quando Phoenix, che ben sapeva che cosa lo stesse trattenendo, fece la sua comparsa stagliandosi sulla soglia, la divisa blu che risaltava il ceruleo delle iridi e la mano destra stretta attorno al manico della sua scopa da corsa.
“Orsini, andiamo. Muovi il culo, non si inizia se tu non esci.”
“Lo sai che quando siamo qui e indossiamo la divisa dovresti portarmi un briciolo di rispetto in più, sì?”, domandò Icaro senza guardare l’amico e senza riuscire a trattenere un lieve accenno di sorriso mentre si srotolava la catenella dalla mano, conscio di dovergli dar ragione e di doversi decidere ad alzarsi e uscire dallo spogliatoio. Mentre Phoenix si appoggiava mollemente allo stipite della porta aperta guardandolo in attesa Icaro slacciò il gancetto della catenella prima di allungarsi in avanti, sollevandosi il lembo dei pantaloni neri e abbassandosi le calze per avvolgere più e più volte il filo di metallo attorno alla caviglia.
“Francamente, caro, me ne sbatto.”, asserì il greco con una stretta di spalle noncurante mentre Icaro, riallacciata la collana, sistemava calze e pantaloni per potersi finalmente infilare lo stivale sinistro e dichiararsi ufficialmente pronto per uscire dallo spogliatoio. L’italiano si alzò in piedi e sollevò le braccia per stiracchiarsi, aggiustandosi la divisa – Nick non mancava mai di ribadire come fosse vanesio anche quando giocava – prima di afferrare il manico della sua scopa portagli dall’amico.
“Bene. Ora che sono pronto e splendido possiamo uscire.”  Icaro ritrovò rapidamente il suo sorriso compiaciuto sforzandosi di accantonare i pensieri che lo coglievano prima di ogni partita, portando l’amico a gettargli un’occhiata di sbieco mentre scuoteva la testa:
“A nessuno frega del tuo aspetto quando si gioca.”
“Come sarebbe? E tutte le mie ammiratrici, allora?”
Phoenix alzò gli occhi al cielo e lo precedette fuori dallo spogliatoio prima di annunciare ai compagni che finalmente il Capitano era pronto a fare la sua uscita – o “sfilata”, come la chiamava quando lo sfotteva – e Icaro, nei due secondi di solitudine che gli rimasero, lo ringraziò silenziosamente per non aver detto nulla mentre sentiva il metallo freddo della catenella contro la caviglia. Levò la mano libera portandosela dietro la schiena per picchiettarsi i ricami argentati in un gesto scaramantico prima di stamparsi un sorriso sulle labbra, pronto ad entrare in scena.
 

 
*

 
Una volta giunti al campo Daphnè era stata abbandonata a se stessa da Etienne e soprattutto da suo fratello, che dopo aver incontrato alcuni compagni di Casa non sembrava aver molta voglia di assistere ad una partita in compagnia dei suoi amici e della sorellina al tempo stesso (screanzati!). La giovane strega terminò di salire i gradini della tribuna guardandosi attorno tormentandosi con leggero nervosismo le punte delle dita e sperando di trovare un posto dove sedersi e qualche faccia nota, sentendosi pervadere dal sollievo quando scorse, non troppo distante, Nerea Pagano seduta vicino ad un’altra compagna di Etienne e di suo fratello, una ragazza spagnola dai lunghi boccoli castani che le sembrava chiamarsi Leticia, e davanti a lei Gisèle Delacroix.
Daphnè raccolse tutto il suo coraggio e si avvicinò ai posti rivolgendosi con un sorriso a Gisèle, che conosceva discretamente grazie alle loro famiglie che, entrambe residenti in Provenza, frequentavano più o meno gli stessi ambienti.
“Ciao Gisèle. Posso sedermi?” Quando ebbe raggiunto la francese, seduta accanto ad un silenziosissimo Milad Sarkis, Daphnè indicò il posto rimasto libero accanto a lei prima che Gisèle, cessato momentaneamente di scrutare il campo, ricambiasse il suo sguardo e il suo sorriso cortese:
“Ciao Daphnè. Certo, siediti pure.”
“Grazie. Ciao Nerea.”  Daphnè sorrise grata a Gisèle prima di sedersi voltandosi verso Nerea per salutare anche lei, scontrandosi con il sorriso radioso e contagioso dell’italiana:
“Ciao Daphnè! Hai finito di scrivere l’oroscopo per il numero?”
“No, e onestamente ho paura che Guillaume si arrabbierà molto… spero di finirlo stasera, ma se dovessimo vincere noi penso che le mie amiche vorranno festeggiare…” Daphnè scosse il capo sconsolata, preoccupatissima all’idea che Guillaume potesse avercela con lei mentre Nerea le dava qualche colpetto d’incoraggiamento sulla spalla per invitarla a non preoccuparsi e Gisèle, accanto a lei, faceva appello a tutto il suo autocontrollo per non intromettersi nella conversazione e spiegare per filo e per segno a Daphnè tutte le motivazioni che le avrebbero dovuto categoricamente impedire di farsi piacere quel troll di suo cugino.
“Stai soffrendo?”, mormorò Milad tenendo le braccia strette al petto e chinando lo sguardo sui propri piedi sperando di non farsi sentire mentre Gisèle, accanto a lui, annuiva con un movimento appena percettibile della testa:
“Non sai quanto.”
“Tranquilla, con Guillaume in caso ci parlo io. Non vedo l’ora che il numero esca, sono piena di gossip!” Il sorriso allegro non abbandonò il bel viso di Nerea, nemmeno quando Gisèle si voltò e le rivolse un sorrisino all’apparenza innocente che lei sapeva bene non esserlo affatto:
“Ti sei finalmente decisa a pubblicare quella storiella di mio cugino che esce con un troll, Rea?”
“Ne abbiamo già parlato trecento volte, non scrivo sciocchezze, io! Lascia perdere Daphné.” Nerea si rivolse alla più piccola scuotendo il capo, destando un accenno di sorriso sulle labbra di Daphné prima che tornasse a rivolgersi alla Ombrelune:
“Tu e tuo cugino non andate d’accordo, vero?”
Una domanda abbastanza inutile: persino le pareti sapevano, dalle loro parti, che i nipoti di Séraphine Fournier e del defunto Gérard Delacroix non si potevano sopportare. Una sera, dopo che ad una festa di anniversario Gisèle aveva cercato di spingere il cugino all’interno di una fontana di cioccolato, tornando a casa Daphné aveva sentito sua madre commentare con aria tragica che se si fosse ritrovata con due figli simili lei avrebbe cambiato residenza.
Gisèle, perfettamente consapevole della nomea che lei e il cugino si portavano appresso – suo padre si lamentava spesso, affermando che suo nonno vedendoli in quei pessimi rapporti si sarebbe rivoltato nella tomba, ma Gisèle era dell’idea che Gérard, al contrario, una volta compreso quanta sfortuna avesse avuto nel crescere con un cugino simile avrebbe solo potuto compatirla – annuì e allargò le labbra in un sorriso divertito:
“Si può dire così, sì.”
Daphné, dal canto suo, proprio non capiva le ragioni di tutto quell’astio: Gisèle le piaceva, anche se non si conoscevano bene, e spesso finiva col trascorrere proprio in sua compagnia molte delle feste alle quali erano invitate insieme alle loro famiglie. Però le piaceva anche suo cugino. Stava giusto riflettendo su come proprio non potessero due consanguinei cresciuti insieme andare d’accordo – liti o meno lei voleva profondamente bene a tutti i suoi fratelli, dal primo all’ultimo – quando Nerea, alle sue spalle, levò una mano per indicare il campo strillando che la partita stesse per iniziare.
Milad si sporse in avanti e riuscì a scorgere i loro compagni, metà in divisa blu e metà in divisa viola, solcare il prato verde del campo per mettersi in fila gli uni di fronte agli altri. Fu quello il momento in cui sfilò dallo zaino il libro che aveva portato con sé, stabilendo che fosse arrivato il momento per iniziare a leggere. Gisèle lo imitò destando tutta la disapprovazione di Nerea, che per fortuna avrebbe potuto commentare la partita con Leticia, sua compagna di squadra, mentre Daphnè accavallò le gambe e si strinse il ginocchio destro sporgendosi in avanti per cercare di individuare la folta chioma bionda di Maëlle. Una volta che vi fu riuscita sorrise anche se l’amica non poteva vederla, sperando ardentemente che non si facesse male per non dover trascorrere la notte in Infermeria.

“Ah, stai leggendo Kafka.”  Gisèle scorse il titolo del libro tenuto in mano dal compagno di Casa mentre Icaro, diversi metri più in basso, porgeva la mano al Capitano dell’altra squadra e Phoenix, in piedi accanto a lui, guardava l’insegnante di Volo, Madame Marleau, aprire il baule che conteneva Pluffa, Bolidi e Boccino per liberare quest’ultimo.

“Stai pensando di trasformare tuo cugino in un insetto?” Milad accennò un sorriso mentre apriva il volume alla pagina dove aveva lasciato il segnalibro e Gisèle, udite le sue parole, scuoteva il capo con un’espressione schifata:
“Non potrei mai. Poi gli altri insetti si infurierebbero per averglielo accollato e mi attaccherebbero in massa! E come hai visto io non sono una loro fan.”
“I ragni non sono insetti, tecnicamente.”
“Sono brutti uguale, poco importa. Cioccolato?”  Gisèle recuperò dal suo zaino di tela azzurro una barretta di cioccolato al fleur de sel che non tardò a condividere con tutti i presenti, in particolar modo con Milad: doveva pur sdebitarsi per aver preso il ragno e averlo mandato fuori dalla finestra usando un semplice foglio di carta proprio mentre lei, Phoenix e Icaro discutevano per stabilire chi dei tre dovesse liberarsene, probabilmente più per sfinimento nei confronti della situazione che per altro. Lei non ne avrebbe mai avuto il coraggio.
Ma come si poteva paragonare Guillaume, che era così carino, ad un insetto? Daphné proprio non riusciva a capacitarsene mentre mangiucchiava il cioccolato donatale da Gisèle e il fischio d’inizio partita risuonava per tutte le tribune insieme alla voce allegra e squillante di Lucinda, ma il suo flusso di pensieri scandalizzati venne bruscamente interrotto da qualcuno che, fermatosi vicino a lei, si schiarì la voce:
“Posso sedermi?”
Di fronte a lei c’era Diego, ma poiché le era stato rigidamente insegnato a non parlare mai a bocca piena Daphnè invece di rispondere masticò quel che restava del cioccolato più rapidamente che poteva – e sentendosi una perfetta cretina – prima di annuire e abbozzare un sorriso:
“Ciao. Sì, certo.” Diego non ricambiò il sorriso, ma sembrò sollevato mentre prendeva posto accanto a lei sistemandosi i gomiti delle ginocchia, le mani nodose giunte e gli occhi chiari puntati davanti a sé, probabilmente solcando il cielo alla ricerca della sagoma del cugino.
“Grazie. Sono arrivato tardi e avevo paura che fosse già tutto pieno, non avrei mai avuto il coraggio di dire a Icaro di essermi perso la partita.”
Lucinda scelse quell’esatto momento per suggerire allegramente quanto la squadra dei Papillonlisse fosse fantastica e in particolar modo una certa Cercatrice dai capelli biondi, e Daphné sorrise in silenzio mentre Diego, accanto a lei, scuoteva il capo con un sospiro:
“Icaro non sarà felice che abbiano fatto dei complimenti ai capelli di qualcun altro e non ai suoi…”

 
Lucinda dovette mordersi la lingua per non imprecare proprio davanti al microfono: Icaro Orsini e Phoenix Anastasakis si passavano la Pluffa talmente tanto spesso da farle mandare in pappa il cervello e rendere le parole che le uscivano di bocca alla stregua di uno scioglilingua. Giacché non ne poteva più di menzionare i loro nomi decise di suggerire gentilmente ai Battitori o ai Cacciatori della sua squadra di darsi una bella mossa per riappropriarsi della palla di cuoio rosso, dopodiché si complimentò con Antoine De Vos, perché anche se apparteneva alla squadra avversaria bisognava ammettere che la divisa gli stava proprio bene.
Icaro stava volando in direzione degli anelli tenendo la Pluffa sottobraccio quando, udito il commento, storse il naso profondamente infastidito: e lui allora?!
“Antoine, sei bellissimo!”, gridò Gisèle a squarciagola con le mani racchiuse attorno alle labbra perforando il timpano destro di Milad, sperando che l’amico l’avesse sentita mentre quasi riusciva a scorgere, anche a quella distanza, il rossore che si era espanso sul suo viso al suono dei fischi che avevano seguito le parole di Lucinda. Daphné ridacchiò mentre Diego e Nerea scrutavano attenti la Pluffa passare di mano in mano tra i Cacciatori di Ombrelune, la seconda tenendo le mani strette sulle spalle di Gisèle tanta era l’ansia che provava.
Stabilito di poter tornare a leggere una volta fatto il suo dovere, ovvero aver sostenuto Antoine, Gisèle tornò a concentrarsi sul suo libro masticando un quadratino di cioccolato fondente appena prima che la folla trasalisse esultando: qualcuno doveva aver segnato, e Nerea si premurò di farglielo sapere intensificando dolorosamente la stretta sulle sue spalle e prendendo a saltellare sul suo posto. Milad al contrario si limitò ad una rapida occhiata volta a capire quale squadra avesse segnato, non provando particolare entusiasmo nell’appurare che fosse stata opera di Icaro e tornando presto a leggere imitando Gisèle, che pregò Nerea di risparmiare le sue spalle – le servivano per ballare – mentre Daphnè si sforzava di simulare un po’ di disappunto a fronte del goal subito dalla sua squadra.
“Neanche a te interessa tanto, vero?”, le domandò Diego alzando leggermente la voce per farsi sentire nonostante il caos che li circondava – Gisèle si chiese a voce alta come potessero pensare che lei e Milad riuscissero a leggere con tutto quel baccano –. Daphné scosse la testa accennando un sorriso, lieta di poterlo dire a qualcuno avendo anche l’impressione di poter essere compresa prima di rispondere alzando la voce a sua volta:
“Non sono un tipo sportivo!”
“Già, nemmeno io… Ma giocano Icaro e Nick, quindi non posso non farmi vedere.”
Anche Daphné andava alle partite soprattutto per via delle sue amiche e annuì sorridendo comprensiva a Diego, felice di aver avuto la fortuna di trovare apposto accanto a persone che non la facevano sentire un alieno a causa del suo scarso interesse per il Quidditch: Milad e Gisèle sembravano talmente poco interessati che avevano preso a scambiarsi opinioni sul compito di Letteratura per la settimana successiva, entrambi visibilmente poco felici di aver perso tempo prezioso per portarlo a termine restando confinati su quelle tribune.

 
*
 

Invece di atterrare Icaro quasi si schiantò al suolo a causa del suo sconsiderato migliore amico, che preso dall’euforia e dalla felicità data dalla vittoria gli planò direttamente addosso per gettargli le braccia al collo quando si trovavano entrambi ancora in aria, destando nell’italiano un fiume di insulti che sfociarono in risate quando i due capitombolarono sull’erba.
“Coglione.” Icaro si mise a sedere sull’erba sentendosi un tantino dolorante ma con un sorriso ad allargargli le labbra, cercando di districarsi dal groviglio di divise in cui si trovava mentre Phoenix, incurante, gli prendeva il viso tra le mani scuotendolo con euforia:
“Abbiamo vinto Capitano! Sei felice o no?”   Era diventato sempre più raro vedere il suo amico provare sincero entusiasmo per qualcosa e Icaro guardando Nick si rese conto di essere felice anche per la gioia che scorse nei suoi occhi cerulei e nel suo sorriso ormai sporadico, ritrovandosi ad annuire prima di scacciargli le mani dal proprio viso con un gesto giocoso:
“Sì ma mollami, o penseranno tutti che stiamo per baciarci.”
Phoenix rise, ma obbedì e lo lasciò andare appena in tempo affinché Icaro potesse venir travolto anche da altri membri della squadra. L’italiano riuscì anche a scorgere l’amico volgere lo sguardo in un’altra direzione e il suo sorriso svanire all’improvviso, portandolo a chiedersi che cosa avesse visto in grado di scalfire l’euforia conferita dalla vittoria.


 
*

 
Dal termine della partita l’ansia che lo aveva accompagnato per tutto il corso della giornata precedente se n’era andata come spazzata via dal vento, ma in compenso la sconfitta subita aveva lasciato in Dante una copiosa amarezza, per nulla soddisfatto – forse anche a causa del modo in cui era stato cresciuto – di quel risultato.
Fortunatamente poteva dirsi soddisfatto, per quanto lo riguardava: non pensava di aver giocato male, si era divertito e tutto sommato la partita non era andata male, con nessun infortunio e pochi falli. Dante sapeva per certo che se fosse stata lì sua madre gli avrebbe ricordato come l’importante fosse divertirsi quando si giocava a livello amatoriale, e stava cercando di ripeterselo fin da quando i suoi piedi avevano ritoccato terra, trovando quasi ironico quanto la mentalità della donna fosse diametralmente opposta a quella della famiglia paterna e che quindi aveva fortemente influenzato la sua crescita.
Un malumore generale si era impossessato anche dei suoi compagni di Casa, e non fu affatto difficile per Dante individuarli non appena ebbe varcato la soglia della sala da pranzo: di certo i Papillonlisse erano quelli che sedevano a tavola sfoggiando musi lunghi e aria contrita o amareggiata.
“Vuoi che resti con te?”, gli domandò suo fratello gettandogli occhiate di sottecchi, preoccupato che il fratello maggiore stesse risentendo del risultato dell’incontro più di quanto non stesse dando a vedere.
“Tranquillo, vai pure con Cornelio. Io andrò a farmi fare un lungo discorso di incoraggiamento da Nerea.”
Dante sorrise al fratellino, grato per avergli fatto compagnia per quasi tutto il pomeriggio restandosene seduti uno accanto all’altro in Biblioteca Zhān facendo i compiti e lui un po’ aiutandolo e un po’ disegnando lo spettacolo architettonico che li circondava, e lo invitò a raggiungere il suo migliore amico con un leggero colpetto affettuoso sulla spalla, guardando il ragazzino annuire prima di dirigersi verso il mare di tavoli circolare che avevano davanti. Al maggiore, gettata un’ultima occhiata alla schiena di Zhān dicendosi di dover essere lui a preoccuparsi per il fratello e non il contrario, non rimase che far vagare lo sguardo sui volti che lo circondavano per cercarne qualcuna di familiare, e soprattutto qualcuno con cui avesse voglia di scambiare qualche parola.
Una volta individuato il volto di Nerea Dante non esitò a dirigersi verso il tavolo dell’amica, che sedeva accanto a Gisèle mentre entrambe tenevano quelli che avevano tutta l’aria di essere dei menù. Quando lo vide arrivare l’italiana, anziché sorridergli e accoglierlo calorosamente come al solito, si alzò in piedi scostando la sedia e lo raggiunse allontanandosi di un paio di metri dal tavolo bloccandolo sollevando la mano destra:
“Scusa, stasera non puoi sederti con noi.”
Considerando che di norma era Nerea a lamentarsi della sua inclinazione ad isolarsi e a non stare in compagnia, Dante guardò l’amica chiedendosi se non fosse andata a sbattere contro una colonna dorica.
“Perché no? C’è una sedia libera.”, osservò accigliato il ragazzo indicando una sedia rimasta vuota accanto ad Antoine, che stava per sorridergli e invitarlo a sedersi quando Nerea lo precedette scuotendo il capo, parlando scandendo molto lentamente le parole come se le servisse tempo per trovare una scusa sensata:
“Sì, ma… io e Gisèle dobbiamo parlare degli affari nostri, non puoi sentire. Devo anche raccogliere gossip per il giornale, sai com’è.” Nerea, soddisfatta di come se l’era cavata, abbozzò un sorriso mentre si stringeva nelle spalle simulando una nonchalance in netta contrapposizione con l’espressione perplessa con cui Gisèle stava seguendo la conversazione restando seduta al tavolo: non aveva idea di che cosa avesse in mente la sua amica.
“E perché io non posso sentire? Non voglio mica origliare gli affari vostri, voglio solo cenare!” Dante, sempre più confuso e ormai vagamente spazientito, indicò seccato la sedia chiedendosi perché Nerea, che lo conosceva così bene, lo avesse improvvisamente scambiato per una delle anziane pettegole che popolavano il paesino di cui le loro famiglie erano originarie, ma anziché demordere l’italiana fece nuovamente spallucce, le braccia strette al petto e il mento sollevato con aria decisa:
“No, perché… dobbiamo parlare del fidanzato di Gisèle.”
La diretta interessata aveva avuto la malsana idea di bere un sorso d’acqua appena un istante prima, e finì col rischiare di farsela andare di traverso tossicchiando mentre Antoine, che volente o nolente aveva udito tutta la conversazione a causa della vicinanza, volgeva lo guardo sull’amica guardandola inorridito e offeso, gli occhi azzurri sgranati:
E io perché non ne so nulla?!”
“Non ne so niente neanche io, a dire la verità.”, borbottò Gisèle cercando di darsi un contegno mentre si tamponava discretamente le labbra carnose con il tovagliolino e Nerea, ancora in piedi di fronte a Dante, sorrideva all’amico invitandolo ad andare a sedersi con qualche suo compagno. Il ragazzo, che per quella giornata sentiva di aver esaurito le energie e non chiedeva altro che sedersi e cenare, finì con l’annuire con un sospiro, vinto:
“Va bene, cercherò Diego.”
Oppure potresti smettere di fare il troll di montagna dei Pirenei e cenare insieme a qualche tuo compagno di Casa, che ne pensi? Anche se il viola è il colore della loro Casa non mordono, sai.”, suggerì casualmente Nerea brandendo un sorriso a trentadue denti e un continuo battito di ciglia che portarono l’amico ad aggrottare la fronte guardandola esausto:
“Tutta questa stronzata è solo per farmi fare nuove amicizie?”
Ma che vai dicendo, è solo che voglio dettagli sulla vita sentimentale della mia migliore amica! Ora sorridi e vai, cerca di sembrare simpatico.”
Dante seppe di essere stato congedato quando Nerea gli fece pat-pat su una spalla e girò sui tacchi per tornare al suo tavolo, lasciandolo solo mentre Gisèle gli rivolgeva un mesto cenno di saluto con la mano, certa di non poter fare assolutamente nulla per aiutarlo se Nerea si era messa un’idea precisa in mente.
In fondo lo sapeva anche Dante, motivo per cui sospirò e andò a caccia di un’altra sedia mentre Nerea, soddisfatta, tornava a sedersi accanto all’amica e a riprendere in mano il menù per decidere quale pizza mangiare.
“Mi spieghi il mio fidanzato, di grazia, chi sarebbe?”, domandò Gisèle accostando il capo a quello dell’amica non appena Nerea le si fu seduta nuovamente accanto mentre l’altra, visibilmente soddisfatta del suo operato, le rivolgeva un sorriso allegro:
“Scusa, mi serviva una scusa che fosse abbastanza credibile. Non male per averla inventata di sana pianta. Penso che prenderò quella con le patate al forno…”
“Non potevi dire che lo hai tu un fidanzato?”
Quando udì la domanda di Gisèle Nerea fece forse l’ultima cosa che l’amica si sarebbe aspettata: scoppiò fragorosamente a ridere, così tanto da contorcersi sulla sedia dopo aver abbandonato il menù sul tavolo sotto lo sguardo perplesso dell’amica, che la guardò senza capire finchè la Bellefuille non aprì bocca per spiegarsi:
Io?! Io sono la persona più sfigata in amore che queste mura abbiano mai visto, mi avrebbe riso in faccia! Ho più friendzone alle spalle io che l’intero cast di una serie teen, non scherziamo!”
Gisèle stava per scuotere la testa e intimare all’amica di smetterla con quella storia della sfiga quando si rese conto che oltre a Nerea anche qualcun altro stava ridendo, e si voltò pronta a trafiggere chiunque con lo sguardo quando i suoi occhi azzurri indugiarono sulle quattro ninfe dei boschi che si stavano spazzolando i capelli pieni di foglie in attesa di iniziare a cantare.
“Voi che avete da ridere?!”, domandò piccata la francese alzando la voce e gettando alle quattro un’occhiata inceneritoria che fece immediatamente cessare le risate e distogliere gli sguardi.
“Ecco, brave. Cantate, che è meglio per voi. Io prendo la pizza con la burrata e il prosciutto crudo.”, dichiarò la strega appoggiando a sua volta il menù sul tavolo una volta che si fu seduta nuovamente dritta sulla sedia, lasciandosi le ninfe bisbiglianti e offese alle spalle. Nerea invece la guardò sgranando gli occhi, deliziata da quanto appena sentito, cercando di assumere un’aria adorabile mentre la guardava implorante:
“Ohhh, buona. Facciamo a metà?”
Gisèle annuì, sorridendole mentre le avvolgeva un braccio attorno alle spalle per stringerla brevemente a sé:
“Certo. Sei tu il mio fidanzato qui, in pratica.”
“Emh-emh.”
“Tu e Antoine. Siete le mie persone preferite!”
 
Offeso e scacciato da Nerea Dante iniziò ad aggirarsi tra i tavoli cercando un posto libero, finendo con l’individuare con sollievo un tavolo ancora pieno solo a metà: si avvicinò con circospezione alle due ragazze, entrambe sue compagne di Casa, che sedevano vicine parlando tra loro e una volta fermatosi alle spalle di una delle due si schiarì la voce per attirare la loro attenzione su di sé.
“Ciao. Scusate, posso sedermi?”
Per un lungo istante nessuna delle due gli rispose, entrambe impegnate a fissarlo meravigliate come se non fossero certe di aver capito la sua domanda. A Dante non restò che attendere sperando in una risposta affermativa – potevano anche aver perso, ma lui aveva comunque giocato e moriva di fame – finchè una delle due, dopo aver sbattuto le palpebre più volte, sorrise affrettandosi ad annuire e a ridestarsi:
“Sì, scusa, certo. Siediti pure.”
Dante ringraziò Daphnè con un borbottio a malapena comprensibile e prese posto mentre la strega tornava a rivolgersi a Lucinda, che la guardò di rimando con gli occhi sgranati e chiedendosi se qualcuno non avesse colpito il loro compagno con una mazza da Battitore: era la prima volta che rivolgeva loro la parola, fatta eccezione per le occasioni in cui a lezione aveva chiesto loro di passargli qualcosa. Persino durante le prove dell’orchestra Dante se ne stava in silenzio per la maggior parte del tempo, e nessuna delle due si sarebbe mai sognato di vederlo finire al loro stesso tavolo.
“Stasera come funziona?” Dante non aveva mai visto dei menù da quando aveva messo piede a Beauxbatons e sollevò quello che qualcuno aveva appoggiato sul suo piatto agitandolo debolmente mentre Lucinda, davanti a lui, lo guardava rendendosi conto stranita di aver sentito la sua voce appena una manciata di volte in un mese intero.
“Mangiamo sempre la pozza quando c’è una partita. Scegli, ordini e ti appare sul piatto.”  Daphnè sorrise gentilmente al compagno, che però continuò a non capire e la guardo inarcando un sopracciglio, perplesso:
“E… a chi devo ordinare?”
“Al piatto. Così.”
Contro ogni sua aspettativa la ragazza chinò il capo per rivolgersi direttamente al piatto, chiedendogli gentilmente una pizza con zucchine e gamberetti che un attimo dopo apparve, fumante, davanti a lei.
“State scherzando?! Dove andavo a scuola prima era tanto se non venivano a interrogarti direttamente mentre mangiavi.”
Quasi sul punto di mettersi a ridere di fronte a quella scoperta ma profondamente grato a chiunque avesse deciso di servire pizza proprio quella sera Dante si dedicò allo studio del menù scuotendo la testa sconcertato, certo che a Mahoutokoro nessuno avrebbe creduto al racconto di un simile lusso.
“A noi piace trattarci bene. Mi spiace molto che abbiamo perso, però sei stato molto bravo.”
“Grazie. Voi non siete amiche anche di Maëlle?” Pur avendoci avuto ben poco a che fare durante quelle prime settimane persino lui ricordava di aver quasi sempre visto Daphnè e Lucinda in compagnia della sua compagna di squadra e l’assenza di quest’ultima al tavolo lo stranì non poco mentre le due ragazze, al contrario, si scambiavano un’occhiata.
“Sì, sta cenando con suo fratello Etienne. Era un po’ demoralizzata dopo la partita, essendo Cercatrice si sente molta responsabilità addosso.”  Daphnè si strinse nelle spalle, astenendosi dal fare commenti su come Maëlle fosse erroneamente convinta che perdendo avrebbe deluso Basile mentre iniziava a tagliare la sua pizza tenendo i gomiti rigidamente stretti contro il busto. Lucinda, che stava lottando tra la smania di patatine fritte e la voce della coscienza che le diceva di mangiare qualcosa di più salutare, sbuffò esasperata mentre usava il menù per dare qualche colpetto al bordo del tavolo:
“Beh, non è colpa sua se abbiamo perso! Non è neanche colpa tua, ovviamente.”, si affrettò ad aggiungere rivolgendosi a Dante temendo una gaffe colossale, ma il ragazzo fortunatamente le rivolse un cenno prima di chiedere al suo piatto di servirgli una margherita. Quando quella gli apparve davanti quasi non ci credette, ma scacciò la vocina paurosamente simile a quella di Nerea pronta a suggerirgli come la nuova scuola dopotutto non fosse affatto male.
“È che gli altri erano molto bravi, tutto qui… Icaro e Phoenix sono straordinari, dev’essere difficile starci al passo. Bene, ho deciso, prenderò la pizza con le patatine.” Lucinda si raddrizzò sulla sedia bianca per ordinare, sorridendo felice alla sua pizza coperta di patatine non appena quella le apparve sul piatto e affrettandosi a condividerne un po’ con Daphnè mentre Dante, che stava tagliando la propria, annuiva in un cupo assenso:
“Sì, abbastanza.”
“Beh, loro si conoscono e giocano insieme da anni… Sono molto amici, sono avvantaggiati. Mio fratello dice che l’alchimia in campo è importantissima. La prossima volta andrà meglio, vedrai.”
Lucinda gli rivolse un sorriso incoraggiante che Dante si sforzò di ricambiare – provando un po’ di fastidio ai muscoli facciali – prima di stringersi nelle spalle e tornare a concentrarsi sulla sua cena:
“Lo spero, o mi cacceranno a pedate. Mi è piaciuta la tua cronaca, comunque, non ho sentito tutto perché ero concentrato ma era divertente.” Specialmente il momento in cui Lucinda aveva visto il Cercatore avversaio stringere il Boccino tra le dita e aveva iniziato a lamentarsi a gran voce, ma questo Dante non lo disse. 
“Grazie! Adoro fare la cronista, anche se l’anno scorso mi hanno imposto un sacco di veti!” Lucinda, pur apprezzando il complimento di Dante, smise rapidamente di sorridere per sbuffare amareggiata mentre addentava una patatina, per nulla d’accordo con tutte le raccomandazioni che le erano state rivolte dagli insegnanti. Daphnè, che anziché mangiare con le mani fetta per fetta stava tagliando la sua pizza in pezzi più piccoli usando le posate – la mangiava con le mani solo quando si trovava in esclusiva compagnia delle sue amiche o dei suoi fratelli – gettò all’amica un’occhiata divertita e rassegnata al tempo stesso prima di accennare un tiepido sorriso con gli angoli delle labbra:
“Hai parlato per due minuti delle braccia di quel ragazzo che si è diplomato…”
“Beh, faccio informazione! In pratica il mio è un servizio pubblico!”
Lucinda liquidò il discorso con un gesto pigro prima di sollevare una delle sue fette chiedendo esasperata alla sua amica perché si ostinasse a mangiarla in quel modo quando erano in pubblico, facendo desiderare a Daphnè di sprofondare quando si rivolse direttamente a Dante assicurandogli di avere un’amica in fondo normale, solo troppo vittima del giudizio altrui. E Dante, che forse Daphnè un po’ la capiva quanto a familiari troppo critici e vittima di insicurezze, le sorrise.
 
“Ha una bella voce.” Osservò Lucinda più tardi, quando lei e Daphnè lasciarono la sala da pranzo tenendosi a braccetto dopo aver finito le rispettive pizze e aver condiviso un sufflè al cioccolato. La francese, che stava riflettendo sul modo migliore per tirare su il morale di Maëlle – forse una buona dose di macarons e Gilmore Girls avrebbero fatto il miracolo –, volse lo sguardo sull’amica prima di sorridere e scuotere la testa, ridacchiando con l’aria di chi la sa lunga mentre Lucinda, invece, la guardava sgranando gli occhi:
“Sei sempre la solita.”
Che c’è?! Ho detto che ha una bella voce. È vero!”
 





 
 
 
 
 
 
…………………………………………………………………………………………
Angolo Autrice:
 
Mi dispiace averci messo così tanto a pubblicare questo capitolo, ma per quanto scrivere questa storia non sia di per sé difficoltoso ho fatto molta fatica a terminare questo a causa di personaggi che non ci sono, a cominciare da Marguerite che praticamente non ho mai inserito fin dall’inizio e che d’ora in poi non farà più parte della storia ufficialmente, o che non avrebbero dovuto esserci ma che ho inserito comunque in misura minore degli altri perché altrimenti scrivere questo capitolo in maniera pseudo-decente sarebbe stato praticamente impossibile: questa storia non ha una vera e propria trama, si fonda prevalentemente sulle interazioni tra i personaggi e i loro legami e se ne vengono a mancare diversi in uno stesso capitolo anche solo organizzare i paragrafi non diventa semplicissimo.
Detto questo vi saluto, domenica arriverà una OS nella raccolta attualmente in corso e poi dopo aver aggiornato OMITB cercherò di non far passare troppo altro tempo prima di riapprodare anche qui.
Signorina Granger
   
 
Leggi le 7 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: Signorina Granger