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Autore: R_3_N    24/10/2023    4 recensioni
«Sembrava quasi che quel giovane musicista avesse messo la sua anima in quel violino, che avesse fatto della musica la sua ancora di salvezza. Suonava come se fosse il suo ultimo giorno sulla terra, come s’egli stesso fosse diventato musica. Si muoveva con passione in quello spazio ridotto, lasciandosi guidare dalle note. E d’un tratto, in quella canzone iniziarono a farsi sempre più rari gli accordi maggiori.
Angoscia fu ciò che provò Eco. Un’angoscia che però lasciava uno spiraglio di speranza, suggerita dai rarefatti picchi allegri. Il bambino ascoltò, in trance. Un pizzicore agli angoli degli occhi glieli fece sbattere, e fu solo allora che Eco si accorse di star piangendo.»
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Eco non si è mai posto il problema del futuro. Vive nel presente, vuole divertirsi. Tutto deve essere rosa e fiori, immerso in un clima di spensierata felicità. Ma il disegno della vita non funziona così, ed Eco se ne renderà conto prima del previsto. Tra misteri, rivelazioni e menzogne, una storia di un bambino che, crescendo, scopre il malsano funzionamento della società.
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ATTENZIONE: slow burn non tanto legale. E, sebbene i primi capitoli saranno tranquillissimi, c'è un'alta possibilità che venga presa una piega drammatica.
Genere: Fantasy, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Eccomi di ritorno!


Inserisco qua il link di alcune immagini: personaggi comparsi nel prologo.
Da sinistra: Eco, Argyròs, Hilde e Callisto.
 
Vi porterà su Pinterest nella speranza che funzioni (io e la tecnologia siamo su due strade diverse). Premetto che per cercare un’immagine di Eco ci ho impiegato un’eternità, solo perché lo avevo già disegnato io ma beh… su Ibis Paint non vengono fuori capolavori (almeno a me), dunque ho cercato qualcosa di molto simile.


Per dare un migliore inquadramento dei personaggi, ecco le loro età attuali:

- Eco: 8 anni;
- Argyròs: 26 anni;
- Hilde: 42 anni;
- Callisto: 30 anni.
 






Capitolo 1


Pròxenos





 
 
“Noia… che! Noia- CHE NOIA! Mi sto annoiando!”
 

Argyròs avrebbe voluto portarsi le mani alle orecchie e sbattere la testa contro un albero pur di non sentire le continue lamentele di suo figlio.

La compagnia Ifandis si era rimessa in marcia all’alba e adesso si stava preparando per il pedaggio. Il sole non era ancora allo zenit quando il gruppo aveva raggiunto le mura della nuova città, le cui imponenti arcate in legno recitavano un nome: Ollortnoc. Sicuramente aveva l’aria di essere una cittadina assai più grande e all’avanguardia rispetto alla precedente, la quale era basata esclusivamente sulla falegnameria.

Davanti alla maestosa porta principale si era creata una fila di persone, anche se c’era chi entrava e usciva liberamente, senza doversi mettere in coda. Eco era rimasto in silenzio per un buono quarto d’ora, ma la noia aveva poi preso il sopravvento. E Argyròs, da persona relativamente calma qual era, stava per perdere il senno.

Già la scorsa notte il giovane uomo aveva dovuto impartire una bella lezione a suo figlio, ma la paternale a malapena aveva fatto effetto su Eco, sembrava piuttosto che gli fosse passata da un orecchio all’altro.

“È la quinta volta che lo urli in meno di un minuto…” Stavolta Argyròs si passò una mano sulla fronte, mentre una vena si gonfiava sopra le sue tempie. “Ti avevamo detto sarebbe stata lunga, no?”

“Ma non così lunga! Siamo qui fermi sotto il sole da un’eternità!” Piagnucolò esasperatamente il bambino. “Perché non possiamo già entrare?”

“Tesoro, prima bisogna fare il pedaggio per essere in regola e registrarsi, e poi possiamo rilassarci nella nostra nuova casa, e vivere come ogni giorno.” La dolce voce di Hilde rispose al posto di Argyròs, quest’ultimo che si voltava verso sua madre. “Oh guarda, tra poco sta a noi! Coraggio Eco, sai che la pazienza ripaga bene.” Disse Hilde mentre si avvicinava al banco per i vari accertamenti. Argyròs le annuì in un muto ringraziamento: Hilde aveva il potere di far star buono Eco, almeno per qualche minuto.

Il bambino allora scrollò le spalle, roteando gli occhi. Mentre i grandi erano occupati con le faccende burocratiche, Eco fece vagare gli occhi oltre le porte della città, scorgendo al suo interno una sorta di tumulto. Non era troppo caotico, forse chiassoso, ma di certo non si trattava di una rissa. Vi era comunque quel vai e vieni di persone alle porte della città, trasportando carretti o altro, dunque la visione era abbastanza ridotta per un bambino della statura di Eco.

“Papà?” Eco richiamò Argyròs, tirandolo appena per la manica. “Cosa sta succedendo là dentro?” Chiese indicando il luogo, sinceramente incuriosito. Forse fu proprio quel suo tono genuinamente confuso a far inarcare un sopracciglio a suo padre.

Argyròs portò allora gli occhi nel posto in questione, notando una moltitudine di persone accerchiate attorno a chi sa cosa. Erano discretamente distanti, non si poteva udire bene, ma tra gli schiamazzi sembrava levarsi in aria una percussione quasi uniforme, come se quelle persone stessero battendo le mani insieme in un certo ritmo. E sempre più persone si univano a quel gruppo, applaudendo o fischiando.

“Mi scusi,” Argyròs si rivolse ad uno dei soldati al banco, proprio di fronte a lui. “C’è qualche evento in particolare oggi?”

Il soldato lo guardò perplesso, come se volesse dire ‘Vi trasferite qua e non vi siete nemmeno informati un po’ sul posto, complimenti’, ma poi sfoggiò un sorriso abbagliante. Tuttavia quella prima espressione dalle tinte beffarde della guardia non era affatto passata inosservata ad Argyròs, il quale aveva serrato la mascella e affilato lo sguardo, offeso.

“Beh, è forse l’evento più atteso dell’anno! La ‘Festa delle Arti’ è un’esibizione annuale senza frontiere di musica, pittura, scultura e quant’altro!” Spiegò energicamente il soldato, prima di venire catturato dallo strepitare affascinato di Eco.

“Chiunque può esibirsi, l’arte non ha età dopotutto. Ti piacerebbe ragazzino?” La recluta si era chinata all’altezza del piccolo, incatenando i loro sguardi.

Eco fu sorpreso da quella domanda diretta: un soldato che si metteva alla pari con un bambino, questa era nuova. Tuttavia, gli occhi del piccolo brillarono di meraviglia in tutte le loro sfumature verdi, solo per diventare scure attimi dopo.

“Non- posso- e non so fare… niente…” Ammise Eco, guardando al suolo, sconsolato. Fosse stato più attento si sarebbe accorto che non solo suo padre aveva chiuso le mani in due pugni stretti, ma anche che stava fissando trucemente la guardia.

“Imparerai allora! Ed i prossimi anni potrai mostrare ciò che sai fare.” Cercò di rincuorarlo il soldato, rialzandosi. “Sapete, stanno giusto finendo di allestire il palco nella piazza centrale. Siete fortunati a venire ad Ollortnoc in questa stagione, potrete conoscere alcuni dei migliori bardi e artisti di tutta Yrvat.” Nel dire il nome della nazione si portò una mano al cuore, facendo ricadere lo sguardo di nuovo su Eco. “E tu, piccolo, anche se non potrai esibirti, potrai sempre spettare!”

“Oh, ma che incredibile perdita di tempo.” Sibilò freddamente Argyròs, sorprendendo la guardia. “Non metta strane idee in testa a mio figlio, ha già dei doveri da svolgere. Non ha bisogno di queste inutili distrazioni.”

Il soldato rimase interdetto, non capendo dove avesse sbagliato. Nemmeno cercò di ribattere, talmente era stato preso alla sprovvista dalle gelide parole di Argyròs.

“Hai capito, Eco?” Iniziò a dire Argyròs, volgendo appena la testa verso il basso alla ricerca di suo figlio. “Nessuna distrazione.”

Se il giovane padre avesse voluto aggiungere altro si sarebbe ritrovato incapace di farlo, poiché un groppo alla gola gli aveva improvvisamente sigillato le corde vocali. Sentì il sangue congelarsi nelle vene: di fianco a lui, solo uno spazio vuoto. 

Argyròs fece solo in tempo a scorgere una minuta sagoma sgattaiolare incurante dentro le mura della città, prima che la folla gli occupasse la visuale.
 

 
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“LE! O! TO! RIO! LEO! TORIO! LEOTORIO!”
 

Nel grosso cerchio di persone si levò un clamore di applausi e incitamenti, mentre al centro un giovane esteticamente molto attraente accordava il suo violino. Le file del pubblico erano disordinate, ma era un caos piuttosto armonioso e innocuo.

E proprio quell’atmosfera dai toni entusiasti e spensierati aveva fatto sì che un bambino di otto anni fosse riuscito a sgattaiolare tra la gente, senza dare troppo nell’occhio.

“Oh cielo… Impazienti siamo, eh?” Tale il fascino di quel musicista, tale la sua voce seducente.

Bastò quella semplice frase per far levare dal pubblico un ulteriore schiamazzare, per lo più femminile, acuto e sognante. Eco ammiccò un sorrisetto divertito a quella situazione: anche nella sua compagnia succedeva così, quando le giovani donne avvistavano un bell’uomo.

Intanto il bambino aveva trovato un ottimo posto, essendo riuscito a fare zigzag tra le gambe della gente; adesso vedeva benissimo quel giovane musicista, il quale aveva iniziato a volteggiare intorno.

Il violinista stava sicuramente facendo un po’ di scena, suonando motivetti di riscaldamento e indirizzando sorrisi ammalianti e sguardi accattivanti verso chiunque avesse incontrato i suoi occhi.

Eco lo guardò interessato, ascoltando quelle note allegre e battendo le mani a tempo della melodia. Ma poi, qualcosa estranea alla musica catturò la sua attenzione, ed Eco si ritrovò a fissare con estrema insistenza quel violinista.

 
Quasi… abbagliante. Come se un involucro traslucido stesse avvolgendo quel giovane uomo, riflettendone se non accentuandone la lucentezza.

 
Eco piegò di lato la testa, mentre le sue sopracciglia si inarcavano all’insù. Sembrava quasi che fosse stata proprio la musica a creare quella sorta d’illusione ottica. Eppure le persone non parevano farci caso.

Talmente era perso nei suoi pensieri, il bambino si estraniò dalla realtà. Avrebbe continuato con quei viaggi mentali se soltanto qualcuno non l’avesse costretto a fare più passi indietro, facendolo sbilanciare e sbattere contro le persone. Ed Eco sarebbe sicuramente caduto se non ci fosse stata una mano a tenerlo saldamente per un braccio. Quella stessa mano, tuttavia, lo aveva afferrato e strattonato via da quell’affollamento, trascinandolo con poca grazia alle mura della città.
 

“MA CHE TI DICE IL CERVELLO!”

 
Aiuto-’ fu l’unica cosa che pensò Eco, avvertendo un sottile velo di rimorso e timore mentre osservava un Argyròs assai infiammato.

“Ti pare il modo! Scomparire in una città nuova e affollata! Mi vuoi far morire d’infarto a ventisei anni, figliolo?!” Lo rimproverò suo padre, tenendogli le mani sulle spalle. “Una cosa ti ho chiesto. UNA! Sai avere pazienza e stare buono per almeno mezz’ora!?”

Eco sussultò e abbassò lo sguardo velocemente, mortificato. Sentì gli occhi pungere per la vergogna.

“S-scusami papà…”

Argyròs lo guardò senza dire niente, poi sospirò gravemente, portandosi due dita a massaggiare sopra l’attaccatura delle sopracciglia. Non voleva far piangere Eco, ma doveva comunque fargli capire che certe cose erano sbagliate.

“Forza, vieni.” Ordinò, portandogli una mano sulla schiena per invitarlo a camminare. “La nostra compagnia ha fatto il pedaggio, adesso andiamo a sistemarci nella nostra nuova casa.”

Eco annuì in silenzio, sempre guardando basso. Tenne suo padre per mano quando iniziarono a camminare, titubante.

Quando i due imboccarono una via opposta a quella dove c’era la folla, un forte applauso risuonò tra quest’ultima, ed Eco si voltò senza però smettere di camminare.

 
Un violinista sicuramente fuori dalla norma.
 

 
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La nuova dimora sembrava molto accogliente: era grande e ben allestita, sebbene non fosse alla pari di quelle abitazioni nobiliari che potevano essere viste ad Ollortnoc. Tuttavia, era sicuramente più vasta dell’alloggio precedente, e bastava quello. D’altra parte, quella era la ‘Casa dei Piaceri’ della città e la compagnia Ifandis era cresciuta in numero negli ultimi anni, dunque serviva un’abitazione con molteplici stanze. Soprattutto per i futuri clienti.

Eco era rimasto al centro del grande salone, peritandosi anche a fare un passo.

“Callisto.” Sentì suo padre chiamare la nutrice. “Accompagna Eco di sopra, la sua stanza è la prima a destra.”

Argyròs già sapeva la struttura della casa, dopotutto aveva scelto lui quell’abitazione, ed era lui a tenerne la mappatura.

Eco vide Callisto annuire e raggiungerlo, mostrandosi sorridente al bambino. Probabilmente la donna aveva capito le emozioni del piccolo.

“Uhm…” Tentò Eco, prima che Callisto potesse scortarlo nella sua nuova camera. “Papà?”

L’uomo teneva lo sguardo su delle carte, mentre dava indicazioni ai membri della loro grande famiglia. Quando Argyròs udì Eco richiamarlo, gli lanciò un’occhiata scettica. Ancora doveva digerire la bravata che suo figlio aveva fatto alle mura della città.

Quando suo padre non rispose, Eco trovò il coraggio di continuare: “Posso- andare fuori?”

Argyròs allora abbassò le carte che teneva in mano, regalando a suo figlio uno sguardo disarmante.

“Audace, figliolo. Molto audace.” Disse, il suo tono assai serio. “Davvero credi che io ti lasci scorrazzare per la nuova città? Dopo il tuo comportamento immaturo?”

Eco sospirò afflitto, i suoi occhi verso il pavimento. Per quella volta, il bambino stranamente non se la sentì di ribattere. Accettò così la mano di Callisto, stringendogliela appena. La donna diresse il volto verso Argyròs, inarcando un sopracciglio, e il giovane uomo dovette trattenersi dal roteare gli occhi.

Argyròs era solitamente duro con suo figlio, ma in quel preciso istante decise di allentare la pressione sul piccolo. Forse grazie a Callisto, la cui presenza da sola alleggeriva la tensione, o forse proprio per lo stato d’animo di Eco, che sembrava veramente essere dispiaciuto per il precedente accaduto.

“Facciamo così,” aggiunse l’uomo, prima che Callisto ed Eco scomparissero su per le scale. “Tu ora studi finché non ti chiamiamo per pranzare. Dopo Callisto ti accompagnerà a fare una girata in città, due orette. E quando torni ti metterai di nuovo sulle pergamene.”

Bastò quella singola promessa per rinvigorire il più piccolo, il quale fece scattare stupiti occhi verso suo padre. Eco non credeva alle sue orecchie. Suo padre che gli permetteva di fare qualcosa senza pesanti e difficili compromessi. Non che Eco ci avesse sperato quando aveva posto quella richiesta, ma questo superava di gran lunga le sue aspettative.

“Ma devi promettermi che studierai.” Finì Argyròs, incrociando le braccia. “Controllerò i tuoi compiti.”

Il bambino annuì freneticamente, riacquistando il sorriso, e sfrecciò al primo piano senza nemmeno aspettare Callisto. Le labbra della donna si piegarono appena all’insù, rivolgendo un’espressione fiera ad Argyròs.

“Le pergamene sono raccolte in quel baule.” Informò il giovane uomo, puntando verso la cassa che aveva momentaneamente fatto posizionare all’entrata della struttura. Dopodiché, Argyròs se ne andò ad aiutare Hilde, già intenta a disfare i bagagli.

 
 
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Il ticchettare di un calamo contro la superfice di una pergamena era l’unico suono udibile nella stanza di Eco. Il bambino aveva ricevuto il materiale di studio da Callisto, ed ora se ne stava da solo nella sua nuova camera.

Se in un primo momento era stato preso da una nota carica e determinazione nell’affrontare le sacre scritture, adesso Eco stava pensando ad altro, la sua mente già fuori da quella casa. La sua concentrazione era spirata in meno di dieci minuti.

Il bambino fissò le carte, rileggendo più e più volte un paragrafo. L’unica cosa che aveva capito era che la lingua celestiale era difficilissima, complicata a livelli inimmaginabili. Forse la sola declinazione che sapeva a tutti gli effetti era quella del termine ‘meretrix’, appositamente imparata da tempo per infastidire suo padre.

“Aaaaaaah…” Un mugolio frustrato uscì dalle labbra del bambino, quest’ultimo che lasciava ricadere il pennino sulla pergamena, lasciandoci un bello sfrego d’inchiostro. “Aaaah! Non ci capisco niente!”

Eco si portò le mani a scombussolarsi i capelli, balzando giù dal letto. Non aveva la testa per studiare, voleva solo prendere una boccata d’aria. Si avvicinò dunque alla finestra che dava sulla strada opposta all’entrata del bordello, affacciandosi e sospirando drammaticamente.

Fuori c’era atmosfera di festa ed il chiacchierare felice delle persone ingelosiva il bambino, costretto a stare chiuso in camera a studiare. Il sole era quasi al suo punto più alto, ma alla loro consueta ora di pranzo manca ancora un bel po’. Eco guardò giù, notando una tenda aperta e un pagliaio proprio sotto la sua finestra. Gli occhi di Eco furono percorsi da un bagliore. E se…

Un’idea tanto stupida quanto geniale si fece avanti nella mente del bambino, che scosse subito la testa allontanandosi dalla finestra.

Voleva andare fuori, non ce la faceva più ad aspettare. Magari sarebbe potuto sgattaiolare dalla porta principale.

Ma quel pensiero venne obliterato non appena Eco ebbe aperto la porta di camera sua per affacciarsi alle scale: le donne della compagnia erano al piano terra, tra cui Callisto e sua nonna. Raggiungere la porta d'ingresso senza essere visto era molto improbabile.

 
Beh… a mali estremi, estremi rimedi.

 
Quello fu tutto ciò che pensò tornando in camera sua e chiudendosi la porta alle spalle. Eco fissò la finestra aperta. La tenda sotto aveva l’aria di essere resistente, per di più il salto non sembrava troppo alto.

Eco prese un profondo respiro, avvicinandosi alla finestra con una ritrovata forza di volontà. A suo padre ci avrebbe pensato dopo, magari nemmeno avrebbe dovuto spiegare qualcosa se fosse stato veloce in ciò che voleva fare.

“Dai, solo mezz’ora. Posso farcela. Posso farcela!” Si autoconvinse il piccolo, sporgendosi dalla finestra.

Nessun ripensamento. Eco aveva nella mente solo quel festival dell’arte, unito a quell’appariscente violinista ed a quella melodia magica che aveva udito la scorsa notte. E proprio al ripensare a quelle note erranti, il bambino fu preso dalla più assoluta tranquillità. Una pace da sogno che gli permise di scavalcare il cornicione, e di gettarsi sulla tenda sottostante.

Fu solo un attimo. Eco ruzzolò dal tendone al pagliaio in un movimento liscio come l’olio, schizzando immediatamente in piedi per l’adrenalina e lo stupore. Ce l’aveva fatta, stava bene. Era fuori.  Il bambino si guardò attorno con occhi ammaliati ed un sorriso scintillante.

Eco notò che alcune delle persone lì presenti lo stavano fissando allarmate, una donna si era pure avvicinata a lui per controllare che stesse bene.

Il bambino sorrise impacciato, in un vano tentativo di rassicurare quei passanti, ma poi non perse altro tempo. Eco corse per le vie, svoltando vicolo dopo vicolo, seguendo molte di quelle persone che sembravano dirigersi verso la sua stessa meta: la piazza centrale.

 
 
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Sottofondo generico
 
 

Eco non aveva mai avuto un brillante senso dell’orientamento. Andava prevalentemente a caso, per inerzia, per questo era solito dimenticarsi quale strada avesse percorso.

Le persone camminavano e parlavano indisturbate ed Eco seguiva chi più gli destava unicità. Al momento, il bambino era poco distante da una coppia di adulti dai vestiti sfarzosamente pregiati. Non aveva mai visto abiti tali, specialmente con quelle tonalità sgargianti. Sua nonna li avrebbe adorati senza ombra di dubbio.

“Mocciosi! Guardate dove mettete i piedi!”

Eco si fermò all’istante, osservando la coppietta dai colori pastello. I due adulti avevano momentaneamente abbandonato la loro compostezza: il maschio si stava sistemando gli abiti e la donna stava mandando occhiatacce ad un gruppetto di ragazzini ad un passo da loro.

“C-ci scusi! Serse è nato storpio, cammina storto!” Pigolò uno dei ragazzini, mortificato.

Quando la coppia di adulti liquidò quei bambini con sguardi altezzosi, Eco poté osservare meglio quel gruppetto. Erano tre ragazzini, probabilmente della sua età. Vide uno fare un gesto non tanto carino a quella coppia ormai alle loro spalle, mentre il bambino nel mezzo spintonò il terzo della loro combriccola.

“Ti faccio vedere io chi è lo storpio!”

In tutta risposta, gli altri due gli risero in faccia, pizzicandogli pure le guance.

Nel momento seguente, Eco sentì i propri occhi sgranarsi dallo stupore: il ragazzino in mezzo aveva passato di soppiatto un piccolo sacchetto in velluto nero ad uno dei suoi compagni. I tre sogghignarono.

Eco continuò a seguirli con lo sguardo anche quando quelli sfrecciarono in una via ai lati della strada, e trattenne il fiato quando uno dei tre, voltandosi, incontrò casualmente i suoi occhi.

Un ladro colto con le mani nel sacco sarebbe andato in panico. Quel bambino, tuttavia, aveva solamente ammiccato un sorrisetto e lanciato un occhiolino ad Eco prima di sparire dalla sua visuale.

Ed Eco era rimasto immobile, meravigliato. Certo, rubare era sbagliato, ma quei tre erano stati discretamente bravi a mettere in atto il misfatto.

“Niente male,” sbuffò divertito Eco, iniziando nuovamente a camminare. Li avrebbe senz’altro inseguiti se qualcos’altro non lo avesse fatto rinsavire da quell’incontro.

Musica.

Un motivetto allegro si era fatto strada per quella via e la sua fonte sembrava essere non troppo lontana da Eco. Il bambino seguì la musica e, muovendosi tra le persone, giunse finalmente in quella vasta piazza.

La vivacità di quel luogo fece accelerare i battiti ad Eco, ed il bambino osservò ammaliato lo spazio circostante. Arte, tantissima arte. Pittori in quasi tutti i lati della piazza, prestigiatori variegati, musicisti di ogni genere. Ma ciò che gli tolse il respiro fu quel distinto palco proprio al centro della piazza: le assi, di un legno lucidissimo, erano ornate da ghirlande di fiori dai colori più disparati. Sembrava uno spettacolo della natura.

 
Ollortnoc aveva proprio l’aria di essere una città magica.
 

 
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“Ciaaao!”
 

Quello fu il saluto, così casualmente informale, col quale Eco si presentò ad un giovane musicista, uno dei tanti in quella zona. Un chioschetto di violinisti ad un lato della piazza aveva appunto fatto colpo sul bambino, di conseguenza quest’ultimo ci si era intrufolato senza nemmeno rendersene conto.

Eco vide il musicista squadrarlo da capo a piedi, il suo sguardo incuriosito. Il ragazzo se ne stava seduto sopra una cassa, tra le sue mani un violino alquanto bizzarro e unico nel suo genere, con dorate rifiniture evocanti natura.

“Ehm… ciao?” Rispose quel violinista, un velo di disagio nella sua voce. “Ti sei perso?” Continuò quello, guardando nei dintorni nella speranza di scorgere dei genitori, ma nessuno sembrava star cercando un bambino.

Eco sorrise sgargiante, portandosi le mani ai fianchi.

“Probabilmente! Ma mi basterà chiedere in giro la strada per il bordello, facile! Chi non ama le meretrici?” Ad Eco non sfuggì il veloce spasmo che percosse le sopracciglia del musicista, esattamente al citare la Casa dei Piaceri di Ollortnoc.

Eco ridacchiò: era sempre uno spettacolo vedere le espressioni sorprese sui volti delle persone, raramente qualcuno si sarebbe aspettato che un bambino della sua età si fosse messo a parlare liberamente di prostitute.

Il violinista rimase allora ammutolito, aspettando che il bambino parlasse di nuovo o che, meglio ancora, si levasse di torno. Ma quando si accorse che quel ragazzino lo stava fissando più intensamente di prima, il musicista sospirò.

“Posso fare qualcosa per te?” Disse, cercando di mascherare la disillusione nel suo tono.

Prima che Eco avesse potuto rispondere, il giovane musicista aveva impugnato meglio archetto e violino, e aveva iniziato a suonare un motivetto di riscaldamento.

Ma quando il ragazzo notò l’espressione contorta del bambino, smise subito di far vibrare le corde.

Una smorfia infastidita e quasi addolorata si era formata sul volto di Eco.

“Hai bisogno di un secchio per vomitare, ragazzino?” Chiese il musicista, leggermente allarmato. Il ragazzo fece per poggiare il suo violino sulla cassa e scendere, ma si ritrovò di stucco non appena ebbe udito un’oltraggiosa affermazione. Suddetta affermazione veniva proprio da quel bambino di fronte a lui.

 
“Il violino è scordato, stringi l’ultima corda.”

 
Il violinista lo guardò in cagnesco, ed Eco si sentì ghiacciare. Il bambino puntò lo sguardo a terra, portandosi una mano a grattarsi la nuca. L’aria era diventata improvvisamente tesa, ma Eco non ne capiva il motivo. Che avesse offeso le capacità del giovane violinista? Eppure non aveva detto niente di sbagliato.

“Curioso, ragazzino. Sei per caso uno dei concorrenti? Vuoi mettermi i bastoni fra le ruote?”

Il musicista sapeva perfettamente che il violino era scordato, d’altra parte aveva allentato l’ultima corda di proposito, forse per sperimentare una nuova tonalità. Tuttavia, il violinista non aveva una risposta certa su come quel bambino avesse capito che si trattasse proprio dell’ultima. Al momento almeno.

Quando vide gli occhi del ragazzo assottigliarsi, Eco si affrettò a mettere le mani avanti.

“No- no! Sono nuovo qui…” Spiegò cercando di non farsi prendere dal panico. “Mi piace il suono del violino, e non ne ho mai visto uno da così vicino.” Finì indicando quell’inusuale violino.

Quel blu limpido si sposava benissimo con gli ornamenti dorati della tavola armonica: due tonalità che insieme donavano un’aura mistica a quello strumento musicale. Eco lo avrebbe definito più uno specchio che un violino, talmente era lucido.

La meraviglia con cui Eco stava studiando il violino non passò inosservata al giovane musicista, il quale avvertì la tensione dissiparsi lentamente. Soltanto un bambino curioso e affascinato, niente di che. Al musicista parve di rivedere un piccolo se stesso nell’attimo esatto in cui scopriva la sua vocazione.

Inspirando ed espirando ad occhi chiusi, il violinista poggiò il suo strumento a fianco a sé, risistemandosi sulla cassa. “Avvicinati, ragazzino.” Disse, estendendo un braccio verso il piccolo.

Gli occhi di Eco scattarono verso il musicista, sorpresi. Il piccolo osservò la mano che il più grande gli stava porgendo e, con una timidezza non esattamente familiare, fece come gli era stato suggerito.

Il musicista alzò da terra il bambino, facendolo sedere sulle sue gambe.

Eco sgranò appena gli occhi quando il ragazzo gli posizionò il violino esattamente sopra la clavicola sinistra, guidandogli poi le mani verso l’archetto e il manico dello strumento.

Sto sognando?” Pensò Eco, lasciandosi muovere come una marionetta da quel ragazzo.

Quel violino era estremamente leggero; la tastiera così liscia, le corde così sottili… Eco temeva quasi di romperle, sembravano estremamente delicate. E quando il ragazzo gli fece prendere tra le dita la chiave dell’ultima corda, Eco non ebbe il coraggio di stringerla.

“Non gli fai male, ragazzino. Accorda lo strumento, coraggio. Visto dici che è scordato.” Il musicista abbassò lo sguardo sul bambino, e quest’ultimo rabbrividì appena.

Ma quei brividi erano carichi di auspicio, ed Eco ancora faticava a credere di avere tra le mani quello strumento musicale. Impugnato l’archetto come gli aveva mostrato quel musicista, Eco fece vibrare l’ultima corda del violino, stringendo con una ritrovata risoluzione il pirolo. Passò nuovamente i crini vicino al ponticello con un movimento lento e gentile, tendendo non solo l’ultima corda, ma anche le orecchie. La nota stava suonando sempre più giusta, distinta.

Il violinista osservò attentamente i movimenti del bambino, lasciando allora che fosse il piccolo ad avere il controllo delle azioni. Lo tenne semplicemente per i fianchi, giusto per non farlo sbilanciare.

Quando il musicista fu sul punto di riprendere il violino, qualcosa di inaspettato accadde, ed il ragazzo si ritrovò non solo incapace di muoversi, ma anche di pensare.

 
Il bambino stava... Suonando. O meglio, stava cercando di suonare. Non un qualsiasi pezzo improvvisato, non una serie di note strambe messe lì a caso. Il musicista spalancò le palpebre, affilando l'udito. Le note non erano affatto pulite, erano disastrose e facevano venire la voglia di farsi implodere i timpani, per non parlare della posizione delle dita sulla tastiera. Ma il violinista aveva ben capito se non riconosciuto quella melodia.

 
L'espressione del musicista fu attraversata da una moltitudine di emozioni, ma infine scosse la testa, riprendendosi da quella che sembrava essere una situazione alquanto irreale.

"Non so dove tu abbia sentito questa canzone. Ma non stai facendo un bel lavoro nel riprodurla."

Eco smise di muovere l'archetto sulle corde, e si voltò di lato, cercando con lo sguardo gli occhi del musicista. Un leggero rossore a tingergli le guance.

"Sai com’è! Non ho mai toccato un violino- no... Uno strumento musicale in tutta la mia vita!"

Il musicista inarcò un sopracciglio. Un tenue sorriso, appena percettibile, gli piegò le labbra.

"Adesso fai schifo. Chi sa, però. Un giorno potresti diventare eccezionale." Concesse il più grande, riprendendo il violino e facendo scendere a terra il bambino. "Ora posso dirlo con certezza, ragazzino. Tu hai l'orecchio assoluto."

Tuttavia, il piccolo si era impuntato su una sola affermazione: faceva schifo a suonare. Ma quando il suo cervello ebbe registrato il resto delle parole del musicista, Eco fece scattare gli occhi verso il più grande.

“Perché così sorpreso?”

Il più grande si rimise comodo sulla cassa, incavallando le gambe. Quel ragazzino aveva catturato la sua attenzione. Il musicista quasi si sentì in colpa per essere stato inizialmente un po’ ostile nei suoi confronti.

“Uh…” Eco tentennò, unendo le mani dietro la schiena. “Penso sia il primo complimento che ricevo in anni! Cioè- quelli di nonna e Callisto non contano.” Affermò, conscio del fatto che il musicista non avesse la minima idea di chi fossero le due donne citate. “Aspetta, era un complimento, vero?!”

Il violinista semplicemente lo guardò, poi roteò gli occhi, sorridendo.

 
“Isaac. Isaac Moontrack.”

 
Eco inarcò le sopracciglia, confuso. Poi realizzò: i due nemmeno si erano presentati.

“Eco!” Trillò, mostrando un sorriso scintillante. “Eco Ifandis!” Ripeté mimando il musicista, il quale finalmente aveva un nome da associare alla faccia.

Isaac sembrava divertito dall’entusiasmo del bambino, ed il fatto che avesse rinunciato così in fretta all’idea di toglierselo dai piedi, sorprendeva pure lui stesso.

“E dunque sei un aspirante musicista?”

Eco ci pensò su, tremando in fibrillazione a quella sola idea. Imparare a suonare? Non aveva mai ponderato quella possibilità, anche perché qualcuno non glielo avrebbe permesso. Il suo sguardo si spostò al suolo, realizzando solo in quel momento che non avrebbe mai potuto. Un sorriso amaro si formò sul suo volto.

Ma Isaac capì; il silenzio era, d’altra parte, assai significativo. Non servivano parole per esprimere quella situazione d’impossibilità. Certo, il musicista non conosceva affatto il bambino, ma quello sguardo spento, l’espressione rammaricata… Erano segni evidenti di chi era impotentemente limitato.

“Passa stasera al concerto. Ti piacerà.” Suggerì allora Isaac. “E se resterai fino alla fine, magari potrai nuovamente prendere in mano Pròxenos.”

Eco si voltò di nuovo verso Isaac, stavolta con aria interrogativa.

 
Pròxenos?
 

“Il violino,” spiegò meglio il più grande. “Chi sente la musica dentro, deve trattare il suo strumento musicale come suo figlio. E dunque, da genitore, è dovere e onore dare un nome al proprio piccolo.”

Eco lo ascoltò, meravigliato. Quella cosa era a lui nuova, dare un nome agli strumenti musicali. Un’usanza strana ma sensata, quasi idillica.

Il bambino annuì felicemente. Avrebbe preso la palla al balzo, a costo di andare contro le parole di suo padre. Ed ora che ci pensava… Suo padre.

Quel pensiero intrusivo lo fece pietrificare sul posto all’istante. Da quanto tempo era fuori casa? Sicuramente da molto più di una singola mezz’ora.

Isaac vide il bambino sbiancare. Il musicista aprì la bocca per parlare, ma Eco lo interruppe in seduta stante.

“CI VEDIAMO STASERA!” Dichiarò a gran voce Eco, avvertendo un velo di panico avvolgerglisi attorno. Alzò una mano a mo’ di saluto, ridendo istericamente.

Il musicista seguì Eco con lo sguardo quando il bambino si dileguò con un’incredibile velocità da quel chioschetto, sfrecciando fuori dalla piazza. Isaac rimase allora imbambolato a fissare il vuoto, in un misto tra confusione e divertimento.

 
 
 
“Ci vediamo stasera, sì-” pensò Eco, correndo per la via principale a perdifiato. “A patto che mio padre non mi riduca in poltiglia!












N/A:


- Il nome della città non mi appartiene (probabilmente lo cambierò, sperando nella grazia divina del master).

- Callisto e Leotorio non sono miei.

- Prevedo un distacco di un mese dal prossimo aggiornamento (manca il tempo e le cose da fare sono troppe), piango.

- Anticipazioni inutili per il prossimo capitolo: Isaac è un manzo. Leotorio il classico Don Giovanni. Ah e Hilde milfona (non c'era bisogno di dirlo).
   
 
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