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Autore: Spoocky    24/10/2023    3 recensioni
Un guerriero senza patria, un devoto rifiutato dal suo Credo e un'adolescente senza radici, ognuno con le proprie difficoltà ed un passato difficile, si trovano costretti dalle circostanze a doversi aiutare a vicenda per raggiungere un obiettivo comune: attraversare le infide paludi di Arrak.
Questa storia partecipa al contest “D&D Mania – Capitolo II” indetto da Ghostro sul forum di Efp
Genere: Avventura, Hurt/Comfort, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Gentili lettori, perdonatemi per aver saltato l'aggiornamento settimana scorsa. Purtroppo, ero KO con l'influenza.
Adesso che sto meglio, dovrei riuscire ad aggiornare un capitolo a settimana. Grazie di tutto cuore per chi è passato a leggere e, soprattutto, a chi si è fermato per lasciare un commento. Siete gentilissimi!


Buona Lettura! ^^

Furono i raggi di Sole che filtravano dal fitto tetto delle fronde a svegliare Till, il mattino dopo.
Non era la prima volta che si trovava a dormire sulla nuda terra, e si trovò anche più riposato del previsto. I rami ed i rovi avevano schermato bene l’alcova dalla pioggia e il fuoco aveva fornito tutto il calore necessario, mentre il picchiettare delle gocce sulle foglie aveva offerto un gradevole sottofondo al suo riposo.
Nello sgranchirsi le membra, gettò un occhio al di là della brace per valutare le condizioni dello sconosciuto, ma non trovò grandi cambiamenti. Giaceva ancora dove lo aveva lasciato la sera prima, avvolto nel mantello e con le membra del tutto abbandonate, come un burattino a cui avessero tagliato i fili. Il respiro era lento e regolare, come di chi dorme un sonno profondo dopo essere rimasto del tutto privo di forze. Un’impressione corroborata dalla posizione del capo, reclinato su una spalla come se il collo non fosse in grado di sostenerlo, con l’impacco che era scivolato a terra, rivelando un viso provato dalla sofferenza e di un pallore innaturale, ma del tutto privo dei segni della febbre.
Nell’osservarlo, Till si sorprese a provare un certo coinvolgimento nei suoi confronti. Nulla di speciale, né di troppo intenso. Forse, se fosse stato prono a moti d’animo di quel genere, avrebbe potuto definirlo come una sorta di tenerezza che la condizione del giovane gli suscitava. Un non meglio specificato istinto di protezione, qualcosa dentro di lui gli diceva che, qualunque cosa sarebbe accaduta nel suo prossimo futuro, lo riguardava direttamente e quel giovane avrebbe avuto un ruolo fondamentale nei suoi giorni a venire.
Till storse il naso: non era abituato a sentirsi legato a qualcuno, specie in modo tanto repentino, eppure, gli sembrava una cosa del tutto naturale, come se davvero non avrebbe potuto essere altrimenti.
Un bisogno altrettanto naturale iniziò a farsi sentire con un’urgenza sempre più pressante, riportandolo al mondo reale. Distolto dalle sue riflessioni, Till si scostò il ciuffo dalla fronte con uno scatto del capo e si avviò all’esterno per dare sollievo a quel bisogno e, magari, recuperare anche qualcosa da mangiare.

La pioggia aveva rinfrescato l’ambiente, e il bosco emanava un sentore di fresco e di pulito che lo spinse a trarre un respiro profondo, espandendo l’ampio torace per riempirsi i polmoni delle fragranze di pino ed erba intrisa di rugiada. Constatò che si trattava di una frescura gradevole, di quelle che preannunciavano una serena giornata di sole, e questo lo mise in una disposizione d’animo migliore rispetto alla notte precedente. Dopo tanti anni di carriera come soldato di ventura, ancora mal sopportava il freddo e l’umidità, soprattutto. Dopo il nubifragio della sera prima, una giornata serena sarebbe stata una piacevole alternativa.
Allettato da quella prospettiva, Till stava rassettandosi i calzoni quando un sommovimento nel sottobosco alle sue spalle attrasse la sua attenzione. Dal frusciare delle felci si materializzò un fagiano grosso quasi quanto la sua testa, che si fermò a un braccio di distanza e sopravvento.
A quella distanza, per lui, agguantarlo e spezzargli il collo sarebbe stato uno scherzo ma, prima che riuscisse a muoversi, una volpe s’avventò di colpo sul volatile e scomparve nella boscaglia, defraudandolo del suo pasto.
D’istinto, Till prese ad inseguirla, con l’intenzione di riprendersi il maltolto anche a costo di usare la forza. Rincorse l’animale fino alle pendici di un grosso faggio, dove dovette arrestarsi di colpo.
La volpe che glielo aveva sottratto – un grosso maschio, vedeva ora – era attesa da una di poco più piccola, la femmina, che aveva alle calcagna due volpacchiotti, forse gli stessi che aveva intravisto la sera prima.
‘Poco male.’ Pensò, con un’alzata di spalle ‘E’ la vita che perpetua la vita.’
Decise di lasciar perdere il fagiano, ragionando che, tutto sommato, le volpi avevano forse più diritto di lui di cacciare nel bosco dove abitavano, e s’avviò in cerca di altro cibo.
Poco mancò che v’inciampasse dentro ma, quando in mezzo al fogliame vide un uovo di dimensioni ragguardevoli, non esitò a raccoglierlo.
Non assomigliava a nulla che avesse mai visto in vita sua: più che un vero e proprio guscio era coperto da una sorta di lamina iridescente, in cui riuscì ad intravedere il proprio riflesso. Soppesandolo tra le mani, dedusse che ne avrebbe ricavato un pasto abbondante per sé e anche per lo sconosciuto, se avesse avuto fame al suo risveglio.
“Chissà se è commestibile.” Si domandò, studiandolo con attenzione come in cerca di una qualsiasi minaccia nascosta. Al di là della colorazione insolita e delle dimensioni, tuttavia, sembrava in tutto e per tutto un uovo normalissimo, quindi scrollò le spalle e se lo mise sottobraccio: “Tanto, cotto è buono tutto.” Commentò tra sé, avviandosi in direzione del rifugio dove aveva passato la notte.

Non avendo mai visto un uovo di drago in vita sua, Till non poteva certo essere in grado di riconoscerlo nel momento in cui se l’era ritrovato tra le mani.
Se, però, si fosse soffermato sul posto in cui l’aveva raccolto solo qualche minuto in più, l’individuo che, in seguito al suo passaggio, si ritrovò a mettere a soqquadro tutta la zona sarebbe stato ben felice di fornirgli qualche delucidazione in merito. In un crescendo di disperazione l’uomo, una persona all’apparenza normalissima, con una fulva chioma rossiccia e un fioretto dall’apparenza dismessa alla cintura, continuò a rovistare nel sottobosco per diverso tempo.
Quando, alla fine, si rese conto che non avrebbe trovato quello che stava cercando, sedette sconsolato con la testa tra le mani. Dato che non aveva ancora trovato un altro esemplare della sua specie che vi soffiasse sopra il Respiro della Vita, quell’uovo era comunque sterile, ma dovevano passare ancora molte lune prima che riuscisse a crearne un altro, e le speranze di perpetuare la sua stirpe si riducevano con il passare del tempo.
Sconsolato, Pyronyxious ver Donar Sulfura Solarynth, drago sotto spoglie di uomo, si prese la testa tra le mani, scuotendola senza sosta per lo sconforto.
 


All’interno, l’uovo misterioso aveva un colore del tutto normale e il profumo che emanava mentre sfrigolava nella padella, con un po’ d’erba cipollina e qualche fungo a guarnirlo, era tanto invitante da far brontolare lo stomaco di Till.
Anche il giovane sconosciuto non rimase indifferente. Mentre la frittata iniziava ad assumere un bel colore dorato, lo vide muoversi nel suo giaciglio e, a poco a poco, riaprì gli occhi.
Sbatté le palpebre, come se fosse confuso nel vederlo ancora lì, ma doveva ricordare abbastanza dalla sera prima, perché gli rivolse un timido cenno di saluto, a cui Till rispose alzando una mano, senza distogliere gli occhi dal fuoco.

Jonah si sentì ridestare da un vivace crepitio di fiamme e da un profumo intenso che aleggiava nei pressi di dove era disteso. Sentiva i muscoli ancora doloranti e le articolazioni lasse, impossibili da muovere. Non poteva dire di non aspettarselo: l’attacco della sera prima era stato intenso, uno dei peggiori negli ultimi mesi, i postumi non avrebbero potuto essere più lievi.
A fatica, riuscì ad aprire gli occhi e, dopo qualche istante, riconobbe l’uomo che l’aveva accudito la sera prima. Trovarlo ancora lì, per giunta incolume, fu una sorpresa enorme, ma ne fu felice. Per qualche motivo a lui ignoto, si sentiva tranquillo in sua presenza, in un certo senso, era come se fosse sempre stato lì con lui. La sua corporatura massiccia e la postura, leggermente incurvata per adattarsi alle dimensioni anguste del loro rifugio improvvisato ma solida, quasi fosse un monolite d’ossidiana anziché un essere umano in carne ed ossa, gli sembravano familiari come se lo conoscesse da una vita, e non da pochi istanti in cui si erano intravisti, poche ore prima.
Con uno sforzo immenso, rispetto alla dimensione del gesto, riuscì a sollevare appena una mano per salutarlo, e l’altro gli rispose allo stesso modo.
I suoi occhi chiarissimi erano illuminati, senza tuttavia riceverne calore, dalle fiamme, che sembravano assorbirne del tutto l’attenzione. La sua voce colse Jonah del tutto di sorpresa, dunque, quando si sentì domandare: “Come ti senti?” Un tono asciutto, pacato, come se gli stesse chiedendo del tempo, ma non privo di un genuino interesse nei suoi confronti.
Il giovane fece per rispondere ma aveva la gola molto secca, e venne sopraffatto dalla tosse. Prima ancora che se ne rendesse conto, con un’agilità affatto scontata per una figura tanto possente, l’altro gli si fece vicino, sovrastandolo con la sua mole. Senza dire nulla, gli sollevò la nuca con una mano e lo aiutò a prendere qualche sorso d’acqua dalla propria borraccia.
Quando ebbe bevuto a sufficienza, Jonah alzò lo sguardo ad incontrare quello gelido del suo inaspettato soccorritore. Si sorprese nel sentirsi al contempo in soggezione e rassicurato da quella presenza tanto cupa e massiccia. Come se in qualche modo fossero destinati ad incontrarsi.
“Grazie.” Sussurrò, con il poco fiato che riuscì a raccogliere.
L’altro gli rivolse un secco cenno del capo, prima di tornare a sedersi dall’altro capo del fuoco. Alla luce delle fiamme, Jonah notò che aveva tre piccole pietre incastonate sul sopracciglio sinistro: una rossa, una grigia ed una ocra. Per qualche motivo, basto che vi posasse sopra lo sguardo per avvertire una scarica di dolore che gli trafisse il marchio, costringendolo a rannicchiarsi per il dolore.
Allertato da quel movimento improvviso, l’altro aveva già messo mano all’impugnatura della spada, e s’affrettò a rassicurarlo: “Non preoccuparti. Non succede nulla.”
Till alzò un sopracciglio sospettoso: “Non è che quell’affare poi mi salta addosso appena giro le spalle?”
Sorpreso, Jonah sobbalzò: “L’hai visto?”
L’altro, però, si limitò a scrollare le spalle: “Non l’ho proprio visto. L’ho percepito, se così si può dire.”
Strofinandosi il collo con le dita, il giovane annuì: “Se si è manifestato, o ha provato a farlo in qualche modo, e sei ancora qui, allora non hai nulla da temere. Se avesse potuto nuocerti, l’avrebbe fatto in quel momento.”
“Ne sei sicuro?” Lo incalzò il guerriero, sospettoso “Come faccio a sapere che non mi stai ingannando?”

A malincuore, Jonah si risolse ad abbassare il colletto della tunica, scoprendo il collo e parte della spalla destra. Till dovette sporgersi per vederlo bene ma, alla luce del fuoco, vide uno strano segno che si stagliava sulla carnagione lattea del giovane come fosse incastonato nella carne. Troppo spesso per essere un tatuaggio e troppo scuro per essere una cicatrice, sembrava quasi che avessero grattato via la pelle per inciderlo. Sembrava infiammato come appena fatto, ma al contempo antico, come fosse lì da sempre. Si trovò ad aggrottare le sopracciglia, per cercare d’indovinarne la forma: gli apparve un groviglio di linee curve, intrecciate come rovi che tentavano di avvilupparsi attorno al collo del giovane, per soffocarlo.
“Che cos’è?” Si ritrovò a chiedere, ancora prima di rendersene conto.
Lo sguardo negli occhi verdi dell’altro si fece, se possibile, ancora più triste: “Il marchio del demone.” Rispose, pronunciando le parole a fatica, come se farlo gli causasse un enorme dolore “Lo ha fatto quando si è legato a me, anni fa, contro la mia volontà.” Dovette soffermarsi a riprendere fiato, e s’abbandonò sul suo giaciglio improvvisato, sopraffatto, con la mano che ancora stringeva la spalla. Le parole gli uscirono come un torrente, senza che fosse in grado di porvi freno: “Credevo fosse un mendicante. Sono un devoto della Chiesa di Shuva, avevo appena intrapreso il percorso per diventare paladino… il mio Credo m’imponeva di curarlo e così ho fatto. Mi si è avventato contro… Da quel giorno non fa che darmi il tormento. Ha fatto molto male a molte persone, senza che potessi impedirlo…” La voce gli morì in gola, e s’accasciò a terra, sconvolto dai ricordi.

Till rimase per qualche istante in silenzio, riflettendo su quanto aveva appreso.
Non aveva mai sentito di demoni che prendessero, in toto o parzialmente, possesso di esseri umani, ma non aveva nemmeno mai voluto approfondire più di tanto la materia. Ad ogni modo, il suo istinto, corroborato da quella sensazione di naturalezza che lo accompagnava dalla sera prima, gli suggeriva che poteva fidarsi di quel povero disgraziato, per quanto strana fosse la sua storia. C’era, comunque, in quel segno che gli aveva mostrato, qualcosa che non riusciva a spiegare e che lo spingeva a propendere per il fatto che gli aveva raccontato la verità, per quanto assurda gli potesse sembrare.
“Va bene.” Concluse, scostandosi il ciuffo dalla fronte con le dita “Ti credo.”
Rasserenato, Jonah trasse un sospiro di sollievo: “Grazie per la tua fiducia... Perdonami, non ho nemmeno chiesto il tuo nome.”
“Till.” Rispose il guerriero, tendendo la mano oltre il fuoco, che sembrò aprirsi per lasciarla passare “Dalle Montagne del Nord.”
Jonah strinse la mano del guerriero nella propria: “Io sono Jonah, dalle Terre dell’Est. Sono in viaggio verso la città di Irladÿs.”
Till alzò un sopracciglio: “Vai al Tempio di Shuva?”
Sentendosi rincuorato, il giovane sorrise: “Sei anche tu un credente?”
“No.” Lo raggelò l’altro, secco “Non ho mai avuto motivo di credere che esista una qualche entità superiore e, se dovesse essercene una, sono convinto che si faccia bellamente i cazzi suoi senza curarsi di noi.”
Con sua grande sorpresa, anziché rifilargli un predicozzo sulla dannazione eterna e la mancanza di Fede, il giovane accolse le sue parole con un cenno del capo, senza smettere di sorridere: “Grazie per essere stato sincero. Lo apprezzo molto, davvero.”
“Non vuoi farmi una predica sulla Vera Fede, la Purezza e quant’altro?”
“Non sta a me giudicare.” Si tirò, a fatica, un po’ su con il gomito “Ora, non posso certo dire di conoscerti. So solo che non avevi motivo di fidarti di me, ma ti sei avvicinato, mi hai offerto da bere dalla tua borraccia e ti sei occupato di me mentre ero incosciente. Mi basta questo per capire che, a modo tuo, sei una brava persona. In cosa credi… o non credi è affar tuo.”
Till diede un grugnito d’assenso: “Ecco. In questo caso credo che la frittata sia pronta e che sia ora di toglierla dal fuoco.” Tolse la padella e versò la frittata, ora di un bel colore dorato, in una scodella di terracotta che aveva visto giorni migliori.
“Vuoi favorire?” Chiese, porgendola al giovane.
“Volentieri.” Rispose l’altro, tirandosi a sedere. Recuperò il suo zaino e tirò fuori alcune delle provviste che gli avevano regalato i contadini il giorno prima: un trancio di carne salata e del formaggio semi stagionato.

Li porse al guerriero che, da una qualche parte nascosta della giubba, estrasse un coltellaccio con cui fece le porzioni. Mangiarono in silenzio, come vecchi compagni d’armi.
Nonostante l’uovo di provenienza incerta, la frittata si rivelò ottima: leggera e saporita, anche un po’ filante. Finito di mangiare, Till mostrò a Jonah i resti del guscio, ma nemmeno il giovane devoto di Shuva fu in grado di riconoscerlo.
Gettarono i resti del pasto nella brace e il guerriero vi passò sopra il palmo per generare una fiamma azzurrognola, che incenerì tutto senza lasciare traccia. Jonah, che stava raccogliendo i suoi pochi averi, lo guardò incuriosito ma si trattenne dal fare domande, intuendo che non sarebbero state gradite.
Fu Till a uscire per primo dall’angusto rifugio, seguito dal giovane.
Una volta fuori, sistemarono le proprie armi e gli scarsi bagagli, per poi incamminarsi insieme all’interno del bosco.
  
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