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Autore: Bruhduck    26/10/2023    0 recensioni
Mondo di sofferenza: eppure i ciliegi sono in fiore (Kobayashi Issa)
Tra lotte all'ultimo sangue, bande rivali, amicizie e tradimenti, poco spazio viene lasciato a coloro che, pur essendo in stretto contatto con questo mondo, ne restano ai margini come spettatrici: le donne.
Vediamo quindi i sentimenti, le storie, i segreti delle persone che spesso vengono emarginate dalle dinamiche maschili, ma che, insieme ai ragazzi, soffrono, piangono e lottano, pur di raggiungere i propri obiettivi e la propria felicità.
- Hinata Tachibana: Per un altro giorno ancora.
- Emma Sano: Buongiorno!
- Yuzuha Shiba: Ora puoi riposare.
- Senju Kawaragi: Nascondersi.
- Akane Inui: bruciano l'amore, i desideri, le fiamme.
- Hasegawa: luoghi mai raggiunti, sogni mai sperati.
- Yumi Mori: Leonessa, farfalla.
Genere: Hurt/Comfort, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shoujo-ai | Personaggi: Emma Sano, Hinata Tachibana, Senju Kawaragi, Yuzuha Shiba
Note: Missing Moments, Raccolta, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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Yumi Mori ● Leonessa, farfalla

Ai tempi dell’asilo, era forte. La più forte di tutti. Più forte dei maschi, anche di quei due piccoli aspiranti delinquenti che attaccavano briga con tutti. Si facevano chiamare Pah e Peh e, per qualche ragione, il loro passatempo preferito era fare a botte con chiunque capitasse loro a tiro. La maggiorparte delle volte vincevano, ma solo perché erano sempre in coppia, e chiaramente un solo bambino non poteva nulla contro due.
Per questa ragione, Yumi, un giorno, aveva deciso di dar loro una bella lezione, e aveva deciso di sfidare solo uno dei due, dandogli appuntamento nel cortile, dopo pranzo.
Aveva scelto il più piccolo dei due, Peh, poiché, nonostante fosse palesemente più debole del suo amico, era quello che se la tirava maggiormente, e ciò la infastidiva parecchio. Lo avrebbe riportato con i piedi per terra.
“Cosa? Scordatelo!” Aveva ribattuto acidamente Peh, con la sua aria da cane inferocito. Certo che si impegnava davvero a fare quelle smorfie assurde, ma Yumi non era una che si lasciava facilmente impressionare.
“Sì, infatti, scordatelo!” Gli aveva dato man forte quello più robusto, Pah, sogghignando. “Sei una femmina! Noi combattiamo solo con i veri uomini. Giusto, Peh?”
L’altro annuì energicamente, incrociando la braccia al petto, e fissandola con un sorrisino derisorio davvero fastidioso.
Yumi, a quel punto, avrebbe voluto tirare loro un bel pugno seduta stante, ma si era trattenuta, riservando il meglio per dopo, e aveva giocato la sua carta vincente.
“Oh, davvero?” Disse, fingendosi sconsolata. “Non ditemi che avete paura? E’ così, ve la fate sotto a pensare di dover combattere con me!”
La bambina potè vedere il momento esatto in cui, negli occhi dei due ragazzi, si accendeva una fiamma ardente. Yumi sorrise: era fatta, il loro orgoglio da aspiranti delinquenti era stato ferito, e solo una vittoria avrebbe potuto risanarlo.
“Tsk, come se una femmina potesse batterci!” Ringhiò infervorato Pah. “Peh, fagliela vedere, d’accordo?!”
“Non ti preoccupare.” Rispose Peh, anche se, guardando meglio la corporatura dell’avversaria, sembrava meno convinto rispetto a prima. “E va bene, facciamolo! Ma poi non andare a piangere dalla maestra, okay?”
Yumi allargò il proprio sorriso, mostrando i denti. “Non farlo tu.”
 
Il combattimento durò pochi minuti, e in quel lasso di tempo fu solo Peh a prenderle. Mentre il ragazzo giaceva a terra, rotolandosi nella polvere e abbracciandosi lo stomaco, con Pah a fianco che cercava di aiutarlo, Yumi torreggiava vittoriosa su di loro, le mani sui fianchi, un sorriso selvaggio sul viso, e nel cuore una grande fierezza nell’aver finalmente messo in riga quei due attaccabrighe.
Nonostante l’umiliante sconfitta, Peh, non si arrese e continuò a sfidarla, praticamente quasi tutti i giorni, nella speranza di sconfiggerla; speranza che, tuttavia, veniva puntualmente annientata dai pugni distruttivi di Yumi, la quale continuava a mantenere il proprio posto di “bambina più forte della scuola”.
Erano arrivati ad un punteggio di 0-20 a favore di Yumi, quando anche Pah, urlando che era solo un’imbrogliona, si aggiunse alla sfida tra i due bambini. Erano due contro uno, ma la vittoria andò ancora una volta alla bambina, la quale lasciò gli altri due piangenti in mezzo alla strada e senza pantaloni senza troppe difficoltà.
Yumi Morita era una ragazza robusta: aveva preso questa costituzione dal padre, ex pugile, che adesso lavorava come muratore, e che le aveva, fin dalla tenerissima età, insegnato come difendersi, come e dove colpire, quanta forza metterci. Che poi lei usasse questi insegnamenti non tanto per autodifesa, quanto per prendersi gioco di quei due idioti, era un dettaglio secondario.
Ma d’altronde, lei non stava facendo nulla di male, no? Anzi, stava solo evitando che quei due si montassero troppo la testa, credendo di essere troppo forti, per poi magari andare a sfidare qualcuno che non era alla loro portata, e lasciarci così le penne. Lo faceva anche per il loro bene!
E poi era divertente. Alla fine la loro rivalità era diventata qualcosa di più amichevole. Le loro lotte erano ciò che li intratteneva durante le lunghe e altrimenti noiose pause pranzo; tutti e tre erano sempre pronti, carichi per una nuova sfida, combattevano col sorriso sulle labbra e, nonostante Pah e Peh, alla fine, erano sempre conciati mali, non le chiedevano mai di smettere, ma la guardavano con una fiamma che bruciava negli occhi e dicevano a gran voce: “Non ci arrenderemo mai! Domani te la faremo vedere!”
E il tutto ricominciava.
Almeno, fino al giorno in cui non fu costretta a trasferirsi. La nonna era malata, ma viveva da tutt’altra parte di Tokyo rispetto a dove erano loro. Essendo un’anziana vedova che viveva da sola, i genitori aveva ritenuto opportuno starle vicino, e quindi trasferirsi in una casa poco distante dalla sua abitazione, per essere sempre disponibili in caso di bisogno.
Le maestre s’impegnarono molto per rendere la festa d’addio più allegra possibile, decorando la classe con una grande quantità di fiori di carta colorati e portando cibi e bevande per tutti i gusti. Ma Yumi proprio non riusciva a risollevarsi il morale, un groppo in gola le rimase per tutta la mattinata, impedendole persino di mangiare la torta al cioccolato che avevano preparato per lei, la sua preferita.
“Che vuol dire, Yumi Mori?!” Le aveva urlato contro Pah, una volta entrato in classe.
“Infatti!” Disse Peh, incredulo. “Te la squagli quando sei in vantaggio, non ha senso!”
“Ci riaffronteremo di sicuro un giorno.” Disse loro Yumi, solennemente. “Fino ad allora, non perdete.”
I due bambini annuirono, guardandola seriamente. Era appena stata sancita una promessa, una promessa infantile, che non sarebbe mai stata mantenuta. Perché quando i tre bambini si rincontrarono, sei anni, dopo, alle scuole medie, Yumi Morita era cambiata.
 
Yumi aveva sempre pensato a sé stessa come a una leonessa: forte, aggressiva, che non si tirava mai indietro, che combatteva con le unghie e con i denti per ottenere la vittoria.
Tuttavia, il giorno in cui cominciò a frequentare le scuole elementari, poco dopo essersi trasferita, sua madre la guardò e le disse: “Niente più risse, d’accordo Yumi? Non è così che una signorina si comporta.”
Non comprese del tutto le parole della madre, quel giorno, ma comprese il concetto ben presto. Lo comprese quando la madre cominciò a prendere seri provvedimenti contro di lei per le sue continue risse a scuola, e anche contro il padre, che le aveva insegnato quel genere di cose.
“A chi credi che possa piacere una ragazzina che fa a botte?” La sentì dire una volta al padre, durante una litigata.
Da allora anche il padre cominciò a rimproverarla: laddove una volta era fiero di lei per le sue vittorie, adesso si comportava come sua madre, sempre pronto a sgridarla qualsiasi cosa facesse.
Con il passare del tempo, Yumi abbandonò i suoi comportamenti maneschi, imparando a non alzare più un dito su nessuno, anche se, a volte, guardava con invidia i maschi fare a botte: era come un gioco per loro, come lo era sempre stato per lei, ma a loro nessuno diceva niente, mentre a lei quel gioco era ormai precluso.
Con il tempo, la sua famiglia ebbe anche da ridire sul suo atteggiamento, troppo “rozzo” e da maschiaccio, a loro dire. Imparò a parlare in modo molto più educato, dopo tutte quelle sgridate, spesso modulando la voce per renderla più acuta, molto diversa dalla sua voce naturalmente profonda e un poco roca.
Si passò poi al vestiario: sua madre le diceva che stava crescendo, che non poteva più infilarsi quei pantaloni larghi e sfilacciati, e che doveva stare attenta a non sporcarsi gli abiti, soprattutto nel giocare. Le infilava spesso vestitini e gonne, che lei ripudiava, ma che era spesso obbligata a indossare, sentendosi tremendamente a disagio.
Yumi, però, era una ribelle nata e, dopo un po’, fece seriamente sentire la sua voce in tutta quella situazione, lamentandosi degli atteggiamenti soffocanti della famiglia.
“Yumi, ascolta, so che è difficile da capire per una bambina.” Le disse sua madre un giorno, con aria seria, afferrandola per le spalle, china davanti a lei. “Ma ci sono cose che non sono accettabili da parte di una ragazza, d’accordo? Le signorine si devono comportare in certo modo per essere accettate, altrimenti ti prenderanno tutti in giro, te ne rendi conto? Lo conosci il detto, no? Il chiodo che sporge va preso a martellate. Se non ti correggo io adesso, lo farà qualcun altro, e farà male, credimi.”
Yumi la guardò confusa, quasi sul punto di piangere. Sua madre non era la persona che più di tutti doveva capirla? Allora perché stava cercando di soffocarla? A Yumi non importava nulla di cosa gli altri pensassero di lei, dunque perché a sua madre, invece, doveva importare così tanto?
Sua madre le sorrise, ma il suo era un sorriso triste, rassegnato.
“So che è difficile, ma tutte ci dobbiamo adattare. Alle persone le ragazze forti non piacciono, è questa la verità. Scusami, Yumi. Pensa a te stessa come ad una farfalla, d’accordo? Una farfalla bella e fragile. Comportati così, e vedrai che nessuno avrà nulla da ridire.”
E così aveva fatto. Una farfalla bella e fragile. Si era presa cura del suo aspetto e adesso non incuteva per nulla il timore che provocava un tempo, con la sua corporatura massiccia: adesso era una normale ragazzina come tante, gracile e delicata, dall’aspetto dolce e indifeso.
Adesso non dimostrava la sua forza, la teneva ingabbiata dentro di sé, fingendo di essere una debole, innocente studentessa.
Non aveva mai perso la sua vena sarcastica e un po’ irriverente, ovviamente, ma il resto era scomparso, volatilizzato. La vecchia sé sepolta sotto la facciata delle tipica studentessa carina e coccolosa.
E, in effetti, si accorse che in quegli ultimi anni, con quel suo atteggiamento, aveva attirato l’attenzione di moltissimi ragazzi, che avevano preso a farle la corte. Davvero doveva essere debole e carina per essere accettata da qualcuno? Era davvero così che funzionava?
Yumi chinò la testa e lo accettò. D’altronde, non poteva fare nulla contro la mentalità di una società intera, giusto?
Per questo motivo, quando incontrò di nuovo Pah e Peh, deboli come al solito, non ci fu la lotta che si erano promessi tanti anni prima. Lei ormai era cambiata, non era più l’“Imbrogliona Yumi Mori”, come a quei due piaceva chiamarla, era solo una ragazzina come tutte le altre.
E d’altra parte, ai due ragazzi non era neanche passato per la testa di riprendere quella sfida lasciata in sospeso: avevano altro in testa e colpire una normale studentessa, che era diventata palesemente molto più debole di loro, era decisamente l’ultima cosa che desideravano fare.
Quando Yumi aveva diciotto anni e frequentava l’ultimo anno di liceo, s’interessò ad un ragazzo innamorato di lei da po’ di tempo, ma che la ragazza notò solo in seguito.
Si chiamava Hiroshi. Era una persona gentile e alla mano, di buona famiglia, voleva diventare architetto. Era un ragazzo che dedicava gran parte del suo tempo allo studio, il resto lo consacrava al club di basket, di cui era anche capitano. Insomma, un ragazzo perfetto, tanto che furono stessi genitori di Yumi a spingere affinché la loro relazione si trasformasse in qualcosa di più rispetto all’amicizia.
Poco prima del diploma, questo passo in più venne finalmente compiuto, e i due annunciarono pubblicamente la loro relazione ad amici e parenti.
“Tu con quel pallone gonfiato? Vorrai prendermi in giro?” Fu il commento di Pah-chin quando venne a saperlo. Durante gli anni del liceo, si erano ritrovati nuovamente nella stessa scuola, e avevano stretto amicizia. Non quel tipo di amicizia in cui uscivano sempre insieme, si confidavano tutto, eccetera, ma pur sempre un’amicizia. Sapevano di poter contare l’uno sull’altra e faceva loro piacere passare del tempo assieme, ogni tanto.
“Non dovresti essere felice per me, scusa?” Ribattè seccata Yumi. “E poi, pallone gonfiato? Lui? Ma ti sei visto tu, Haruki? Sei tu quello che va in giro come se tutta Shibuya gli appartenesse e che si vanta tanto di essere bravo con gli affari dell’azienda di famiglia. Lui è un ragazzo con delle grandi capacità e ne è consapevole, punto e basta.”
Pah-chin le lanciò un’occhiataccia, non sapendo bene come rispondere. Rimasero in silenzio per un po’, finchè lui, sospirando pesantemente, disse: “L’ho sentito parlare, sai? Quello ti sfoggia in giro come un premio. Ti vuole trasformare nella sua mogliettina perfetta, e nient’altro, Yumi. Non ti tratterà mai come si deve.”
“Che vuoi dire?”
Pah-chin la guardò seriamente e Yumi si irrigidì. Pah-chin non era mai stato un genio, lo sapevano tutti, ma c’erano volte in cui dimostrava di essere ben più di un semplice ragazzone tutto muscoli, ed era quando sfoggiava quello sguardo. Lo sguardo che aveva solo in due occasioni: quando doveva concludere un affare in agenzia immobiliare e quando doveva proteggere qualcuno di caro.
“Da quando sei diventata così debole, Yumi?” Le disse con rammarico. “Una volta eri forte, non ti facevi mettere sotto da nessuno. Come una specie di leonessa. E invece guardati adesso… Dio, sembri una di quelle ragazzine degli anime tutte carine e tenere, senza manco un po’ di spina dorsale.”
Yumi lo ascoltò in silenzio, senza dire una parola o muovere un dito. Non ribattè, perché non aveva nulla da dire. Semplicemente, sapeva che Pah-chin aveva ragione.
 
Trascorse all’incirca un anno e, con l’avanzare della relazione tra Yumi e Hiroshi, quest’ultimo si fece venire sempre più dubbi. Spesso e volentieri criticava Yumi per il suo “non essere abbastanza gentile”, lamentandosi del fatto che questo lo mettesse a disagio.
Yumi non capiva: era la stessa di sempre, che problema poteva esserci?
In un discussione privata molto imbarazzante, Hiroshi le confidò che non si sentiva a suo agio a stare con una ragazza così sicura di sé. Yumi aveva grandi ambizioni: era iscritta alla Facoltà di Economia, e aveva già dato alcuni esami dai risultati brillanti. Era un ragazza sveglia e indipendente, che non aveva nessuna paura a fare qualcosa da sola; inoltre, era sempre lei quella della coppia a prendere l’iniziativa, che si trattasse di uscire, di dove andare in vacanza, di cosa comprare, nelle questioni di letto.
Hiroshi lamentava di sentirsi, in qualche modo a Yumi oscuro, soffocato dalla sua presenza così sicura e attiva, oltre al fatto che non gli piaceva il suo carattere naturalmente sarcastico e energico. Yumi, offesa al limite, nonostante sapesse che per portare avanti la relazione avrebbe dovuto restare calma e cercare di mitigare il suo comportamento, non gliela diede vinta, e trovò le parole per ribattere a quelle critiche senza senso.
La discussione si era trasformata in un litigata, che era continuata anche nei giorni successivi, culminando infine con la rottura definitiva della coppia.
 
Nonostante sapesse che la rottura con Hiroshi non le aveva fatto altro che bene, Yumi si sentiva triste: aveva deluso le aspettative di tutti, aveva mandato all’aria una relazione con un bravo ragazzo per cose da niente, cose che si sarebbero potute risolvere.
E, in quel periodo un po’ buio, la persona che la consolò più di tutte fu quella da cui si aspettava meno empatia.
“So che sembra brutto da dire, ma hai fatto bene, credimi.” Le disse Pah-chin, mentre sorseggiava un po’ di Coca Cola dalla sua lattina. Erano seduti sulla sponda del fiume, osservando annoiati lo scorrere dell’acqua.
Yumi si prese un po’ di tempo prima di rispondere.
“Hai detto che una volta ero come una leonessa, ed era così che mi piaceva vedermi. Però, un giorno, mia madre mi ha detto di essere come una farfalla. O non sarei piaciuta a nessuno, crescendo. Perché alla gente le donne forti non piacciono, e ne ho avuto la conferma tante volte. Anche adesso.”
“Non è vero. A me quelle forti piacciono.” Disse deciso il ragazzo. Arrossì quando poi si accorse di aver detto troppo. Yumi lo fissò, perplessa, e allora lui capì di dover continuare per forza.
“A me piaci, Yumi.” Distolse lo sguardo mentre lo diceva, imbarazzato. Yumi aveva sempre pensato che l’aggettivo “adorabile” fosse quello che meno si adattava a Pah-chin, eppure in quel momento non potè che definirlo mentalmente in quel modo.
 “Non penso che tu debba fingere per essere apprezzata. Sei bella e sei forte. Puoi essere entrambi, che problema c’è?”
Yumi gli sorrise, grata. Quella di prima era una confessione, vero? Beh, non aveva mai pensato a Pah-chin, in realtà, ma ci sono certe realizzazioni che arrivano tardi, no?
“Hai detto qualcosa d’intelligente, Pah-chin!”
“E-ehi!”
Alle proteste di Pah-chin, si aggiunse la risata di Yumi. Fragorosa, sguaiata, senza freni, come piaceva a lei. Yumi, per la prima volta dopo tanto tempo, si sentì libera.
 
 
 

Note: Se l’ho messa dopo Hasegawa è perché inizialmente non avevo intenzione di includerla nella storia, poi, grazie ad un edit di TikTok, mi sono ricordata che esiste. Scusami, Yumi
Per chi, giustamente, non si ricorda di lei, Yumi Morita (o Mori) è la moglie di Pah-chin. Compare all’inizio dell’arco della Bonten e in un capitolo extra sulla storia di Pah-chin e Peh-yan (il capitolo 278.6, per chi è interessato.)
Come vediamo in questo capitolo, all’asilo, Yumi era una bambina manesca e robusta, ma, quando Pah-chin la rincontra alle medie, è completamente cambiata: mi sono quindi chiesta come possa essere avvenuto questo suo cambiamento radicale, e da qui è nata la storia.
   
 
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