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Autore: ___Page    30/10/2023    2 recensioni
«Sarai emozionata per il tuo primo Cahya Mera»
«Suppongo di... sì?» ribatté incerta Perona, voltandosi verso Ace in cerca di aiuto, ma il moro non sembrava saperne più di lei.
«È una nuova ricorrenza locale?»
«Nuova?» chiese conferma Yamato con una smorfia tra l'incerto e il divertito prima di venire colpita da un dubbio. «Aspetta, sei serio? Non sai cos'è il Cahya Mera?»
«È il festival di stasera Ace» venne in suo aiuto Izou ma con scarso successo.
«Festival...»
«Con la musica in piazza e le lanterne di carta»
«Okay mi dice qualcosa»
«Che c'è la luna rosa» intervenne Koala.
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«Mh» mugugnò Nojiko, finendo di asciugarsi le mani, prima di posarle sui fianchi con fare riflessivo. «Potresti provare»
«Che cosa?»
«A dimenticare» fece spallucce la barista. «Stasera è il Cahya Mera»
Ishley la fissò qualche istante prima di parlare. «Non sei seria»
«Perchè no? La Luna esaudisce i desideri stanotte, e il tuo è così sincero»
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Importante: trama del primo capitolo editata!
Genere: Comico, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Altro Personaggio, Izou, Jewelry Bonney, Portuguese D. Ace, Sabo
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Era come una zolletta di zucchero di quelle piccole e cubiche, rimasta incastrata tra le scaglie color biscotto delle case circostanti, dalla forma e architettura più tradizionale.
Ishley adorava quella casa che da fuori pareva quasi un giocattolo, adorava la punta di azzurro con cui era dipinta, il profumo al suo interno e la terrazza sempre fresca grazie alla grande tettoia che ne copriva la metà e a cui erano appese tre sedie sospese, che sempre si litigavano.
Non quella sera, certo.
Era rimasta a casa solo lei e aveva persino potuto scegliersela, la sedia sospesa. Con un bicchiere di the freddo in mano e il sapore dei biscotti all’avena di Satch ancora a solleticarle le papille, come il tappeto di erba sintetica le dita dei piedi, le sembrava quasi di essere in un resort cinque stelle.
L’aria era perfetta, croccante al punto giusto, con una leggera brezza al sapore salino a rinfrescare un caldo altrimenti cocente, la notte profumata e illuminata dalla luna calante e dalle luci della città.
Provare a guardare le stelle sarebbe stato inutile, lo era sempre dal Cahya Mera per un’intera settimana a seguire ma Ishley non se ne lamentava. Con lo sciabordio delle onde sulla battigia, si sarebbe anche potuta addormentare mentre dondolava appena nella piccola oasi domestica.
Era quasi perfetto.
Quasi.
La perfezione, comunque, era sopravvalutata e lei apprezzava da sempre le piccole cose della vita, già il fatto di riuscire a stare così era qualcosa di cui essere molto grati.
Senza fastidi, senza tensione, senza…
Si sollevò appena dal morbido cuscino in pula di farro, chiedendosi se si fosse solo immaginata il rumore di passi sulle scale, se fosse lo scricchiolare del parquet o un gatto che si era intrufolato nell’abitazione.
Era certa ci fossero più alte probabilità che si trattasse di un fantasma piuttosto che di un malintenzionato ma, accidenti, doveva essere un fantasma ben depresso a giudicare da come strascicava i piedi.
Ormai certa che a sorpresa qualcuno della compagnia doveva essere rientrato prima, e non per motivi ameni, si tirò ancora più su e, aggrappandosi alle corde di bambù intrecciato si voltò sbirciando da sopra lo schienale ricurvo verso la portafinestra di accesso alla terrazza.
Sarebbe tornata alla teoria del fantasma se non avesse saputo riconoscere quel volto anche al buio. E Sabo era così tirato e pallido che avrebbe preoccupato un estraneo, figurarsi lei.
«Ehi! Che succede?!­» si mise in ginocchio, facendo oscillare pericolosamente l’amaca ovale, ma restando ben salda. A ben guardare, aveva rischiato più Sabo di cadere per lo spavento del trovarsela lì.
«Ish»
Un soffio, niente di più, un’esalazione e quello che aveva visto il fantasma sembrava lui. Anzi no, non come se avesse visto un fantasma. La guardava come quella mattina, quando si era palesata in cucina dopo la doccia.
«Sì?»
«Non… non pensavo di trovarti qui» mandò giù a fatica mentre Ishley si accigliava.
«Davvero? Mi pareva di averlo detto, che rimanevo a casa»
«Ah. Ah s-sì, che idiota, ora che ci penso…­­»
L’espressione di Ishley si fece ancora più perplessa nell’osservare Sabo che apriva e chiudeva le mani con gesti quasi inconsulti, e scese cauta dalla sedia sospesa per avvicinarsi, con ancora più cautela. «Sabo, stai bene? Se… hai bisogno di parlare o di restare da solo, io…»
«No»
Ishley si immobilizzò al tono del ragazzo e solo per questo non fece un passo indietro.
«No?»   
 «No, io…» Sabo sospirò, poi tutta la facciata di tensione parve sgretolarsi, schiacciata dal peso di qualcosa che somigliava a disperazione. Si passò una mano sul viso, il volto contratto in una smorfia di fatica, mentre risollevava lo sguardo su di lei.  «Non sto molto bene in realtà ma non credo sia giusto farlo diventare un tuo problema»
Un egoista, ecco cos’era. Era solo un egoista. Come se non sapesse che Ishley si sarebbe preoccupata. Una delle creature più gentili e altruisite del pianeta e poi per lui, per lui… La sua preoccupazione per lui era da sempre… da sempre…
Come aveva fatto a essere così cieco?
«Sabo non dire cavolate! Parlami, se posso aiutarti»
Come aveva potuto ignorare per tutto quel tempo… Come aveva fatto a resistere a quel sorriso?  
«Siamo fratelli, no?»
Se lo avesse preso a sberle avrebbe fatto meno male, ma se lo avesse preso a sberle non gli sarebbero neanche venute le lacrime agli occhi come sperava non fosse appena successo a giudicare da quanto gli pizzacavano. Perché non era tanto essersi appena sentito definire “fratello” da lei, era essersi appena reso conto di quanto doveva averla fatta stare male, ogni volta che l’aveva definita sua “sorella”.
Aveva provato quello ogni singola volta? Come faceva a non odiarlo?
Illuso lui a credere che fosse difficile chiamarla “sorella”. Era infinitamente peggio sentirselo dire.
«È complicato, Ish» si allontanò di qualche passo da lei, muovendosi verso il centro del pergolato e colpendo con una gamba una delle sdraio. Ricacciò le imprecazioni in gola, tanto non faceva poi così male, il dolore al petto sovrastava tutto. «Non so neanche se capiresti»
«Perché? Si tratta di una ragazza?» aprì le braccia, lei, il tono quasi scherzoso, per poi ridimensionarlo subito di fronte al cambio di espressione di Sabo, che sembrava aver perso ogni talento recitativo mai avuto. «Oh, okay, è una ragazza, pessima uscita scusa. Però cioè dai! Almeno prova, magari invece posso aiutarti, sono una donna anche io sai?!»
Lo sapeva.
Sabo lo sapeva, lo aveva visto accadere, ne era consapevole molto più di quanto sarebbe dovuto esserlo, tutto il suo corpo era consapevole che Ishley fosse una donna.
E mai avrebbe reagito così alla notizia che lui poteva avere un serio problema di cuore prima di quella maledetta giornata. Così spensierata e piena di buone intenzioni.
Così… disinteressata.
«S-sì, lo so, ma è… complicato…»
«Okay… Se non vuoi nemmeno provare…»
«Ish è…»
«Complicato sì, mi pare di aver afferrato il concetto» lo interruppe monocorde, il tono più irritato di quanto avrebbe voluto. Delusa, ecco come si sentiva. «Sai cosa? È un problema mio, hai tutto il diritto di non voler parlare degli affari tuoi con chicchesia, e devo accettare che probabilmente non vuoi confidarti sulle donne con la tua sorellina, in realtà penso sia normale, è solo che siccome siamo nella stessa comp…»
«Si tratta di te, Ish!»
Egoista. Dannato egoista.
«M-me?» la guardò sbattere le palpebre, forse anche vacillare. Era tutto così complicato, ora, ed era tutta colpa sua. «Tu stai così per qualcosa che riguarda me, che è complicato e ci posso anche credere ora, e che potrei anche non capire. Perché non dovrei capire qualcosa che mi riguarda?»
Avrebbe voluto urlare, Sabo, ma sapeva di non averne diritto e si impose calma.
«Perché non sai che è successo»
«No certo che no, tu non me ne parli, quindi come potrei…»
«Intendo che è successo a te ma tu non lo sai perché non… lo ricordi»
«Non lo ricordo»
«No»
«Sono confusa. Se mi è successo perché non lo ricordo? Cos’è, ho picchiato la testa e…» Sabo la guardò distendere improvvisamente le sopracciglia e sgranare gli occhi. Avrebbe voluto così tanto poter ridere. Ishley lo faceva sempre ridere tanto, con la sua spontaneità. «Oh, oh santo cielo, non starai per dirmi che ho quella strana amnesia per cui ogni giorno il mio cervello si resetta e io ricomincio a vivere sempre dallo stesso giorno e ogni ventiquattro ore mi dimentico e in realtà ho tipo trentasette anni e penso di averne solo ventuno, può succedere! Ci hanno fatto anche un film!»  
Ishley riusciva a farlo ridere persino quando aveva solo voglia di piangere.
«Non prendermi in giro!»
«Non lo faccio!» alzò le mani in segno di resa. «Non lo faccio. Giuro. E non hai né trentasette anni né quella brutta amnesia» riuscì ad articolare ancora con il sorriso prima di perderlo di nuovo. «Tu hai espresso un desiderio al Cahya Mera, ma perché il desiderio fosse esaudito devi per forza aver dimenticato di averlo espresso»
Ishley lo guardò sinceramente interdetta per un lungo attimo, un attimo in cui a Sabo sembrò di scorgere un lampo di comprensione nei suoi occhi, ma era chiaro che fosse solo frutto della sua immaginazione.
Glielo stava dicendo. Glielo stava dicendo davvero. Egoista.
«Sembra complicato. Cosa potrei mai aver desiderato che richieda una manovra del genere?»
«Di dimenticare»
«Dimenticare?»
«Sì»
«Dimenticare qualcosa di generico tanto per vedere se funzionava o…»
Sabo prese un respiro. C’erano così tante cose che avrebbe potuto dire. Scuse, bugie. Ora che servivano non riusciva più a verbalizzarne neanche una. «Dimenticare me»
Il silenzio calò denso come poco prima in città, ma stavolta i rumori di sottofondo erano vividi in lontananza e Sabo forse avrebbe preferito smettere di sentire qualsiasi cosa perché ora, ora arrivava la parte davvero difficile. E Ishley, forse, per la prima volta in tutti quegli anni, lo avrebbe odiato sul serio.
«Ma io so perfettamente chi sei» asserì, ora serissima, avanzando di un passo verso di lui con espressione indagatrice e Sabo seppe di non avere più speranza di sfuggire. Neanche la voleva.
Ishley avrebbe capito e lo avrebbe odiato e andava bene così. «Quindi stiamo parlando di dimenticare qualcosa che ti riguarda»
«Sì, è… è così»
«E cosa?»
Sabo non avrebbe mai creduto che parlare potesse spaventarlo tanto. Sentiva le ginocchia molli, il pavimento della terrazza come sabbie mobili. Forse aveva anche bisogno di vomitare.
«Quello che provavi per me»
Non sapeva se Ishley lo aveva sentito. Si era sentito a malapena lui e la pausa di silenzio gli fece venire parecchi dubbi. Ma Ishley stava chiaramente riflettendo, non era in attesa di una risposta, stava rimettendo insieme i pezzi.
Per forza, perché era così intelligente e arguta lei.
Avrebbe rimesso insieme ogni cosa. Ogni cosa, tranne lui.
«Provavo qualcosa per te. Ho desiderato di dimenticarlo e ora, di conseguenza, non ricordo neanche di aver espresso il desiderio. E tu stai così per questo. Perché?»
Ora le sabbie mobili dovevano esserci davvero. Perché oltre a sentirsi sprofondare, Ishley gli sembrava altissima, come se fosse affondato di un metro abbondante.
«Ish…» provò a implorare ma in fondo sapeva di meritarlo. Per essere un egoista e per il karma e quella roba lì di cui non ci capiva poi molto nella teoria ma iniziava ad afferrarlo nella pratica.
«Se non lo dici mi lascerai dedurre una risposta che credo di avere indovinato, nel qual caso è indifferente che tu lo dica o meno, tranne che se lo dici fugherai ogni dubbio che io possa avere dedotto la risposta sbagliata. È la tua chance migliore, credimi»
«Merda, merda, merda» scosse il capo, allontanandosi di qualche passo come un leone in gabbia, per poi portarsi le mani nei capelli con disperazione e rabbia. Avrebbe voluto potersi picchiare da solo. «Ho rovinato tutto!»
«Sabo dimmelo!»
«Perché sono innamorato di te, Ish!»
Non aveva avuto intenzione di urlare ma non gli importava. Che lo sentisse il vicinato, tutta Waterwheel, il mondo intero. Che differenza faceva? L’unica a cui ormai era troppo tardi dirlo era davanti a lui.
La guardò vacillare e sperò fosse per l’urlo e non per un improvviso bisogno di scappare lontano da lui.
«Sono innamorato di te, da non so più nemmeno quanto» ammise, ormai sconfitto. Nascondere i dettagli non aveva senso tanto quanto dirli. «Non è iniziata subito ma con il tempo sei diventata così tante cose. Ti ho voluto bene dal primo momento ma poi sei diventata una confidente, la più fidata delle compagne, la mia…» strinse l’aria con le mani, mani irrimediabilmente vuote. «…la mia ancora. E ora perderò ogni cosa»
Silenzio, di nuovo, ma più breve e poi quell’espressione che conosceva così bene, come tutte le sue espressioni, quella di quando Ishley cercava di capire qualcosa che in realtà aveva già capito, tanto per essere certa di potersi arrabbiare, anche se era già arrabbiata.
«E come mai, quindi, se io provavo qualcosa per te, che suppongo possa tradursi in un “ero innamorata di te” e tu sei innamorato di me, io ho chiesto alla Luna di dimenticare?»
«Perché io…»
«A-ah»
«Io ti ho sempre fatto… credere che ti vedevo solo come un sorella»
«Oh» non era sorpresa. Era solo furiosa, era evidente e a Sabo sembrava che fosse furiosa per la cosa sbagliata, che qualcosa fosse fuori posto. Si sentiva così confuso. «Capisco. E come mai?»
«Ish io ti avevo detto che era…»
«Complicato, sì, me lo ricordo ma ormai hai tolto il coperchio al vaso quindi ora parla perché sto ancora aspettando di dare un senso all’aver rinunciato a tutto questo»
Sapeva che aveva ragione lei, sapeva di non avere scelta. Si lasciò cadere sulla sdraio alle sue spalle, interessato alla punta delle proprie scarpe ma conscio di doverle il rispetto di guardarla in faccia.
«Non ho mai avuto un padre. Mi sono sempre raccontato di non averne bisogno poi è arrivato Dragon. E tu con lui» la indicò con la mano, prima di passarsela sul viso e lasciar ricadere pesantemente il braccio. «Lo sai, la sera della prima cena insieme, quando ci siamo conosciuti che ti ho portato Lindbergh. Io mi sentivo un idiota a regalare un gatto peluche a una ragazza di quattordici anni» rise appena, una risata fatta di ricordi e rimorso. «Avevi solo due anni meno di me, non volevo pensassi che ti stessi trattando da bambina ma neanche presentarmi a mani vuote e i fiori mi sembravano ambigui. Ma tu sei stata così felice di quello stupido gatto e…»
«Non è stupido!» Ishley chiuse per un attimo gli occhi per imporsi calma. «Lindbergh non è uno stupido gatto, perdonami, continua»
Sabo prese un altro respiro. «È stato il primo sorriso che mi hai rivolto, ho sentito che volevo difenderlo quel sorriso. E io… Avrei voluto portarti dei fiori così tante volte, senza neanche un’occasione, ma avrebbe cambiato ogni cosa e io non volevo rovinare tutto, non volevo rischiare di… deludere Dragon. Deludere te»
«Papà»
«Come?»
«È papà, non Dragon. E quindi hai pensato di eliminare il problema alla radice?»
«Siamo diventati una famiglia, non lo abbiamo chiesto noi ma se poi le cose fossero andate male, avrebbe esarcebato ogni rapporto, io non volevo…»
«Essere un rovinafamiglie»
«Non ho detto…»
«Tuo padre non se n’è andato per causa tua e lo sai. E se non lo sai e ora che lo affronti. Papà ti vede come un figlio e tutto questo è incredibilmente stupido! Se non volevi fare danno perché me lo dici ora che ho dimeticato tutto? Cosa sei, un mitomane?!»
«Sei arrabbiata»
«No, no ti sbagli, sono molto arrabbiata e sto aspettando una risposta»
«Perché ora che ti ho persa mi rendo conto cosa significa rinunciare a te e se potessi avere una seconda possibilità ti giuro che cambierei ogni cosa, Ish! Ogni cosa!»
«Ogni cosa?»
«Ogni… ogni cosa»
«Se avessi una seconda possibilità»
«Sì…» intrecciò saldamente le dita tra loro e chinò il capo, le ciocche bionde a oscurargli il bel volto simmetrico. «Ma so che non si può»
La sentì inspirare a fondo e se avesse potuto si sarebbe solo rannicchiato contro la testata della sdraio, sperando di scomparire.
«Sei molto serio a riguardo. Non parli sull’onda del momento?»
Una domanda legittima che gli strappò un’amara risata. Non poteva darle il minimo torto per tutta quella diffidenza, neppure alla Ishley che non ricordava come lui si fosse comportato fino ad ora. Anche questa Ishley aveva diritto di dubitare.
Il capo ancora chino, lo scosse due volte prima di risollevare a fatica lo sguardo.
«No. Sono molto, molto serio. Ti amo, Ish»
Era un idiota. Glielo avevano detto spesso, più o meno seriamente, ma Sabo non ne aveva mai preso coscienza come ora. Aveva seriamente pensato potesse essere una bella cosa per Ishley sentirsi dire tutto questo, la confessione che aveva sempre meritato e mai aveva ricevuto, e improvvisamente si accorse come invece a questa Ishley dovesse suonare una condanna.
Perché questa Ishley non vedeva Sabo che come un fratello.
Non era una confessione, era una condanna e lo realizzò solo quando gli occhi di Ishley si riempirono di lacrime e si portò una mano alla bocca, dandogli le spalle.
«Ish!» si alzò di scatto, il braccio allungato ma lei era troppo distante per riuscire a toccarla ed era decisamente meglio così. «Aspetta io non…»
«Io non posso credere che… non posso credere che… bastasse questo!» si rigirò di scatto, lo sguardo ora infuocato. Faceva paura. Era bellissima. «Sul serio?! Sei davvero davvero serio?!»
Sabo si guardò intorno spaesato, non lo avrebbe ammesso mai che in fondo stava anche ricontrollando dove si trovava la porta. «I-io…»
«Vorrei picchiarti!»
«Penso di meritarlo ma…»
«Sabo! Ho odiato fare questa cosa!»
«Mi dispiace, Ish, davvero, io… A-aspetta, tu ricordi?»
«Sì che mi ricordo! Ho desiderato di imparare a recitare, non di dimenticarti! E che Shandia mi sia testimone, ha funzionato anche troppo bene!» si passò le mani sul viso con un grugnito, ignara di cosa stava succedendo a pochi passi da lei.
A dire il vero, neanche Sabo che lo stava subendo avrebbe saputo dire cosa gli stava succedendo. Si sentiva stordito, la testa staccata dal corpo e le gambe leggere. La voce gli uscì così roca e bassa che non era sicuro che Ishley lo avesse sentito.
«Tu sei ancora innamorata di me?»
«È questo che ti è rimasto dell’intera situazione?» rialzò lo sguardo Ishley e Sabo si riscosse, facendo quasi un passo indietro.
«Beh sì! Cioè no, no volevo dire… anche se insomma… ma no chiaramente no! Lo so, lo so che sei stata male e sei furibonda, lo capisco, io-io… dimmi come posso rimediare e lo farò, qualsiasi cosa, davvero qualsiasi c…»
«Baciami»
«C-che cosa?!»
«Ho detto: baciami»
Sembrava trasfigurata o forse era come la vedeva lui. Era una visione, con gli occhi balenanti di determinazione e le labbra che brillavano nel buio, inumidite di saliva e rosse di una rabbia che Sabo ora trovava paurosamente eccitante.
Avrebbe voluto godersi la magia del momento, la formicolante aspettativa, memorizzare ogni istante necessario a coprire la distanza, prendere Ish tra le braccia e…
Avrebbe tanto voluto ma non appena il senso delle parole di Ishley raggiunse il suo cervello, le gambe si stavano già muovendo, le sue e anche quelle di Ishley, e prima ancora di realizzare come aveva Ishley già stretta al petto e le labbra che divoravano le sue.
Non aveva mai provato un calore più bello e non gli importava di tremare come un bambino. Le mani di Ishley che lo accarezzavano sulla testa e sulla schiena erano rassicuranti come una ninna-nanna ma di certo non era sonno che gli conciliavano e deglutì a vuoto, più teso di quanto gli sarebbe piaciuto ammettere, quando le sentì spostarsi davanti per sfilargli la camicia.
Si scostò per guardarla, gli occhi lucidi e pieni di urgenza ma anche preoccupazione e affetto e desiderio. «Sei sicura?»
Si chiese cos’avesse fatto per meritarsi il sorriso che Ishley gli rivolse, mentre portava una mano alla sua guancia, senza allontanarsi dal suo petto. «Non c’è niente che voglio di più»
E di colpo Sabo era grato delle sdraio contro cui inveiva ogni sera che passavano là sopra, perché ci picchiava sempre contro e si riempiva di lividi. E se le sedie sospese avessero potuto parlare…
Le sfilò la tutina leggera, facendola scivolare giù dalle spalle, prima di sfilarsi la camicia e stendersi, il braccio teso per accoglierla sopra di sé.
«Ish… Mi dispiace tanto, non volevo farti stare così male, io…» un bacio lo interruppe, un bacio calmo, controllato, un bacio di conforto e amore.
«Va bene, va bene. Ora non ha più importanza. Ora mi stai facendo bene. Ma devi promettermi che non ci ripenserai, perché io non posso…»
«Non succederà. Non ci ripenserò, non tornerò sui miei passi, non ho intenzione di lasciarti andare. Mi è bastato perderti una volta. Ti amo, Ish»
Prima uno sbuffo, poi una vera risata che sembrò far brillare più forte le poche stelle visibili. «Non so se mi abituerò mai» premette la fronte contro la sua. «Ti amo, Sabo»
Andava tutto bene.
Improvvisamente la serata peggiore della sua vita si era trasformata nella più bella e Sabo non era affatto certo di esserselo meritato ma non avrebbe sprecato l’occasione.
Andava tutto bene, con Ish tra le braccia e sotto la luna che li spiava curiosa e materna, attraverso il pergolato.
 

§
 

Era una strana sensazione da provare al risveglio.
Non l’aria che correva tra le dita dei piedi, quella era piacevole. Non la luce più intensa che se si fosse trovata in camera, quella non era fastidiosa filtrata dalle assi di legno.
Ishley ci mise pochi istanti di dormiveglia a realizzare che si trovava ancora in terrazza e quasi nulla a ricordare perché e soprattutto con chi.
Dunque ora era chiaro il perché di quella sensazione sebbene non gli apparisse meno strana, e sorrise con gli occhi ancora chiusi e il cervello ancora perso in un sogno che non era più tale. Stiracchiò le gambe, incastrate tra le sue, e tese il busto, strusciando la testa sotto al suo mento, come un gatto intento a fare le fusa.
«Spero tu non mi abbia fissato tutta la notte» mormorò con voce rauca, prima di alzare le palpebre e reclinare il capo.
«Ti preoccupi per il mio ritmo sonno-veglia?»
«No. È che lo troverei terribilmente inquietante» si allungò a baciarlo sulla guancia e Sabo mugugnò con sfacciata soddisfazione richiudendo gli occhi, ancora di più quando Ishley lasciò scorrere la mano sul suo petto, lungo lo sterno e più giù, sempre più giù, oltre l’ombelico e fino all’orlo dei boxer. Un polpastrello si infilò appena sotto alla fascia elastica per poi tornare subito indietro e prendere a disegnare cerchietti intorno al capezzolo sinistro, facendone grugnire il proprietario.  
«Ish, così mi uccidi» inarcò appena la schiena, diviso tra piacere e bisogno, per poi prendere un profondo respiro e imporsi calma. «Me la vuoi far pagare vero?»
Ishley piegò il braccio e si sistemò meglio sul fianco, il capo posato sul palmo e i capelli che scendevano come una cascata di seta nera, l’altra mano che instancabile continuava a solleticare il petto di Sabo. «Puoi giurarci»
Sabo allungò il braccio per avvolgerle la guancia nel proprio palmo mentre Ishley portava le stesse due dita che lo stavano dolcemente torturando sul suo viso, acarezzando a fior di pelle la fronte, il naso, gli zigomi, la mandibola, le labbra, come se stesse ridisegnando ogni suo connottato.
La guardò perdere il sorriso di scherno, mutandolo in un’espressione di rapita serietà di cui sospettava di essere il riflesso, e avrebbe pagato per sapere cosa le passasse per la testa in quel momento ma non aveva intenzione di guastare quell’atmosfera quasi mistica.
Era tutto vero.
Ecco cosa passava per la testa di Ishley in quel momento. Stava metabolizzando per l’ennesima volta e definitivamente che era successo davvero, che era tutto reale.
Si sentiva sfinita a dire la verità, anche se non svuotata. Non è che fosse una sorpresa, Ishley era conscia che nelle ultime quarantott’ore aveva vissuto una serie di sconvolgimenti emotivi senza precedenti.
Non si era mai sentita così sfiduciata come negli ultimi due giorni ma neanche così speranzosa come negli ultimi due giorni, e in conclusione mai così confusa come negli ultimi due giorni.
Ora sapeva di non essere stata una povera illusa a credere di aver visto dei segnali da parte di Sabo, ma la speranza aveva oscillato dalla possibilità di essere ricambiata sempre più verso l’accettazione che non sarebbe mai avvenuto e che forse c’era una soluzione per non dilaniarsi l’anima e alla fine si era assestata su quell’estremo.
Aveva deciso di mettersi per davvero al primo posto dopo aver parlato con Nojiko e Kay e aveva poi, ovviamente, scelto la strada meno facile dopo aver parlato con Pen ma le sue intenzioni erano buone davvero. Non avrebbe mai, mai immaginato che la sua piccola messinscena avrebbe portato a una simile svolta.
Poi Sabo era arrivato in terrazza con tutta quella disperazione in corpo e Ishley aveva iniziato a capire cosa stesse realmente accadendo e le era bastata una frazione di secondo per decidere di farla sporca e giocarsi il tutto per tutto. Non si era sbagliata.
Non si era illusa su Sabo, non aveva visto ciò che voleva vedere, non si era arrabbiata a vuoto per la sua testardaggine.
Aveva espresso il desiderio giusto, ancora di più ora che sapeva che funzionava, ancora di più visto quanto bene funzionava. Non riusciva ancora a credere di essere riuscita a mantenere la facciata anche dopo aver realizzato che Sabo era sul punto di confessarsi.
Ma a Sabo tra le sue braccia, a quello ci credeva.
«A cosa pensi?»
«A te»
E aveva anche un po’ di gente da ringraziare, con cui sdebitarsi, anche se non immaginava in che modo, soprattutto con Pen e Nojiko…
La bocca di Sabo la colse di sorpresa ma chiuse gli occhi all’istante, il corpo più veloce del suo cervello ad abbandonarsi, nonostante uno strano pensiero cercasse di farsi strada nella sua mente.
«Sabo, a-asp… mmmmmh»
Nojiko.
C’era qualcosa che… le stava sfuggendo…
Si ritrovò a cavalcioni su di lui, le cosce strette alla sua vita, l’intimità contro il suo addome e si maledisse mentalmente per essere così sensibile e così innamorata, mentre si piegava su di lui senza neanche bisogno di pensare a cosa fare e a come farlo.
Era tutto così naturale e se poi Sabo la guardava così… così speranzoso. Come se ancora avesse paura di vedersela scivolare dalle mani, come qualcosa di vicino ma non abbastanza da afferrarlo, pieno di aspettativa e di fiducia, come Nojiko…
Aspetta come Nojiko?!
Che cosa…
Il pensiero riuscì finalmente a raggiungere il suo telencefalo, poche ma inconfondibili immagini pregne di un significato tutto nuovo. Non se ne faceva una colpa, sapeva di stare così male da essere più che giustificabile il non essersi accorta della speranza che Nojiko aveva manifestato quando le aveva detto che Bonney era lesbica e di nuovo quando l’aveva intravista nella folla al Cahya Mera.
«Bonney e Nojiko»
«C-come?!­­»
«Bonney e… Bonney e Nojiko!» si aprì in un sorriso, ancora a cavalcioni su di lui, felice dell’improvvisa rivelazione come una bambina davanti a un uovo di pasqua. «A Nojiko interessa Bonney! Romanticamente!»
«È una… bella notizia, suppongo»
«Lo è! Eccome se lo è, sono perfette insieme e tu…» piegò il capo di lato, l’espressione che virava al famelico. «Mmmmh tu sei un capolavoro, se non avessi così tanta fretta di avvisare Bon non sai che ti farei»
Sabo sentì il cuore sprofondare o forse era il sangue che si concentrava ancora di più al basso ventre.
«Me la stai facendo pagare vero?»
«Vero» confermò, stendendosi di nuovo su di lui per un bacio. «Ma è vero anche che possiamo recuperare alla cala. Shandia sì, voglio farlo alla cala» strusciò il naso sul lato del suo viso, prima di alzarsi da lui. «Non ci metterai tanto a raggiungermi vero?» saltò giù, recuperando in una bracciata i suoi vestiti ai piedi della sdraio.
«Aspetta, ma hai addosso solo la mia camicia»
«Mi copre abbastanza e mi fermo a prendere il costume, lo metto in spiaggia. Non è come se avessimo qualcosa da nascondere, giusto?» si girò sulla soglia della portafinestra, una domanda inespressa negli occhi e il sorriso sul volto.
«Giusto» ribatté Sabo senza esitazione e Ishley scoppiò a ridere. Avrebbe potuto ascoltarla ridere per il resto dei propri giorni.
«Ti amo, vado, ciao»
«Cos… Ish ma aspetta! Vengo con te!»
Si precipitò alla portafinestra, già conscio che la sua sola speranza era infilarsi il primo costume e la prima t-shirt che trovava e recuperarla mentre scendeva alla spiaggia. Si fermò sulla soglia, le braccia appoggiate agli stipiti e si concesse un attimo per ascoltarla canticchiare mentre scendeva le scale, euforica e piena di vita come solo lei sapeva essere.
«Mio dio, quanto la amo»
 

§


Waterwheel era una piccola città e Yonji non si era aspettato certamente una metropoli. Certo gli ci erano voluti quattro giri sempre uguali per capire che aveva visto solo l’anello esterno del borgo marittimo e che, semplicemente, al centro non poteva accedere, non con il SUV.
Era stato di pancia che aveva deciso di mollare il macchinone nel parcheggio di un supermercato da cui probabilmente lo avrebbero rimosso con il carroattrezzi nel giro di un paio di giorni, e noleggiare una bicicletta. Il giro poi, tra balconi carichi di fiori rampicanti e gatti all’apparenza selvatici ma ben tenuti, aveva avuto del pittoresco.
Ora però la vena turistica si era esaurita e Yonji aveva dovuto accettare la difficile e ciònonostante non sorprendente realtà che sua sorella, sangue del suo sangue, gli aveva dato un indirizzo non solo errato ma proprio inesistente.
Sapeva di averla fatta grossa con Pur stavolta, non irreparabile per carità, ma comunque molto grossa. Lo sapeva sì e infatti non aveva chiesto niente, non aveva implorato, non aveva cercato scorciatoie, si era messo in macchina e aveva strusato benzina senza pensarci due volte, per arrivare da lei il prima possibile appena aveva potuto e, anche sì, dopo aver messo a tacere l’orgoglio.
Evidentemente per Reiju non era sufficiente, anche se certo la parte difficile doveva ancora venire. Doveva ancora parlare con Pur, scusarsi, ottenere il suo perdono ma evidentemente secondo Reiju doveva sudarsela ancora di più visto che, a causa del suo giochetto, non aveva idea di dove trovarla, in un paesino di milleottocentosettantuno abitanti esclusi però i turisti, di cui non conosceva minimamente la geografia.
Partire dalla spiaggia, comunque, sembrava una buona idea, soprattutto perché il lungomare era di dimensioni relativamente contenute, eppure anche così a Yonji sembrava un’impresa delirante.
Se solo gli fosse arrivato un piccolo aiuto dall’alto, qualcosa di semplice, ad esempio la risata singolare di Perona o un urlo banshiaco della sua Pur o….
«Cerchi qualcuno?»
Si voltò sorpreso verso la voce, il manubrio della bicicletta verde evidenziatore stretto in mano per non farla cadere. Una donna che a occhio e croce poteva essere alta quanto lui era seduta su una panchina del lungomare, all’ombra di un cappello di paglia a tesa molto larga, da cui sfuggivano ciocche color perla.
«Non voglio farmi gli affari tuoi, sembrava più di una semplice sosta. E comunque quella non è neanche una bici per grandi corse» indicò con un cenno il mezzo a due ruote, facendo ondeggiare il copricapo sfrangiato.
«Cerco qualcuno in effetti ma non penso tu possa aiutarmi, non è di qui, è solo in vacanza»
«Come il settanta per cento degli esseri umani presenti a Waterwheel in questo periodo dell’anno» piegò il capo di lato la donna, incrociando le braccia al seno. «C’è un bar a metà della spiaggia, si chiama Bell-Mère. La proprietaria, Nojiko, conosce un sacco di gente, soprattutto i turisti, io farei un tentativo. Devi solo stare attento a Bonney, è un po’ possessiva. La tua ragazza ha qualche tratto particolare?»
La conversazione aveva un che di surreale ma Yonji non avrebbe saputo dire cosa esattamente. La tipa aveva fatto una scommessa sui grandi numeri, era solo la cosa più probabile che si trattasse della sua ragazza e lui non solo non aveva la profondità riflessiva di chiedere come facesse a sapere che si trattava della sua ragazza, e chi le diceva che lui avesse una ragazza o che fosse etero, ma non aveva neanche intenzione di complicarsi l’unica parvenza di aiuto che gli era arrivata.
«Ha gli occhi di colore diverso. E una sua amica ha i capelli rosa, una risata strana e un cane che fa spavento»
La ragazza piegò il capo all’indietro per mostrare il viso sorridente. «Direi che hai abbastanza per provare con Nojiko. Buona fortuna»
«Grazie!» la salutò con la mano di piatto alla fronte, come un soldato, il sorriso smagliante e nuovamente speranzoso. Ripartì con baldanza, portando la bicicletta a mano, sul lungomare per non rischiare di andare oltre il bar incriminato, scartando una coppia intenta a baciarsi, con non poca passione all’ombra di un pino marittimo.
«Vuoi andare al cinema stasera?»
«Spero sia una frase in codice per altro, Pen…»
Se non lo avesse sentito parlare, non si sarebbe neanche accorto che il moro era un ragazzo in realtà, tanto erano lunghi i suoi capelli. Buon per loro, pensò Yonji, e chissà che non fosse di buon auspicio tutto quell’amore nell’aria.
Per essere una non poi così estesa spiaggia di una non poi così piccolo borgo marittimo, comunque, il lido di Waterwheel era un tanto caotico quanto variopinto agglomerato di persone e colori, punteggiato da ombrelloni senza alcun continuum cromatico. Come il contenuto di una confezione di Smarties rovesciato al suolo. Aveva qualcosa di magico.
E forse era fortuna o forse era che in quel marasma di scadente cotone a tinte sgargianti saltava facilmente all’occhio il chiringuito con la copertura di paglia, più esotica del luogo stesso in cui sorgeva.
Doveva essere quello il Bell-Mère.   
Ringalluzzito, sganciò il cavalletto della bicicletta e non si premurò di assicurarla a nessun palo. Non sembrava verosimile che in un posto così potessero rubargliela e anche fosse supponeva che sarebbe stato facile individuare il ladro. In fondo nei cartoni animati il cattivo di solito è uno solo.
Scese rapido lungo la passerella e, a costo di sembrare superficiale, sperò di trovare presto Pur e risolvere anche prima, perché moriva dalla voglia di fare un tuffo in quell’acqua cristallina insieme a lei. La tipa gli aveva detto di parlare con Nojiko, che supponeva dovesse essere la stanga dietro al bancone ma dubitava che lo scricciolo con le lentiggini con cui parlava fosse la possessiva Bonney, non foss’altro per il biondo che, proprio sotto gli occhi di Yonji, la sorprese di spalle afferrandola per i fianchi, per poi baciarla come se dovesse verificare la corretta anatomia del suo apparato orale.
Fu solo in quel momento che si rese conto che il biondo non si era avvicinato da solo, che c’era un ragazzo moro con lui, e in braccio al ragazzo moro una creatura difficile da immaginare ma impossibile da dimenticare dopo averla incontrata una volta.
Avrebbe dovuto chiamarsi Incubus, secondo lui, e mai avrebbe osato dirlo a Perona perché teneva ai propri genitali, ma il punto non era quello, il punto era che Kumachi era con il tipo moro che stava con il tipo biondo, chiaramente innamorato perso della tipa lentigginosa con cui parlava poco prima Nojiko, a cui evidentemente non avrebbe dovuto chiedere un bel niente.
Perché non poteva esserci un altro cane come Kumachi in tutto l’universomondo, figuriamoci a Waterwheel, dove Yonji sapeva di poter trovare Perona, e conseguentemente la sua Pur, e Perona stava chiaramente con quelle persone.
Si mise a correre, con il sorriso sulla faccia.
Adorava l’estate e probabilmente Waterwheel era il suo nuovo posto preferito.



Angolo dei saluti:

Ecco, come dire, lo avevo pronto e non mi sono ricordata di pubblicare. L'arrivo della figlia due mi ha abbastanza sconvolto e ce la caviamo come meglio si può. 
MA! 
Non potevo certo lasciare questa storia incompiuta ancora fino alla prossima estate, quindi eccola qui, terribilmente fuori stagione. Per fortuna The Cure non ha stagionalità, anche se non posso fare promesse su quando riuscirò ad aggiornarla, per chi è interessato, si intende. 
Voi siete stati fantastici ad avere tutta questa pazienza e continuare a seguirmi fino ad ora, nonostante i tempi biblici richiesti. 
Sono felice perché con tutti i rimaneggiamenti che ho fatto  questa storia è un po' una summa del mio percorso con i personaggi, dal 2014 ad oggi, a parte un paio di ship  dinamiche che sono cambiate ancora, ma non così tanto in fondo. 
Quindi ovviamente la cosa da fare è ringraziarvi, non avendo i fondi per una statua alla memoria imperitura, a chi mi ha sostenuto sia in corso di scrittura sia leggendo la storia e apprezzandola nonostante le modifiche e le stranezze che ci metto dentro. 
Ad esempio Yamato... 
Non so se sono riuscita a spiegare chi è davvero Yamato in questa storia, ma scriverla così è stato indubbiamente appagante e divertente. 
Grazie in particolare a Ann11na, a Sara senza H, a Eros e a Mary.
Mary tu questa storia l'hai vista proprio nascere e crescere e mai potrò esprimere quanto sia prezioso il tuo supporto e il tuo immancabile entusiasmo, le tue idee e i nostri confronti.
Eros tu sei arrivato a storia già molto inoltrata ma hai dato un contributo senza il quale To the Moon non sarebbe la stessa storia oggi.
Anna, Sara, scusate se non riesco sempre a rispondere alle recensioni. Devo ammettere che mi mancate, ma sappiate che non vi dimentico. 

Come sempre, pace e bene a tutti. 
A presto. 
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