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Autore: pansygun    10/11/2023    1 recensioni
My first obsession is you.
My second is having sex with you.
• • •
DISCLAIMER: questa storia ha rating 🔞 per i contenuti espliciti in essa descritti (sesso).
A mio discapito, se siete sensibili vi invito a non affrontare questa storia.
• SPOILER per chi non avesse letto il fumetto o guardato l'anime! •
• • •
{Deku x Bakugo}
Angst
Mild-spicy
• • •
Tutti i diritti riservati ©️ veciadespade | 2023
I personaggi originali di My Hero Academia sono di proprietà di Kōhei Horikoshi.
Genere: Comico, Erotico, Hurt/Comfort | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Izuku Midoriya, Katsuki Bakugou
Note: Lemon | Avvertimenti: Non-con, Spoiler!, Tematiche delicate
Capitoli:
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Thanatophobia*


Chi ti ama ti strappa dagli occhi la malinconia,
e ci semina campi di girasoli.
~ Barbara Brussa ~
8 luglio

Un lunedì per un lunedì.
Ecco... Izuku avrebbe fatto volentieri a cambio.
Oppure avrebbe preso una macchina del tempo e sarebbe tornato altrettanto volentieri ad una settimana prima, ripetendo in loop quel bacio.
Era però vero che, in quella settimana, niente sembrava essere cambiato.
Non l'abitudine di Kacchan di portargli un donut alla ciliegia ogni mattina. Neppure la sua di abitudine, di fargli trovare la cucina ordinata e il letto fatto.
La cosa che l'aveva sconvolto, e che continuava a farlo dopo tutti quei giorni, era che non vi era stato mai tra di loro un momento di imbarazzo, ma neppure un cercarsi, in verità.
Era tutto maledettamente come prima!
Un passo avanti, due passi indietro.
Anche in quel momento, mentre entrambi sfrecciavano in aria tra i palazzi della zona amministrativa all'inseguimento di un furgone bianco carico di soldi e malviventi, proprio durante l'orario di punta.
«Vai a destra!», gli ordinò Kacchan, l'urto quasi coperto da una nuova esplosione, che l'aveva fatto avvitare su se stesso per infilarsi in una strada laterale, mentre lui faceva come gli era stato detto, usando il Black Whip come aveva sempre sognato di fare: se avesse avuto un costume più attillato avrebbe potuto essere al pari di Spider-Man!
Senza mai perdere di vista il furgone che sfrecciava e zigzagava tra le auto, scese di quota, tanto veloce da arrivare a terra quasi come un proiettile, lasciando l'asfalto incrinato prima di mettersi a correre e saltare all'inseguimento del mezzo.
Non vedeva più Kacchan, ma non ci diede peso, troppo concentrato a schivare auto e pali della luce, che usava come piccoli trampolini per continuare la sua corsa.
Con un balzo più lungo piombò sul tetto del furgone, la sua massa e il contraccolpo lo fecero sbandare, appena dopo aver divelto la barra del casello e imboccato l'autostrada contromano.
Un pugno forte e la lamiera del tetto si spaccò, permettendogli di rimanere attaccato saldamente al mezzo, mentre tentava, con i suoi fasci di energia, di creare degli ancoraggi col guardrail e i lampioni, nel vano tentativo di fermare quella corsa spericolata.
Schivò per un pelo un proiettile, poi un altro, appiattendosi sul tetto, costretto a lasciare la presa per aver salva la vita.
Uno dei malviventi era uscito dal finestrino e tentava in tutti i modi di colpirlo nonostante gli sbandamenti, mentre qualcuno, da dentro il furgone, gli tirava il braccio, trattenendolo.
Sembravano ben organizzati e imprecò, provando ad estrarre l'avambraccio dalla lamiera prima che potesse andare tutto a rotoli. «Merda!».
Qualcosa di non previsto lo colpì, lo fece ruzzolare sull'asfalto per diversi metri, prima di udire un'esplosione accanto a sé e avere solo il tempo di vedere Kacchan sfrecciargli accanto in una nuvola di denso fumo nero.
Si alzò a fatica e si diede una spinta, saltando in aria, inarcando la schiena e aprendo le braccia per frenare un po' la sua marcia.
«Dynamight!», urlò, ma quello aveva già preceduto il furgone, un braccio teso, e il movimento del polso troppo veloce perché Izuku riuscisse a coglierlo, mentre una scarica di piccole sfere luminose si staccava dalla punta delle sue dita e finiva contro il mezzo in fuga, detonando sulla carrozzeria e sul vetro, mandandolo in frantumi e facendo sbandare pericolosamente il veicolo.
Izuku aggrottò le sopracciglia e Black Whip fece appena in tempo a far presa sul furgone, sollevandolo dalla strada mentre era in bilico su due ruote.
Nell'altro senso di marcia arrivarono a sirene spiegate quattro volanti della polizia, il traffico bloccato almeno cinque chilometri a monte e a valle di quel tratto di strada, mentre gli agenti scavalcavano il guardrail e si ritrovavano pronti, ad armi spiegate, per acciuffare i criminali ed assicurarli alla giustizia.
Katsuki scese a terra con un tonfo sordo e improvvisò una corsetta per raggiungere il furgone tenuto ancora a mezz'aria da Deku.
Uno dei rapinatori, incastrato nel finestrino, stava cercando disperatamente di fuggire, arrivando perfino a calciare il compagno per trovare un appiglio.
Patetici.
Il biondo afferrò la maniglia, strattonando la portiera malconcia e aprendola, lasciando cadere a terra il criminale, che tentava in tutti i modi di strisciare via e fuggire.
Fu agguantato per la maglia, sulla schiena, sollevato di peso e scaraventato ai piedi di due agenti che indietreggiarono di un paio di passi.
«Beh? Lo ammanettate o no?», berciò Katsuki, mentre afferrava per le gambe il tizio che era alla guida, trascinandolo a terra tra urla e piagnucolii. Una volta sull'asfalto, il trattamento fu lo stesso del compagno.
«Posso mollare giù?», domandò Izuku, stanco di fluttuare e tenere il veicolo sollevato da terra.
Ma Kacchan sembrava non ascoltarlo, un ghigno soddisfatto sul volto mentre si apprestava ad aprire il portellone sul retro.
Il suo Danger Sense gli fece accapponare la pelle: solo in quell'istante Izuku si ricordò che qualcuno prima lo stava trattenendo, bloccandogli il braccio dall'interno. «NO!».
Quel grido rimase bloccato lì, fluttuante nell'aria come lo era lui, Katsuki distratto per una frazione di secondo, quel tanto che bastava per vederlo scaraventato all'indietro da un energumeno che gli si era avventato contro.
Spalancò la bocca e lasciò che Black whip fluisse da essa come una lingua, ad avvolgere in fretta il malvivente, prima che potesse effettuare qualsiasi mossa.
Si rese conto solo dopo di una figura magra e nervosa, che se ne usciva dal furgone di soppiatto, guardando tutti con occhio sbarrato, come se avesse paura della propria ombra.
Mugugnò qualcosa, per mettere in guardia Kacchan che si stava rialzando da terra e si preparava a sferrare un pugno forte sullo stomaco al criminale che Deku stava ancora stritolando con la sua energia.
«Ehi! Voi! Sì. Dico anche a te!!», gridò quell'uomo dai capelli grigi e arruffati, il volto scavato come quello di All Might nell'ultimo periodo.
Tutti quanti, a terra, si voltarono a quello strano richiamo che aveva lo stesso tono di una richiesta di aiuto e rimasero come immobili.
Poi lo udì ridere sguaiatamente e iniziare a correre a gambe levate trattenendo al petto una valigetta grigia.
Izuku lasciò cadere il furgone e si precipitò all'inseguimento, ben intenzionato a bloccare anche l'ultimo componente della banda.
Ma quando udì un colpo di pistola e un grido si voltò di colpo, atterrito, il sangue gelato nelle vene.
Uno degli agenti aveva sparato a un collega sul braccio. Questi stava urlando come un ossesso per il dolore, gli occhi spalancati e terrorizzati a vedere il sangue che gli imbrattava la divisa.
«Ma che-».
Poi lo vide.
Kacchan, rannicchiato accanto al furgone distrutto, la testa tra le mani e il corpo scosso da tremori.
Spalancò gli occhi e fece una capriola in aria, aiutandosi con Black Whip ad essere più veloce, tornando indietro verso quello che doveva essere il luogo della loro vittoria, ma che, ora, sembrava solo una baraonda di urla e gente che piangeva.
Atterrò un agente armato, troppo agitato per capire cosa stesse accadendo, attivando Smokescreen per impedire che altri facessero sciocchezze, strappandogli dalle mani l'arma per stringerla nel pugno e distruggerla.
Agguantò la trasmittente del poliziotto e provò a utilizzarla, ordinando a chiunque si fosse trovato in ascolto di raggiungere la loro posizione con dei rinforzi e, possibilmente, delle ambulanze. «E fate in fretta!», sbraitò, mentre il poliziotto sotto di lui provava a liberarsi, inutilmente.
Tra il fumo basso udiva i lamenti degli altri agenti, voltando la testa nervosamente, attendendo che la nebbia si diradasse un poco solo per riuscire a scorgere Kacchan.
Non lo riusciva neppure a udire e questa cosa gli stava facendo mancare il fiato e tremare le mani e premere più forte col ginocchio contro la schiena del povero uomo a terra, la cui unica colpa era quella di trattenerlo lì.
Si tranquillizzò a sentire le sirene in lontananza solo qualche minuto più tardi. Minuti che gli erano sembrati un'eternità, in cui la nebbia si diradava a stento a causa dell'umidità.
I nuovi agenti accorsi e i paramedici presero in consegna i colleghi, impauriti e sotto shock, mentre lui fu quasi assalito dal Prefetto, giunto sul posto al seguito del capo della polizia, entrambi allarmati già dall'inizio dell'inseguimento. Rispose a monosillabi, un occhio attento sempre a dove si trovasse Kacchan, che se ne stava ancora rannicchiato accanto al furgone, le mani premute sulle orecchie, sordo ai richiami, inamovibile ai tentativi di un paio di infermieri di farlo alzare e medicargli le escoriazioni sulle braccia e sul viso.
Si congedò bruscamente, le sopracciglia aggrottate e l'espressione troppo seria e indurita. In realtà la sua mente stava lavorando a ottantotto miglia all'ora, cercando di capire chi fosse quel villain e, soprattutto, come funzionasse quel potere che aveva confuso perfino Dynamight, tanto da renderlo un grumo di tremori e lamenti, rannicchiato su se stesso come a volersi proteggere dal mondo. O scomparire.
Quella sua posizione gli ricordò tanto un episodio della loro infanzia, quando ancora giocavano assieme e c'era stata una forte scossa di terremoto. Le maestre dell'asilo li avevano portati tutti all'esterno, nel cortile della scuola e Kacchan, in barba alle indicazioni e al buon senso, s'era andato a rannicchiare contro le radici del grande albero accanto alla recinzione, tenendosi la testa e digrignando i denti allo stesso modo.
Lo sguardo terrorizzato, tuttavia, era quello che gli aveva visto addosso mentre tentava invano di salvarlo dal mostro fangoso, alle medie.
Solo che, stavolta, non piangeva di disperazione, ma lo scuoteva con forza, chiamandolo, provando a fargli staccare a forza le mani dalle orecchie: «Dynamight! Coraggio! – la voce era seria e impostata – Devi farti medicare!».
All'ennesimo tentativo, quando praticamente tutti gli agenti coinvolti nello scontro erano stati caricati sulle ambulanze e restavano solo loro due e un pugno di soccorritori, Izuku rilasciò un sospiro rassegnato e si rivolse agli infermieri che, pazientemente, lo stavano attendendo: «Non vi voglio trattenere oltre. Ci penso io a portarlo all'ospedale. Avete la mia parola, okay?».
«Ma Deku, anche lei dovrebbe farsi ricucire il braccio!», protestò un paramedico, le braccia conserte e uno sbuffo impertinente a chiudere la frase.
Fu solo allora che Izuku diede un'occhiata veloce al proprio braccio sinistro, la manica della tuta lacerata e zuppa di sangue a tratti rappreso, mentre lunghi tagli gli ferivano la carne, slabbrandola in alcuni punti. Provava fastidio, ma non quel bruciore intenso che si sarebbe atteso, forse perché l'adrenalina e la preoccupazione per Kacchan avevano avuto la meglio e tutte le sue cellule erano concentrate in un unico pensiero. Rilasciò un sospiro rassegnato e, dopo aver staccato cautamente il supporto metallico esterno che scendeva dalla spalla sino al gomito, con un unico gesto strappò del tutto il tessuto, lasciando scoperto il braccio, allungandolo verso l'infermiere: «Allora fate in fretta.».
Fu così che Izuku si sedette a terra, di fronte a Kacchan, ancora tremolante, immobile nella stessa posizione in cui l'aveva visto, ormai quasi un'ora prima.
I due paramedici si guardarono allibiti e ci misero qualche secondo prima di scattare e recuperare garze e disinfettante dall'ambulanza.
Attese che lo medicassero, che lo riuscissero a vivo, l'interno del labbro inferiore stretto tra i denti per trattenere i lamenti.
Si stava rilassando e questo gli faceva percepire chiaramente il filo di sutura che, millimetro dopo millimetro, scorreva nel foro dell'ago nella carne.
Chiunque avrebbe urlato, o sarebbe svenuto. Ma per lui era solo un fastidio più accentuato del solito. Dopotutto, quante ossa aveva rotto nel corso degli anni?
A malapena ringraziò i due uomini, rassicurandoli ancora una volta che sia lui sia Dynamight sarebbero passati in ospedale.
Solo quando se ne furono andati, il suo torace si svuotò e si piegò verso l'amico, una mano teneramente premuta sulla massa di capelli biondi, umidi di sudore e impiastricciati di fuliggine e polvere.
«Kacchan?», si ritrovò a pronunciare, il tono fin troppo ammorbidito dalla spossatezza. Ma se non aveva funzionato con le maniere forti, allora...
Fu come una formula magica, quel richiamo: le mani guantate di Katsuki si staccarono dalle orecchie e il viso si mosse piano a fronteggiare lo sguardo benevolo di Deku. Che era lì, davanti a lui, e non sembrava un sogno ed era normale, nessun potere sfrigolante ad avvolgerlo, l'espressione distesa in uno di quei suoi sorrisi stanchi che aveva imparato ad amare.
«Ma che-».
Allungò le braccia verso Izuku, sporgendosi del tutto, finendogli contro, allacciandosi al suo corpo, il volto sepolto nell'incavo del collo, sbilanciandolo tanto da farlo finire a terra, dolcemente.
Non ci fu contraccolpo, solo la leggera capocciata di Izuku contro l'asfalto, gli occhi spalancati dallo stupore e le braccia doloranti a mezz'aria per qualche istante prima che si chiudessero contro la schiena di Kacchan, strizzandoselo addosso e rilasciando una breve risata che faceva eco al singhiozzare sommesso di Katsuki, che pareva volesse togliergli il respiro, tanto lo stava stringendo.
L'amico farfugliò qualcosa contro la stoffa sporca del suo costume, stringendo di tanto in tanto, come se fosse un monologo interiore sfuggito al filtro della mente e Izuku, curioso, tentò di comprendere quella sfilza di suoni e mugugni senza alcun senso.
«Ehi! Stai mugugnando! Di solito sono io quello che si perde in discorsi a mezza voce e senza sens-ugh!», una stretta più forte gli mozzò le parole in gola.
«Sono vivo?».
Izuku aggrottò le sopracciglia a quella domanda sussurrata tanto vicina alla pelle da procurargli un brivido lungo tutta la schiena.
«Certo che sei vi-ngh! Ka-cchan! No- respiro...».
La presa si fece meno ferrea e lo percepì crollare, i singhiozzi farsi sempre più lievi, il peso abbandonato sul suo corpo, il naso che gli respirava sul collo e le labbra che gli sfarfallavano leggere tra la pelle e la stoffa.
Con fatica riuscì a rotolare di lato, puntellandosi con le mani sulle sue spalle per staccarselo di dosso, gli occhi verdi spalancati e preoccupati a vedere il viso di Kacchan rigato dalle lacrime, la bocca deformata da una smorfia che sembrava dolore puro, le dita guantate che gli arpionavano il costume.
«Che ti prende? Che hai?», gli chiese in un soffio, qualcosa di simile ad artigli acuminati sembrava stringergli le viscere a vederlo tanto disperato.
La mano di Kacchan lasciò la stoffa del suo costume e si aprì sul suo petto, premendo tanto forte da sbilanciarlo, come se volesse spingerlo via. «Sei vivo?».
«Certo che sono vivo! Siamo entrambi vi-», si bloccò. Le sinapsi che avevano ripreso a funzionare correttamente gli rimandarono le tremende immagini della guerra e di lui che-
«Cristo santo... Kacchan! Alzati! Dobbiamo andare in ospedale!».
Aveva messo assieme i pezzi rovinati di quel puzzle e forse aveva intuito di cosa fosse capace quel villain che gli era sfuggito come se fosse un eroe di primo pelo.
Fluttuò, aggrappandosi a Kacchan per tirarlo su di peso, stringerselo addosso saldamente e salire, metro dopo metro, sino a librarsi in aria e attivare Fa Jin per sfrecciare alla volta dell'ospedale civile.


•••


Come aveva fatto a non capirlo prima?
Non ci voleva certo un genio per dire che quello che aveva colpito Kacchan e gli agenti era un potere psichico abbastanza subdolo.
Guardò per un momento il ragazzo biondo, seduto accanto a lui, sospirando nel sentire come stava rilasciando e contraendo la stretta della mano sulla sua: s'era rinchiuso in un mutismo selettivo da quando era stato medicato in ospedale per delle escoriazioni di poco conto e non l'aveva mollato per un secondo, fosse stato uno sguardo o una semplice stretta di mano, come in quel momento.
«Bakugō non è in sé. – asserì con una smorfia lo psicologo del dipartimento – E avrebbe bisogno di riposo.», concluse, guardando l'orologio che aveva sul polso.
«Questo lo so bene pure io.», sbottò Izuku, sentendo Hawks, in vivavoce sul telefono dello studio, mugugnare in disapprovazione.
"Sapete dirci altro sul villain?", chiese, la voce dell'altoparlante gracchiava.
Il Prefetto prese un profondo respiro e scartabellò alcuni fogli, mentre allungava il passo dietro lo psicologo: «Sappiamo che si fa chiamare Syren, ma non abbiamo nulla nel database su di lui. Non un nome, non un'anagrafica. Nulla. Magari voi avete un archivio più fornito alla QSNC.», ma il tono tradì tutto il suo fastidio.
«Posso ipotizzare – intervenne Izuku – che il quirk funzioni ad ampio raggio, perché anche gli agenti al di là dello spartitraffico sono stati colpiti.».
"Ma tu no, Midoriya.".
«Io ero sollevato dal piano stradale. Credo funzioni in base a ciò che il soggetto è capace di vedere. All'inizio, quando Bakugō ha aperto il furgone, quel tizio si è fermato a cercare l'attenzione di chi gli stava attorno...». Era frustrante dover provare a fare un'analisi con così pochi elementi a disposizione e andare avanti solo per supposizioni.
Era stato tutto troppo veloce e confusionario! «Però mentre avevo iniziato a inseguirlo, lui si è voltato a guardare anche me... - mormorò, assorto – Quindi magari... funziona con la voce?».
"Ho una cosa qui, nel database. - la voce di Hawks calamitò l'attenzione di tutti - Non un'anagrafica, ma la registrazione di un vecchio caso, una rapina. Qui dice che l'effetto è durato sei ore. Uhm...".
«Cosa?». Izuku s'era perfino sporto verso l'altoparlante, come se questo potesse far parlare più in fretta Hawks.
"Pare che il tipo sia cresciuto in un riformatorio in Cina, un postaccio. Sto guardando la scansione di una vecchia cartella clinica e, da quello che posso interpretare, sembra che il suo potere funzioni in base ai livelli di no-norepi... Noreprif-".
«Norepinefrina. – lo corresse Izuku – È anche chiamato ormone dello stress: il corpo lo rilascia in risposta ad un severo stress fisico o psicologico, come un'importante emorragia o esperienze paurose.».
Nella stanza rimasero tutti in silenzio per qualche secondo.
"Eri tu il secchione della classe, Midoriya?".
«Il quarto, in realtà.».
"Mi spaventi ragazzo. Ogni tanto, non sempre.".
«Ehm... Mi scusi.».
"Quindi, genio incompreso, dicci: come funziona secondo te?".
Izuku sorvolò sul palese sarcasmo e si prese del tempo per riflettere, anche se sentiva la testa di Kacchan pesargli sulla spalla, i tremolii ormai andati. «Da quello che ho visto, il tizio mi sembrava esaurito. Ma, dopo quello che ha trovato, credo fosse più spaventato. Probabilmente più agitato è e maggiore è il raggio d'azione del suo potere. Questo spiega gli ultimi agenti colpiti in maniera lieve. Bakugō era troppo vicino per non prendere in pieno la maggior parte dell'effetto.».
"Quindi, se funziona con la paura, provoca anche...paura? Corretto?".
«Probabile. Non lo escluderei, visto la sua reazione.», e indicò con un cenno del capo proprio Kacchan, che osservava tutti quietamente, ma con gli occhi sbarrati, carichi di timore.
«Un quirk prettamente psico-chimico. Interessante davvero!», esclamò lo psicologo, appuntando qualcosa su un quaderno.
"Quindi che si fa, Dottore?".
«L'ho detto prima: riposo. L'effetto potrebbe svanire tra quattro ore come tra ventiquattro. In ogni caso, Dynamight è inservibile.».
Inservibile.
Come un oggetto di poco conto.
Izuku strinse la mano di Kacchan con forza, tanto che lui rilasciò un singulto e alzò la testa, guardando l'eroe che ora stava parlando con tono fin troppo serio e piccato: «Allora anche Deku sarà inservibile. Non lo lascio da solo in queste condizioni. Non potrei comunque.», e alzò la mano, mostrando a tutti le loro dita intrecciate saldamente.
"Perché?".
«Perché se lo mollo trenta secondi fa una scenata che pare un bambino, Hawks! – sbottò – Ha paura della sua ombra e sembra che solo la mia presenza lo renda quieto. Ci hanno messo quasi un'ora a convincerlo a farsi medicare, poi mi hanno fatto entrare in ambulatorio e si è calmato un po'.».
Udì Hawks ridacchiare: "Ah! Sei la sua fottuta coperta di Linus! – prese fiato – E sia! Deku è in riposo fino a che l'effetto del villain non finisce. Poi entrambi recupererete le ore perse e i turni verranno modificati dal Prefetto. Intesi?".
Izuku annuì: gli sembrava un giusto compromesso. «Intesi.».
Hawks non salutò nemmeno quando chiuse la chiamata, così lui si ritrovò gli occhi del Prefetto puntati addosso.
«Le lascio il mio numero di telefono – lo psicologo strisciò con un dito il proprio biglietto da visita sulla scrivania - qualora dovessero esserci problemi con Bakugō.».
«Non credo ce ne saranno, ma grazie. – prese il biglietto – Lo terrò da conto.».
Si congedò con un inchino distratto appena alzato dalla sedia, tirando a sé Kacchan, per invitarlo a seguirlo. «Adesso andiamo a casa, va bene?».
Katsuki si limitò ad abbassare il capo e a poggiare la fronte contro la spalla sinistra di Deku, che si portò una mano sul volto, principalmente per nascondere la propria frustrazione.
Perché Izuku, anche se era clinicamente vivo, in realtà stava morendo dentro pian piano, perché la fragilità e il terrore che Kacchan provava ad ogni passo li trovava adorabili, in totale antitesi con il normale carattere dell'amico.
Una parte di lui voleva indietro il vecchio Kacchan, ma questo... Più che Katsuki, era Izuku a non voler lasciare la presa in quel momento: avrebbe voluto stringerselo addosso, cullarlo e dirgli che tutto sarebbe andato a posto, che era vivo, anche se un po' ammaccato dopo lo scontro. Gli posò una mano sulla testa, lasciando una lieve carezza prima di muovere i propri passi fuori da quell'ufficio.
Gli balenò in mente che avrebbe dovuto passare per gli spogliatoi e ritirare i loro borsoni prima di rincasare, perché non aveva certo l'intenzione di rovinare l'immagine pubblica di Kacchan. E poi, molti poliziotti lo stimavano e vederlo in quelle assurde condizioni sarebbe stato svilente.
Faticò per farsi lasciare la mano, prima di entrare nello spogliatoio in fretta e furia per riagguantare le loro cose e uscire dalla centrale di polizia.
Una volta fuori, Katsuki si aggrappò al braccio di Izuku, cercando di mantenere l'equilibrio mentre uscivano dalla centrale di polizia. I rumori della città erano travolgenti per lui, e quel potere che l'aveva colpito faceva sembrare ogni suono forte una minaccia per la sua vita o per quella di Deku. Quando la mano di Katsuki raggiunse di nuovo la mano di Izuku, lo guardò con gli occhi colmi di lacrime e un sussurro sulle labbra: «Sei davvero qui?».
«Sono qui, Kacchan. Adesso andiamo a casa. – le viscere si contrassero e un brontolio umido gli arrivò alle orecchie – E mangiamo. Che per colpa tua abbiamo pure saltato il pranzo...».


•••


Izuku si ritrovò ad essere frastornato nell'aprire lo stipetto più basso della cucina, quello accanto al lavandino: tutte quelle pentole e padelle gli mettevano ancora più confusione del frigorifero aperto, verso cui lanciava occhiate preoccupate. In quei giorni di convivenza lui non aveva mai messo mano in cucina, perché quello era un compito che spettava solo a Katsuki. Era il biondino burbero che preparava pranzo e cena e si premurava di conservare in contenitori ermetici le varie porzioni per entrambi, così da lasciare sempre del cibo a disposizione a Izuku, notoriamente negato fin da quando erano alle superiori.
Katsuki sussultò sulla sedia a sentire lo stridore provocato dalle pentole, le une sulle altre, rilasciando un doloroso lamento mentre si portava le mani alle orecchie e Izuku si voltava di scatto a quel suono.
«Kacchan? – si allarmò – Che succede?».
Ma come poteva spiegare che quel rumore gli ricordava le lame affilate che gli avevano oltrepassato il ventre? Un brivido di disgusto lo colse, tanto da smuovergli lo stomaco e stringere forte il labbro inferiore con i denti a trattenere il conato di vomito e un nuovo lamento, fino a che non si sentì afferrare i polsi con presa decisa e, riaprendo gli occhi, vide Deku, chinato su di lui, guardarlo con apprensione. «Kacchan! Che hai?». Ma quello non parlò, limitandosi solo a stringere gli occhi, facendo fuoriuscire un paio di lacrime.
Izuku non sapeva cosa fare, perché Kacchan s'era ammutolito quasi del tutto e le uniche cose che si limitata ad esprimere erano domande, forse ai suoi occhi stupide, e rassicurazioni sul fatto che lui gli stesse vicino.
«Ehi! Kacchan! Sono qui, vedi? – spostò le mani sulle sue guance, per forzarlo ad alzare il viso e a guardarlo – Sono qui e stiamo bene, ok? Adesso preparo qualcosa da mangiare.», ma pareva che ogni suono fosse per lui un pericolo imminente da cui proteggersi.
«No rumore...», borbottò, distogliendo lo sguardo.
«Va bene. No rumore, promesso! – sfoggiò un sorriso incoraggiante – Devi stare tranquillo. Vedrai che tornerai in te, un passo alla volta.», e si alzò, privando Katsuki di quel confortante calore che l'aveva calmato per un momento.
Katsuki guardò Izuku con occhi ansiosi, ma sentiva di potersi fidare. Ricominciò a tremare quando la porta del frigorifero si chiuse con un lieve cigolio.
Izuku si sentiva osservato: ogni tanto girava la testa e scopriva Kacchan guardarlo con attenzione, seguire con gli occhi spalancati ogni sua mossa, un sibilo di fastidio quando l'incarto del pane veniva aperto o quando il coltello cozzava contro il tagliere. Ogni gesto brusco o rumore improvviso era accompagnato dal tono calmo di Izuku: «Ehi, tranquillo! È solo la plastica del pane affettato.» oppure un «Guarda che taglio la verdura, non spaventarti, va bene?».
C'era premura nella sua voce. E una punta di leggero divertimento, non di quello maligno, sia chiaro. Era una sensazione strana quella che provava Izuku, che non sapeva definire o nominare. Ricondusse quel sentimento alla benevolenza di sua madre, allo stesso sguardo dolce, allo stesso tono di quando, da bambino, attendeva la cena e si fermava a osservarla, le guance poggiate sui palmi e i gomiti sul bancone della cucina.
Kacchan era in una posa simile, con la testa sepolta tra le braccia incrociate sul tavolo, mentre i suoi occhi cremisi non lo mollavano nemmeno per un secondo.
Izuku ne sorrise. Uno di quei suoi sorrisi morbidi che regalava a poche persone, di quelli che gli increspavano le guance e gli illuminavano teneramente lo sguardo.
Se vivere e spendersi per gli altri come eroe lo appagava, quello... Quello non sapeva definire cosa fosse, ma gli riempiva il cuore di qualcosa che a lui sembrava molto simile all'amore.
Il formaggio era stato tagliato con precisione e venne adagiato sul pane, seguito da fette sottili di prosciutto e da qualche verdura croccante: Izuku s'era sforzato di fare piano ed essere preciso, come alcune volte Kacchan gli aveva spiegato. Aveva rimestato nella memoria e recuperato piccole e semplici indicazioni che lui gli aveva dato e che, puntualmente, mai aveva seguito. Fino a quel momento.
Forse la sua coscienza gli stava solo dicendo che anche quelle inezie avrebbero fatto bene a Kacchan, anche se non l'avrebbe mai saputo.
Quando gli mise sotto il naso il piatto con il sandwich riscaldato, Katsuki tirò su la testa e guardò con diffidenza il cibo che aveva davanti.
«Itadakimasu!», gli fece Deku, sorridente, mentre addentava con voracità il suo pasto.
Le mani erano infilate tra le cosce, strette tra loro e preda di continui ondeggiamenti o tremolii e il suo sguardo di fuoco correva dal panino all'amico affamato, che gli stava versando dell'acqua nel bicchiere: «Mangia Kacchan! Mi è riuscito bene, sai? È semplice ma buono! - tentennò - Vuoi che te lo tagli?», ma alla vista dell'innocuo coltello a seghetto con la punta arrotondata, Katsuki incassò la testa delle spalle e tremò ancora, un mugolio doloroso gli uscì dalla bocca a sentire la lama stridere contro il piatto.
Izuku sospirò e si avvicinò piano a lui con la sedia, il ginocchio a cercare la sua coscia sotto al tavolo e la mano poggiata mollemente sulla testa del biondo, in una carezza delicata e rassicurante: «È solo un coltello Kacchan. Non ti fa nulla, vedi?», e si passò la lama sul palmo, provocandogli un leggero solletico a quel gesto, fermato prontamente da Katsuki, che aveva fatto volare a terra la posata e aveva preso la mano di Deku tra le sue, premendo le nocche rovinate contro le labbra e guardando il ragazzo al suo fianco con occhi grandi e preoccupati.
«Va-va bene, scusa. Non lo faccio più, promesso. - l'imbarazzo nella voce di Izuku lo faceva balbettare - Se-se lasci la-a mano, vedrai che non mi sono fa-atto nulla, mh?».
Kacchan obbedì docilmente, osservando prima la mano del ragazzo accanto a lui e poi il proprio piatto, avvicinandosi ad annusare il sandwich che, almeno all'aspetto, sembrava commestibile.
L'occhiata sospettosa che lanciò a Deku di sottecchi celava tutta una serie di domande nella sua testa, preda ancora di un terrore sordo che gli stringeva lo stomaco e gli chiudeva il cervello in una morsa.
Strizzò gli occhi e prese con titubanza il panino, provando a convincere se stesso che Deku non l'avrebbe mai avvelenato.
Il primo morso fu strano, amaro, ma non per il cibo in se stesso, quanto più perché la paura falsava tutto: suoni, odori e gusti. Poi, a poco a poco, riuscì a sentire la dolcezza del pane e lo scrocchiare fresco delle verdure sotto i denti. Masticò piano e a lungo ciascun boccone, reclinando dolcemente la testa sulla spalla sinistra di Deku, mentre quello gli passava una mano sulla schiena. «Così va bene, Kacchan. Mangia tutto il panino, da bravo, mh?».
Izuku si domandò per quanto l'effetto di quel quirk subdolo sarebbe rimasto, non sapendo bene cosa volere in realtà; vedere Kacchan tanto vulnerabile, quando invece sarebbe stato in grado di far esplodere pure il mondo intero, beh... Lo straniva. Lo straniva sul serio.
Lo osservava, un misto di stupore ed apprensione negli occhi, mentre quello continuava a sbocconcellare il panino tenendo lo sguardo fisso in un punto della tavola e la tempia appoggiata sulla sua spalla, come se quella scomoda posizione fosse per lui vitale.
Trovava adorabile quella sua strana dipendenza, ma, al contempo, aveva una tremenda paura di non riuscire più a rivedere l'animo combattivo, fiero e indipendente di Kacchan.
Izuku prese un profondo respiro, spostando la mano ad accarezzare lievemente la testa di Katsuki, giocherellando con le sue morbide ciocche ribelli. «Ho avuto paura anche io oggi. Quando ti ho visto lì, rannicchiato, piangente... Avrei voluto correre da te subito, ma non potevo. Lo capisci?».
Katsuki annuì, stringendo gli occhi per evitare di piangere, soffocando l'ennesimo lamento: «Qui...», biascicò, strofinando la guancia sulla spalla dell'amico.
«Hai ragione. Adesso sono qui. Conta questo, vero?».
Non seppe bene come accadde o come Kacchan ci fosse riuscito tanto in fretta da quella scomoda posizione. Capì solo che il ragazzo s'era girato e gli si era avvinghiato al collo, stringendo tanto forte da mozzargli il respiro per un attimo.
Sentire il fiato caldo di Kacchan sull'incavo del collo era una tortura che gli regalava scosse dalla nuca fino alle caviglie, rendendogli le guance bollenti. Sarebbe morto, di tachicardia probabilmente. Ma sarebbe morto contento, stritolato da quell'abbraccio così disperato che lui a malapena ricambiò. Non perché non lo volesse, ma solo per mantenere un adeguato contegno.
Gli batté sulla schiena, qualche colpetto per tranquillizzare i suoi singhiozzi, mentre lo sentiva borbottare una litania di "non andartene" e di "non lasciarmi".
«Kacchan... Dai. Non ti lascio, va bene? Ora però devi finire di mangiare. Un po' di frutta, va bene? – provò a scostarlo con delicatezza – Se mi lasci ti sbuccio la mela, mh?».
Fu un tacito accordo, il loro, che permise a Izuku di liberarsi, preparargli la frutta come promesso e risedersi al tavolo, attendendo che anche lui finisse il pasto.
Il vero trauma, per entrambi, arrivò dopo aver mangiato, quando fu il momento di provare a convincere Katsuki a lavarsi.


«No! - gemette Katsuki – L'acqua no!».
Katsuki era seduto sul pavimento del bagno, tremante e con una mano ancorata alla tuta all'altezza del petto, come se cercasse di proteggere il suo cuore da un destino imminente.
Izuku lo osservava dall'alto, i pugni sui fianchi e l'espressione di chi ne avrebbe pure le palle piene, ma non si può permettere di gettare la spugna.
Era preoccupato perché entrambi avevano bisogno di farsi una doccia per rimuovere lo sporco e il sudore accumulati durante la missione, ma quella che aveva capito essere una profonda fobia della morte, rendeva Kacchan riluttante a lasciare il "sicuro" asilo del suo corpo sudicio.
Izuku sapeva che Katsuki stava solo cercando di evitare l'angoscia della sua fobia, ma era anche consapevole dell'importanza di farlo pulire. Con rinnovato spirito, disse: «Kacchan, so che hai paura, ma non puoi rimanere così.».
«Non posso fare la doccia. L'acqua è fredda... - si portò le mani a proteggere lo stomaco, accartocciandosi su se stesso e continuando a piagnucolare - E poi morirò!».
«Guarda che è una doccia, non un bagno in mare! Se fai una doccia calda ti garantisco che non ti farà niente.».
Katsuki scosse la testa freneticamente. «No, Deku, no!».
Izuku capì che doveva essere risoluto e si rese conto che la decisione che stava per prendere sarebbe stata al pari di scavarsi da solo una fossa.
Con gentilezza si avvicinò a Kacchan, le mani poggiate sulle spalle a fare forza nel raddrizzarlo, un'espressione rassicurante dipinta sul volto a mascherare quel misto di imbarazzo ed esultanza per ciò che doveva fare, mentre gli passava i palmi sulle braccia, fino a prendergli i polsi e a slacciargli dalla presa salda che stavano esercitando sul suo addome.
Notò che aveva la pelle del collo arrossata e l'attaccatura dei capelli sudata. «Andiamo, Kacchan. Ti aiuterà a sentirti meglio.», supplicò, cercando di non sembrare preoccupato.
«Non voglio farmi la doccia!».
Izuku sospirò dolcemente a quell'ennesima rimostranza: «Non è bene che tu resti tutto sudato e appiccicoso in questo modo. – fece una breve pausa - Inoltre, hai un cattivo odore.», aggiunse con tutta la gentilezza di cui era capace, arricciando il naso per far credere a Kacchan che puzzasse, ma non era vero.
Katsuki borbottò qualcosa di incoerente prima di chiudere gli occhi, cercando chiaramente di ignorare la conversazione.
«Oh, andiamo...», provò di nuovo Izuku, stringendogli di più le braccia, «Ti fidi di me, Kacchan?», gli domandò poi, piegando la testa per cercare di allacciare il suo sguardo al proprio; anche solo per un breve istante sarebbe stato per lui una conquista.
Katsuki però sembrava ipnotizzato da quel sorriso rassicurante e, con molta probabilità, avrebbe accettato anche un cucchiaino di cianuro se fosse stato Deku a darglielo in quel preciso momento. Annuì piano, distendendo l'espressione sofferente, lasciandosi guidare dai movimenti lenti del ragazzo che gli stava di fronte, che con le dita gli percorreva il tessuto umidiccio della canotta fino alla cintura, increspandola per farla uscire dai pantaloni: «Allora va bene se comincio a spogliarti?».
Izuku lo vide spalancare gli occhi cremisi e tentare di fermare con tutta la propria forza la corsa di quelle mani che gli stavano sollevando la canotta ormai oltre i pettorali, una sequela di "no" piagnucolati a mezza voce, mentre le lacrime tornavano a rigargli le guance.
Il cuore di Izuku saltò un battito a quella vista, sentendo il calore diffondersi nel suo petto per l'intimità del momento. Certo, l'aveva spogliato anche dopo il festival, ma era diverso, la loro stanchezza era diversa. E l'aveva solo messo a letto, non l'aveva certo accompagnato in doccia terrorizzato! Si trattenne dal mostrare qualsiasi reazione mentre combatteva contro quelle mani che lo stavano intralciando.
«Adesso basta!», gli ringhiò contro Izuku, indurendo lo sguardo, facendo bloccare tutte le sue proteste e i suoi movimenti, permettendogli di sfilargli la canotta dalla testa e dalle braccia, lasciandola cadere ai suoi piedi con un fruscio umido.
«Ecco, bravo. Non farai le stesse storie se adesso slaccio questo?», pronunciò, la voce bassa che accompagnava le dita che sganciavano la fibbia del cinturone sui fianchi, facendolo scendere delicatamente lungo le gambe, mentre i suoi occhi di smeraldo restano incollati ai due rubini che lo osservarono con una punta di apprensione quando Izuku iniziò a slacciare il bottone dei pantaloni neri di Katsuki e ad abbassargli la zip.
Katsuki gemette quando sentì il tessuto scivolargli lungo le gambe, assottigliando gli occhi per guardare Deku con aria minacciosa. «Avrò una congestione...», lo udì mormorare con labbro tremulo. «Non voglio morire.».
Izuku alzò gli occhi al cielo dopo che l'aiutò a togliersi i pantaloni dalle caviglie: «Quanto sei melodrammatico! – li raccolse assieme alla canottiera e li appallottolò, gettandoli in un angolo del bagno – Aprirò l'acqua calda ora.», decretò, avvicinandosi al rubinetto della vasca, azionando il getto d'acqua affinché si scaldasse, prima di tornare di nuovo di fronte a Kacchan e gli sorrise.
S'era auto-imposto di lasciargli addosso solo i boxer neri, nel disperato tentativo di salvare la dignità di entrambi da un gelido imbarazzo, sia sul momento, sia quando l'effetto di quello strano quirk avrebbe lasciato la mente di Katsuki. E Izuku, malignamente, sperò che durasse ancora per un bel po', non tanto per la visione paradisiaca che aveva dinnanzi, quanto più per la remissività di Kacchan a certi comandi, che lo facevano, in piccola parte, sentire potente e gli davano la vana sensazione di prendersi la sua piccola rivincita.
Tuttavia, quello era anche un momento di estrema fragilità e lui non voleva affatto essere colui che si approfittava di un amico in un momento di debolezza.
«Vedi? Ti aiuterà a non morire di congestione, promesso.», e nel pronunciare quelle parole gli passò le dita lungo le braccia chiare, un tocco delicato sulla sua pelle di seta, interrotta da piccole e grandi cicatrici ormai vecchie, che si confondevano col resto del pallore della sua carnagione, e piccole escoriazioni di quella intensa e strana giornata.
Le dita gli afferrarono i polsi, trascinandolo piano verso la vasca. «Niente bagno, ok? Solo doccia. – allungò una mano a saggiare la temperatura dell'acqua – Una doccia bella calda!», e provò a farlo entrare da solo, invano.
Katsuki si stava comportando come un gattino spaventato, che faceva qualsiasi tipo di resistenza per non entrare in vasca, arrivando perfino ad aggrapparsi al bordo con le mani per evitare che Deku lo facesse andare a forza sotto il getto d'acqua.
Così si ritrovò a pensare al volo un'altra strategia, evitando di guardare Kacchan che s'era seduto, mezzo nudo, sul pavimento fresco, a braccia conserte che si teneva la pancia con espressione sofferente.
Izuku sentì un nodo alla gola, mentre tirava giù la zip del costume e si sfilava lentamente la tuta, calciandola via in un angolo e rimanendo anch'egli solo con gli dei boxer verde scuro addosso.
Si sentiva esposto ed in parte vulnerabile, ma anche più libero, molto più libero di quello quanto non credesse possibile. Sorrise imbarazzato mentre Katsuki lo guardava entrare in vasca con gli occhi leggermente spalancati
L'acqua era piacevolmente calda, come aveva promesso a Kacchan, e iniziò a scorrergli addosso come una pioggia di benedizioni. Voleva lavare via il sudore e tutta la polvere e sperava ardentemente che Kacchan lo seguisse.
L'acqua calda gli scendeva tra i capelli e gli inzuppava l'intimo, mentre Kacchan non si decideva a fare altrettanto.
Katsuki per un attimo sussultò a sentirlo slittare sul fondo della vasca e si tirò in piedi di scatto, un movimento troppo brusco e veloce perché Izuku se ne rendesse davvero conto: anche il biondino era entrato con lui nella stretta vasca, ma gli si era avvinghiato contro con una tale impetuosità, che l'aveva fatto sbattere contro il muro alle sue spalle, il rubinetto dell'acqua piantato nelle reni e il getto chiuso per quel contatto improvviso.
«Ma che cazzo!», sbottò, ma senza riuscire ad essere arrabbiato sul serio col ragazzo che lo stava tenendo stretto in un abbraccio fin troppo saldo.
«No! Deku no! No-non fa abbastanza caldo!», piagnucolò, iniziando a farsi prendere dal panico.
Izuku allungò un braccio e alzò immediatamente la temperatura, sentendo il corpo del suo amico teso sotto le sue mani, quando gli toccò la schiena per rassicurarlo.
La pelle chiara di Kacchan era liscia come seta e Izuku si rese conto di avere le mani troppo ruvide e rovinate per tutta quella tenerezza, ma fu più forte di lui strofinargli la schiena in modo rassicurante, cercando di calmarlo. «Va tutto bene, ho capito. Rilassati.», mormorò dolcemente, allungando la mano verso la confezione di bagnoschiuma.
Esitò appena, mordendosi con forza l'interno del labbro inferiore per scacciare col dolore tutte le immagini lascive che gli si erano presentate alla mente a ricordare come avesse usato quel bagnoschiuma poco più di una settimana prima.
Prese un respiro lento assieme al flacone di plastica, prima di aprirlo e capovolgerlo: sulla schiena chiara di Kacchan ora vi era una sottile striscia biancastra che colava, impertinente, tra le sue scapole, accarezzando le piccole sporgenze della sua colonna vertebrale e provocandogli la pelle d'oca solo per la differenza di temperatura.
«Anche questo dovrebbe aiutare...», aggiunse Izuku mentre strizzava tra le mani la piccola salvietta di spugna gialla che Kacchan usava di solito per lavarsi, versandoci sopra abbondante bagnoschiuma e iniziando a passarla sul suo corpo con delicatezza, dapprima sulle spalle ampie e poi sulla parte alta di quella schiena perfetta, facendo attenzione a non esercitare troppa pressione laddove la pelle era arrossata da escoriazioni fresche o da ecchimosi.
Katsuki ringhiò di nuovo nel suo continuo e vano tentativo di protestare contro la pratica abominevole e mortale di bagnarsi dopo i pasti, ma non si allontanò dal tocco di Izuku. Invece, si avvicinò di più ed emise un sospiro quando l'acqua calda lo colpì in pieno. I suoi muscoli si rilassarono un poco sotto le dita attente di Deku, che ora lo scostavano piano e lo facevano raddrizzare con una dolcezza che sarebbe riuscita a sciogliere anche il più tremendo dei suoi avversari.
Il ragazzo, la salvietta infilata nell'elastico dei boxer, versò una noce di shampoo sul palmo della mano sinistra e poi cominciò ad insaponare piano i capelli color grano dell'amico, i polpastrelli che sfregavano con più forza sulla cute gli strapparono un mugolio soddisfatto, di gola, facendogli chiudere gli occhi. Ma quella insulsa paura, quella voragine che gli divorava il cuore, boccone dopo boccone, lo fece tornare alla cruda realtà e indietreggiare nel tenersi lo stomaco con le braccia, la schiena bollente premuta contro le piastrelle fredde, il respiro mozzato da quell'improvviso contatto fuori luogo.
«È solo una doccia, Kacchan. – aveva ancora della schiuma sulle mani e se la portò nei propri ricci ormai irrimediabilmente bagnati - Fai peggio con gli sbalzi termici e lo sai.», gli sorrise Izuku, finendo di lavarsi velocemente i capelli.
Salvietta alla mano, allungò poi il braccio per passare delicatamente il tessuto sul suo petto, dirigendo con l'altra il getto d'acqua calda verso l'amico.
Sorrideva, sì; ma quei suoi occhi di smeraldo a stento riuscivano a mascherare quel fuoco che lo stava pian piano consumando dall'interno, un acido corrosivo che gli mangiava le vene ogni volta che osservava quel petto glabro alzarsi e abbassarsi in respiri affannati. O i suoi addominali contratti e inumiditi dall'acqua.
Perché aveva davanti a sé l'occasione di una vita e non poteva coglierla?
Perché la sua parte buona e dolce e premurosa doveva sempre prevalere?
Però...
Però Kacchan ai suoi occhi era così vulnerabile e fragile e perso che decidere di approfittare di lui non era mai stata davvero un'opzione, nemmeno in quel momento, mentre passava quello straccio bagnato e insaponato sulle clavicole e sui pettorali, forzandolo ad alzare le braccia per lavargli anche le ascelle.
«Che fai?», borbottò il biondino, gli occhi spalancati ed increduli seguendo i movimenti imposti da Deku come se fosse una marionetta.
«Ti sto ripulendo perché tu non collabori. – fece una pausa – Ti va bene la temperatura dell'acqua? È ancora troppo fredda per te?» e Kacchan sembrò scosso da un brivido, i peli biondissimi sul suo addome che si rizzavano a seguito del passaggio della lavetta sul suo addome, indugiando sull'ombelico, fino a sfiorare l'elastico fradicio dei boxer.
Katsuki gemette in risposta a quel tocco, le mani libere di chiudersi contro gli avambracci di Deku per fermarlo, i palmi che si surriscaldavano facendo rilasciare al ragazzo dai capelli verdi un mugolio di fastidio stratto tra i denti.
Staccò di colpo le mani e le chiuse a pugno, irrigidendosi di nuovo su tutto il torso, digrignando i denti nel tentativo di trattenere quelle fastidiose esplosioni e pregando che Deku non vedesse quanto quelle attenzioni lo stavano eccitando; non ora, che si stava chinando di fronte a lui, passando quel fottutissimo pezzo di stoffa tutto attorno sulla coscia destra, fino a sfiorargli con la punta delle dita la parte bassa della natica e il bordo del gambale del boxer nella sua parte più interna. Chiuse gli occhi e lasciò andare la testa contro le piastrelle colpite dal getto d'acqua bollente, il vapore che saturava il piccolo bagno e rendeva l'aria pesante da respirare, anche a causa del profumo fresco e delicato di fiori del bagnoschiuma che sembrava penetrare ogni poro della loro pelle. Nonostante il caldo, i muscoli di Katsuki erano ancora più tesi e nervosi, soprattutto quando Izuku lo obbligò a sollevare la gamba, una presa salda nell'incavo del ginocchio e il piccolo asciugamano che gli insaponava delicatamente polpaccio, caviglia e piede, con una meticolosità che non sapeva davvero da dove derivasse.
Non che di solito non si lavasse per bene, ma Kacchan era un vero maniaco in questo. E Izuku lo sapeva ed era per questo che indugiava, dito per dito, in quella pulizia accurata, senza mai alzare lo sguardo verso l'amico. Sapeva di avere i suoi occhi cremisi piantati sulla nuca, me si sforzò di non darci peso.
Dopo alcuni minuti del tocco calmante di Deku, Katsuki iniziò a rilassarsi di nuovo, consapevole che Izuku non avrebbe lasciato che gli succedesse nulla.
«Deku?».
«Kacchan.».
«Non mi lascerai da solo di nuovo?».
Il ragazzo inginocchiato ai suoi piedi bloccò ogni movimento, irrigidendo le spalle con un movimento impercettibile, prima di prendere un profondo respiro tra l'acqua e sapone che gli bagnavano i capelli e correva sul suo viso troppo caldo. «No, Kacchan. Sono qui.», e gli depositò un bacio leggero sulla pelle bollente della coscia sinistra, prima di adagiarvi contro la fronte bagnata e chiudere gli occhi. «Sono qui.».
Una carezza. Pesante e incerta, ma pur sempre una carezza fu quello che ricevette Izuku, le dita di Kacchan che provavano a pettinargli i capelli all'indietro e un po' lo costringevano a staccare la fronte da quella pelle bollente e a guardarlo, dal basso, in quella posa che avrebbe potuto tranquillamente essere equivoca, o preludio di ansiti e gemiti e di un sogno che poteva diventare realtà in uno sfarfallare di ciglia. Ma si rifiutò categoricamente di guardare verso il tessuto nero che lo stava tentando da un tempo indefinito, dilatato. Perché sembravano sotto quella doccia da secoli, anche se erano solo una decina di minuti o poco più.
«Hai ancora freddo?», ma quello scosse la testa.
Kacchan era bello da morire anche così, col sapone ormai lavato via e i capelli schiacciati sulla testa, le guance rosse per il troppo caldo e gli occhi lucidi. Se per il sapone o quel terrore latente non avrebbe saputo dirlo.
«Hai davvero paura che vada via di nuovo?». Katsuki tentennò e piegò la testa di lato, facendo rilasciare a Izuku un sospiro di esasperazione, mascherato in una smorfia che gli sollevava le guance piene di efelidi mentre tornava ad alzarsi, sciacquando e strizzando a lavetta prima versarci sopra altro bagnoschiuma e porgerglielo, gli occhi che saettavano veloci ed eloquenti verso il basso, prima di fissarlo nuovamente in quei suoi rubini maledettamente attraenti.
«... Ti arrangi.», esalò, e col fiato forse sen ne andò pure la sua forza di volontà: quello non l'avrebbe sopportato. A tutto c'era un limite e il suo era un sottile tessuto nero marchiato Calvin Kline.
Si voltò, per dargli quella parvenza di privacy che in realtà nessuno dei due lì dentro aveva e provò a insaponarsi a sua volta, dalle orecchie al collo, il torace, in fretta, per non dare il senso di abbandono al ragazzone che sospirava pesantemente dietro di sé, tanto che pure con lo scrosciare dell'acqua riusciva a udirlo.
Alzò una gamba, s'insaponò per bene, la stessa cura che aveva messo per lavare Kacchan, gli stessi movimenti. Gamba destra, la sinistra.
Rimase a fissare l'ultima noce di bagnoschiuma che aveva versato sul palmo, sapeva dove era diretta la mano e strinse gli occhi, l'autocontrollo che stava per andare a puttane quando le dita oltrepassarono l'elastico blu dei propri boxer e indugiarono per qualche secondo sulla pelle liscia dell'addome, sulla leggera peluria alla base, mentre lo percepiva teso da far male. Chiuse gli occhi e aggrottò la fronte, deglutendo durante quel lavaggio frettoloso e-
Si sentì avvolgere da un paio di braccia bollenti e forti, le mani aperte sui suoi addominali che lo stringevano come se non lo volessero far scappare, la guancia calda di Kacchan premuta contro la pelle sottile tra la nuca e le scapole, un uggiolio sommesso gli giunse alle orecchie.
Reclinò la testa all'indietro, a sfiorare il capo biondo con il proprio, le mani ancora insaponate si spostarono velocemente a fermare il peregrinare di quelle di Katsuki, che gli si stavano arpionando ai pettorali, riportandole più in basso, intrecciando le dita come a rassicurarlo, a tenerlo più stretto, più vicino di quanto non fosse. «Ehi! Non voglio andare da nessuna parte, se non qui.».
Sentire il calore di Kacchan contro la sua pelle ormai raffreddata fece rabbrividire Izuku, ma non fu spiacevole. In effetti, era stato carino. O un po' più che carino.
O talmente carino che l'istinto prese il sopravvento e si voltò, senza sforzo, prima di chinarsi e premere le labbra su quelle di Kacchan in un morbido bacio. All'inizio era semplice e casto, ma, mentre respiravano l'uno l'odore dell'altro - un misto di paura e sapone - si faceva più profondo, le lingue danzavano insieme in un ritmo lento che faceva girare la testa a Katsuki. Il calore dei loro corpi era quasi perfetto ora, e lui gemette nel bacio, le sue mani trovarono disperatamente la strada verso i fianchi di Izuku, che emise un piccolo sussulto a quel tocco sfacciato, quando sentì le dita di Kacchan premergli la carne con urgenza, scaldandosi in maniera esagerata mentre quel bacio si faceva disordinato e appassionato: la lingua di Izuku schizzò fuori per esplorare la bocca di Katsuki, e le mani di quest'ultimo gli scivolarono lungo i fianchi e poi su, sulla schiena per tirarselo contro.
Katsuki aveva un sapore così buono, che Izuku si ritrovò anche a mordicchiargli il labbro inferiore, strappandogli dal fondo della gola un mugolio di piacere che l'avrebbe fatto venire nelle mutande anche senza toccarsi se solo l'avesse rifatto. Il bacio si fece più profondo e divenne più disperato mentre entrambi cercavano di avvicinarsi, di mettere in contatto più pelle possibile, e le loro lingue danzavano in un groviglio bisognoso. Il cuore di Izuku gli batteva forte nel petto e poteva dire con certezza che quello di Katsuki stava battendo allo stesso ritmo.
L'acqua calda si era notevolmente raffreddata, ma il vapore riempiva ancora la stanza, rendendola ancora più intima e sospesa nel tempo, dove si sentivano solamente i rumori provenienti da entrambi: gemiti sommessi dagli schiocchi umidi delle labbra incollate le une alle altre.
Almeno fino a quando Izuku non interruppe il bacio, scostando Katsuki un po' troppo bruscamente e facendo un respiro profondo per calmare l'incendio che stava divampando nel suo ventre. «Katsuki! Basta! – la voce era rauca di desiderio - Mi stai facendo male!». Un sibilo tra i denti accompagnò le sue ultime parole.
Kacchan piagnucolò a sentire quel tono duro e staccò immediatamente le mani dalla pelle di Izuku, che ora aveva piccole scottature a ricordare dove quelle dita erano passate ed emise un gemito di frustrazione mentre cercava rassicurazione in quegli occhi verdi che lo guardavano ora con severo rimprovero.
«Perché non me lo hai detto? – lo sguardo dubbioso di Kacchan era eloquente – Perché non mi hai detto di questo?», e gli afferrò i polsi con forza, portandoli sotto il getto dell'acqua per togliergli il fastidio delle micro-esplosioni che gli avevano arrossato la pelle dei palmi.
«Io... avevo paura...», esalò, gli occhi di rubino sempre fissi in quelli di Deku, che ora si stava sciogliendo come una pallina di gelato al sole.
L'avrebbe mangiato di baci, divorato se necessario. Perché mai nella vita – mai! – l'avrebbe lasciato andare. Poteva anche tornare il burbero villano che era di solito, ma questo... Questa visione nessuno gliel'avrebbe più tolta: sarebbe rimasta impressa nella parte più profonda del suo cervello, un segreto solo per loro due.
Allungò le braccia, gli afferrò la nuca e se lo strinse contro, la guancia premuta appena sotto la clavicola, l'orecchio che poteva auscultare il cuore e capire di che patologia sarebbe morto di lì a breve, perché non era normale avere le palpitazioni in quel modo!
«Kacchan, non ti preoccupare. – gli carezzò dolcemente i capelli– Ci sono qui io, no? Ti sentirai meglio, te lo prometto.», sussurrò, pressando la guancia su quell'ammasso disordinato di capelli biondi ed umidi, a volergli dire silenziosamente quanto gli volesse bene. Perché a Kacchan bastavano i gesti, non inutili frasi fatte a cui si poteva cambiare a proprio vantaggio il significato.
Katsuki si sciolse sotto quel tocco confortante, il suo corpo rispondeva abbandonandosi di più contro Deku nonostante il nervosismo. Sentì di nuovo le dita passargli tra i capelli e rilasciò un sospiro caldo contro la pelle di Izuku, una sensazione familiare di benessere che lo avvolgeva lentamente.
«Ti va se usciamo? Se ci asciughiamo?».
Quella voce lo riportò a una realtà strana, nebulosa e profumata, sollevando di poco le palpebre mentre annuiva piano contro la pelle calda di Deku, ogni tanto a sfiorarla col naso o con le labbra in una carezza stanca.
Ed era una tortura, sul serio.
Non che facesse male. No, assolutamente no.
Ma gli tirava. Dio se gli tirava! E Izuku tentava in tutti i modi di scostare il proprio bacino da quello di Kacchan perché non ci sarebbe stato nulla di più inopportuno di uno sfregamento. Neppure uno piccolo, perché ci sarebbero state scintille, e dalle scintille sarebbe potuto divampare un incendio pure in mezzo a tutta a quella opprimente umidità.
Fu difficoltoso scostare Kacchan, avvinghiato stretto contro il suo torace, così bisognoso di un contatto fisico che fosse rassicurante. Sembrava un'altra persona, davvero.
Gli tese una mano per dargli la sicurezza di non dover cadere una volta uscito dalla vasca. «Prendila. Così non ti spacchi l'osso del collo.», ghignò, pronunciando quelle parole solo per il gusto di vedere gli occhi sottili di Kacchan spalancarsi in apprensione e sentire la presa salda della mano sulla sua, le dita intrecciate nel disperato tentativo di non scivolare e raggiungere il tappetino candido sano e salvo.
Il suo cuore probabilmente aveva deciso di dargli il benservito, altrimenti non si spiegava quel leggero mancamento che ebbe quando gli mise l'ampio asciugamano sulla testa e lo frizionò per bene sui capelli, scoprendo quell'espressione adorabile e corrucciata che gli aveva visto fare solo una volta, da bambini.
La ricordava fin troppo bene quella faccetta bagnata ed imbronciata, mentre Zia Mitsuki lo asciugava, con la grazia che contraddistingueva la famiglia Bakugō: s'erano attardati a giocare in giardino e un acquazzone li aveva colti di sorpresa.
Il naso era arricciato per il fastidio, gli occhi strizzati e le labbra sottili increspate in una linea dritta che avrebbe voluto baciare ancora, e ancora, e ancora, fino a consumarle; ma si accontentò solo di guardarlo, di prenderlo in giro con una risata e di lasciargli il telo da bagno sopra le spalle, come un mantello.
Scosse la testa per togliere dalla fronte i ricci verdi che s'erano appiccicati alla pelle, prima di recuperare il suo asciugamano e passarlo su tutto il corpo, lo sguardo attento di Kacchan a non perdere alcuna sua mossa.
«Beh? - lo apostrofò con una punta di giocosità nella voce - Io mica ti asciugo sai? Già ti ho dovuto lavare...», ma quello sembrava una statua di sale.
«Guarda che se non ti asciughi prendi freddo. - lo incalzò - E se prendi freddo poi magari ti ammali...», ma non finí la frase per frenare una risata, una di quelle che gli nascevano dalla pancia e lo scuotevano tutto: Katsuki, allarmato dalla miriade di conseguenze nefaste a cui probabilmente aveva pensato, s'era mosso a scatti nel cercare di afferrare il telo per asciugarsi, avvolgendosi al suo interno come se fosse un umido burrito.
Izuku però si rese conto troppo tardi che quel suo ridere sommesso gli aveva fatto scordare un po' in che situazione fosse, soprattutto quando udí un gemito strozzato accanto a lui mentre tentava con noncuranza di scollarsi di dosso i boxer fradici.
«Oh, merda! - borbottò, tirando di nuovo l'intimo al suo posto - Scusa Kacchan!», il rossore ben visibile su entrambi i loro visi.
Si diede dell'idiota ed indietreggiò con calma fino alla porta, aprendola e venendo investito dall'aria fresca del resto della casa. Rabbrividì. Lo fece anche Katsuki, mentre si stringeva di più in quel bozzolo fatto di pregiata spugna di cotone.
«Sentì... Io vado in camera a cambiarmi, va bene? Non scappo né ti lascio da solo! Vado solo a vestirmi e a prenderti qualcosa di pulito!», mise le mani avanti, i palmi aperti e lo sguardo addolcito per essere il più rassicurante possibile.
Katsuki stavolta obbedì: non lo seguí fisicamente nel suo percorso, ma si limitò ad osservarne i movimenti con lo sguardo, appoggiato con la pancia e il torace allo stipite della porta, la sua testa bionda e arruffata che sbucava, curiosa, a verificare cosa stesse facendo in camera.
Katsuki tornò a respirare normalmente quando lo vide spostarsi di nuovo in direzione del bagno: s'era davvero cambiato, una maglietta scura, larga in vita e lunga da coprire a malapena le creste iliache. Teneva in mano dei vestiti e quasi glieli sbatté in faccia: «Maglietta, mutande e pantaloncini. - esitò un momento - Sono i miei... Non mi andava di frugare tra la tua roba, scusami.».
Il biondino continuava a spostare lo sguardo tra lui e i vestiti, muovendo appena le orecchie, le labbra tirate in un'espressione scettica. Poi allungò una mano e li prese, tornando lentamente in bagno.
«Mi aspetti?», brontolò a voce più alta.
«Sì. Ti aspetto qui fuori.», esalò Deku in risposta, la stanchezza di quella giornata che si stava facendo sentire in maniera prepotente quando si appoggiò con la schiena al muro. «Ma fai in fretta, ti prego... Sto morendo di sonno...», borbottò pure lui in risposta.
Poi, con la coda dell'occhio, notò la testa bionda di Katsuki tutta arruffata spuntare dalla porta e, con espressione preoccupata sul volto, mugugnare un semplice «Stai bene?».
«Sto bene... Era solo un modo di dire Kacchan! Sei... Sei pronto?».
Lo vide annuire ed esitare prima di uscire dal bagno e seguirlo, mesto verso la camera, con gli occhi che scrutano lo spazio con circospezione mentre passavano accanto all'angolo cucina, i piatti sporchi ancora da lavare.
Pure la loro camera era in disordine e attese che Deku raccogliesse i vestiti e li cacciasse sulla sedia nell'angolo, alla rinfusa, senza prestare davvero attenzione se fossero suoi o di Katsuki, ma non gli diede fastidio, perché, in quel momento, aveva solo una paura fottuta di non svegliarsi più l'indomani.
Si sentì spostare con delicatezza, le mani forti e rovinate di Deku lo tenevano per le spalle e lo costringevano a indietreggiare fino a farlo sedere sul proprio letto, le lenzuola fresche dli restituivano una sensazione piacevole sotto le cosce.
«Io mi metto lì. – Izuku indicò il proprio letto – E ci resterò per tutta la notte, va bene? Sono vicino a te, quindi non devi avere paura.», disse con tono pacato, mentre il suo sguardo si spostava febbrilmente dagli occhi cremisi di nuovo inumiditi di lacrime alle dita, che Kacchan continuava a stropicciare, a tirare, a scrocchiare per scaricare la tensione. «Puoi annuire per favore?».
Katsuki lo guardò e si sforzò di muovere il capo e di distendersi, rannicchiato col viso verso la porta, a non perdersi alcun movimento di Deku, neppure quando aveva fatto il giro della casa per spegnere tutte le luci rimaste accese, prima di chiudere pure quella della camera, il ventilatore posizionato sulla porta per far circolare più aria.
Izuku si lasciò cadere sul materasso, stremato e scomposto, un lungo e rumoroso sospiro a svuotargli il petto, gli occhi chiusi, rivolti al soffitto: non riusciva a smettere di pensare a quello che era successo in quella giornata concitata e strana, in cui si era sentito profondamente combattuto tra il proprio buonsenso e il bruciante desiderio di avere Kacchan tutto per sé.
Una cosa però era certa: gli era piaciuto prendersi cura di Katsuki. Gli era piaciuto il modo in cui il suo respiro si interrompeva quando si disperava per un rumore troppo forte sentito per strada, gli erano piaciuti persino i morbidi piagnistei che echeggiavano ancora nelle sue orecchie. Era stato tutto così... intimo. Fece del suo meglio per scacciare le ultime immagini di Kacchan umido e arrossato dall'acqua calda, ma la sua mente continuava a vagare indietro, ripercorrendo tutti i piccoli momenti in cui avrebbe voluto solo divorarlo di baci.
Fu un fruscio prolungato a riportarlo alla realtà di quella stanza, al caldo sulla pelle; voltò la testa, delineando, nella semi-oscurità della camera la figura di Katsuki che, in piedi accanto al letto, lo fissava con le braccia conserte.
Ed era estremamente inquietante.
«Che succede Kacchan?».
«Ho paura.».
«Paura di cosa?». Aveva notato che, col passare del tempo, quel mutismo selettivo che aveva manifestato appena colpito dal villain, stava perdendo di intensità e, a parte mugugni e piccoli ringhi, Kacchan stava lentamente riprendendo a formulare piccole frasi che avevano un qualche senso.
«Di addormentarmi.», sussurrò, mentre un'angoscia marcia gli correva dentro, si aggrappava all'intestino e allo stomaco e poi su, ancora più su a bloccargli il respiro con un dolore lancinante che mascherò solo con un gemito trattenuto.
«Hai... Paura di addormentarti?», e lo vide annuire, prima di esalare solo cinque parole che furono come un pugno nello stomaco di Izuku: «E di non svegliarmi più.».
Quanto poteva essere subdolo quel potere? E quanto stava soffrendo quel povero ragazzo?
Izuku stavolta non sorrise, né cercò parole dolci per rassicurarlo o per provare a convincerlo a starsene sul suo letto a tutti i costi, come invece aveva fatto con la doccia. Un sospiro pesante gli uscì di nuovo dalle labbra, mentre strisciava più in là sul materasso e, con un gesto fluido del braccio, accarezzando lo spazio vuoto accanto a lui: «Vieni qui allora... C'è un sacco di spazio.».
Katsuki esitò prima di sedersi, il materasso che si piegava sotto il suo peso.
Dapprima si distese, teso nei movimenti, i respiri controllati, gli occhi spalancati nel buio come se pure quelli lo aiutassero a prendere aria, a fargli battere il cuore e sentirsi vivo.
Fu Izuku, un po' stanco di tutto quel combattere come farebbe una madre contro un bambino capriccioso, ad avvolgergli il braccio attorno alla vita, farlo rotolare di lato contro di sé, un urletto spezzato per la sorpresa e un letto a una piazza troppo piccolo per entrambe le loro fisicità.
«Adesso sei qui con me, Kacchan. - sussurrò Izuku, con la voce appena al di sopra di un soffio mentre si chinava per strofinare il naso contro i capelli del biondino - Va tutto bene adesso, puoi dormire.», e inspirò profondamente il suo profumo familiare. Era confortante ed eccitante allo stesso tempo.
Katsuki, passato un primo momento di smarrimento, si accoccolò sul petto di Deku. C'era un caldo asfissiante in quella stanza, e né il condizionatore né il ventilatore riuscivano a mitigare quella sensazione. O forse era tutto nella sua testa, perché avevano solo la pelle accaldata dopo la doccia e quella cosa a Katsuki non stava dando poi così tanto fastidio.
Cercava quel calore, si aggrappava forte alla maglietta di Deku come se fosse un salvagente in un mare in tempesta, con l'orecchio premuto sul suo petto e il rimbombo costante del suo cuore che lo cullava e lo calmava, un battito dopo l'altro, inesorabile, incessante.
E quel suono era musica, una dolce ninna nanna che gli fece chiudere gli occhi nel rilasciare un profondo, caldo sospiro, prima di parlare: «Mi piace.».
«Che cosa?». Izuku passava le dita tra i capelli biondi, umidi e disordinati, in modo rassicurante, cercando di dormire un po' prima del suono della sveglia. Nella penombra, osservava la schiena di Katsuki alzarsi e abbassarsi a ogni respiro tremolante, il suo cuore si strinse al pensiero di ciò che aveva passato Kacchan.
«Questo...», e il biondo aprì la mano, spostandola al centro esatto del petto, una lieve pressione per far capire di cosa stesse parlando. E Izuku sentì più caldo, le guance andare a fuoco per qualche stupida parolina.
«Kacchan... – ma le parole che stava per pronunciare gli sembravano solo superflue – Hai ancora paura?», ma il biondino rispose solo con un dolce mugolio soddisfatto, la presa attorno al suo torace si fece più stretta.
Di tanto in tanto, le dita di Izuku sfioravano la schiena di Kacchan da sopra il tessuto, tracciando disegni fantasiosi mentre ne assaporava la vicinanza. E Katsuki capiva di essere al sicuro tra quelle braccia, tanto che il suo cuore sembrava battere più forte quando le dita di Deku lo sfiorano.
Le loro gambe si aggrovigliarono come tralci di edera, le une alle altre, alla ricerca di una posizione comoda per entrambi.
A Izuku non dava fastidio il contatto con la figura bollente di Kacchan, anche se avrebbe comunque voluto che quelle strusciatine gentili fossero di tutt'altra natura, ma si accontentò.
«Oggi è come se fossi stato la tua badante!», se ne uscì, tutto d'un tratto, ridacchiando sommessamente, il suono cupo della sua voce bassa stimolava l'orecchio di Katsuki, facendolo sorridere e strofinare di più la guancia sul tessuto morbido della maglietta.
Entrambi i ragazzi rimasero in silenzio per un po', assorbendo il calore l'uno dell'altro, in ascolto dei deboli suoni notturni provenienti dall'esterno o del battito incessante di un cuore.
L'unica fonte luminosa della stanza era la finestra, coperta da una spessa tenda, ma che faceva comunque filtrare la fastidiosa luce giallastra dei lampioni lungo la strada, proiettando lunghe ombre sulle lenzuola disordinate e sui loro corpi avvinghiati.
«Giornata strana, non credi?». Un mugugno in risposta, che sembrava un invito a continuare, la presa sul suo corpo più salda.
«Sì. – ridacchiò – Volevi solo stare con me, lo capisco. È stata dura per entrambi.». Il caldo peso del corpo di Katsuki che premeva contro di lui era confortante. Tracciò le linee della mascella del ragazzo con la punta delle dita prima di chinarsi per dargli un morbido bacio sulla testa, i capelli che profumavano di fiori.
«Sai... Era successo anche a me una volta. Di avere paura di non svegliarmi più. – fece una pausa, in cui sbadigliò rumorosamente e Katsuki ripeté quel gesto di riflesso – Mamma quella volta mi aveva cantato una canzone per farmi stare meglio. Vuoi che provi a cantare per te?».
Non attese una risposta, ma improvvisò un sommesso mugolio a labbra serrate, di gola, lievemente stonato.
Era tenera quella cosa; tenera e maledettamente carina e Katsuki si disse che, dopo quello, avrebbe anche potuto morire, a giudicare anche da quanto il proprio cuore galoppava nella cassa toracica alla ricerca di una via di fuga, di schizzare fuori e lasciarlo lì, esangue. Ma ne sarebbe valsa la pena, morire felice.
Quando però percepì che il gorgheggio si affievoliva e a tratti cessava, alzò di poco la testa verso Deku, e il suo movimento sembrò ridestarlo, gli occhi pieni di preoccupazione fecero formulare a Deku una domanda stupida: «E adesso che succede?».
«Ti prego, non dormire. O non...». Si preoccupava che anche Izuku non fosse in grado di non svegliarsi più l'indomani mattina se si fosse addormentato. Lui poteva anche morire, Deku no.
Perché nella sua mente, in quel casino fatto di terrori immotivati e paure adolescenziali riesumate, la vita di Deku era più importante.
«Non morirò nel sonno, Kacchan!», sussurrò quasi scherzando Izuku, con la voce appena al di sopra di un soffio udibile, la mano a carezzare pesantemente la testa di Katsuki «E starò di guardia, controllerò che tu sia vivo... Così puoi provare a riposare un po', che ne dici?».
Il battito cardiaco di Katsuki accelerò, tremando leggermente sotto il tocco di Izuku che gli scostava piano i capelli dalla fronte, nell'attesa che arrivasse un bacio, che però non giunse mai.
Le unghie corte affondavano nel tessuto della sua maglietta mentre cercava di rimanere fermo a guardarlo. La testa aveva ricominciato a pulsare e i suoi occhi erano pesanti, ma la paura di chiuderli, la paura di non svegliarsi più...
Katsuki abbassò di nuovo la testa, cercando ancora quel calore confortante e la rassicurazione delle carezze lievi di Deku sulla schiena.
«Hai sempre un odore così buono...» borbottò, con la voce ruvida per il sonno e il naso strofinato sulla maglietta che ricopriva i pettorali saldi di Deku, prima di avvolgere il braccio sinistro più stretto attorno al suo addome.
Izuku se lo strinse forte contro, il respiro pesante che accompagnava un lieve dondolio sul materasso.
«Sei al sicuro con me, Kacchan...», mormorò Izuku, in un ultimo sprazzo di lucidità in mezzo alla stanchezza che gli rendeva le membra pesanti, esalando un respiro più profondo, a cui fece eco quello di Katsuki, la stessa pesantezza nelle palpebre e nel corpo, che si abbandonava del tutto contro quello di Deku, facendo sprofondare entrambi tra le evanescenti braccia di Morfeo.
 
Do you know I can never leave you?
And no I can never beat you?
And if I, I could never find you,
Never mind, I will not forget you.
Can I stay alive forever?
Forever.
⁓ Breakin Benjamin ⁓





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* La thanatofobia è un'intensa paura della morte o del processo che porta alla morte. Un altro nome per questa condizione è anche "ansia da morte", che si manifesta verso la propria o per la morte di qualcuno a noi caro.

 
   
 
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