Storie originali > Storico
Segui la storia  |       
Autore: NyxTNeko    12/11/2023    1 recensioni
Napoleone Bonaparte, un nome che tutti avranno letto almeno una volta sui libri di scuola.
C'è chi l'ha adorato, chi odiato, chi umiliato e chi glorificato.
Ma siamo sicuri di conoscerlo veramente? Come si sa la storia è scritta dai vincitori e lui, il più grande dei vincitori, perse la sua battaglia più importante.
Dietro la figura del generale vittorioso e dell'imperatore glorioso si nasconde un solitario, estremamente complesso, incompreso che ha condotto la sua lotta personale contro un mondo che opprime sogni, speranze e ambizioni.
Un uomo che, nonostante le calunnie, le accuse, vere e presunte, affascina tutt'ora per la sua mente brillante, per le straordinarie doti tattiche, strategiche e di pensiero.
Una figura storica la cui esistenza è stata un breve passaggio per la creazione di un'era completamente nuova in cui nulla sarebbe stato più lo stesso.
"Sono nato quando il paese stava morendo, trentamila francesi vomitati sulle nostre coste, ad affogare i troni della libertà in mari di sangue, tale fu l'odioso spettacolo che colse per primo il mio occhio. Le grida dei morenti, i brontolii degli oppressi, le lacrime di disperazione circondarono la mia culla sin dalla nascita".
Genere: Drammatico, Guerra, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza | Contesto: Rivoluzione francese/Terrore, Periodo Napoleonico
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Capitolo 156 - Fiorenza giglio di potenza virgulto primaverile -

Firenze, 1° luglio

Il generale Bonaparte, dopo aver ricevuto gli onori dagli abitanti di San Miniato, aveva tenuto un breve consiglio con i suoi ufficiali e vi era rimasto fino all'ora di pranzo. Aveva fatto preparare i suoi uomini per mettersi in cammino verso la fiera Firenze. Era intenzionato ad incontrare il Granduca Ferdinando, ma non soltanto per questioni politiche, come molti dei suoi pensarono. Le intenzioni di Napoleone erano ben più profonde di quel che voleva far credere egli stesso.

Nell'intravedere in lontananza la cupola del Brunelleschi, il campanile di Giotto che si stagliavano, lo stupore riempì i volti di gran parte dell'armata, in particolare quei soldati che non erano mai usciti dal loro mondo popolare, che fosse contadino o di bottega non importava. La bellezza di quei luoghi colpiva persino chi non aveva mai conosciuto l'arte e la bellezza, chi aveva soltanto vissuto la miseria, la rivoluzione e le armi.

- Che meraviglia! - si udiva sussurrare tra le fila, rivolgendo le dita in direzione del Duomo - Ma è diverso dalla Francia anche qui! - in quel momento nessuno si lamentava più della fame o delle scarpe consumate; quel panorama in cui la natura, composta dalle splendide colline toscane, e le costruzioni umane convivevano armoniose, quasi completandosi - È simile alla piccola cittadina in cui abbiamo sostato fino a qualche ora fa!

"Ecco Firenze" disse tra sé un emozionato Napoleone, con il cuore in gola, a differenza della maggioranza dei soldati, il generale corso conosceva perfettamente quella superba città, l'aveva studiata nei minimi dettagli. Aveva stampati nella sua testa i nomi di tutti coloro che vi erano nati e anche di chi l'aveva resa grande e potente in passato. Eppure, nemmeno la preparazione maniacale poteva eliminare quel sentimento, quasi di commozione e di eccitazione, che lo pervadevano.

Era un sogno che si avverava, tante volte aveva immaginato di essere lì, nel mentre leggeva le vicende storiche e politiche di quella città, incontrando un giovane Dante Alighieri che attendeva il saluto di Beatrice, vicino al Ponte Vecchio, oppure osservando la rivalità tra Leonardo da Vinci e Michelangelo, ma anche la Congiura dei Pazzi, il desiderio di Savonarola di ripulire Firenze dal peccato, la politica gloriosa dei primi Granduchi, dopo la fine della Repubblica.

"È un vero peccato che anche qui, dopo l'estinzione dei Medici, con l'insediamento degli Asburgo-Lorena, i superbi fiorentini si siano impigriti e addormentati, al pari di tutte le altre popolazioni italiane" pensava tristemente, avvicinandosi sempre più alle porte. Napoleone, poi, si inoltrò lungo le strade di San Frediano, dirigendosi verso Palazzo Pitti, storica sede del potere. Fatto edificare dal mercante Luca Pitti, come residenza privata a metà del Quattrocento, era composto da una facciata con tre ampie porte e un doppio ordine di sette finestre.

Alla morte del proprietario i Medici la acquistarono e da allora divenne la residenza principale dei Granduchi di Toscana, facendo ampliare la facciata, il retro, adiacente i Giardini di Boboli, per renderlo degno del rango che la famiglia aveva acquisito. Ebbe ulteriori ampliamenti, una volta passato sotto gli Asburgo-Lorena, che fecero costruire le due ali avanzati, con terrazze e portici, triplicandone l'estensione, divenendo esempio per tutte le regge d'Italia e d'Europa.

Il breve tragitto percorso dal generale Bonaparte, tuttavia, risultò essere più arduo di quello che l'armata potesse immaginare: quasi tutta la popolazione si era riversata proprio in quelle strade, ansiosa di poter vedere, per un istante, quel generale francese di cui ormai si parlava ovunque. Quei fortunati che poterono guardarlo, ricevendo un saluto o un breve sorriso, rimasero colpiti non tanto dalla giovane età, di cui erano a conoscenza, quanto dei lineamenti - Pare un risorgimentale - sussurravano stupiti tra loro. Risorgimento era il nominativo che usavano in quel periodo per indicare il Rinascimento - No a me pare proprio un antico - emise bisbigliando uno di loro, scrutando meglio quel militare.

Il profilo aquilino rendeva Bonaparte un uomo di un'altra epoca, era raro trovare dal vivo quel tipo di fattezze, persino tra i suoi stessi uomini. Vi erano tra le file soldati e ufficiali davvero affascinanti, specialmente chi possedeva i gradi più elevati, con le loro uniformi, seppur misere e poco decorate. Il loro comandante, però, spiccava sempre in maniera prepotente. Specialmente se comparato con il Granduca di Toscana, Ferdinando III; i due erano coetanei, eppure l'Asburgo mostrava molti di più dei suoi 27 anni, ma questa era una caratteristica che accomunava tutti i componenti dell'illustre famiglia.

Il giovane Granduca stava soggiornando, come di consueto, nello splendido giardino, quando venne avvisato dalla servitù dell'arrivo del comandante francese - È dunque giunto - disse non particolarmente sorpreso, era stato avvertito della sua visita ed era venuto a sapere di quanto era accaduto a Livorno: l'esercito francese aveva fatto espellere i britannici. Il granducato aveva intrecciato dei rapporti con gli oltremanica, per contenere la minaccia della Rivoluzione e sostenere l'imperatore Francesco II, fratello maggiore di Ferdinando, nella guerra contro la Francia. Il sovrano di Toscana doveva mostrarsi prudente e gentile con quel generale, da quanto aveva saputo, leggendo articoli di giornale e sentendo parlare delle sue imprese, questo Bonaparte si stava rivelando più astuto e abile di quel che si poteva credere.

Seduta accanto a lui, c'era la moglie la Granduchessa Luisa Maria di Napoli e Sicilia, non particolarmente bella e avvenente, anzi, quando fu scelta per sposare Ferdinando era stata abbellita nei dipinti, in modo da essere quanto meno presentabile. Tuttavia dove mancava la bellezza, abbondava la gentilezza e la cortesia e dimostrava queste doti innate a chiunque. Forse era stato proprio questo suo lato del carattere ad aver colpito profondamente Ferdinando e li aveva legati in un bel rapporto - Andiamo ad accoglierlo, caro, se vogliamo mantenere il nostro trono e il nostro potere...

- Questi magnifici affreschi di Pietro da Cortona sono difficili da staccare e trasportate in Francia - emise Napoleone, a braccia conserte, dopo aver contemplato gli splendidi soffitti decorati in modo pregevole, fatti commissionare dai Medici a metà Seicento, nella cosiddetta Galleria Palatina. Non appena era entrato lì, quell'opulenza di arte e bellezza lo aveva stupito, lo aveva colto nella maniera più sublime.

Ferdinando, nella sua consueta ed elegante uniforme bianca, tipica della famiglia di origine austriaca, sorrise leggermente nel sentire quella frase, anche se non avrebbe dovuto stupirsi della sua cultura: da quando aveva messo piede nel palazzo, Bonaparte non aveva fatto altro che parlare di arte. Aveva descritto con meticolosa precisione ogni figura affrescata, ogni dipinto appeso. Parlava come se avesse incontrato personalmente gli artisti che aveva riconosciuto tra quelle pennellate, quasi come se fosse penetrato nelle loro anime.

Lo vide poi soffermarsi sui dipinti appesi alla parete, li guardava rapace, avendo adocchiato una preda che bramava possedere, infatti, il corso rispose, con tono tranquillo, ma entusiasta, dopo esser rimasto in silenzio per parecchi minuti - Ma i dipinti di Rubens, Tiziano, Raffaello, Van Dyck e Rembrandt si possono trasportare - accarezzava il cappello che aveva tra le mani, dimostrando una nonchalance che non possedeva, la sua emozione era palpabile - Sarebbe un onore avere in Francia una parte di Firenze, no?

Era una risposta retorica, questo il Granduca lo sapeva perfettamente, quel bizzarro generale non aveva bisogno del suo consenso per avere quelle opere d'arte. Era certo che le avrebbe ottenute a qualsiasi costo: era stato il suo obiettivo sin da subito, dimostrando nuovamente quell'arrogante sicurezza di cui aveva tanto sentito parlare. Poco prima, infatti, Napoleone aveva sentenziato che il fratello Francesco non avesse più un pezzo di terra in Lombardia, quando vi era stata udienza con tutta la famiglia regnante, in uno spazio frapposto tra la raffinata e luminosa Sala Bianca, una sala da ballo chiamata così proprio perché predominava il neoclassico bianco, esaltandone così l'armonia e l'eleganza, e la fastosa Sala di Bona, tra le prime ad essere affrescate, unendo le virtù del buon governo allegorizzate con la casata medicea, che l'aveva commissionata.

Ovviamente che fosse una menzogna era palese, l'imperatore aveva ancora Mantova, la cui fortezza poteva garantire il controllo della zona, pur essendo ridotto rispetto a prima, a dimostrazione della bravura di quel Bonaparte quasi sbucato dal nulla. L'Asburgo non aveva dimostrato preoccupazione per quelle parole, almeno apparentemente, perché era turbato dalla situazione e dai suoi continui sviluppi. "Se è davvero così caparbio nel suo intento, prima o poi si impossesserà anche di quella città e la stabilità del mio potere e di quello di mio fratello vacillerà" aveva riflettuto in quegli istanti.

Al momento Napoleone si dimostrava conciliante e non pareva minimamente intenzionato a spodestarlo dal trono fiorentino, non lo aveva fatto nemmeno con il Savoia, eppure nulla era scontato in quel periodo storico tanto turbolento. In poco tempo i francesi erano passati dalla posizione più o meno equilibrata della monarchia costituzionale a quella radicale della repubblica, condannando a morte i loro sovrani, che potevano essere giudicati solo da Dio. Per questo nessuno in Europa poteva sentirsi al sicuro e tranquillo, da quando la Francia aveva deciso di espandere gli ideali rivoluzionari, fuori dai loro confini naturali.

Avrebbe tanto voluto capire le intenzioni di Napoleone: stava sostando a Firenze soltanto per assaporare una delle più grandi manifestazioni artistiche d'Europa e volerne portare una parte con sé, oppure c'era altro, qualcosa di più profondo, folle e pericoloso? Forse lo stava testando, per comprendere se renderlo un alleato o meno. Quell'uomo si stava rivelando un vero mistero, al pari del suo sguardo impenetrabile e folgorante, similmente ad una stella del firmamento.

Il Palazzo Pitti fu solo una delle tappe che Napoleone si era segnato, infatti, il corso, sempre più bramoso di sapere, di osservare, di conoscere, guidato dal Granduca, che aveva deciso di accompagnarlo con solamente una piccola parte della servitù e scortato dalla Compagnie des guides, si era recato presso l'accademia delle Belle Arti, nella via del Cocomero, tra piazza Duomo e piazza San Marco. L'aspetto era simile a quello dello Spedale degli Innocenti del Brunelleschi, questo perché fino al 1784 era stato l'ospedale di San Matteo, fatto chiudere dal padre di Ferdinando, Pietro Leopoldo.

Questi aveva rifondato la struttura, attribuendogli il nome di Accademia delle Belle Arti, che nasceva, in realtà, come parte dell'Accademia delle arti del disegno, nata nel 1563 per volontà di Cosimo I de' Medici e la sovrintendenza di Giorgio Vasari. Sarebbe stato un istituto di istruzione artistica pubblico e gratuito, che avrebbe dato vita a nuovi artisti, ereditando le lezioni degli illustri predecessori e rivalutando, così, l'elevato grado di grandezza raggiunto da Firenze.

Inoltre l'accademia aveva la funzione di deposito delle opere spogliate dagli istituti religiosi soppressi e questi divennero utili agli studenti, in quanto potevano usarli come riferimento per lo sviluppo della propria arte, adempiendo al nobile obiettivo dell'Accademia. Napoleone si dimostrava sempre preparato nel conversare con il Granduca - Apprezzo molto la lungimiranza vostra e del vostro avo, altezza reale - confessava con ammirazione Bonaparte.

"Forse lo spirito fiorentino non si è completamente assopito" questa constatazione aveva sollevato un po' il generale corso dall'iniziale pessimismo che lo aveva colpito. Aveva avuto la conferma circa lo spirito illuminato, colto, di Pietro Leopoldo d'Asburgo, che aveva dato il meglio di sé proprio in Toscana, una terra che aveva amato profondamente e aveva dovuto lasciare improvvisamente per prendere il trono d'Austria nel 1790 e diventare nemico della Francia. E tale nobile "spirito" era stato ereditato da Ferdinando, che stava portando avanti la politica del padre, nonostante l'alleanza momentanea con gli inglesi.

- Ed io non posso non congratularmi con voi riguardo la vostra preparazione, che potrei definire universale, generale - l'Asburgo era sincero nell'esternare tali complimenti, la fama di quel militare dal nome complicato, era più che meritata - Non che nutrissi pregiudizi nei vostri confronti, al contrario, avevo tanto sentito parlare di voi, ma si sa che le voci tendono ad esagerare certi aspetti

Bonaparte sorrise, avendo perfettamente capito cosa volesse intendere, non era la prima volta che glielo avevano detto e sicuramente non sarebbe stata l'ultima. Questa volta non c'era nemmeno la differenza d'età a separarli, quanto due tipi di nobiltà differenti, due approcci allo studio completamente diversi. Ferdinando sin dalla nascita era destinato ad essere un Granduca, circondato dai migliori e importanti precettori del periodo, pagati e incaricati di renderlo il sovrano perfetto, educato sotto ogni punto di vista, perfino all'etichetta di corte.

Anche Napoleone, per una parte della sua vita era stato indirizzato nello studio da un maestro, seppur di famiglia. Da una certa età, tuttavia, aveva frequentato scuola e accademie, riservate a ceti esclusivi, nei quali, una volta comprese le discipline e le passioni più inclini alla sua indole e intelligenza, attraverso letture specifiche e uno studio solitario, personale certosino, aveva approfondito il suo bagaglio culturale, che il comandante stesso percepiva sempre come momentaneo e incompleto. E la fame di sapere continuo ne era la prova.

- Quando si acquisisce popolarità improvvisamente accade sempre questo, soprattutto con i giornali, vostra altezza reale - fu la pronta risposta di Napoleone, guardando l'aristocratico interlocutore: non c'era traccia di burla o derisione nella sua espressione precocemente invecchiata, era onestamente rispettosa e pacata.

- Adesso posso avere finalmente l'onore e il piacere di osservare dal vivo le famose cere anatomiche - affermò un sempre più curioso Napoleone, non appena si erano fermati davanti la Specola, una parte del Reale Museo di fisica e storia naturale. Furono accolti dal direttore Felice Fontana, un rinomato fisico e anatomista, che per volontà del precedente Granduca aveva ricevuto la nomina, trasferendosi nella città del giglio. Con particolare ardore aveva sistemato il museo, secondo un ben preciso ordine della natura, in modo da poter istruire i visitatori.

Per Bonaparte non fu certo un dispiacere poter vedere e esaminare le ultime innovazioni e scoperte della chimica, della fisica e della zoologia, prima di arrivare alle cere. Aveva la medesima espressione meravigliata di un infante, desideroso di esplorare il mondo attorno a lui - Vi devo confessare che se non fossi diventato un militare, avrei più che volentieri intrapreso la strada delle scienze esatte, delle discipline matematiche - aveva rivelato senza troppi giri di parole - Seppur non smettano di appassionarmi, è particolarmente stimolante aggiornarmi sugli ultimi progressi della nostra civiltà

E la vista delle cere anatomiche, protette in teche di vetro per evitarne lo scioglimento, eliminò ogni dubbio circa l'elevato livello raggiunto dall'umanità; quelle riproduzioni del corpo umano, con i muscoli, le ossa, le articolazioni, gli organi erano impressionanti - Sembrano veri - dicevano sottovoce alcuni dei suoi uomini che avevano avuto il permesso di entrare - Si potrebbe dire che siano imbalsamati, invece sono di cera! - Anche in Bonaparte avevano scatenato nell'anima un'emozione molto forte, in particolare lo Spellato, con i vasi sanguigni e i capillari ben visibili e sorprendentemente realistici.

- Il mio illuminato padre ha voluto farli realizzare in tale maniera per evitare di dissotterrare e dissezionare continuamente i cadaveri, come si faceva in passato, rispettando il riposo dei defunti, cittadino generale - aveva voluto precisare Ferdinando, come se fosse fiero di portare avanti la volontà paterna.

Napoleone pur sapendo già tali motivazioni, notando ciò, non glielo fece presente, ma aveva annuito e detto - L'uomo sta eguagliando la natura nella sua riproduzione, la scienza sta dando risposte e soluzioni concrete, ma il cammino per scoprire gli altri misteri del mondo, dell'universo e della nostra stessa umanità è ancora lungo e sono convinto che i nostri discendenti sapranno molte più cose di noi, come avviene per qualsiasi epoca successiva alla propria - Aggiunse saggiamente, con rinnovato vigore - Bisogna avere il coraggio di andare oltre i dogmi, i fanatismi, pur rispettando il credo, la dignità e la libertà di tutti i popoli

L'ultima tappa che Napoleone aveva in mente, prima di riprendere la sua quotidianità e soprattutto la guerra, furono gli Uffizi, attraversando il famoso Corridoio Vasariano, un percorso sopraelevato creato appositamente per lo spostamento dei Granduchi di Toscana che collega Palazzo Pitti con Palazzo Vecchio, sopra il Ponte Vecchio. Nonostante fossero passate molte ore dal suo arrivo, il generale francese non era affatto stanco e stava visitando ogni angolo del prestigioso museo con il medesimo slancio.

La sua attenzione, tuttavia, venne catturata dalla Tribuna degli Uffizi, il nucleo originario del museo, dalla forma ottagonale e le pareti ricoperti da un intenso velluto rosso porpora, che ospitava gran parte della collezione dei Granduchi, un tempo privata, ora esposta al pubblico; ed era l'idea di trasmissione dell'arte che Napoleone approvava totalmente e che avrebbe voluto riportare in Francia.

Sollevando la testa ammirò la cupola, decorata da più di 5000 conchiglie, lo sguardo veniva condotto verso il centro che si sviluppava all'esterno: vi era una lanterna con una banderuola di ferro, legata ad una lancetta che riproduceva la rosa dei venti, gli equinozi e i soltisizi, come fosse una gigantesca meridiana. Si soffermò sul pavimento costituito da marmo di vario colore, sperando di non sporcarlo con i suoi logori stivali. Ricordava che il committente, ovvero il Granduca Francesco I aveva concepito quello spazio, realizzato da Bernardo Buontalenti, come un luogo che rappresentasse i quattro elementi. E la luce naturale rendeva ancora più suggestivo quello scrigno, da mozzare il fiato.

Mentre i soldati e gli ufficiali, ridestati dallo stupore iniziale, si sfidavano nell'indovinare le opere presenti lì, ridendo dei più ignoranti, il Granduca vide l'energico generale francese ammutolirsi e immobilizzarsi improvvisamente, come folgorato da un fulmine, dinnanzi alla più preziosa di tutte le gemme artistiche contenute nella Tribuna: la famosissima Venere dei Medici. La scultura, di epoca ellenistica, realizzata da Cleomene di Apollodoro, nel I secolo a.C., era stata rinvenuta nel XVI secolo a Roma, presso le Terme di Traiano sull'Oppio, fu acquistata prima da Ferdinando de' Medici e poi Cosimo III la fece collocare presso la Tribuna.

La donna raffigurata, in modo idealizzato, era una Venus pudica, intuibile dalla posizione della dea, intenta a coprirsi con le mani il pube e solo una parte del seno, sulla gamba sinistra, a sostegno, vi erano un delfino e un cigno, mentre alla base vi era la firma in greco dello scultore. Napoleone conosceva la fama di questa opera meravigliosa, racchiudeva in essa tutta la grandiosa, la perfezione di un glorioso periodo del mondo antico, che in quegli anni si stava cercando non solo di imitare, ma anche di riportare alla luce, attraverso sempre più scavi in tutta Europa. Come se volessero in qualche modo far parte di quel mondo bianco che aveva dominato l'Occidente.

Gli uomini al seguito di Bonaparte, nel vederlo tanto assorto quanto concentrato nel contemplare quelle curve marmoree, girando più volte attorno alla statua, per rispetto e per non rovinare quell'atmosfera, si erano zittiti, consapevoli del fatto che il loro amato generale, queste giornate, non le avrebbe mai più dimenticate. Non lo avevano visto così tanto a suo agio, così tanto felice e appassionato, come in quelle città toscane che stava visitando in quel piccolo lasso di tempo.

 

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Storico / Vai alla pagina dell'autore: NyxTNeko