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Autore: Shadow writer    12/11/2023    0 recensioni
Tridell è una moderna metropoli in cui nessuno è estraneo a scandali e corruzioni. Una giovane donna, abile nell'uso delle vie più o meno lecite, si è fatta strada fino alla vetta di questo mondo decadente.
Dalla storia:
“La duchessa viveva in periferia.
Il suo era un palazzo dall’esterno modesto, circondato da una striscia di giardino prima del grande cancello metallico. Chiunque avesse avuto l’onore di entrarvi, parlava di stanze suntuose, pareti affrescate, una grande corte interna, in cui si innalzava una fontana zampillante decorata da statue di marmo bianco. […]
Chi lei fosse veramente, non si sapeva. Che non avesse davvero il sangue blu, questo era quasi certo, ma nessuno osava contestarlo.
La verità sul suo conto, qualunque fosse, non era nota al pubblico, e alla gente piaceva guardare a questa donna enigmatica nel costante sforzo di capire chi fosse, senza mai riuscirci.”
Genere: Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'La duchessa '
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Roman


Sei anni prima

 

Il piccolo supermercato era quasi deserto a quell’ora del giorno. Era da poco passato l’orario di pranzo e l’unico uomo al bancone leggeva con indolenza un giornale. Di tanto in tanto, alzava gli occhi dalla carta e dava un’occhiata allo spazio davanti a sé, per assicurarsi che tutto fosse tranquillo.

Emily sudava, sotto la giacca pesante che portava. Era talmente lunga che la sentiva strusciare contro le ginocchia quando si muoveva. Inoltre, il peso che portava nelle tasche non contribuiva a rendere la sua situazione più piacevole. Finse interesse nei formaggi davanti a sé, poi si guardò alle spalle. Gli unici altri clienti del negozio erano una vecchia signora che portava un cestino sottobraccio e un ragazzo alto che si trovava poco distante da lei. E la stava fissando.

Emily sostenne il suo sguardo per qualche secondo, con aria di sfida, poi decise di muoversi.

Maledicendo la scomodità della giacca, si spostò nell’area destinata alla frutta e alla verdura. Prese una mela tra le mani si guardò attorno. Non vide nessuno alla sua sinistra, ma quando si voltò a destra, trovò il ragazzo a un palmo da lei.

Sobbalzò involontariamente.

«Se pensi di far sparire anche quella nella tua giacca» sussurrò il ragazzo, «devi stare attenta alla telecamera». 

Con il capo fece cenno in direzione della telecamera sopra di loro.

Emily strinse gli occhi e studiò il ragazzo. Era alto, dalla pelle ambrata, con i capelli e gli occhi scuri. Portava un orecchino pendente da un lato e un anello dall’altro e profumava come se avesse nuotato in una vasca di profumo.

«Non so di cosa tu stia parlando» replicò e rimise la mela al suo posto.

Il ragazzo sorrise. «Sto parlando del formaggio che hai fatto sparire nella tasca destra, del pane che hai nella sinistra e della confezione di noodles che è magicamente scivolata nella tua borsa». Le si avvicinò, avvolgendola nel suo profumo intenso. «In poche parole, credo che tu lo sappia perfettamente».

Emily strinse i denti, ma non indietreggiò. «Hai intenzione di dirlo al proprietario?»

Lui rise e scosse il capo. «Ti sto parlando perché fai pena come ladra. È la prima volta?»

La ragazza si strinse le braccia al petto, a disagio, e annuì.

«Devi essere davvero disperata per indossare quella giacca terribile».

Emily alzò gli occhi per fulminarlo, ma lui si era già spostato in un’altra area del supermercato. Lo seguì a ruota.

Raggiunsero una stanza più interna, dove stavano tutti i freezer. Il ragazzo indicò la telecamera in un angolo. «Quella non funziona».

Poi picchiettò su una delle superfici di vetro. «Cosa vuoi? Verdure miste?»
Lei si guardò attorno con aria circospetta. Nessuno li vedeva in quel punto del negozio. Tornò a guardare il ragazzo e annuì. Lui aprì il frigorifero, preso due piccoli pacchetti e se li infilò nelle tasche della giacca, sistemandoli perché non si vedessero dall’esterno, poi ne prese altri due e li ripose nel cestino che aveva con sé.

Quando ebbe finito, tornò a rivolgersi alla ragazza: «Cos’altro ti serve?»

Lei si strinse nelle spalle. «Frutta?»

Le fece cenno di seguirlo. «La frutta non si prende nei negozi, ma al mercato. È più facile. Forza, andiamo a pagare».

Emily lo seguì a pochi passi di distanza, guardandosi attorno. 

Il ragazzo raggiunse la cassa e posò su di essa il cestino con dentro i due surgelati e una pagnotta. Pagò, poi si rivolse a lei: «Tesoro, sei pronta ad andare?» 

Emily non se lo fece ripetere due volte e si diresse fuori dal negozio. Lui la seguì con calma e lo sentì ridacchiare alle proprie spalle. La raggiunse, la prese a braccetto e camminarono così per qualche decina di metri, allontanandosi dal supermercato.

«È importante apparire disinvolti» mormorò lui.

Continuarono a camminare per un po’, poi il ragazzo si fermò e si frugò nelle tasche della giacca. Ne estrasse due borse di stoffa e vi travasò la refurtiva, poi ne tese una alla ragazza.

«Oggi non c’è il mercato, ma lì è più semplice. Non ci sono telecamere, devi solo aspettare che la gente si distragga».

Emily prese la borsa con la propria parte. Lui le fece un cenno di saluto, augurandole buona fortuna, poi si allontanò correndo per saltare sull’autobus che stava passando in quel momento.

 

 

 

Emily si sistemò il cappotto e lanciò uno sguardo nervoso al proprio riflesso nella vetrina del negozio. Con quel capellino calato sulla fronte e una giacca troppo grande per lei non era sicuramente al massimo della forma.

La sua riflessione fu interrotta quando scorse la figura che stava aspettando nel riflesso. Il giovane che aveva incontrato qualche giorno prima nel negozio stava camminando per la strada con le mani cacciate nel suo cappotto color cammello. Aveva un’aria disinvolta e parve non fare caso a lei.

Emily si affrettò a seguirlo.

Il giovane svoltò in un’altra strada, si fermò ad ammirare una vetrina e poi riprese a camminare.

Continuò così per una decina di minuti, fino a che sostò un poco più a lungo di fronte ad un negozio di giocattoli.

«Hai intenzione di seguirmi ancora a lungo?» le chiese, voltandosi a guardarla.

Lei si sentì avvampare, ma non indietreggiò. Anzi, fece un passo verso di lui e alzò il mento per guardarlo negli occhi. «Devo parlarti».

«Potevi farlo senza pedinarmi» le fece notare e lei scrollò le spalle: «Semplice cautela».

Il ragazzo sollevò le sopracciglia, in attesa, così Emily si schiarì la voce. «Ho fatto un calcolo. Il cibo che abbiamo… preso in quel supermercato mi basterà per quattro giorni. Il tutto con, diciamo, mezz’ora di “lavoro”».

Il giovane strinse gli occhi, come se già avesse capito dove quella discussione sarebbe arrivata. 

«Se lo rendessimo un’attività retributiva?» 

Lui rise, scuotendo il capo. Gli orecchini dorati alle sue orecchie ondeggiarono tintinnando. «Al primo furto già vuoi diventare la regina del crimine? Tesoro, ti sei montata la testa».

Emily arrossì, ma riprese a parlare in tono deciso. «Ascoltami, ci ho pensato. Nel quartiere in cui vivo c’è molta gente disperata. Non sempre può permettersi di comprare quello che viene venduto regolarmente nei negozi. Se noi glielo fornissimo ad un prezzo più basso?»

L’espressione rimase scettica sul volto dell’altro. «Noi?» ripeté. «La ragazzina che chiaramente non conosce la propria taglia e uno sconosciuto? Potrei essere un molestatore per quello che ne sai».

Lei incrociò le braccia al petto. «Sei un molestatore?»

Il ragazzo sbuffò, scuotendo il capo. 

«Ecco, problema risolto» ribatté lei. «Mi hai aiutato l’altro giorno e ti devo un favore».

«Il tuo favore è coinvolgermi in questo tuo assurdo progetto?»

Lei annuì. «Esattamente. Se ti tiri indietro, lo farò da sola».

«Grazie, tesoro, ma sto bene così» rise lui. 

Emily scrollò le spalle e fece per andarsene, quando il ragazzo aggiunse: «E poi sono io che ti ho spiegato come fare. Cosa ci guadagnerei dal rubare insieme a te?»

La ragazza si voltò con un sorrisetto. «Io conosco le persone. So con chi parlare e come convincerli».

Lui la scrutò con i suoi occhi scuri poco convinto. Emily non distolse lo sguardo, ma anzi, gli rivolse un’espressione di sfida.

L’altro sbuffò. «E va bene. Ti concedo una settimana di prova».

«Oh, tesoro» replicò lei, «tu non mi stai concedendo nulla. Ti stai unendo a me e non te ne pentirai».

Gli tese la propria mano. «Sono Emily».

Lui parve esitare un istante prima di stringergliela. Quando lo fece, sul suo viso si aprì un sorriso. «Roman».

 

 

***

 

Presente

 

Quella sera c’erano tutti. Emily fece scorrere lo sguardo lungo l’ampio tavolo ovale che occupava il centro della sala. Si trovavano nell’ufficio di un magazzino, gentilmente concesso da Myers per la riunione. Il padrone di casa sedeva a capotavola, affiancato da un uomo alto e massiccio vestito di nero. Da quando qualcuno aveva attentato alla sua vita mentre cenava al ristorante in compagnia della sua quarta moglie, Myers non si muoveva mai senza la sua guardia del corpo. La sua specializzazione erano le armi, ma non disdegnava di trafficare qualche sostanza stupefacente se l’economia lo richiedeva. Alla sua destra sedeva Miss Ketty, la proprietaria del più famoso locale di burlesque in città. La donna era abituata ad accogliere clienti di tutti i tipi sotto le luci deformanti delle sue sale e, mentre bevevano e si lasciavano andare, così anche le parole fluivano dalle loro bocche senza filtri. Sotto alle luci flebili del magazzino, la parrucca rosa di Miss Ketty pareva zucchero filato.

Alla sinistra di Myers, impeccabile nel suo completo elegante, stava Arthur Lowe, che scrutava gli altri partecipanti con i suoi occhi rapaci. Tra lui ed Emily sedeva Cristiano Flores, appena tornato da una vacanza in qualche località tropicale, a giudicare dal colorito bruno della sua pelle. Emily sentiva il profumo intenso con cui si era cosparso e riusciva a vedere i lucenti stivali di coccodrillo che portava.

Di fronte a Flores, accanto a Ketty, fumava con aria annoiata l’ispettore Fisher. Era un uomo grasso e flaccido, con lo straordinario dono di trovare un posto in cui sedersi in ogni luogo. Non amava muoversi e non amava faticare; forse era stata la sua pigrizia a spingerlo verso l’illegalità fin dai primi anni del suo servizio in polizia. Grazie alla sua doppia vita poteva ottenere il doppio dei risultati con il minimo dello sforzo. Al suo fianco sedevano i fratelli Cruz, Hector alto e ben piazzato, Eddie basso e sottile. La loro specialità era far sparire chi voleva andarsene senza lasciare traccia, ma se la cavavano bene anche come falsari e molti si affidavano a loro per il riciclaggio di denaro. Il resto delle sedie della tavola erano vuote.

Al padrone di casa, toccò l’onore di aprire la riunione. Con la sua voce graffiata e rauca, Myers salutò tutti i presenti. «E diamo il bentornata alla nostra duchessa, che ci ha voluti qui stasera».

Si voltò verso di lei ed Emily lo ringraziò con un cenno del capo. «Grazie per essere venuti, non vi scomoderò più del dovuto. Credo che il problema sia chiaro: qualcuno dei vostri si è dimenticato di comunicare ai miei i nuovi ordini. Sono qui per comunicarvi che il mio trasporto è operativo come al solito».

Setacciò i presenti con gli occhi. Flores e i fratelli Cruz evitarono il suo sguardo, Ketty stringeva le labbra e Lowe tamburellava le dita sul tavolo. 

Fu l’ispettore Fisher a risponderle, sbuffando una nuvola di fumo intorno a sé. «Credo di parlare per tutti se dico che gli ordini non sono arrivati perché non siamo più sicuri di poterci fidare».

Lo sguardo della giovane si fece tagliente. Appoggiò le mani sul tavolo e alzò il mento. «Di me?»

«Non c’è bisogno di scaldarsi, Cassandra. O Emily o come diavolo ti chiami ora» Lowe si voltò verso di lei. «È chiaro che la tua scomparsa da Tridell ha creato preoccupazione».

«Permettimi di dissentire, Arthur. Prima di andarmene mi sono assicurata che i miei affari fossero in ottime mani».

Emily gli rivolse uno sguardo di sfida, come per provocarlo a dire qualcosa contro Roman. Doveva capire chi, lì dentro, avesse cercato di metterle i bastoni tra le ruote. 

Arthur spostò gli occhi verso Myers, che tossicchiò. 

«È vero, all’inizio siamo stati cauti» disse il padrone di casa, «ma poi abbiamo visto tutti cosa è successo a Bergman».

«Ha messo in pericolo il mio braccio destro non comunicando la presenza della pattuglia?» ribatté Emily in tono acceso. 

L’uomo scosse il capo e fu Ketty a rispondere. «Lui si riferisce a quello che è successo dopo».

La giovane fece scorrere gli occhi sui presenti, poi sollevò le sopracciglia. «Vogliamo giocare agli indovinelli o qualcuno me lo spiega?»

Hector Cruz sbatté una mano sul tavolo, facendolo vibrare. «Il tuo fottuto cagnolino è una spia!»

Suo fratello gli posò una mano sul braccio, per calmarlo, ma l’espressione che rivolse a Emily era algida. «Bergman gli ha fatto un torto e due giorni sono andati ad arrestarlo».

«E nessuno mi aveva avvisato» aggiunse Fisher. «Roman ha altri agganci».

Emily non rispose subito. Lasciò che il suo silenzio lasciasse trapelare la sua furia. Quando parlò, lo fece con voce salda. «State dicendo che lavora per la polizia?»

Non riuscì ad impedirsi di arricciare le labbra, sdegnata dalle accuse che stava sentendo. Avrebbe difeso Roman a spada tratta sempre, ma una cosa non le tornava: perché non le aveva detto dell’arresto di Bergman? Quando le aveva raccontato aveva sorvolato la cosa e non era da lui mancare di precisione.

«Ammetterai che le circostanze ci hanno portato a questa conclusione in modo ragionevole» replicò Lowe per tutti.

«Proviamo a riflettere in modo ragionevole tutti quanti» ribatté lei trafiggendoli uno a uno con lo sguardo. «La pattuglia era nel territorio di Bergman. Chi l’aveva informata del passaggio di Roman? Come hanno fatto a riconoscere l’auto? Chi ha causato il sequestro della merce in primo luogo? Qualcuno ha parlato con la polizia, forse Bergman stesso. Il che significa che abbiamo un traditore tra di noi, se non più di uno. E se c’è una cosa che posso promettervi, è che stanerò il traditore e gli farò pagare un prezzo molto caro per il suo volta faccia».

Tacque e guardò le persone intorno a lei. Studiò le loro reazioni, le microespressioni sui loro visi. Qualcuno era preoccupato, qualcuno scocciato, certe rughe manifestavano tensione, altre sfida. 

«Grazie per l’ascolto» concluse e lasciò la sala voltando le spalle a tutti.

 

 

Quando Emily rientrò nella sua camera da letto, Alexander l’attendeva sveglio. Stava scarabocchiando qualcosa seduto sul suo lato del letto, a torso nudo e illuminato da una lampada appesa sopra alla testiera di legno. Appena la vide entrare, ripose il foglio e la matita sul comodino e spostò il piumone per fare spazio a lei. 

«Bentornata».

Emily si spogliò e indossò la sua vestaglia, poi si lasciò cadere sul materasso a fianco dell’uomo.

«Com’è andata?» le chiese.

Lei sospirò e scivolò sul letto fino a che la sua testa fu sul cuscino. «Estenuante. Credono che Roman collabori con la polizia».

«Perché non si fidano di lui dopo tutti questi anni?»

Emily lo guardò. Alex le restituì uno sguardo serio e attento. I suoi capelli erano scompigliati e un ciuffo chiaro gli cadeva sulla fronte. 

«Bergman gli ha fatto un torto e qualche giorno dopo è stato arrestato. E i poliziotti corrotti non ne sanno nulla, il che significa che è stato un arresto in regola».

Alex sgranò gli occhi. Si voltò verso la porta della camera, come per assicurarsi che fosse chiusa, poi scivolò anche lui sul letto fino a stendersi. «Credi che Roman abbia collaborato con la polizia?» mormorò.

Emily strinse le labbra. «Loro lo credono».

«E tu?»

«Ne parlerò con lui». Abbassò gli occhi, pensierosa. Sapeva che Alex la stava guardando in attesa di risposte, ma non era pronta a cercarle neanche per se stessa.

   
 
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