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Autore: Immiriel    13/11/2023    1 recensioni
Fanfiction OC sul mondo di Eragon. Ripercorrerò la Caduta dei Cavalieri raccontando la storia di due elfi rimasti orfani durante la guerra. Nella lettura incontrerete molti dei personaggi della storia originale, missing moments, mistero, avventura e chissà, forse anche un tocco di love story!
Un piccolo estratto: Leum volava veloce come una freccia elfica, senza curarsi delle fiamme che lambivano ferocemente le guglie dei palazzi, delle urla dei sofferenti sotto di lui e della pioggia sferzante. Lacrime roventi, lacrime di drago gli scorrevano lungo le squame e subito venivano spazzate via dal vento impetuoso. Un solo pensiero gli attraversava la mente: Devo trovarla per lui. Devo proteggerla. È quello che mi ha chiesto. Devo proteggerla.
Genere: Avventura, Drammatico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo Personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Firnen riprese conoscenza e aprì lentamente gli occhi. La testa le doleva in modo insopportabile, ma riuscì comunque a raccogliere le forze e a riprendere il controllo del suo corpo intorpidito. Si trovava sulla nuda terra, lo poteva capire dal terriccio arido che le pizzicava la guancia.

La sua mente era annebbiata, non riusciva a pensare lucidamente. Aveva la spiacevole sensazione di avere dimenticato qualcosa di tremendamente importante, ma non sapeva cosa.

Provò a muovere le dita di una mano e si rese conto che erano umide. Quando le avvicinò per annusare il liquido un odore ferroso e pungente le impregnò le narici. Sangue.

Si portò una mano alla testa e capì che molto probabilmente quel sangue era suo perché i suoi capelli erano umidicci e le ciocche tutte appiccicate. Si sentiva ancora intontita, ma almeno adesso comprendeva il motivo del dolore alla testa.

Lo stato confusionale in cui la bambina si trovava non rese facile far riemergere alla memoria le parole di potere, così pronunciò l'incantesimo con la dovuta cautela e scandendo ogni parola con accurata lentezza. La ferita si rimarginò e subito si sentì meglio.

Ora che il dolore era scemato aveva spostato la sua attenzione verso ciò che la circondava. Una... stanza di ghiaccio?

Senza credere ai propri occhi si avvicinò carponi per sfiorare una delle pareti con un dito e scoprì con sorpresa che era tutt'altro che fredda al tatto. Niente ghiaccio, quindi, ma una superficie spessa, dura e lucente.

I raggi tenui del sole mattutino attraversavano le pareti senza difficoltà, ma le immagini di ciò che si trovava al di fuori dalla stanza giungevano deformate e confuse agli occhi di Firnen. Alzò il mento e guardò in alto: a sovrastarla vi era un'immensa cupola di limpido cristallo trasparente.

Fu a quel punto che Firnen inziò ad avere paura. E fu proprio la paura a ricordarle che si trovava a Vroengard, l'isola dei Cavalieri dei draghi. La sottile coltre che ancora annebbiava la sua mente scomparve del tutto. I Rinnegati erano giunti a Vroengard per poi dare alle fiamme Doru Araeba. Era scoppiata una battaglia. Una fitta gli attraversò il petto: suo padre, Ahorin, era morto. Era stato Leum a dirglielo... lui era ancora vivo! L'aveva ritrovata per riportarla a casa, in salvo nella Du Weldenvarden, ma una fonte di potere magico scaturito da chissà dove aveva provocato una terribile esplosione e poi... il nulla. Non c'era nient'altro da ricordare. Dov'era finito Leum? E che cos'era quella strana stanza in cui si trovava?

Le pareti trasparenti la circondavano da ogni lato senza lasciare una via di fuga. Non vi era nessuna porta, nessun passaggio. Come era finita lì dentro? Un'altra domanda a cui non riusciva a dare una risposta. Come un'eco lontana ricordò le parole che suo padre era solito ripetere ai giovani Cavalieri che addestrava: Prima o poi vi ritroverete in situazioni in cui vi sarà impossibile ricondurre l'accadere alla logica. Forse era uno di quei casi in cui pensare con razionalità non sarebbe servito più di tanto. Doveva semplicemente trovare una via di fuga il prima possibile senza porsi troppe domande.

Ritrovata la sua risolutezza Firnen si avvicinò alla parete e la analizzò scrupolosamente, accorgendosi che alcune zone sembravano essere meno spesse di altre. In quei punti la luce riusciva a penetrare maggiormente e i contorni di ciò che si trovava all'esterno, seppur deformati dallo strano materiale, erano ben visibili. Firnen raccolse le energie, appoggiò il palmo della mano proprio in quel punto ed esclamò: «Jierda!»

Nulla. Firnen arretrò di qualche passo mordendosi un labbro per la frustrazione. Poi si riavvicinò alla parete, richiamò ogni briciola di potere magico e ripetè l'incantesimo. Il cristallo sotto il suo palmo emise un debole scricchiolio, ma nemmeno una piccola crepa sembrava averne intaccato la superficie.

Firnen sedette a terra, esausta. Quell'ultimo tentativo l'aveva sfiancata definitivamente. Pensò di dormire per recuperare un po' di energie e ritentare l'incantesimo, ma dentro di sè sapeva che difficilmente una bambina stanca e ferita avrebbe potuto riuscire in un'impresa simile. Quel materiale misterioso era estremante resistente. Si trattava forse di diamante? Se si trattava davvero di diamante, le possibilità di risucire a infrangerlo rasentavano lo zero. Se solo Leum fosse stato lì con lei! I draghi, in situazioni di estrema necessità, erano capaci di compiere incantesimi in grado di piegare le leggi della natura. Forse lui sarebbe riuscito a creare un varco per liberarla, ma Firnen non poteva concedersi il lusso di aspettare di essere salvata. Non aveva idea di dove potesse trovarsi Leum e il fatto che l'ossigeno prima o poi sarebbe finito era un motivo in più per uscire di lì il prima possibile.

Capì che le rimaneva una sola possibilità. La più semplice, in effetti: scavare a mani nude una via d'uscita. Si era appena rimboccata le maniche che improvvisamente sentì le sue membra irrigidirsi in modo innaturale. Passò un attimo in cui non potè fare altro che trattenere il respiro. L'attimo dopo, non era più lei a respirare. Qualcuno lo faceva per lei. Non era lei ad aver alzato il braccio per sfiorare la superficie della parete con il palmo. Qualcuno o qualcosa lo faceva per lei, stava muovendo il suo corpo al suo posto. Con immenso terrore Firnen sentì la propria voce scandire un'unica parola, la stessa che aveva utilizzato senza successo per formulare il precedente incantesimo: «Jierda!»

Un immenso flusso di potere le attraversò il corpo e si scagliò contro la parete, che si frantumò come creta davanti ai suoi occhi increduli. Percepì la fonte di potere sbiadire e sfumare, un calore bruciante che poco a poco si tramutava nella fiammella tenue di una candela, per poi spegnersi del tutto. Fu allora che riuscì a controllare nuovamente il suo corpo. Cadde a terra con un tonfo. Le braccia e le gambe le formicolavano come se una scossa elettrica ne avesse pervaso ogni centimetro.

Firnen inspirò ed espirò nel tentativo di calmare il battito del suo cuore, rimanendo immobile a fissare il varco che l'incantesimo aveva appena creato. L'assurdità dell'evento le impediva di trovare un senso a ciò che le stava accadendo. Per la prima volta si chiese se stesse sognando. No, non era un sogno, ma ciò che aveva vissuto non poteva nemmeno essere reale. Non si può prendere il controllo del corpo di una persona mentre è cosciente, neppure con la magia, ma se era successo per davvero... poteva accadere nuovamente, in qualsiasi momento, senza che lei potesse fare alcunché per impedirlo.

Si consolò al pensiero che anche se qualcuno aveva preso effettivamente il controllo del suo corpo, quel qualcuno era riuscito a liberarla, dunque non doveva trattarsi di un nemico. Quella nuova consapevolezza le fece recuperare un po' di lucidità. Non aveva senso rimuginare su quello che era appena successo. Ripensò alle parole di suo padre: la logica non era decisamente dalla sua parte, quel giorno. In tal caso, sapeva già cosa avrebbe dovuto fare. Fuggire il più lontano possibile. Trovare Leum. Tornare a casa. Piangere suo padre. Dimenticare.

Con cautela uscì dalla stanza sorpassando i detriti sparsi a terra. Il paesaggio che fino a poco prima della battaglia era un luogo verde, lussureggiante e pieno di vita, dopo l'esplosione si era tramutato in un mare di cenere. La terra emetteva fumi ocra e del color del carbone e la luce del sole era filtrata da un'atmosfera ostile, irrreale. Anche l'aria era malsana e acre e il suo odore pungente. Firnen arricciò il naso e subito dopo fu colta da un eccesso di tosse. L'istinto le stava urlando di andare via da quel posto, il prima possibile.

Avanzò ancora di qualche passo prima di voltarsi verso la stanza che l'aveva tenuta prigioniera fino a quel momento e ancora una volta rifiutò di credere ai propri occhi. Non era affatto una stanza a forma di cupola. Era un drago. Era Leum. Non si era mai allontanato da lei, dopo l'esplosione. L'aveva protetta con il suo corpo calando le ali su di lei e in qualche modo era riuscito a mutare sè stesso con la magia, un materiale abbastanza resistente da peretterle di sopravvivere. Lo aveva pensato poco prima, dopotutto: la magia dei draghi è in grado di piegare le leggi della natura.

«No...»
Firnen si accartocciò su sè stessa, incapace di sopportare altro dolore. Ora non le rimaneva più nessuno. Prima sua madre, poi suo padre e infine Leum. Ognuno di loro era caduto nel vuoto. Nimue e Ahorin per proteggere il regno degli elfi dal Traditore, Leum per proteggere lei.
Firnen si avvicinò tremando al corpo immenso di Leum e si accovacciò contro una delle sue zampe. Pianse le lacrime che le rimanevano e quando fu allo stremo delle forze si addormentò profondamente.

Cadde in un sonno popolato di sogni strani e inafferrabili. Nel sogno c'erano delle voci che giungevano da lontano, un posto che non poteva che essere remoto e distante. Provò a urlare per farsi sentire, per farsi trovare, ma non riuscì ad articolare alcun suono. Si sentiva la bocca secca e le membra doloranti. Qualcuno si stava avvicinando, le parlava, la avvolgeva in una coperta, la sollevava e la trasportava da qualche parte stringendola contro il suo corpo tiepido e donandole un po' del suo calore. Era davvero un sogno, o si trattava della realtà? Fino a poco prima, quando si trovava nella stanza di ghiaccio e una qualche entità aveva preso il controllo del suo corpo, si era fatta la domanda opposta: era davvero la realtà, oppure aveva sognato? Era stanca di porsi quella domanda. Decise che non aveva più importanza e finalmente si abbandonò in quell'abbraccio.


 

La luce soffusa del sole filtrava attraverso un piccolo oblò spandendo un bagliore dorato e tenue. Quei raggi scaldarono la pelle di Firnen come una carezza, danzando sulla superficie liscia delle sue guance e rinvigorendo a poco a poco i suoi sensi.

La prima cosa che Firnen notò fu il profumo pungente del mare, una miscela salina mista ad aria fresca che impregnò le sue narici ridestandola del tutto. Poteva sentire il rumore cadenzante delle onde che si infrangevano contro lo scafo accompagnandolo nel suo dolce cullare, mentre il distante gracchio dei gabbiani completava quella melodia salmastra. Li immaginò librarsi nel cielo limpido e subito fu colta da un'improvvisa malinconia.

«Oh, ti sei svegliata. Come ti senti?»

Firnen si voltò verso la voce e solo allora notò un elfo che sedeva su una piccola poltrona di broccato proprio accanto al suo giaciglio. L'uomo aveva un viso saggio e compassionevole e lunghi capelli lucenti come argento liquido. Teneva una mano appoggiata elegantemente sul bracciolo della poltrona mentre con l'altra reggeva un libro antico, la copertina di cuoio visibilmente consumata dal tempo in contrasto con le dita affusolate.

«Dove mi trovo?»

«Su una delle poche imbarcazioni rimaste alla flotta elfica. Scometto però che questa risposta non ti soddisfi del tutto. La domanda corretta avrebbe dovuto essere: dove stiamo andando?»

L'elfo sorrise, richiuse il libro e proseguì senza aspettare una risposta: «Siamo diretti a Narda, la città umana più vicina a Vroengard. Poco prima di attraccare modificheremo i nostri lineamenti con la magia per confonderci tra gli esseri umani e da lì risaliremo la costa. Raggiungeremo Osilon entro due settimane ed Ellesmèra entro tre al massimo, anche se...»

Firnen tossì e si portò una mano al viso. Quando la guardò, vide che era macchiata di sangue scuro. Il volto dell'elfo si adombrò mentre ripuliva la mano della bambina con un panno umido: «Temo che questo risponda alla mia prima domanda. Ti chiami Firnen, vero?»

«Come lo sai? Chi sei?»

«Sono una vecchia conoscenza di tuo padre... e anche di Leum».

A quelle parole Firnen sentì la sua gola stringersi in una morsa e le lacrime rischiarono di annebbiarle la vista. Non voleva piangere, non voleva...

«Bene, Firnen» l'elfo la guardò intensamente con quei suoi occhi saggi e tristi: «Ho bisogno che mi racconti ogni cosa che riesci a ricordare della battaglia che si è svolta a Doru Araeba. Pensi di riuscirci?»

Firnen annuì lentamente. Gli raccontò tutto ciò che ricordava: l'allarme suonato dalla torre campanaria che aveva annunciato l'arrivo dei Rinnegati, il momento in cui aveva incontrato Leum, l'esplosione e la strana prigione che aveva pensato essere ghiaccio o cristallo...

Lui ascoltò in silenzio con un'espressione grave e attenta mentre le onde continuavano a infrangersi rumorosamente mutando in spuma. Tacque per qualche secondo, poi disse, in tono assorto: «Non ci sono altri sopravvissuti oltre a te. Ti abbiamo trovata riversa a terra accanto a una struttura che inizialmente ha provocato non poco scompiglio tra i nostri ranghi. Si trattava di Leum, non è così?»

«Sì...»

Firnen aveva quasi paura a pronunciare quelle parole, perchè dando loro voce avrebbe reso la realtà ancora più inequivocabile: «Leum mi ha salvata. Si è tramutato in quello strano materiale e mi ha protetta dall'esplosione».

Non aveva potuto nemmeno dire loro addio. In pochi attimi li aveva perduti entrambi... Che cosa le sarebbe successo ora? Dove avrebbe vissuto, ora che non esisteva più un posto che potesse chiamare casa?

«Proprio come immaginavo. Mi domando, però, come tu sia riuscita ad uscirne. Abbiamo prelevato qualche campione e anche il frammento più piccolo del corpo di Leum si è rivelato resistente a qualsiasi incantesimo».

Firnen schiuse le labbra per raccontargli l'accaduto, ma all'ultimo momento esitò. Ciò che era successo era al di là della sua comprensione e non era sicura di volerne parlare con qualcuno. Non ancora. Così si limitò a dire: «con la magia».
 
L'elfo alzò un sopracciglio arcuato: «Sei stata tu a pronunciare l'incantesimo?»

«Sì»

Tecnicamente, dopotutto, era stato il suo corpo a compiere quella magia. Lui non indagò oltre, ma Firnen notò che la stava osservando con rinnovato interesse, più con curiosità che con scetticismo. Cercò di deviare l'attenzione dell'elfo da quell'argomento: «Da cosa è stata provocata l'esplosione?»

«Purtroppo il tuo racconto ha confermato i miei timori. Si tratta di un'incantesimo proibito e distruttivo sia per la persona che lo pronuncia che per tutti e tutto ciò che si trova nel suo raggio d'azione. Waíse neíat. Non essere...»

L'elfo tacque e Firnen non mancò di notare il tremore delle sue mani strette in pugni e il biancore delle nocche. Si trattava di rabbia per la morte dei Cavalieri e dei draghi o era forse stato ferito in battaglia?

L'uomo inspirò profondamente e quando tornò a parlare l'ombra nelle sue iridi sembrò svanire, tanto che Firnen dubitò di averla intravista: «Lo stregone che compie questa magia cessa di esistere negando la propria esistenza. Ogni cellula che compone quel corpo si tramuta nell'inverso di ciò che è: la materia si trasforma in nulla provocando un'esplosione estremamente potente e distruttiva».

Firnen rimase a bocca aperta di fronte a quelle parole. Un'incantesimo del genere andava al di là di ogni immaginazione: «E... chi può aver tentato di evocare una magia simile?»

«Non lo sappiamo... ma è certo che passeranno molti anni prima che gli alfakyn rimettano piede sull'isola. Quell'incantesimo... non ha solo distrutto Doru Araeba e ucciso ogni essere senziente che vi si trovasse. Ha alterato la struttura dell'isola stessa, proprio come farebbe un ve...»

Proprio in quel momento Firnen fu colta da un altro eccesso di tosse. Un sottile rivolo scarlatto scese sul suo mento: «...come un veleno» concluse la bambina con voce roca.

«Esatto. Sei fuori pericolo, ma non sono riuscito a purificare del tutto il tuo corpo dalla tossina. Forse, con il tempo...»

«Gli altri stanno bene?»

L'elfo inclinò leggermente la testa di lato: «Gli altri?»

«L'equipaggio» precisò Firnen «le persone che hanno perlustrato l'isola e che mi hanno trovata».

«Si sono esposti ai gas emanati dell'isola solo per qualche ora. Non ci saranno danni permanenti».

Firnen annuì con sollievo. Non avrebbe sopportato che anche coloro che l'avevano trovata e portata in salvo soffrissero e pagassero le conseguenze del loro coraggio. Già era difficile accettare il sacrificio di Leum, di suo padre e di tutti i Cavalieri e i draghi che avevano combattuto con valore la loro ultima battaglia...

Un brivido freddo attraversò la spina dorsale di Firnen. Nessun sopravvissuto. Solo in quel momento comprese appieno l'orrore di quella rivelazione. Quanti draghi rimanevano in Alagaësia? Quanti Cavalieri?

Firnen interruppe il flusso di quei pensieri con una domanda, la domanda che riassumeva ogni suo timore: «Dov'è Vrael?»

Guardò l'elfo sperando di scorgere in lui una piccola fiammella di speranza o la più tenue volontà di combattere. Non trovò nulla di tutto questo.

«Nel momento in cui i Rinnegati hanno attaccato Vroengard anche Ilirea è caduta. Vrael è morto, ora è Galbatorix a sedere sul trono dei Broddring».

L'uomo si chinò e prese la mano della bambina nella sua in un gesto di conforto semplice, ma rassicurante. Il suo sguardo calmo eppure sofferente avvolse Firnen in un abbraccio silenzioso.

Rimasero così per qualche attimo, poi lui si alzò con un movimento fluido: «Presto saremo al sicuro, te lo prometto. Ora devi scusarmi, ma hai bisogno di riposo e io devo fare rapporto a sua maestà».

Si era avviato verso la porta muovendosi con l'eleganza tipica della loro razza, ma la bambina non mancò di notare nuovamente l'ombra della sofferenza celata al di là dei movimenti aggraziati e del volto altrimenti perfetto.

Firnen lo fermò: «Aspetta, non ti ho chiesto il tuo nome!»

L'elfo sorrise e poco prima di richiudere la porta della cabina dietro di sé, disse semplicemente: «Oromis».

NdA: Una piccola curiosità: il materiale in cui si è tramutato Leum è lo stesso della tomba di Brom!
Se preferite Wattpad potete leggere questa ff anche lì: https://www.wattpad.com/story/352063054-elves
A presto!
   
 
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